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Santuario di Lussari |
ll parroco della Collaborazione pastorale di Tarvisio, don
Alan Iacoponi, ha scritto in risposta alle domande del
quindicinale «Dom» sul rapporto tra fede e lingue locali
È passato circa un anno da quando don Alan William
Gueijman Iacoponi è giunto in Valcanale come nuovo responsabile dell’intera Collaborazione pastorale
di Tarvisio. Il nuovo parroco, che ha 43 anni, è nato a
Cochabamba in Bolivia ed ha fatto il proprio ingresso
nella chiesa del capoluogo della Valcanale a novembre
2019.
Negli anni ha potuto conoscere diverse realtà. «Anche se i miei avi sono di origine italiana, sono nato in
Bolivia», spiega Iacoponi. «Nei miei diciassette anni di
sacerdozio ho approfondito per un periodo gli studi
ed ho svolto diversi impegni pastorali anche in terra di
missione. Francamente, però, non ho mai amato elencarli perché, come dice il Vangelo “Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” Lc 17,10».
È giunto a Tarvisio da parroco a novembre 2019.
Che bilancio traccia di questo anno in Valcanale?
«Già, è passato un anno da quando sono arrivato nelle parrocchie della Valcanale. Tracciare ora un bilancio
sarebbe azzardato e prematuro: il primo anno di presenza in una comunità nuova deve essere vissuto soprattutto con l’umiltà derivante dal saper riconoscere
che esiste un tessuto culturale che è importante e che
deve essere rispettato e valorizzato, non raso al suolo
ed eliminato. Quindi, prima di tutto, occorre osservare
per imparare e poi, con il tempo, si può tentare di offrire il proprio contributo attraverso i propri doni e talenti:
questo è quello che tento di fare in mezzo alle grosse
difficoltà storiche che stiamo affrontando, anche in riferimento alla pandemia di Covid-19».
Che rapporto ha instaurato con le comunità?
«Una volta il parroco di Tarvisio pensava solo ad accompagnare la comunità di Tarvisio e ogni parroco
aveva soltanto una parrocchia da seguire. Attualmente
tutto è diventato più complesso, perché nel mio caso
devo seguire la vita di sei parrocchie (Cave del Predil
con Fusine, Tarvisio con Coccau, Ugovizza con Valbruna, Camporosso con il Santuario del Lussari, Malborghetto con Bagni di Lusnizza) e da Cave fino a Bagni
ci sono all’incirca trenta chilometri di distanza, dove in
più esistono lingue, culture e tradizioni molto diverse
che rendono la Valcanale un posto straordinariamente
unico nella sua diversità. Con questa premessa posso dire che in quest’anno ho cercato, Covid permettendo,
di conoscere al meglio le persone che formano parte
della vita delle diverse parrocchie e, appoggiandomi a
loro, ho cercato di essere il più vicino possibile per rispondere nel migliore dei modi a tutte le necessità che
continuamente si presentano. Sembra un’area semplice, ma non lo è; nell’immaginario collettivo si pensa
che il sacerdote venga, celebri la sua messa e poi non
faccia più nulla… Invito chi la pensa così a fare l’esperienza di “un giorno con il mio parroco” e garantisco
che cambierebbe idea! Nella mole di responsabilità
che ho come parroco, mi considero fortunato perché
dal punto di vista sacerdotale sono coadiuvato dai vicari parrocchiali: don Gabriel Cimpoesu, che proviene
dalla Romania e abita a Camporosso, padre Gabriel Gaspar Msuya, che proviene dalla Tanzania e abita a Valbruna e padre Peter Lah, che proviene dalla Slovenia
e si occupa del Santuario del Lussari nei periodi in cui
non è impegnato dall’insegnamento all’Università Gregoriana di Roma. Guai se non avessi loro: sicuramente
avrei già perso totalmente il lume della ragione!»
Come e forse più che in altre zone della diocesi di
Udine, in Valcanale la fede è radicata anche nelle
lingue e culture locali, nello sloveno, ma anche nel
tedesco e nel friulano, presenti accanto all’italiano.
