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13 ago 2020

Citazione sul Friuli



 È fantasia dei friulani che la loro terra, con le montagne della Carnia, le colline dell'Udinese, la pianura, i paesaggi lagunari lungo la costa, le diverse razze e i colori vivaci di un tempo più antico del nostro, sia per se stessa un universo nella sua varietà. (Guido Piovene)

da wikiquote


I sacerdoti della Benečija

 


Mio padre con monsignor Trinko a Tercimonte/Trcmun in occasione del suo 90 compleanno

Pubblico spesso le biografie di sacerdoti,perchè un tempo erano le uniche persone di cultura in Benečija,si sono battuti per la salvaguardia della lingua slovena in queste terre e per questo motivo sono stati perseguitati.I più importanti sono monsignor Ivan Trinko, don Cuffolo,don Angelo Cracina,don Natale Zuanella,don Arturo Blasutto,don Renzo Calligaro parroco di Villanova delle grotte/Zavarh e tanti altri.

Lo scrittore sloveno France Bevk si ispirò a don Antonio Cuffolo nel romanzo "Kaplan Martin Cedermac" .

Il romanzo ci offre uno spaccato preziosissimo della vita in una cappellania sulla sponda destra del Natisone, con il complesso intreccio di vita quotidiana, di celebrazioni liturgiche, di timori e paure, di persone coraggiose, di altre impaurite, opportuniste che sfruttano la situazione. In una parola, la vita concreta nella varietà delle sue forme, ma il tutto visto alla luce di quella dignità umana che dà sapore alle cose ed anche la forza di affrontare difficoltà non comuni. In una lunga carrellata passano in rassegna i protagonisti, che possiamo così elencare: il protagonista cappellano Martin, la sua collaboratrice domestica, la comunità ecclesiale, i vari rappresentanti della politica dal prefetto all’appuntato, i responsabili della Chiesa Udinese dal vescovo fino ai cappellani delle sperdute comunità montane, il tutto nella commistione di potere politico e religioso fra ipocrisia, astuzia, compromessi e silenzi.
Cedermac stripIl cappellano Martin, ricalcato artisticamente sulla figura di don Antonio Cuffolo, con qualche ritocco anche di don Giuseppe Cramaro, suo vicino di chiesa, è la figura dell’idealista che sposa la difficile realtà in cui si trova a vivere, convinto com’è della indivisibile unità tra Vangelo e dignità umana, espressa dalla esistenza concreta delle persone e della terra in cui vivono. È la linea della incarnazione, cioè di un inserimento dell’eterno e dell’invisibile nella nostra quotidianità, che non è mai banale per chi la vive con dignità. Martin vive per la sua gente e per il suo bene integrale, unendo due aspetti importanti della stessa realtà: le persone e la parola scritta, in questo caso il Catechismo. Non c’è crescita umana senza cultura e senza la sua immagine scritta; una parola che diventa documento e storia. Da ciò la difesa commovente dei libri sloveni, con l’aiuto della fedele collaboratrice. Non l’ideale falso di un popolo ignorante e fedele, ma quello di persone consapevoli e capaci di prendere posizione, perché coscienti di sé. Martin è il campanello che tiene desta la loro coscienza.
Accanto a lui e con lui, la fedele collaboratrice, che si cura della casa, della chiesa e delle faccende quotidiane, ma anche di avvenimenti straordinari, come il salvataggio dei libri sloveni e la sopportazione degli scatti d’umore del cappellano. Il tutto vissuto nella discrezione, nel silenzio, tipico di un mondo che non c’è più e suggerito da un rispetto religioso, che dà un’aura quasi mistica a tutta l’esistenza. E con lei la comunità cristiana, quella che si riunisce in chiesa la domenica, nell’ascolto del Vangelo e della sua spiegazione. A questi cristiani, nell’agosto del 1933 viene tolta anche la possibilità di un nutrimento di cui ha doppiamente bisogno, come cristiani e come cittadini, portatori di una cultura millenaria, nello scrigno della lingua. Viene loro tolta la dignità della propria appartenenza nazionale e linguistica, che viene sganciata dalla professione di fede, quasi che si trattasse di due pezzi di un gioco d’incastro, interscambiabili a piacere. Questo popolo reagisce compostamente e con tristezza. Una reazione non violenta, silenziosa, che alla fine risulta anche vincente, perché non si assoggetta all’imposizione e attende, con il cappellano, una possibile liberazione.
Ci si aspetterebbe a questo punto, un intervento forte, deciso, sicuro da parte dell’autorità ecclesiastica. Nulla purtroppo, se non l’invito all’obbedienza ed allo studio della lingua italiana, in modo da realizzare quel programma politico che vuole tutto livellare, perché come ai tempi degli assolutismi, tutti parlino una sola lingua ed obbediscano ad un solo padrone. Non si chiede certo che il Vescovo si voti al martirio cruento, visti i momenti, ma che non abbandoni il suo gregge ed i pastori che lo aiutano. Una minima opposizione e resistenza da parte del Vescovo ci poteva essere, come testimoniano esempi luminosi di quegli anni, anche se rari, bisogna ammetterlo. E così, si ebbero esempi di cedimento da parte di qualche sacerdote, allettato dai vantaggi politici che questo comportava. E non sono mancate medaglie al merito contrario, per certi squallidi protagonisti, anche questi pochi, per fortuna, ma che potevano fregiarsi di qualche cavalierato di metallo scadente, sul piano dei valori umani.
L’apparato del regime fascista svolgeva il suo compito, alternando carota e bastone, per raggiungere il suo scopo di assimilazione forzata delle popolazioni della Slavia. Erano passati gli anni dell’impero asburgico, che un pluralismo culturale l’aveva sviluppato, e che permetteva ai diversi popoli di non perdere la propria identità. Queste cose, magari, furono scoperte dopo, visti i disastri del dopo. Certo che gli anni ’30 del secolo scorso, furono estremamente negativi per la Benecìa, tanto che i suoi effetti deleteri li sentiamo e viviamo ancora oggi. Hanno preso una piega subdola, che alla fine, continua l’opera devastatrice del fascismo. Infatti, è intervenuta la scoperta sensazionale che noi delle Valli, siamo di ascendenza slava. Un evento probabilmente unico nella storia dei popoli, ma che coltiva l’obiettivo della negazione. L’unica cosa che interessa è la cancellazione del sostantivo ed aggettivo ‘sloveno’. Ottenuto questo, tutto va bene, salvo lasciar perdere ciò che resta del dialetto sloveno, nei gorghi e nelle piene del Natisone.
E così la storia di Martin Čedermac continua, in tempi diversi, ma con gli stessi problemi, non di pressione politica, ma di contrapposizione pseudo linguistica. Alla fine resta paradigmatico il discorso finale del cappellano, una perorazione religiosa e civile, perché le due cose non vanno divise; una perorazione che invita ogni uomo – non più solo noi della Benecìa – a non svendere mai la sua identità, perché è l’unica carta della sua dignità e del valore assoluto della persona umana. Sempre e dovunque. (Marino Qualizza) archivio del Dom

