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20 apr 2022

proverbio

 


Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Avrîl frêt: pôc pan e pôc vin” ovvero con un aprile freddo si avrà poco pane e poco vino, andrà male la raccolta del frumento e la vendemmia in vigna.

19 apr 2022

Buon martedì

La più coraggiosa decisione che prendi ogni giorno è quella di essere di buon umore.
Voltaire


 Cividale del Friuli

18 apr 2022

Lunedì dell'Angelo


 Il lunedì dell'Angelo (detto anche lunedì di Pasqua, informalmente Pasquetta, o lunedì in Albis) è il giorno dopo la domenica di Pasqua e in alcuni paesi un giorno festivo. È il secondo giorno del tempo pasquale. Nel cristianesimo occidentale, è anche il secondo giorno dell'Ottava di Pasqua, e nel cristianesimo orientale, è anche il secondo giorno della settimana luminosa. Prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda la manifestazione dell'angelo alle donne giunte al sepolcro.

Tradizioni

Il lunedì dell'Angelo, in Italia, è un giorno di festa che generalmente si trascorre insieme con parenti, ma soprattutto amici, con una tradizionale gita o scampagnata "fuori le mura" o "fuori porta", pic-nic sull'erba, grigliate e attività all'aperto.

Natura e Guerra Fredda

17 apr 2022

PASQUA

 


PRIMO LEVI

PASQUA

Ditemi in cosa differisce
questa sera dalle altre sere?
In cosa, ditemi, differisce
questa pasqua dalle altre pasque?
Accendi il lume, spalanca la porta
che il pellegrino possa entrare,
gentile o ebreo:
sotto i cenci si cela forse il profeta.
Entri e sieda con noi,
ascolti, beva, canti e faccia pasqua.
Consumi il pane dell’afflizione,
agnello, malta dolce ed erba amara.
Questa è la sera delle differenze,
in cui s’appoggia il gomito alla mensa
perché il vietato diventa prescritto
così che il male si traduca in bene.
Passeremo la notte a raccontare
lontani eventi pieni di meraviglia,
e per il molto vino
i monti cozzeranno come becchi.
Questa sera si scambiano domande
il saggio, l’empio, l’ingenuo e l’infante,
E il tempo capovolge il suo corso,
l’oggi refluo nell'ieri,
come un fiume assiepato sulla foce.
Di noi ciascuno è stato schiavo in Egitto,
ha intriso di sudore paglia e argilla
ed ha varcato il mare a piede asciutto:
anche tu, straniero.
Quest’anno in paura e vergogna,
l’anno venturo in virtù e giustizia.

9 aprile 1982

(da Ad ora incerta, Garzanti, 1984)

.

AUGURI



BUONA PASQUA-VESELA VELIKA NOČ-BUINE PASCHE-FROHE OSTERN

Dall'uovo di Pasqua
è uscito un pulcino
di gesso arancione
col becco turchino.
Ha detto: "Vado,
mi metto in viaggio
e porto a tutti
un grande messaggio".
E volteggiando
di qua e di là
attraversando
paesi e città
ha scritto sui muri,
nel cielo e per terra:
"Viva la pace,
abbasso la guerra".

Gianni Rodari

16 apr 2022

Tradizioni pasquali in Alta Val Torre

 


Il compianto Guglielmo Cerno, presidente del Centro ricerche culturali, racconta usi e costumi di una volta