Come si approccia alla tematica?
«Il tedesco ho avuto occasione di sentirlo in altre circostanze della mia vita, invece lo sloveno l’ho sentito
per la prima volta un anno fa quando sono arrivato a
Tarvisio. Serve tempo per prendere dimestichezza con
qualunque lingua e sicuramente con il passare del
tempo svilupperò l’orecchio necessario per non sentirmi impacciato – come attualmente mi sento – quando
devo leggere qualcosa in sloveno o tedesco. Per fortuna, durante le Messe o altre celebrazioni, ho alcuni
“angeli custodi laici” che mi aiutano con le letture e le
preghiere in sloveno, in modo che possiamo svolgere
una liturgia bilingue, venendo contemporaneamente
incontro anche alle persone che, come me, non hanno
radici slovene e hanno piacere e diritto di partecipare
a una celebrazione comprensibile nella loro parrocchia
di appartenenza».
E in riferimento alle Costituzioni sinodali?
«Visto il calo significativo delle vocazioni sacerdotali in Europa, ogni giorno mi convinco di più che per
mantenere viva la cultura e la tradizione di un posto
oggigiorno sia necessario il contributo a 360 gradi di
tutta la comunità piuttosto chela fatica di un unico sacerdote. Mi spiego meglio: il sacerdote ha il dovere di
stare a fianco della sua comunità e contribuire con tutte le sue energie affinché quest’ultima possa vivere le
sue tradizioni e la sua cultura, ma non basta una Messa celebrata totalmente in tedesco, sloveno o friulano
perché questo avvenga; sarebbe importante rendere
vive queste lingue anche in altri contesti di vita, come
possono essere le scuole o la vita in famiglia e attraverso i libri, la musica, la poesia, ecc. Il fatto che io possa
ancora fare fatica a pronunciare alcune lingue non
deve farvi dubitare che sarò il primo a difenderle, poiché conoscerle è un patrimonio dal valore inestimabile
e insegnarle ai ragazzi è tra i migliori investimenti da
fare per il futuro loro e della comunità intera».
Aveva già avuto modo di approcciarsi al rapporto
tra fede e culture locali nelle comunità in cui aveva
prestato servizio in precedenza?
«Fede e cultura sono profondamente legate, non si
possono scindere, più sono unite e più si amplificano
a vicenda. Un sacerdote o religioso che non riconosce
questo legame ha fallito in partenza, ma è altrettanto
vero che anche un missionario o un sacerdote porta
con sé la sua cultura e il modo in cui sa vivere la sua
fede, per questo è importante che le culture imparino
a dialogare tra di loro senza pregiudizi e senza chiusure, sapendo ascoltarsi e confrontarsi per crescere reciprocamente».
Fino a pochi anni fa in Valcanale prestavano servizio due sacerdoti bilingui, don Mario Gariup e mons.
Dionisio Mateucig. Negli ultimi anni è stata, più volte e in più sedi, espressa dal territorio la richiesta di
almeno un sacerdote residente che curi il servizio
religioso anche nelle lingue locali, soprattutto in sloveno. Quali possibilità vede a riguardo?
«Riguardo le possibilità di avere un ulteriore sacerdote bilingue in zona, questa non è una decisione
che compete a me, ma ritengo non si debba perdere
di vista il tempo storico in cui stiamo vivendo, che ci
impone non certo di abbandonare le tradizioni di un
luogo, ma di aggiornarle perché risultino in linea con
i tempi in cui ci troviamo. Infine, non va trascurata l’attuale presenza in zona di un sacerdote di lingua slovena, padre Peter, che siamo già molto fortunati ad avere,
perché lui è sempre disponibile – nella misura delle sue
possibilità – a servire la comunità non soltanto presso
il santuario del Monte Lussari, ma anche nelle altre parrocchie della Valcanale».
Luciano Lister
(Dom, 31. 1. 2021)