Grazie a questi sacerdoti/hvala.

12 ago 2020

Mario Benedetti

 

«Povera umana gloria/ quali parole abbiamo ancora per noi?»

(da Umana gloria, p. 112)

Mario Benedetti (Udine9 novembre 1955 – Piadena27 marzo 2020) è stato un poeta e insegnante italiano. Fu tra i fondatori delle riviste di poesia contemporanea “Scarto minimo”, Padova, 1986-1989, ed “Arsenal littératures”, edita a Brest dal 1999 al 2001.

Le sue opere vennero tradotte in Francia da Jean-Charles Vegliante (da ultimo in "Siècle 21" n.25, 2014, Poésie italienne d'aujourd'hui - Antologia).Dopo i primi venti anni trascorsi a Nimis (Udine), paese dei suoi genitori, si trasferì nel 1976 a Padova dove si laureò in Lettere con una tesi sull'opera complessiva di Carlo Michelstaedter, diplomandosi poi in Estetica presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Si dedicò all'insegnamento nelle scuole superiori, dapprima a Padova poi a Milano, città in cui si trasferì. La sua vita, la sua poesia ed il suo modo di essere furono fortemente connotati dalla presenza di una malattia cronica: una particolare forma di sclerosi multipla che lo accompagnò dall'infanzia. Gravi episodi dovuti a questa patologia si verificarono nel 1999 e nel 2000. La notte del 14 settembre 2014 a seguito di un infarto con ipossia cerebrale venne ricoverato all'Ospedale San Luca di Milano dove fu tenuto in coma farmacologico per diverso tempo. Al suo graduale risveglio cominciò una terapia riabilitativa, per poi essere trasferito in una struttura sanitaria milanese per continuare le cure.

