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3 dic 2021

Nella toponomastica di Udine / Blanchini v toponomastiki Vidna

 


Nel centenario della morte, il Comune di Udine, con deliberazione della giunta municipale dopo l’approvazione nella commissione per la toponomastica, presieduta dall’assessore Alessandro Ciani, ha stabilito di intitolare a don Blanchini un’area verde, accogliendo la proposta del consigliere Giovanni Marsico. Così il benemerito sacerdote entra a far parte della toponomastica cittadina come il confratello e coetaneo beneciano mons. Ivan Trinko. La parrocchia di San Giorgio è in attesa della risposta dell’Università di Udine alla proposta di intitolare a don Blanchini il polo pedagogico dell’ateneo, che ha sede in quello che fino al 1990 fu sede dell’istituto tecnico femminile fondato dal sacerdote e a lui intitolato dopo la morte. Il senato accademico dovrebbe esprimersi in proposito entro la fine dell’anno.  Alla figura di don Blanchini, ma anche del suo cappellano don Dugaro, sarà dedicato l’incontro di studi «Don Eugenio Blanchini: prete, educatore, promotore sociale» che si terrà mercoledì 15 dicembre alle 17 nella chiesa di S. Giorgio Maggiore in Udine, la parrocchia della quale il sacerdote valligiano fu parroco. Dopo il saluto di accoglienza e introduzione dell’attuale parroco, don Angelo Favretto, sono programmate quattro relazioni. Mons. Sandro Piussi, direttore degli Archivi diocesani udinesi, parlerà su «La Chiesa Udinese nel passaggio da Otto a Novecento tra fermenti sociali e rinnovamentopastorale»; Igor Jelen, docente di Geografiaeconomico- politica all’Università di Trieste su «Don Eugenio Blanchini/Evgen Blankin (1863-1921): un eroe dei nostri tempi», Giorgio Banchig, giornalista estorico, su «La Slavia/ Benečija nel secondo Ottocento e nell’analisi di don Eugenio Blanchini ».Alessio Persic, docente di Letteratura cristiana antica all’Università Cattolica di Milano su «Don Eugenio parroco in Borgo Grazzano insieme a Adolfo Dugaro cappellano». Al termine sarà celebrata l’Eucarestia in suffragio anche del cappellano don Adolfo Dugaro. L’iniziativa è della parrocchia di San Giorgio Maggiore, con la partecipazione della Associazione/ Združenje «Don Eugenio Blanchini », del nostro quindicinale e della Biblioteca del Seminario arcivescovile di Udine.

continua in sloveno https://www.dom.it/blanchini-v-toponomastiki-vidna_nella-toponomastica-di-udine/?fbclid=IwAR0hL5Sq0Gf6VvXjJWibHVO75l6MZ_Z_rKF_LUAQIS8p3KbPEYR6qwxMkTA

17 set 2021

NIKOLA TESLA

 

Inaugurazione della mostra “Nikola Tesla:un uomo dal futuro”

VENERDI' 17 SETTEMBRE ALLE ORE 11.00 - SALA LUTTAZZI MAGAZZINO 26 - PORTO VECCHIO, TRIESTE


Nikola Tesla  (Smiljan, 10 luglio 1856  New York, 7 gennaio 1943) è stato un inventore, fisico e ingegnere elettrico, nato da famiglia serba[1] nell'attuale territorio della Croazia durante il periodo dell'Impero austriaco, naturalizzato statunitense[2] nel 1891.

Contribuì allo sviluppo di diversi settori delle scienze applicate[3], in particolare nel campo dell'elettromagnetismo, di cui fu un eminente pioniere, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento. I suoi brevetti e il suo lavoro teorico formano, in particolare, la base del sistema elettrico a corrente alternata, della distribuzione elettrica polifase e dei motori elettrici a corrente alternata, con i quali ha contribuito alla nascita della seconda rivoluzione industriale. A riconoscimento dei suoi contributi fu intitolata a suo nome, durante la Conférence générale des poids et mesures del 1960, l'unità di misura del campo di induzione magnetica presente nel Sistema Internazionale.

