questo blog

questo blog

Translate

blog

blog

calendario

GIF

GIF

giulio

#veritàegiustiziaperGiulioRegeni

slide benecia

slide benecia
benecia

profilo di OLga

profilo di OLga
profilo OLga

Cerca nel blog

Powered By Blogger

gif

gif

follower

8 lug 2020

Una cartolina da...

Topolò-Topolove
per saperne di più

PROVERBIO

Il proverbio friulano della settimana
di Vita nei campi

“Quan' che il gjâl al fâs chicchirichì / son tre oris denânt dì” ovvero quando il gallo fa chicchirichì sono tre ore avanti il giorno”

7 lug 2020

Che fatica una volta...


foto da archivio personale
 Koš – gerla-zei è una cesta in legnovimini o viburno intrecciati a forma di tronco di cono rovesciato, aperta in alto, usata per trasportare materiali vari; è munita di due cinghie, fettucce o spallacci di fusti di nocciolo per poter essere portata sulle spalle.
In latino si chiamava cista cibaria e veniva usata per il trasporto del cibo.In Carnia si ha il zèi (pronuncia locale: gei) per il trasporto di fieno, legna, formaggio, letame,prodotti agricoli ecc. (nella prima guerra mondiale veniva usata per portare le munizioni). Assieme al zèi si usava il màmul o musse, una sorta di treppiede in legno su cui si poggiava la gerla per poterla caricare senza bisogno d’aiuto.
per saperne di più vai a http://lnx.bravoscuole.it/mater/secresia/mestieriValResia.pdf
                   NA RAMANAH 
 Na ramanah so nosili sieno.
Na ramanah tou košu so nosili nuoj
   anu a zanašali v vilami.
Na ramanah so nosili derva
dal calendario 2014 del Centro  di Ricerche Culturali di Bardo-Lusevera
                SULLE SPALLE
Sulle spalle portavano il fieno.
Sulle spalle nella gerla portavano letame
lo spargevano con la forca.
Sulle spalle portavano la legna
Donna con gerla usata in Carnia,Benecija,paesi di montagna
Serviva per il trasporto di legna,fieno,prodotti del campo…
per saperne di più vai a http://lnx.bravoscuole.it/mater/secresia/mestieriValResia.pdf
                   NA RAMANAH   
Na ramanah so nosili sieno.
Na ramanah tou košu so nosili nuoj
   anu a zanašali v vilami.
Na ramanah so nosili derva
dal calendario 2014 del Centro  di Ricerche Culturali di Bardo-Lusevera
                SULLE SPALLE
Sulle spalle portavano il fieno.
Sulle spalle nella gerla portavano letame
lo spargevano con la forca.
Sulle spalle portavano la legna