Benedetti è morto il 27 marzo 2020, a causa del COVID-19, nella struttura in cui viveva dal 2018, a Piadena (Cremona). È stato tumulato nella cappella di famiglia di Donata Feroldi, l'amica di una vita, la mattina del 30 marzo 2020.

da wikipedia


Da Umana Gloria

È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.

Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,

il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.

Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.

*

Che cos’è la solitudine.

Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.

Ho freddo, ma come se non fossi io.

Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.

Che cos’è la solitudine.

La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.

da http://poesia.blog.rainews.it/2020/03/addio-a-mario-benedetti-1955-2020/

LA GERLA (poesia)

 
Un tempo questa era la vita delle donne della Slavia friulana-Benečija!!!


                                   Koš                              

Zjutra kar ustanim
muoj koš me že čaka
od njea se ne ubranim
fin zvèčar do mraka.
Za per nas morjèti živiti
s polentu an nu mar skute,
ja koš muoram nositi
anu spati u senu brez plahute...
                            
dna Vizuojščica

scritto in dialetto sloveno di Vizont di 50 anni fa(oggi quasi scomparso)
dal mio archivio personale

La gerla

Al mattino quando mi alzo/mi aspetta la mia gerla/non me ne libero fino al tramonto./Per poter vivere da noi/con polenta e un po' di ricotta/devo portare la gerla e dormire senza lenzuola.

una donna di Chialminis

 Chialminis /Vizont è una piccola località del comune di Nimis, costituita da 4 borghi: borgo Tamar, borgo Uas, borgo Chiesa e borgo Vigant, sita a 682 m di altezza sul monte Bernadia, lungo la strada che collega Ramandolo a Villanova delle Grotte, località entrambe conosciute , l’una per la produzione vinicola l’altra per le grotte. Chialminis invece poco nota nonostante il suo contesto panoramico e paesaggistico, per i quali è definita da qualcuno come un “balcone aperto sulla pianura friulana”. E’ altresì un’oasi di pace, in un ambiente montano, rapidamente raggiungibile in quanto dista da Udine soli 28 km.


notizie e panorama di Chialminis da https://www.natisone.it/0_archivio_messe/messe2006/messe341.htm
[caption id="attachment_19581" align="alignnone" width="1466"] dal mio archivio personale[/caption]

Izvor rezijanskega narečja - Perché il dialetto resiano è sloveno

ballo resiano
 

10ButtoloTu-w Reziji rumunïmö po näs, ka to jë dan slavinski dijalët, pärt od tih slavinskih djalëtuw, ka se klïčajo da Primorski. Te slavinski jazek to jë dan jazek slavo meridionale.

Našë rumuninjë parhaja, teköj pa wse ti drügi slavinski djalëtavi, z toga jazïka, ka se klïčë da slavo alpino. Po starin našë rumuninjë jë bilu pärt od tih slavinskih djalëtuw, ka se rumunïjo tu-wnë w Koroški. Ǵalë, ko somö šle ta-pod Banïtki, našë rumuninjë jë se wezal ta-h tën slavinskin djalëtan, ka se rumunïjo izdë w Farjülë. Izdë w Reziji se rumunïjo wsej štiri djalëte: po solbaški, po osöjskeh, pu njïvaških anu po biskin. Se jë pöčalu pa pïsat po näs ne dwa stuw lit na nazëd.

Itï, ka so pïsali po näs, to so bili jëravi anu une so nan püstili prëdiće, racjuni, wüže anu pa tö krištjanskë učilu. Köj ne štredi lit na nazëd se jë pöčalu vïdët naše rumuninjë tej no bogatïjo, anu da jë bilu trëbë ga wbranit. Näšnji din so pa lëči, ka jë naredil te laški pajïz za to slavinsko minorančo. Ise lëči to so: lëč numar 482/1999, nümar 38/2001 anu nümar 26/2007, ka jë naredila naša Reǵun. Ise lëči branijo pa našë rumuninjë. (Sandro Quaglia)