Oggi ci sono le uova di cioccolata con la sorpresa per i bambini, e quelle grandi e decorate da regalare ai grandi. C’è la colomba con ogni tipo di ripieno ed è “nato” perfino l’“albero di Pasqua”, abbellito da figure di pulcini, rondini e rami di pesco.
Ma un tempo, in Alta Val Torre, questo importante periodo dell’anno era segnato da altri usi e costumi, da altre pietanze e rituali. Ce li racconta Guglielmo Cerno, presidente del Centro ricerche culturali di Lusevera, un appassionato e instancabile ricercatore che quei tempi andati, che ha vissuto sulla sua pelle da ragazzino, un po’ li rimpiange: «Erano anni in cui la comunità era viva, solidale – dice –. La valle era popolata, tantissimi i giovani e bambini. Poi sono arrivati i tempi più bui, dell’emigrazione in massa, di intere famiglie, di tante donne a seguito dei loro mariti».
Ma come si aspettava e come si viveva la Pasqua fino agli anni Sessanta del secolo scorso? Prima che i paesi dell’Alta Val Torre si spopolassero e prima dell’avvento della modernità?
«Prima di tutto le donna pulivano da cima a fondo l’intera casa ed esponevano alle finestre i panni, dalle lenzuola a tutto quello che avevano, perché “prendesse aria”, per dare un senso di pulizia, per dare ossigeno agli ambienti domestici dopo il periodo freddo, chiuso e buio dell’inverno », ricorda Cerno.
«Lucidavano a fondo anche i secchi che usavano per andare a prendere l’acqua nelle fontane, che diventavano veramente brillanti. Non c’erano i rubinetti in casa. Tutto si rinnovava. E poi c’era la preparazione del “piatto” tipico pasquale: lo chiamavano il “pane che profuma”. Veniva fatto con quel che le donne avevano messo via nell’inverno e che avevano recuperato anche fuori dalla valle. Era delizioso e tutti noi non vedevamo l’ora di poterlo mangiare. Ma non si poteva farlo subito. C’erano regole ben precise, per quella pagnotta squisita, e i grandi stavano bene attenti che noi ragazzi le rispettassimo».
Il pane, cui alcune donne aggiungevano anche delle patate, veniva cotto nei forni a legna. E ai tempi c’erano solo due famiglie, in valle, a possederlo. Così, a turno, ogni famiglia andava a cuocerlo da loro, e poi lo teneva da parte fino alla celebrazione della messa. «Il pane, infatti, andava prima portato in chiesa e benedetto dal sacerdote. Solo dopo poteva essere consumato. Nessuno sgarrava. E nessuno dimenticava di inciderci sopra una croce».
Quella delizia veniva mangiata da sola, o con un po’ di salame per chi aveva più possibilità “economiche” e a volte veniva accompagnata con del brodo: «Un brodo fatto con qualche pezzo di maiale messo via durante l’inverno. Prima di Pasqua non si toccava nulla, neanche il lardo. Solo dopo».
E, ancora, il “pane che profuma” veniva portato su un colle dell’Alta Val Torre dai ragazzi che festeggiavano insieme il Lunedì dell’Angelo: «Era una festa meravigliosa, in cui ci sentivamo felici, rigenerati. Mangiavamo come merenda non solo il pane profumato ma anche le uova, perché tutte le famiglie, oltre alle mucca e al maiale, avevano tante galline. Le uova si lessavano e diventavano dure, come si fa oggi; a volte anche si coloravano, con le erbe o anche con le matite». La tradizione dell’uovo solo a Pasquetta è forse l’unica rimasta ancora oggi, di quei tempi.
Guglielmo Cerno ricorda come nel Venerdì Santo fosse proibito a tutti di lavorare, perché in quel giorno era morto Gesù. L’unica attività permessa, ma in maniera molto limitata, era rassettare casa.
«La Pasqua era una festività che faceva un po’ da spartiacque, per l’agricoltura: prima si piantavano solo le patate, perché altrimenti, a metterle in terra più tardi, avrebbero fatto il germoglio. Per il resto si arava, e si arava tutto a mano. Quello che con sudore e sacrificio si otteneva dalla campagna, veniva usato per mettere in tavola e sfamarsi, e come merce di baratto. Perché non c’erano soldi. Anche il prete veniva ringraziato, ogni giorno, con un litro di latte, a turno, da parte di ogni famiglia. Veniva a prenderlo di mattina presto, la sorella, la madre o una persona che lo seguiva nelle sue necessità. Due giorni all’anno, poi, tutto quello che la latteria produceva veniva dato al sacerdote: forme di formaggio, burro e il resto. Nel periodo della Pasqua non si facevano offerte al parroco ma subito dopo sì, quando passava a benedire le case».
Nel giorno del Venerdì Santo era proibito suonare le campane e la chiesa, nei suoi interni, veniva completamente coperta con dei drappi color viola, il colore della Passione.
«Tutte le immagini in chiesa venivano coperte e non solo quelle: anche tutte le croci, che un tempo erano molto numerose. Solo un crocifisso, quello più grande, veniva esposto, per l’Adorazione – spiega Cerno –. A turno, poi, ogni famiglia pregava per un’ora ai piedi di questo simbolo sacro. C’erano tutti e i nonni erano quelli che più insistevano perché i più piccoli fossero presenti. Poi, sempre il Venerdì Santo, si faceva un falò, fuori dalla chiesa. Da quel grande fuoco che ardeva si accendevano delle fiaccole e si formava un corteo. Era la processione, che girava attorno alla chiesa e attorno al cimitero». Anche oggi si prega, nel Venerdì Santo, ma s’è persa la memoria, e l’uso, della pira e delle fiaccole, sostituite dall’accensione di candele e ceri devozionali.