6 lug 2020

Un ginocchio sul collo anche per noi


«Le vite dei neri contano – Black Lives Matter». Certamente contano. Non solo quelle dei neri, s’intende; ma bisogna vedere quanto contano e per chi. Valgono ora e valevano quando, per quasi tre secoli, ad iniziare dal XVI, la tratta degli schiavi africani ne fece strage a milioni nelle stive delle navi e nelle piantagioni americane. Erano bianchi, europei ed ex europei alla conquista del continente americano a sfruttare una manodopera a nullo o basso costo per costruirsi il cosiddetto sviluppo. Ci riempiamo la bocca a dire «America »! La esaltiamo come esempio di civiltà e libertà guardando la mastodontica statua con la fiaccola alzata verso il cielo nella Manhattan dei grattaceli, quando si proclama come simbolo della «Libertà che illumina il mondo – Liberty Enlightening
the World». A visitare la vicinissima isoletta Ellis Island, – che «accolse», si fa per dire, una dozzina di milioni di immigrati desiderosi di realizzare l’American dream / sogno americano scegliendo accuratamente gli abili al lavoro, scartando e rispedendo a casa gli inabili – la detta illuminazione libertaria vi passava sopra, illuminandola di scarsa e flebile sua luce.
Quante generazioni di neri si erano succedute dalla guerra di secessione americana che li avrebbe liberati dalla schiavitù, ma, si sa, la luce si riflette sul «bianco», si perde sul nero… anche la luce della vera libertà.
Parrebbe che il razzismo faccia parte del genoma umano considerando quanto questa caratteristica sia influente sul comportamento del nostro genere. Quello di distinguere, discriminare il simile in base alle sue caratteristiche fisiche, linguistiche, culturali, di provenienza o di censo. Il «nero», purtroppo per lui, è troppo visibile, non può confondersi nel gruppo se non in quello dei suoi simili, e da singolo o come gruppo, anche oggi «conta» solo nella sua inveterata veste di schiavo. Per constatarlo dobbiamo guardare all’America di Trump? Al ginocchio del poliziotto piantato sulla carotide e sulla giugulare di George Perry Floyd, padre di cinque figli? Aveva tentato di spacciare una banconota falsa di 20 dollari. Col poco fiato che gli rimaneva chiamava sua madre come un bambino e chiedeva solo di poter respirare. Erano in tre gli agenti bianchi a tenerlo a bada e armati. Inutile chiederci come si sarebbero comportati se a terra ci fosse stato un bianco come loro.
«Le vite dei neri contano?» Contano, sì, anche da noi. «Un euro e mezzo all’ora per stare nei campi fino al crollo fisico», scriveva mercoledì scorso (24.6.) su Repubblica il giornalista Michele Serra sotto il titolo emblematico: «In quale secolo siamo? Maltrattamenti, segregazione, razzismo».
Siamo in Italia, regrediti a secoli in cui si disputava se i neri avessero l’anima. Ma siamo oggi, nell’Italia dell’immigrazione clandestina raccolta in furgoni come fossero cani randagi, robot da usare come attrezzi usa& getta in campi di pomodori. Peggio della schiavitù sudista americana, suggerisce Serra, infatti là uno schiavo valeva, contava – come schiavo, s’intende – e non era economicamente conveniente strapazzarlo troppo; come non lo si fa coll’asino.
Una società come la nostra, che dichiara nei primi articoli della sua legge costitutiva di repubblica democratica fondata sul lavoro, nel 2020 può permettersi di ignorare, tollerare, a volte favorire situazioni disumane portate all’estremo. È più crudele e diabolico sfruttare fino ad esaurimento la debolezza contrattuale di persone che, per essere rifiutate, discriminate, ignorate non hanno voce, con quel ginocchio sul collo che, invece di durare otto minuti dura giorni, mesi, anni e per qualcuno il tempo di una fucilata o di un incidente. È subdolo, oggi, il razzismo; cerca ragioni giuridiche per camuffarlo e grida: Prima noi! «America first» di Trump, che fa eco al fatidico «Deutschland Uber Alles». Prima i bianchi; prima gli italiani… Prima «io», il pronome più in voga, il più evidente e rafforzato dal potere, dalla razza egemone, dalla forza del dollaro, euro, sterlina, yen, yuan o franco che sia. Un euro e mezzo all’ora, e taci, lavora… e paga cara la carretta che ti porta nei campi e la baracca fatiscente in cui puoi riposare.
Un ginocchio sul collo, d’altronde, l’abbiamo avuto anche noi, sloveni, discriminati e vilipesi, considerati barbari ed incivili per aver resistito all’assimilazione forzata dai primordi dello Stato in cui fummo fagocitati, visti più come prede che come parte di una nazione che si diceva al massimo grado della civilizzazione sociale e culturale.
Varrà qualcosa la rabbia scatenata dei discriminati neri che reclamano il diritto alla vita e di aver riconosciuto non solo a parole il diritto di esserci, di avere la dignità di cittadino, di vedersi riconoscere senza infingimenti il proprio valore? Nella storia il ginocchio piegato fa pensare a Canossa, al re Enrico IV per tre giorni carponi davanti al castello di Matilde per rimediare alla scomunica papale, al penitente che si batte il petto riconoscendo la propria colpa. Oggi vale come protesta, come solidale gesto di ribellione ad uno strapotere ingiusto e disumano, che svuota in sé quella luce di uguaglianza e libertà che dovrebbe giungere sul serio dalla fiaccola di Manhattan.
Riccardo Ruttar

I bambini bilingui hanno una marcia in più rispetto ai monolingui.