Negli Stati Uniti d'America fu tra gli scienziati e inventori più famosi, anche nella cultura popolare[4]; dopo la sua dimostrazione di comunicazione senza fili (radio) nel 1893[5], e dopo essere stato il vincitore della cosiddetta "guerra delle correnti" insieme a George Westinghouse contro Thomas Alva Edison, fu riconosciuto come uno dei più grandi ingegneri elettrici statunitensi; molti dei suoi primi studi si rivelarono anticipatori della moderna ingegneria elettrica e diverse sue invenzioni rappresentarono importanti innovazioni tecnologiche.

Fu nominato vicepresidente dell'associazione American Institute of Electrical Engineers (di cui era presidente Alexander Graham Bell) e venne insignito della settima Medaglia Edison nel 1917 dalla stessa AIEE[6], massimo riconoscimento assegnatogli in vita; in un articolo pubblicato sul New York Times[7], Tesla ed Edison furono erroneamente annunciati quali vincitori alla pari del Premio Nobel per la fisica 1915, ma in realtà non s'aggiudicarono mai il premio[8].

Depositò nell'arco della sua carriera tra il 1886 e il 1928, un totale di 280 brevetti in 26 paesi[9], di cui 109 negli USA. Non mancarono contestazioni riguardo alla paternità di alcune di queste invenzioni: la scoperta del campo magnetico rotante fu descritta in una nota presentata il 18 marzo 1888 all'Accademia reale svedese delle scienze dallo scienziato italiano Galileo Ferraris, ma Tesla rivendicò la priorità di tale scoperta, che finì nelle aule giudiziarie, dove si stabilì che la paternità dell'invenzione spettava allo scienziato italiano. Nel 1943, pochi mesi dopo la sua morte, una sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti d'America[10] attribuì a Tesla la paternità di alcuni brevetti usati per la trasmissione di informazioni via etere, tramite onde radio, precedentemente attribuiti a Guglielmo Marconi.

Negli ultimi anni della sua vita Tesla intervenne spesso su quotidiani e periodici, come il New York Times e l'Electrical Experimenter, riguardo alle sue visionarie opinioni sulla tecnologia o in relazione alla guerra in corso in Europa.[8][11] Morì nel 1943 nell'hotel dove viveva; al suo funerale a New York erano presenti oltre duemila persone, tra cui diversi premi Nobel.[12]"[13] pur attribuendogli talora curiose anticipazioni di sviluppi scientifici successivi. Molti dei suoi risultati sono stati usati, spesso polemicamente, per appoggiare diverse pseudoscienze, teorie sugli UFO e occultismo New Age. Ciò è dovuto al fatto che Tesla lasciò scarsa documentazione sui risultati ottenuti, e anche questa spesso sotto forma di appunti, non di lavori organizzati e comprensibili a tutti; pertanto è stato relativamente facile attribuirgli le idee più strampalate, o la paternità di invenzioni mirabolanti non accettate dalla "scienza ufficiale"[14].continua

da wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Nikola_Tesla






26 ago 2021

AUGURI BORIS PAHOR

 




Oggi il prof. Boris Pahor festeggia il 108esimo compleanno, scrittore triestino  è testimone del totalitarismo del Novecento, che ha lasciato una testimonianza indelebile a tutti noi e ai nostri discendenti con la sua preziosa opera. È stato impegnato per la libertà per tutta la vita e combatte ancora in modo esemplare e instancabile per questo valore, che è - oltre alla verità e alla giustizia - uno dei più importanti per questo gigante del nostro tempo. Per la sua postura paffuta ed eretta, per il suo incrollabile amore per la nazione e la madrelingua slovena, nonché per il fatto che si è sempre schierato dalla parte delle vittime, umiliate e disonorate e crede ancora nell'umanità e nell'amore, tutti coloro che apprezziamo il suo prezioso lavoro , gli auguro tutto il meglio dal profondo del cuore, e soprattutto tanta salute!


da https://it.wikipedia.org/wiki/Boris_Pahor

Boris Pahor, di lingua e nazionalità slovene, è nato a Trieste (allora Impero austro-ungarico, oggi Italia) figlio di Franc Pahor e di Marija Ambrožič. A sette anni assisté all'incendio del Narodni dom (Casa del Popolo), sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste.[1] L'esperienza, che lo segnò per tutta la vita, affiora spesso nei suoi romanzi e racconti. Finita la scuola media ed essendo stata soppressa l'istituzione slovena, frequenta - per volontà dei genitori - il seminario di Capodistria, che non termina, anche se continua a studiare teologia fino al 1938. Stabilisce stretti rapporti con alcuni giovani intellettuali sloveni di Trieste; tra questi spiccano le figure del poeta Stanko Vuk, di Zorko Jelinčič, cofondatore della organizzazione antifascista slovena TIGR (e padre dello scrittore Dušan Jelinčič) e dei pittori Augusto Černigoj e Lojze Spacal. Negli stessi anni incomincia il carteggio con Edvard Kocbek, poeta sloveno e pensatore personalista, nella cui figura riconoscerà un importante ruolo di guida morale ed estetica.