A Resia si parla il resiano, dialetto appartenente alla famiglia dei dialetti sloveni, in particolare, oggi, dei dialetti del Litorale (primorska narečna skupina). Lo sloveno è una delle lingue slave meridionali. Il resiano si è sviluppato dallo stesso slavo alpino, che sta alla base dello sloveno di oggi. Nel Medioevo il resiano faceva parte del raggruppamento dialettale sloveno detto carinziano (koroška narečna skupina). Dal XV secolo in poi, dopo l’annessione del Friuli alla Repubblica di Venezia, i legami di Resia con la Carinzia si indebolirono a favore, invece, di quelli verso il litorale adriatico. Del resiano, nel tempo, si sono sviluppate quattro principali varianti: di Stolvizza/Solbica, Oseacco/Osoanë, Gniva/Njïwa e San Giorgio/Bila. Il dialetto è stato trasmesso prevalentemente in forma orale. Dal XVIII secolo si hanno i primi scritti in dialetto: preghiere, dottrine, canti e prediche, che sono soprattutto opera dei sacerdoti resiani operanti a Resia dal XVII secolo. Dagli anni Settanta del XX secolo ad oggi sono in atto molte iniziative volte alla conservazione del resiano, grazie anche alle leggi di tutela delle minoranze linguistiche storiche presenti in Italia. Resia è infatti inserita, secondo le leggi statali, tra i comuni della fascia confinaria della Regione Friuli Venezia Giulia ove è storicamente insediata la minoranza linguistica slovena.

https://www.dom.it/izvor-rezijanskega-narecja_perche-il-dialetto-resiano-e-sloveno/

11 ago 2020

Ta pyrwa cirköw ta-na Solbici - La prima chiesa di Stolvizza


11KamenTa pyrwa cirköw ta-na Solbici na jë bila norëd lëta 1628 ano nji te sveti to jë bil wžë itadej Sveti sin Karlö Boromejski (1538 – 1584).

Tu-w numo dokuminto od lëta 1642 to jë napïsano, da ita stara cirköw jë bila ‘ai piedi della vila’, to prïdë raćët ito, ki počnüwala ves, po nes ta-na Wortë. Ito blïzo so bile pa ïše. Lëta 1746 no nuć, ki jë bila üda ura, jë se prëderl öblak anu to pajalo wkrej cirkuw anu pa ïše. To pajalu wsë nu w potök. Od ise ïš se mörë vïdët nešnji din no višklažono pënć, ki na jë ģona blïzu krïža, ka spomenja, da ninki nur ito jë bila cirköw. Po isin se jë zbralo naredit cirköw ta-na Lazo tej jo šćalö vïdimo. (s. q.)

La prima chiesa di Stolvizza/Solbica fu  eretta nel 1628 e già allora intitolata a San Carlo Borromeo (1538 – 1584).

In un documento del 1642 si può leggere come questa chiesa si trovasse ‘ai piedi della vila’, ossia lì dove iniziava il paese, nella località che in dialetto sloveno resiano si chiama ta-na Wortë. Lì vicino si trovavano delle case. Nel 1746, una notte la forte pioggia provocò una frana e la chiesa e le case collassarono nel torrente. Camminando per Stolvizza, di tali edifici possiamo ancora notare conservata una pietra lavorata di portale, posizionata alla base di un crocifisso che ricorda l’antico edificio sacro. https://www.dom.it/ta-pyrwa-cirkow-ta-na-solbici_la-prima-chiesa-di-stolvizza/

Di Joadl - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5216573




da wikipedia


È accertato che nella zona di Stolvizza, più precisamente in località Puie, fu edificata una chiesa nel 1627, sebbene la prima menzione di essa risalga alla relazione della visita pastorale del 1735 effettuata da Gian Domenico Fistulario, delegato dal patriarca di Aquileia Daniele Delfino. Detto edificio fu completamente distrutto durante un'alluvione. In seguito a questo fatto gli abitanti di Stolvizza decisero di riedificare la chiesa in un luogo più sicuro, posto più a sud. L'attuale chiesa venne costruita in due fasi: tra il 1747 ed il 1750 e tra il 1760 ed 1769. La consacrazione fu impartita il 6 luglio 1769 dall'arcivescovo di Udine Giovanni Girolamo Gradenigo. Tra il 1830 ed il 1834 l'edificio venne restaurato e, nel frattempo, nel 1833, era stata realizzata la Via Crucis, rifatta poi nel 1885 e anche nel 1946[1]. La chiesa fu eretta a curaziale nel 1911, per poi essere eretta a parrocchiale il 19 gennaio 1953, affiancandosi così definitivamente dalla pieve di Prato[2]. Intanto, nel 1931 era stata riedificata la facciata. Nel 1972 fu rifatto il tetto e tra il 2013 ed il 2014 la parrocchiale venne completamente ristrutturata. Infine, nell'estate del 2018, in seguito alla soppressione della forania di Moggio Udinese, alla quale la chiesa era aggregata, quest'ultima passò alla neo-costituita forania della Montagna.