Secondo uno studio dell'Università di Washington, i bambini  che apprendono una seconda lingua già da quando sono in fasce ,sono avvantaggiati rispetto ai monolingui . I cervelli, cresciuti in un ambiente bilingue, mostrano un più lungo periodo di flessibilità a differenti lingue ,se esposti continuamente ad esse.La  docente di psicologia dell'età evolutiva alla  Sapienza, Anna Oliverio Ferraris a tal proposito, ha affermato che "usando due lingue si diventa più assertivi e indipendenti e si comunicano meglio i propri bisogni."

Quindi i bambini  che abitano nelle zone del Friuli Venezia Giulia dove si parla lo sloveno,  il tedesco e il friulano sono molto avvantaggiati .

OLINTO MARINELLI geografo friulano

OLINTO MARINELLI (Udine 1874 – Firenze 1926)

Ho scoperto questo personaggio friulano grazie alla lettura della “Guida delle Prealpi Friulane”, pubblicata a Udine nel 1912 dalla “Società Alpina Friulana”, una guida ottimamente correlata con disegni a penna di Antonio Pontini.
Quindi, dopo avervi parlato di Giovanni Marinelli, il primo grande geografo friulano, ora traccio alcune note che riguardano questo illustrissimo professore di geografia naturalistica italiana tra i più noti non solo in Friuli ma anche nel mondo intero.
Non soltanto figlio ma erede quasi per vocazione naturale della passione del padre Giovanni, per gli studi geografici, fu avviato alle scienze fisiche, Olinto Marinelli si laureò a Firenze nel 1895 in scienze naturali.
All’età di diciotto anni, aveva allora già pubblicato uno studio sul Lago di Cavazzo (1892) e si presentava con una notevole preparazione scientifica: insegnò in Sicilia e poi ad Ancona, ricavandone vantaggi notevoli per un personale arricchimento, fino a conseguire la libera docenza.
Prendeva così la cattedra di geografia a Firenze, che era stata del padre.
Nel suo insegnamento universitario si rivelò il più completo geografo della scuola italiana in questa disciplina che Olinto Marinelli seppe fondere in un mosaico di scienze interdipendenti.
Quasi cinquecento sono i titoli delle sue pubblicazioni, con interessi alla geologia, ai fenomeni fisici, biologici e antropici, alla cartografia e alla modificazione fisica del territorio legata alla meteorologia.
Gli interessava tutto: centri abitati e topografia, storia e problemi politici, etnici e linguistici.
Lo prova il suo Atlante dei Tipi Geografici, le Guide delle Prealpi Giulie e di Gorizia con le vallate dell’Isonzo e del Vipacco, compilate seguendo la metodologia del grande padre.
Il tempo dedicato alla cattedra non gli proibì di interessarsi particolarmente al Friuli e di partecipare a congressi e spedizioni scientifiche: nel 1905 fu in Eritrea e nella Dancalia…, nel 1912, con i più noti geografi europei, fu invitato nel Nordamerica, ospite a New York di quella Società Geografica…, nel 1914 raggiunse il Tibet, il Turchestan Cinese e il Caracorum…, nel 1925 visitò il Dodecanneso, Rodi, la Palestina e l’Egitto.
Voglio anche segnalarvi che Olinto Marinelli diresse fino in fondo la miglior opera del T.C.I: il Grande Atlante Internazionale.
Di questo grande geografo, io ho letto anche “Il Friuli come tipo di regione naturale”, pubblicato la prima volta a Udine nel 1917…, e poi “Il Friuli e la Venezia Giulia. Problemi di geografia amministrativa e di toponomastica”, pubblicato sempre a Udine nel 1923.

GIUSEPPE UNGARETTI - DI LUGLIO

Luglio, col bene che ti voglio » inno3



Quando su ci si butta lei,
Si fa d’un triste colore di rosa
Il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s’ostina, è l’implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l’estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.
(da “Sentimento del tempo”, 1943)

5 lug 2020

GIOVANNI MARINELLI geografo friulano

Giovanni Marinelli (Udine, 28 febbraio 1846 – Firenze, 2 maggio 1900) è stato un geografo italiano.