Nel 1940 è arruolato nel Regio Esercito e inviato al fronte in Libia. Dopo l'armistizio dell'otto settembre torna a Trieste, ormai soggetta all'occupazione tedesca. Dopo alcuni giorni decide di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia. Nel 1955 descriverà quei giorni decisivi nel famoso romanzo Mesto v zalivu ("Città nel golfo"), col quale diventerà celebre nella vicina Slovenia. Nel 1944 fu catturato dai nazisti e internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania (NatzweilerMarkirchDachauNordhausenHarzungenBergen-Belsen).

Dopo la guerra, a Natale '46 torna nella città natale, aderendo a numerose imprese culturali dell'associazionismo sloveno, cattolico e non-comunista. Dopo essersi laureato in Lettere all'Università di Padova nell'ottobre del 1947, si dedica all'insegnamento della letteratura italiana. Negli anni Cinquanta è il redattore principale della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupa, oltre che di temi strettamente letterari, anche di questioni di attualità. In questo periodo Pahor continua a mantenere stretti rapporti con Edvard Kocbek, ormai diventato un dissidente nel regime comunista jugoslavo. I due sono legati da uno stretto rapporto di amicizia.

continua

14 ago 2021

GINO STRADA


 Il nostro amato Gino è morto questa mattina.

È stato fondatore, chirurgo, direttore esecutivo, l’anima di
EMERGENCY.
“I pazienti vengono sempre prima di tutto”, il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione: erano queste le cose che si notavano subito in Gino. E a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose.
Non riusciamo a pensare di stare senza di lui, la sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano.
Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice.
Ti vogliamo bene Gino.
-- Lo staff di EMERGENCY

12 lug 2021

ALESSANDRO IVANOV





L'HO CONOSCIUTO indossava sempre un loden verde...

IVANOV ALESSANDRO (1920 - 1998)