P. T.
dal dom del 31 marzo 2007

Villanova delle grotte-Zavarh

Una Pasqua per la pace tra le genti

 

«Possano le celebrazioni pasquali della morte e risurrezione di Cristo essere fermento vivo di riconciliazione e pace tra individui, famiglie, gruppi e nazioni, perché prevalga non l’avidità e la violenza, ma la pace e la solidarietà ». È l’augurio pasquale che padre Paolo Cocco rivolge da Castelonte/ Stara gora, in primo luogo agli abitanti delle valli per i quali l’antico santuario mariano è un importante punto di riferimento Padre Cocco – «brat Pavel» gli piace farsi chiamare in sloveno – è un frate Cappuccino. Originario della provincia di Vicenza, padre Cocco, oltre al servizio a Castelmonte insegna ecumenismo a Roma alla Pontificia università San Tommaso e all’istituto di teologia Clarettianum, che fa capo alla Pontificia università lateranense. Nelle Valli del Natisone è conosciuto anche perché ha spesso concelebrato e anche presieduto, quando mons. Marino Qualizza era indisponibile, la Santa Messa in lingua slovena del sabato pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Pietro al Natisone.

Padre Cocco, dopo la pandemia, la guerra. Come può la Pasqua farci uscire dall’angoscia del presente?

«Siamo un po’ tutti come dei “sopravvissuti” alla pandemia. Se la caratteristica della cultura slovena che mi ha affascinato per prima è stata la devozione alla Madonna, espressa in bellissimi canti, un’altra è proprio quella che avverto come sanante in questo tempo di ulteriore crisi e di angoscia: la devozione alla Passione di Cristo, che un mio confratello, Romuald, nato a Štandrež, presso Gorizia, ha efficacemente promosso a Škofja Loka scrivendone un canovaccio per la rappresentazione nel 1721. Quando prego meditando sulla “Via crucis” di Gesù, la sofferenza che di solito rifiuto di considerare perché può provocare in me paura, indignazione e perfino odio verso coloro che ne figurano causa, se la contemplo con fede come sofferenza che Dio ha condiviso con noi in Cristo, può diventare sofferenza salvifica che mi rende più umano e più credente. È questa la grazia della redenzione che noi cristiani, come i nostri martiri, siamo chiamati a testimoniare e offrire».

Alla luce delle sue conoscenze del mondo ortodosso orientale, che lettura può darci della guerra tra Russia e Ucraina?

«Il campo in cui mi sono impegnato di più in ambito ecumenico è stato l’approfondimento e il confronto con il mondo evangelico, protestante. Grazie a Dio però prima ho maturato una conoscenza e un amore profondo per quello ortodosso. Si sa che il “tallone d’Achille” delle Chiese ortodosse è che sono Chiese nazionali, anche se per principio vorrebbero escludere ogni tipo di nazionalismo. Ho imparato che le radici prossime della cultura e della fede dei russi si trovano proprio in Ucraina, a Kiev. Tra Russia e Ucraina c’è un rapporto storico che mai potrà essere negato, simile a quello che c’è tra ebraismo e cristianesimo, anche se a legarle paradossalmente è la stessa religione e la stessa fede».

Papa Francesco ha più volte definito “sacrilega” le guerra in Ucraina, mentre il patriarca russo Kirill sembra quasi benedirla. L’ecumenismo è messo all’angolo?