.

Gli studi geografici italiani, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento devono il loro fiorire a Giovanni e Olinto Marinelli, seguiti o accompagnati da un altro gruppo di notissimi friulani.
Giovanni Marinelli, udinese, a sedici anni si iscrisse a matematica a Padova, per passare subito a legge: prima della laurea, a corsi completati, abbandonò tutte due le materie per insegnare storia e geografia a Udine.
Il matrimonio mise un qualche ordine nella sua vita e nel 1872, all’Accademia di Udine, propose l’istituzione di un osservatorio meteorologico a Tolmezzo, che fu subito approvato.
Anzi se ne aggiunsero altri a Pontebba, Ampezzo e nei bacini del Tagliamento e dell’Isonzo.
Si diede alle esplorazioni morfologiche, geologiche, botaniche, etnografiche e linguistiche della Regione.
L’amicizia con geografi dell’università di Padova, gli procurò l’ingresso all’insegnamento universitario a soli trentadue anni: per quattordici anni insegnò geografia a Padova e dal 1892 fino alla morte a Firenze.
E in questo insegnamento fu un maestro: noto in tutto il mondo scientifico per le sue numerose pubblicazioni, educò una generazione agli studi geografici, fondò società e sodalizi, tra cui la Società Alpina Friulana, la Società di studi geografici e coloniali di Firenze, diresse la Rivista Geografica italiana, fu quattro volte deputato al Parlamento per Gemona-Tarcento.
Trovò la geografia ad uno stato di emarginazione e di quasi disistima tra le varie discipline e la portò a vera scienza con una produzione abbondantissima, innovativa e rigorosa.
Nel 1894 pubblicò le due Guide dei Canal del Ferro e della Carnia e la grande sintesi di geografia universale, in sette volumi, dal titolo La Terra, edita da Vallardi nel 1869.
Oltre duecento lavori costituiscono un corpus di studi che collocano Giovanni Marinelli tra gli «apostoli» del progresso geografico.
Io considero il Marinelli il maggior divulgatore, organizzatore e coordinatore tra tutti i geografi italiani, soprattutto con il suo volume “La Terra”, un trattato popolare di geografia universale composto di otto bei grossi tomi, che considero la prima vera e la più importante enciclopedia italiana di geografia.