LETTERATOPITTOREDOCENTE UNIVERSITARIO


Nacque il 27 giugno 1920 a Rostov sul Don, in Russia. Il nonno materno si era trasferito nel 1871 da Toppo di Meduno (Pordenone) nella Russia meridionale, dove aveva preso parte ai lavori per la costruzione delle locali ferrovie. Il padre Nikolaj, russo, morì pochi mesi prima che egli nascesse, e la madre, Cristina Tonitto, nel 1921 rientrò in Italia, stabilendosi a Udine. Compiuti studi classici, I. si laureò in lettere a Padova il 15 giugno 1944. Dopo la laurea insegnò in diverse scuole di Udine. Dal 1956 al 1964 fu docente di lingua russa nelle Università di Padova e di Trieste. Dal 1965 ricoprì presso gli Atenei di Venezia, Padova e Trieste incarichi di assistente di ruolo e professore incaricato, conseguendo nell’ottobre del 1966 la libera docenza in lingua e letteratura russa. Fin dalla sua creazione, nel 1968, operò poi in modo continuativo presso la Facoltà di lingue e letterature straniere nata a Udine come sede staccata dell’Università di Trieste e divenuta poi il primo nucleo dell’Ateneo udinese dal 1978. Qui I. creò infatti l’Istituto di lingue e letterature dell’Europa orientale Jan I. N. Baudouin de Courtenay, del quale fu direttore dal 1979 al 1982 e successivamente dal 1985 al 1988. Collocato fuori ruolo anticipatamente, dietro sua richiesta, si ritirò definitivamente in pensione nel gennaio del 1991. Morì a Udine il 25 novembre 1998. Il primo lavoro scientifico pubblicato di I. è di carattere sostanzialmente comparatistico (Le suggestioni italiane nella poesia di A. N. Majkov, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti», 1958), un ambito di ricerca che perseguì anche attraverso contributi successivi: Puškin lettore dei ‘Promessi sposi’ (in Studi in onore di Arturo Cronia, Padova, 1967), la recensione all’edizione russa della Divina commedia uscita a Mosca nel 1968 nella traduzione di M. L. Lozinskij e con la cura di I. N. Goleniščev-Kutuzov («Lettere italiane», 1971) e quella a un volume dedicato a Petrarca dell’italianista R. I. Chlodovskij, uscito a Mosca nel 1974 («Lettere italiane», 1975), il saggio Le leggende friulane tradotte da A. N. Veselovskij («Sot la nape», 1977). Più esplicitamente ai rapporti tra la cultura russa e quella italiana è dedicato il convegno italo-sovietico “Turgenev e l’Italia” organizzato da I. presso l’Università di Udine nei giorni 11 e 12 maggio 1984, che celebrava, con un anno di ritardo, il centenario della morte dello scrittore. Le relazioni presentate al convegno sono riprodotte solo parzialmente, in traduzione italiana, in un agile volume di atti (Genève, 1987), curato dallo stesso I., che presenta in apertura il suo lavoro Sull’incontro di Goethe e di Turgenev con l’Italia. Questo convegno inaugurò in forma ufficiale una proficua stagione di contatti con esponenti dell’Accademia russa delle scienze e dell’Unione degli scrittori, che I. avviò con il patrocinio dell’allora rettore dell’Ateneo udinese Franco Frilli e che continuò a coltivare con perseveranza, portando a Udine, nel corso di due decenni, personalità come lo specialista di letterature romanze N. B. Tomaševskij (figlio del formalista Boris Tomaševskij), il grande italianista e traduttore E. Solonovič, il semiologo B. A. Uspenskij e il critico letterario, poi ministro della Cultura all’epoca di El’cin, E. Sidorov. In occasione della ricorrenza del millenario della conversione della Russia al cristianesimo, I. organizzò una giornata di studio cui partecipò, tra gli altri, il futuro patriarca di Mosca e della Russia Kirill Gundjaev. Gli studi di I. procedettero seguendo alcune linee privilegiate, tra cui l’opera del poeta simbolista Aleksandr Blok (Realismo equivoco nella prosa di A. A. Blok, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti», 1960; Blok 1909: il significato di una protesta, ibid., 1961; “Ot postupi Katiliny k drugim”, in Atti del Simposio internazionale su A. Blok, Milano, 1984; ricordiamo anche Cristo e la rivoluzione d’Ottobre – recensione al volume di C. G. De Michelis Il tredicesimo apostolo, Torino, 1975 –, «Il mondo slavo», 1976). Poi l’opera, ma soprattutto il pensiero, di Dostoevskij (Dostoevskij è ancora fra noi, Udine, 1980; Dostoevskij da Leont’ev a Bernard Levy, Udine, 1980). In particolare, l’interesse dello studioso si incentrò su figure solo apparentemente marginali della letteratura e della cultura russe ottocentesche, in primo luogo il pensatore “non allineato” Konstantin Leont’ev, portatore di posizioni antiliberali che, basate su un concetto radicale della religiosità, si sono rivelate sorprendentemente profetiche, al quale I. dedicò diversi saggi (Il singolare K. N. Leont’ev, «Convivium», 1968; La contestazione di Leont’ev, «Il mondo slavo», 1969; Le riflessioni sulla storia di K. N. Leont’ev, in Miscellanea, Udine, 1971; la monografia K. N. Leont’ev. Il pensiero, l’uomo, il destino, Pisa, 1973; “Guerra e pace” nei giudizi di Konstantin N. Leont’ev, Udine, 1980). Altri autori che suscitarono l’interesse di I. sono stati il prosatore satirico M. E. Saltykov-Ščedrin (Le fiabe di Saltykov-Ščedrin, Padova, 1964; Le fiabe arrabbiate di Saltykov-Ščedrin, quattro fiabe e un’appendice, con un saggio e disegni dell’autore, Udine, 1980) e il filosofo Vasilij Rozanov, «voce estrema di una ‘intelligencija’ di psicopatici eruditi e allucinati», apostolo di una forma originalissima di riflessione mistica (Rozanov e il suo pensiero religioso, «Il mondo slavo», 1970; Rozanov tra Dio e capriccio, Trieste, 1974)...CONTINUA

...https://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/ivanov-alessandro/

30 giu 2021

Dorina Michelutti




Udine 1952 - Oman 2009
 «Navigando verso il Canada. Mi afferri mentre scivolo tra le braccia dell’Atlantico, troppo giovane per sapere che l’oceano è pagano.»

