16 apr 2022

Una Pasqua per la pace tra le genti

 

«Possano le celebrazioni pasquali della morte e risurrezione di Cristo essere fermento vivo di riconciliazione e pace tra individui, famiglie, gruppi e nazioni, perché prevalga non l’avidità e la violenza, ma la pace e la solidarietà ». È l’augurio pasquale che padre Paolo Cocco rivolge da Castelonte/ Stara gora, in primo luogo agli abitanti delle valli per i quali l’antico santuario mariano è un importante punto di riferimento Padre Cocco – «brat Pavel» gli piace farsi chiamare in sloveno – è un frate Cappuccino. Originario della provincia di Vicenza, padre Cocco, oltre al servizio a Castelmonte insegna ecumenismo a Roma alla Pontificia università San Tommaso e all’istituto di teologia Clarettianum, che fa capo alla Pontificia università lateranense. Nelle Valli del Natisone è conosciuto anche perché ha spesso concelebrato e anche presieduto, quando mons. Marino Qualizza era indisponibile, la Santa Messa in lingua slovena del sabato pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Pietro al Natisone.

Padre Cocco, dopo la pandemia, la guerra. Come può la Pasqua farci uscire dall’angoscia del presente?

«Siamo un po’ tutti come dei “sopravvissuti” alla pandemia. Se la caratteristica della cultura slovena che mi ha affascinato per prima è stata la devozione alla Madonna, espressa in bellissimi canti, un’altra è proprio quella che avverto come sanante in questo tempo di ulteriore crisi e di angoscia: la devozione alla Passione di Cristo, che un mio confratello, Romuald, nato a Štandrež, presso Gorizia, ha efficacemente promosso a Škofja Loka scrivendone un canovaccio per la rappresentazione nel 1721. Quando prego meditando sulla “Via crucis” di Gesù, la sofferenza che di solito rifiuto di considerare perché può provocare in me paura, indignazione e perfino odio verso coloro che ne figurano causa, se la contemplo con fede come sofferenza che Dio ha condiviso con noi in Cristo, può diventare sofferenza salvifica che mi rende più umano e più credente. È questa la grazia della redenzione che noi cristiani, come i nostri martiri, siamo chiamati a testimoniare e offrire».

Alla luce delle sue conoscenze del mondo ortodosso orientale, che lettura può darci della guerra tra Russia e Ucraina?

«Il campo in cui mi sono impegnato di più in ambito ecumenico è stato l’approfondimento e il confronto con il mondo evangelico, protestante. Grazie a Dio però prima ho maturato una conoscenza e un amore profondo per quello ortodosso. Si sa che il “tallone d’Achille” delle Chiese ortodosse è che sono Chiese nazionali, anche se per principio vorrebbero escludere ogni tipo di nazionalismo. Ho imparato che le radici prossime della cultura e della fede dei russi si trovano proprio in Ucraina, a Kiev. Tra Russia e Ucraina c’è un rapporto storico che mai potrà essere negato, simile a quello che c’è tra ebraismo e cristianesimo, anche se a legarle paradossalmente è la stessa religione e la stessa fede».

Papa Francesco ha più volte definito “sacrilega” le guerra in Ucraina, mentre il patriarca russo Kirill sembra quasi benedirla. L’ecumenismo è messo all’angolo?

«Se intendiamo l’ecumenismo come qualcosa che si realizza soprattutto con conferenze e la diplomazia, l’ecumenismo può risultare illusorio e fallimentare. Ricordo che già lo scorso dicembre papa Francesco aveva pubblicamente espresso il desiderio di incontrare di nuovo in qualsiasi luogo il patriarca Kirill. Dà speranza il fatto che un incontro, sia pure a distanza, tra i due c’è stato e non credo che sia stato inutile, anche se siamo tentati di pensarlo. In realtà l’ecumenismo, nel suo significato originario di casa e quindi di fratellanza che vorrebbe essere universale, se sostenuto da autentica vita spirituale, è l’unico vero antidoto ai conflitti. E anche il conflitto tra Russia e Ucraina non sarà mai superato se non attraverso una purificazione della memoria (cf. enciclica di Giovanni Paolo II, “Ut Unum sint”, 2)».

Cosa possono fare le nostre comunità e ogni cristiano in questa situazione?

«Qui, nel nostro santuario per secoli denominato “Sancta Maria in monte”/ Stara Gora, come altrove, possiamo e dobbiamo reagire con le armi della preghiera e della carità. Continuiamo a pregare per la pace ad ogni celebrazione. Domenica, 3 aprile, abbiamo destinato le offerte raccolte per i nostri confratelli rimasti in Ucraina e per quelli che accolgono i profughi nei conventi vicini alla frontiera. Ci stiamo organizzando perché i profughi chescappano da là siano ospitati anche in locali di proprietàdel nostro santuario, mettendoli a disposizione della Charitas della nostra diocesi. Così speriamo che si farà anche in tutti i comuni della Benecia».

Qual è il suo messaggio per gli abitanti della Benecia?

«La condizione della Benecia mi sembra analoga – ma, sia chiaro, solo per certi aspetti – a quella di regioni dell’Ucraina classificate come separatiste. Se il governo di Kiev avesse concesso una ragionevole autonomia a quelle regioni, forse questa inumana invasione non ci sarebbe stata. Chi è affetto da residui di spirito fascista vorrebbe vedere tutto bianco o nero, mentre invece Dio ha creato il mondo con diversi colori e sfumature. Mi auguro che la gente della Benecia possa superare ogni complesso, paura o risentimento nei confronti di possibili espressioni di nazionalismi italiani o friulani considerando la propria peculiarità come dono, opportunità e bene per tutti. Le popolazioni “cuscinetto”, come gli italiani di cultura slovena e gli sloveni e croati di cultura italiana o veneziana, sono chiamati a essere un filtro e un’istanza di dialogo e di fratellanza tra popoli diversi». (Ezio Gosgnach)

https://www.dom.it/velika-noc-za-mir-med-ljudmi_una-pasqua-per-la-pace-tra-le-genti/

2 commenti:

⚠️Gradisco commenti e critiche per la crescita del blog.
Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
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