Valli, allarme rosso zecche


Nelle Valli del Natisone e del Torre, in Val Resia e in Valcanale, con l’aumento delle temperature, è scattato l’allarme zecche, che a causa dell’abbandono dei terreni e dei boschi qui più che altrove trovano un habitat ideale. Molti agricoltori, boscaioli ed escursionisti testimoniano che non ce ne sono mai state come quest’anno.
Le zecche sono pericolose per l’uomo e gli animali. E a causa dei cambiamenti climatici, la proliferazione di questi piccoli aracnidi è in aumento e ha determinato un incremento di malattie dovute al loro morso del 400 per cento in 30 anni.
Le zecche, contrariamente a quanto si possa credere, non saltano e non volano, ma attendono le loro «vittime» sulle estremità delle piante. Così, il malcapitato di turno, durante la propria escursione all’aperto, rischia di ritrovarsi uno di questi piccoli parassiti addosso mentre gli passa accanto. Aggrappandosi con le loro piccole zampette, cercano subito un posto dove infilare la testa sotto pelle e succhiare il sangue, utile per passare allo stadio successivo o per far maturare le uova.
Il morso di per sé non è doloroso, tuttavia se l’animale rimane troppe ore attaccato al corpo può provocare malattie attraverso il rigurgito del pasto. Inculcando nella ferita alcuni agenti patogeni, le zecche provocano diverse malattie nell’uomo: dalla meningoencefalite alla malattia di Lyme, dalla febbre bottonosa alle febbri ricorrenti.
Nel 70 per cento dei casi, dopo un morso di zecca, si manifesta un’infezione senza sintomi che passa inosservata. Mentre nel 30 per cento restante possono sorgere gravi problemi dovuti al conseguimento delle malattie sopracitate.
Gli accorgimenti da adottare durante le escursioni tra i boschi o immersi nella natura sono diversi. Innanzitutto è utile evitare di tenere zone della cute esposte mentre si cammina nell’erba alta; indossare abiti chiari e ben visibili invece facilta l’individuazione dei parassiti che si attaccano ai vestiti; mentre al termine della propria escursione, occorre esaminare scrupolosamente ogni parte del corpo; ancora meglio se si lascia effettuare il controllo ad altri: alcuni di questi animali possono essere addirittura più piccoli di un millimetro.
Per staccare una zecca infilata nella pelle ci sono alcune regole da seguire. Per prima cosa non si devono utilizzare: alcol, benzina, acetone, ammoniaca oppure olio. Questo perché si corre il rischio di irritare l’animale facendolo vomitare all’interno della ferita causata dal morso. Per effettuare la rimozione in modo sicuro occorrono delle pinzette e tanta pazienza.
Posizionandole il più vicino alla pelle (lì si trova la parte più dura), si stacca l’animale con movimenti rotatori, tenendole invece sull’addome si rischia di farla scoppiare causando uscita di sangue infetto. Un volta asportata la zecca correttamente disinfettare bene.
La meningoencefalite da zecca o TBE è una malattia di natura virale che può colpire il sistema nervoso centrale e/o periferico. Questa malattia può avere un decorso serio e potenzialmente grave.
Poiché non esiste una cura per la TBE, il miglior modo per prevenirla è la vaccinazione, consigliata a chi vive, lavora o frequenta abitualmente le zone a rischio per tale infezione.
La vaccinazione è gratuita per i residenti in Friuli Venezia Giulia e per gli esposti professionalmente in area a rischio, per i volontari della protezione civile operanti nei settori dell’antincendio boschivo e dei cinofili, con compartecipazione alla spesa per i non residenti.

«Dopo il Narodni dom, restituire anche il Trgovski dom di Gorizia»