(Sailing for Canada. You grab me as I slip overboard into the arms of the Atlantic, too young to know the ocean is pagan)

Brother, 1986

Nel variegato panorama della scrittura italo-canadese spiccano voci che raccontano l’esperienza della migrazione oltreoceano in maniera originale e polifonica. È il caso di Dorina Michelutti, poetessa, saggista e insegnante di scrittura conosciuta anche con lo pseudonimo friulano di Dôre Michelut.
Nata a Sella di Rivignano, in Friuli, Michelutti trascorre i primi anni della sua infanzia in un ambiente segnato da una forte identità linguistica e culturale. Per Dorina, in questi anni, il friulano rappresenta la lingua madre, quella che per sempre raffigurerà i legami con la terra natia. Nel 1958, la famiglia Michelutti emigra a North York (Toronto) in Canada, il paese che da quel giorno la scrittrice imparerà  a chiamare casa. Nella vita quotidiana, l’inglese prende il posto del friulano, lingua che rimarrà riservata alle vicende familiari all’interno delle mura domestiche. Michelutti si trasferisce in Italia nel 1973 per frequentare l’Università  di Firenze, spinta dal desiderio di riallacciare i rapporti con l’italiano e l’Italia, una lingua e un paese che sente distanti, ma che al contempo rappresentano una parte del proprio bagaglio identitario. Dorina ritorna nuovamente a Toronto nel 1981 per studiare alla University of Toronto. È durante questo periodo che comincia a dedicarsi alla scrittura e pubblica le prime poesie in riviste letterarie, iniziando a rendersi conto di come, analogamente ad altre voci migranti, la sua identità letteraria è molteplice e frammentaria. Nella scrittura, Michelutti scende a patti con le sue molteplici lingue madri (mi riferisco qui al titolo di un saggio pubblicato dalla stessa scrittrice nel 1989 Coming to terms with the mother tongues dedicato alla difficoltà  del vivere una vita multilingue e al ruolo dello scrittore migrante come traduttore di culture): il friulano, l’inglese e l’italiano. Le lingue si avvicinano, si sfiorano, ma non si sovrappongono. La scrittura diventa il luogo della scoperta, non solo dei confini linguistici e dalla creatività  che può derivarne, ma anche di se stessi: «Then I started to write, in any language and despite all grammars. It would have been unintelligible to most, but as far as I was concerned, I was producing meaning, and on my own terms. And the view I got of myself from the page was that of two different sets of cards shuffled together, each deck playing its own game with its own rules». 1.
Le raccolte di poesie che scaturiscono da questa esperienza, Loyalty to the Hunt (1986) e Ouroboros: The Book that Ate Me (1990), rappresentano per l’appunto la rottura delle frontiere linguistiche: le liriche contenute all’interno di queste antologie alternano inglese, italiano e francese, a volte affiancando le tre sulla stessa pagina. La scrittrice crea una polifonia linguistica multiforme – i lavori spesso abbattono le distinzioni tra generi – originata da un’operazione di autotraduzione viscerale (o cannibalistica, come suggerirebbe il titolo della seconda raccolta) nell’intento di riconciliare le diverse parti della sua vita e i contrasti tra le sue molteplici personalità  linguistiche e culturali. Le poesie sono, infatti, incentrate attorno ai temi dell’identità  frammentata (linguisticamente e culturalmente), della famiglia – la madre soprattutto – e del viaggio. L’eclettismo di Dorina si riconferma nell’antologia Linked Alive (1990): una raccolta di renga, genere poetico collaborativo di origine giapponese in cui diversi autori si avvicendano nella stesura dei versi, composta con la partecipazione, tra gli altri, della scrittrice quebecchese Anne-Marie Alonzo, della poetessa giamaicana Ayanna Black e della scrittrice indigena anglofona Lee Maracle. Nel 1993, Michelutti cura la raccolta e la pubblicazione di A Furlan Harvest interamente dedicata alle scrittrici friulane in Canada nata da una serie di incontri letterari, tenutisi al centro dedicato alla promozione delle origini e della cultura friulane Famee Furlane di Toronto. La tematica del viaggio alla riscoperta della lingua perduta era già stata affrontata da Michelutti nei suoi precedenti lavori, come ad esempio nella poesia bilingue Ne storie/A story, in cui la lingua «dai muri bagnati di amarezza» per essere stata a lungo dimenticata richiama la scrittrice e la invita a tornare a “casa”:
«Cjàmin in chiste lenghe dai mûrs bagnats cun trist
cal filter ta la me bòcje, ca mi bàt sui dinc’
come agge glaze di laip. A’mi ven ingrîsul
quant che chiste storie di displaz1ès a’ mi buse
par strade, a’ mi clame lazarone, a’ mi dîs – Dulà
sêtu stade fin cumò? Fasin i conts a cjase.» 2.
Si chiude all’inizio degli anni ’90 il periodo di produzione letteraria di Michelutti, che dopo anni dedicati all’introspezione linguistica decide di dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento e all’esplorazione di altre culture. Passa così gli ultimi dieci anni della sua vita insegnando scrittura creativa e comunicazione dapprima in Cina, tra il 2001 e il 2005, all’Università  di Wenzhou, e infine in Marocco, dove insegna alla Al Akhawayn University a Ifrane e dove si spegnerà  del 2009 a causa di un cancro.