«Se intendiamo l’ecumenismo come qualcosa che si realizza soprattutto con conferenze e la diplomazia, l’ecumenismo può risultare illusorio e fallimentare. Ricordo che già lo scorso dicembre papa Francesco aveva pubblicamente espresso il desiderio di incontrare di nuovo in qualsiasi luogo il patriarca Kirill. Dà speranza il fatto che un incontro, sia pure a distanza, tra i due c’è stato e non credo che sia stato inutile, anche se siamo tentati di pensarlo. In realtà l’ecumenismo, nel suo significato originario di casa e quindi di fratellanza che vorrebbe essere universale, se sostenuto da autentica vita spirituale, è l’unico vero antidoto ai conflitti. E anche il conflitto tra Russia e Ucraina non sarà mai superato se non attraverso una purificazione della memoria (cf. enciclica di Giovanni Paolo II, “Ut Unum sint”, 2)».

Cosa possono fare le nostre comunità e ogni cristiano in questa situazione?

«Qui, nel nostro santuario per secoli denominato “Sancta Maria in monte”/ Stara Gora, come altrove, possiamo e dobbiamo reagire con le armi della preghiera e della carità. Continuiamo a pregare per la pace ad ogni celebrazione. Domenica, 3 aprile, abbiamo destinato le offerte raccolte per i nostri confratelli rimasti in Ucraina e per quelli che accolgono i profughi nei conventi vicini alla frontiera. Ci stiamo organizzando perché i profughi chescappano da là siano ospitati anche in locali di proprietàdel nostro santuario, mettendoli a disposizione della Charitas della nostra diocesi. Così speriamo che si farà anche in tutti i comuni della Benecia».

Qual è il suo messaggio per gli abitanti della Benecia?

«La condizione della Benecia mi sembra analoga – ma, sia chiaro, solo per certi aspetti – a quella di regioni dell’Ucraina classificate come separatiste. Se il governo di Kiev avesse concesso una ragionevole autonomia a quelle regioni, forse questa inumana invasione non ci sarebbe stata. Chi è affetto da residui di spirito fascista vorrebbe vedere tutto bianco o nero, mentre invece Dio ha creato il mondo con diversi colori e sfumature. Mi auguro che la gente della Benecia possa superare ogni complesso, paura o risentimento nei confronti di possibili espressioni di nazionalismi italiani o friulani considerando la propria peculiarità come dono, opportunità e bene per tutti. Le popolazioni “cuscinetto”, come gli italiani di cultura slovena e gli sloveni e croati di cultura italiana o veneziana, sono chiamati a essere un filtro e un’istanza di dialogo e di fratellanza tra popoli diversi». (Ezio Gosgnach)

https://www.dom.it/velika-noc-za-mir-med-ljudmi_una-pasqua-per-la-pace-tra-le-genti/

Crasulas a Enemonç di #STEFANOMORANDINI #RAGANELLE #CARNIA

TRADIZIONI PASQUALI IN CARNIA

15 apr 2022

Citazione di Turoldo


 „Ogni guerra è sempre un atto contro la ragione e il ricorso alla guerra è sempre una sconfitta della ragione. Anzi, io credo che bisognerà cambiare perfino la categoria culturale: non ci saranno più né vittoriosi né vinti, ma saremo tutti sconfitti. Perché, appunto, sarà la forza bruta che vince su qualunque cosa. È tutta l'umanità a perdere. Io, difatti, non sono qui a mettermi contro qualcuno, sono qui a mettermi soltanto in favore della pace, perché solo la pace è il trionfo della ragione.“ —  David Maria Turoldo


Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/194383-david-maria-turoldo-ogni-guerra-e-sempre-un-atto-contro-la-ragione-e-i/

David Maria Turoldoal secolo Giuseppe Turoldo (Coderno22 novembre 1916 – Milano6 febbraio 1992), è stato un presbiteroteologofilosofoscrittorepoeta e antifascista italiano, membro dell'ordine dei Servi di Maria. È stato, oltre che poeta, figura profetica in ambito ecclesiale e civile, resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale e religioso, di ispirazione conciliare. È ritenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti di un cambiamento del cattolicesimo nella seconda metà del '900, il che gli ha valso il titolo di "coscienza inquieta della Chiesa".

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"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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