GORIZIA – GORICA


foto da xcolpevolex


La proposta del deputato Guido Germano Pettarin: «È tempo che anche questo importante immobile venga restituito alla minoranza slovena, cui venne tolto». Ma l’idea spacca Forza Italia «La restituzione del Narodni dom alla comunità slovena il 13 luglio sarà una occasione essenziale di unità e coesione per un territorio che ha patito le molteplici tragedie della prima metà del Novecento e che ha da pochissimo superato anche le dolorose separazioni causate dalla pandemia», afferma il deputato di Forza Italia Guido Germano Pettarin. «Ma accanto al Narodni dom c’è anche l’analogo caso del Trgovski dom di Gorizia. È tempo che anche questo importante immobile venga restituito alla minoranza slovena, cui venne tolto, ed è urgentissimo che questo passo vada compiuto soprattutto ora, soprattutto dopo la restituzione del Narodni dom e soprattutto dopo la visita congiunta dei presidenti della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, alla foiba di Basovizza e al monumento, sempre a Basovizza, ai quattro sloveni del Tigr fucilati nel 1930». «Le logiche che vanno sviluppate non debbono limitarsi ai termini di attuazione delle importanti norme di tutela o degli impegni nel tempo assunti dai governi, ma devono essere molto di più: debbono essere la emersione definitiva di un percorso che conferisce ai nostri territori ulteriore lustro quali centri di conviven- SLOVIT n° 6 del 30/6/20 | pag. 9 za e collaborazione transnazionale. L’approccio lungimirante e costruttivo che ha portato alla restituzione del Narodni dom, deve replicarsi nelle forme necessarie per la restituzione del Trgovski dom da parte di tutti i soggetti convolti, onde il Trgovski sia un nuovo e determinante tassello di coesione delle nostre comunità, conviventi in armonia e progresso sul medesimo territorio, radice comune per sloveni, friulani e italiani», prosegue Pettarin. «Così come per il Narodni, anche per il Trgovski l’importantissimo atto restitutorio ci aiuterà a non guardare solo nel tragico passato di un secolo fa, ma ci permetterà di traguardarci al futuro, in una atmosfera feconda di convivenza e condivisione e lavoro comune, convinti di percorrere insieme il solco dei grandi ideali sui quali si fonda l’Unione europea. È una grande famiglia la nostra; ne facciamo parte tutti, friulani, italiani e sloveni: siamo Europei dentro e fuori, lavoriamo quotidianamente, insieme, per la pace, la libertà e la prosperità di tutti. In ciò il Trgovski sarebbe un viatico eccezionale: tecnicamente molto più semplice di quanto risolto per il Narodni, nel Trgovski potremmo realizzare un polo multiculturale e plurilingue, che sarebbe lustro all’edificio, alla città di Gorizia, al Gect Go, a Nova Gorica. Un ambizioso progetto della minoranza slovena, totalmente condiviso da quanti vivono da Europei la nostra storia, con il Trgovski quale centro della multiculturalità goriziana, in un contesto pancittadino in cui l’univoco contesto di Nova Gorica e Gorizia si propongono insieme quali Capitale della Cultura Europea 2025 e in cui la realtà del Gect Go testimonia l’eccellenza europea del nostro essere un vero e proprio laboratorio dell’Europa del futuro. Cogliamo questa importante opportunità; completiamo a tempo di record gli adempimenti amministrativi e riconsegniamo il Trgovski alla storia europea della nostra unica terra. Lo merita la storia dei nostri avi e lo pretende il futuro dei nostri figli», conclude Pettarin. «Le parole dell’onorevole Pettarin in merito alla restituzione alla comunità slovena del Narodni Dom di Trieste e del Trgovski dom di Gorizia rispecchiano una posizione personale legittima ma totalmente estranea alla linea del partito. Forza Italia ha in più occasioni manifestato la propria contrarietà all’operazione relativa al Balkan, così come a quella relativa all’immobile di Gorizia». Lo scrive in una nota la deputata e coordinatrice di Forza Italia Fvg, Sandra Savino a commento delle dichiarazioni del deputato Pettarin. «Donazione o semplice affidamento degli spazi? E a quali condizioni economiche? A poco più di due settimane dal 13 luglio non conosciamo ancora i dettagli relativi alla riconsegna alla minoranza slovena dell’ex Narodni dom: siamo certi che oltre al valore economico dell’immobile, l’Italia non debba pagare altre forme di indebito risarcimento nascoste nelle pieghe degli atti a cui sta lavorando il ministero degli Esteri? Sono anni che si parla della restituzione dell’ex Balkan e mesi dall’annuncio della partecipazione alla cerimonia dei presidenti Mattarella e Pahor: possibile che ancora non siano stati definiti i dettagli? Possibile che affrontando questi temi il ministro Di Maio non abbia posto all’attenzione della Slovenia la questione dei risarcimenti agli esuli dell’Istria e della Dalmazia?», incalzano Savino e il deputato Roberto Novelli in merito alle polemiche legate alla restituzione alla minoranza slovena della Casa nazionale slovena a Trieste. «La forma è anche sostanza. All’invito delle istituzioni italiane a presenziare nell’occasione a una cerimonia alla foiba di Basovizza la Slovenia ha risposto ponendo una condizione: l’omaggio alle vittime delle foibe deve essere preceduto dall’omaggio ai ‘quattro martiri’, condannati a morte e fucilati nel 1930 dal regime fascista. Stiamo parlando di quattro aderenti al movimento irredentista slavo Tigr – Trst, Istra, Gorica e Rijeka – le quattro province giuliane rivendicate dagli slavi. Come ricorda in un suo libro lo storico Raoul Pupo, il Tigr si macchiò di numerosi atti di violenza e terroristici. Ne sono al corrente i registi della cerimonia? Apprezziamo ogni iniziativa che va verso la storicizzazione di quei drammatici anni e la pacificazione tra i popoli, ma questo non deve essere né apparire una genuflessione dell’Italia di fronte alla Slovenia». (ilfriuli.it, 25. 6. 2020) da SLOVIT

vignetta

vignetta
vauro

io sto con emergency

logotip

logotip
blog