 

  1. «Poi cominciai a scrivere, in qualsiasi lingua e a dispetto di ogni grammatica. Ai più, sarebbe parso incomprensibile, ma per quanto mi riguardava, stavo producendo significato, e secondo i miei termini. L’immagine di me stessa che emergeva dalla pagina era quella di due mazzi di carte distinti che vengono mescolati, ciascun mazzo giocava il suo gioco e seguiva le proprie regole. (1989)»  ^
  2. Nella versione inglese si legge: «I walk in this language of walls/ wet with a bitterness that seeps into/ my mouth, that shocks my teeth like/ icy well water. I shudder as this suffering/ history greets me with kisses/ tells me I’ve been bad, says: “Where/ have you been? We’ll settle this at/ home» 
  3.  http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/dorina-michelutti/

28 giu 2021

IRENE DA SPILIMBERGO

Assistente di TizianoRitratto di Irene di SpilimbergoNational Gallery of ArtWashington

 Irene di Spilimbergo (Spilimbergo17 ottobre 1538 – Venezia17 dicembre 1559) è stata una pittrice e poetessa italiana.

Irene era la secondogenita del Conte Adriano di Spilimbergo e della patrizia veneziana Giulia da Ponte appartenente a una famiglia che aveva dato un doge: Nicolò da Ponte. Di Irene di Spilimbergo forse oggi nulla sapremmo, se nel 1561, due anni dopo la sua morte, Dionigi Atanagi non avesse pubblicato una Vita di Irene da Spilimbergo. Era il melanconico racconto della breve esistenza di una fanciulla di nobili origini, colta e raffinata, morta a ventuno anni per una malattia improvvisa e misteriosa. Il libro conteneva anche una larga silloge poetica, scritta ad memoriamː 279 poesie erano in italiano e 102 in latino. Alcuni autori erano anonimi, altri invece erano note personalità, come Luigi Tansillo, Angelo Di Costanzo, Benedetto Varchi, Lodovico Dolce, Gian Francesco Alois, Bernardo Tasso, Torquato Tasso e Tiziano Vecellio.

Il conte Adriano di Spilimbergo, che conosceva il latino, l'ebraico e il greco, si occupò della educazione intellettuale delle sue figlie Irene e Emilia e intuì che Irene era davvero precoce e assimilava velocemente gli insegnamenti. A Spilimbergo ella apprese i primi rudimenti del disegno da una certa Campaspe, di cui non conosciamo che il nome. Viveva nel castello, affacciato sul Tagliamento, dalle cui finestre l'occhio può esplorare un panorama grandioso, fino alle Alpi Carniche. La regina di Polonia Bona Sforza, in visita nel Friuli, fu ospite dei Conti di Spilimbergo e donò due catene d'oro alla giovanissima Irene.

Morto il padre quando la fanciulla aveva tre anni, la madre presto si risposò ed estromise le figlie dall'eredità paterna. Il nonno materno Giovan Paolo da Ponte, che viveva a Venezia nel cinquecentesco palazzo di famiglia, chiamò Irene a sé. Come era usanza nelle famiglie patrizie veneziane, le furono impartite lezioni di musica, di letteratura, di danza e di arti femminili, come il ricamo e il merletto.

Familiari di Giovan Paolo da Ponte erano Pietro Bembo, Tiziano e il Sansovino che dal 1527 si era trasferito a Venezia. Attratta dalle conversazioni dotte degli intellettuali che frequentavano palazzo da Ponte, ma più ancora dall'arte di Tiziano, Irene di Spilimbergo s'incantava di fronte al dipinto dell'Assunta, nella Chiesa dei Frari e chiese e ottenne di essere ammessa nella bottega del Maestro che le consigliò di prendere come riferimento Giovanni Bellini, per la dolcezza dei volti delle sue Madonne. La giovane allieva dipinse tre quadri, citati dal conte Fabio di Maniago: Noè entra nell'ArcaDiluvio Universale e Fuga in Egitto, tutti ispirati ai modi di Sofonisba Anguissola, ma di cui oggi non si conosce l'ubicazione.

Irene di Spilimbergo ha anche composto poesie e scritto brani in prosa, ma tutto il suo repertorio letterario è andato perduto. Stremata da un attacco di febbre violenta, con dolori atroci alla testa, dopo venti giorni di agonia si spense all'età di ventuno anni. Di lei resta un ritratto - opera probabile di un seguace di Tiziano, se non dello stesso Tiziano - che era in casa del conte Maniago e che fino al 1909 si trovava nella Villa Spilimbergo-Spanio di Domanins, quando fu venduto a Londra ad un collezionista insieme a un altro dipinto, attribuito alla stessa Irene, che raffigurava sua sorella Emilia (entrambi sono esposti nella National Gallery of Art di Washington). La giovane Irene di Spilimbergo, nel suo ricco abito di broccato di seta, fermato alla vita da una catena d'oro e di gemme, tiene in mano la corona d'alloro dei poeti. Sullo sfondo si apre un paesaggio ameno, dove è accovacciato un candido unicorno, animale mitico, simbolo di purezza di rarità e di saggezza, che per l'immaginario cristiano poteva essere domato solo da una vergine.[6] Secondo la testimonianza di Fabio Maniago, la cui Storia delle belle arti friulane è stata ristampata nel 1999, è opera di Irene di Spilimbergo un San Sebastiano, conservato nella chiesa parrocchiale dei SS. Mauro e Donato di Isola, in Istria.

Nella raccolta di Dionigi Atanagi furono compresi questi versi di Torquato Tasso:

«Quai leggiadri pensier, quai sante voglie
dovea viva destar ne l'altrui menti
questa del Gran Motor gradita figlia!
Poi c'hor dipinta (o nobil meraviglia)
e di cure d'honor calde ed ardenti
e d'honesti desir par che ne invoglie.»

Il poeta Luigi Carrer ha inserito Irene da Spilimbergo tra le sette donne che hanno dato gloria e onore a Venezia.

La figura di Irene di Spilimbergo ha incantato artisti ottocenteschi, pittori e poeti. Giovanni Prati, davanti a un dipinto di Giovanni da Udine, conservato nel castello di Spilimbergo, ha scritto questi versi:

«del merlato Spilimbergo intorno
udia sull'aura reverenti i nomi
di Vecellio e di Irene, ambo immortali.»

Nel 1853 Antonio Rotta le ha dedicato il dipinto storico, ambientato a Venezia e dal titolo Tiziano Vecellio istruisce nella pittura Irene di Spilimbergo, con cui ha partecipato all'Esposizione di Belle Arti, a Milano.

Un libretto d'opera

Nel 1907 Pietro Mascagni espresse il desiderio di musicare un libretto d'opera, sulla vita di Irene di Spilimbergo. La scrittrice viennese Tosa Will, nota con lo pseudonimo di Wilda, scrisse in tedesco questo libretto, distinto in un prologo e in due atti. Mascagni lo fece tradurre, ma poi il testo andò perduto.

A nome di Irene di Spilimbergo è stato intitolato l'Istituto Magistrale di San Pietro al Natisone.

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Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

evidenzia

Buona domenica

 

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