10 ago 2020

Sul monte Canin

 Il monte Canin (mont Cjanine in friulanoKanin in slovenoCjanen in resiano, è una montagna delle Alpi Giulie, alta 2.587 m s.l.m., che segna il confine fra provincia di Udine (comuni di Resia e Chiusaforte) e la Slovenia (comune di Plezzo), l'ultimo massiccio montuoso delle Alpi Giulie in territorio italiano.Il gruppo del Canin è costituito da un colossale altipiano calcareo, alto dai 1.800 ai 2.300 m culminante in una larga cresta che lo percorre in tutta la sua estensione, posta tra la Val Raccolana a nord e la Val Resia a sud. Solo verso est questa cresta si biforca, dando origine alla val Mogenza. A sud, verso la conca di Plezzo, l'altopiano ha la forma di un grande mare di roccia. Sul lato Nord, in territorio italiano, è presente un ghiacciaio (in effetti tre piccoli ghiacciai), che con i suoi 2200 m di quota è uno dei più bassi della catena alpina e che è però, al pari di tanti suoi simili nelle Alpi, in forte regressione negli ultimi anni in conseguenza dei mutamenti climatici in atto.

Dalla cima si gode un panorama: verso nord lo Jôf di Montasio (2.754 m) e lo Jôf Fuart (2.666 m), verso est il Mangart (2.677 m), lo Jalouz e il Tricorno (2.853 m), verso sud il Gran Monte, la pianura friulana e l'Adriatico

Negli anni addietro c'è stata una battaglia per il possesso del Canin tra Oseacco, frazione di Resia, e Resiutta, comune confinante con Resia, vinta da Oseacco. Da quel momento ci fu un nuovo insediamento nella valle, Coritis.

La croce di vetta risulta spezzata, forse da un fulmine.fonte wikipedia





Un viaggio sulla Luna 🌝

E' questa la sensazione di chi, abbandonato il rifugio Gilberti, intraprende la salita per Sella Bila Pec e scende nei grandi valloni del Foran dal Mus, l'altopiano carsico più spettacolare della nostra Regione e delle Alpi Giulie

🌐 👉 LINK all'articolo sul nostro BLOG: https://www.studioforest.it/geoescursione-canin/

da fb


Notte di San Lorenzo

 

10592843_886903698056282_479227781530490154_n
vignetta di Moreno Tomazetig “La notte ha la sua forza”dal giornale Dom

Prima era una festa dedicata a Priapo, dio romano della fertilità. Oggi è quella di San Lorenzo, diacono romano martirizzato sulla graticola. Da sempre è una delle notti più magiche dell’anno, grazie centinaia di stelle cadenti ben visibili in cielo. Vediamo la storia della notte di San Lorenzo

La conosciamo come notte di San Lorenzo: un’ottima occasione per cercare un luogo appartato, poco illuminato, e osservare per ore il cielo in cerca di stelle cadenti. Per la tradizione cristiana, però, c’è ben altro: la notte del 10 agosto infatti è associata al santo di cui porta il nome, e le stelle cadenti ai tizzoni ardenti con cui fu trucidato sulla graticola. E a guarda bene, andando ancora più indietro con gli anni (come spesso capita) scopriamo che anche gli antichi romani avevano le loro leggende e tradizioni legate a questo periodo, in cui superstizioni a parte, è realmente presente una maggiore concentrazione di stelle cadenti nei nostri cieli. In attesa che arrivi una delle notti più magiche dell’anno, insomma, vediamo alcune curiosità, miti e verità scientifiche legate alla notte del 10 agosto.

continua…https://www.wired.it/scienza/spazio/2018/08/10/10-agosto-notte-san-lorenzo/?utm_source=wired&utm_medium=NL&utm_campaign=daily&refresh_ce=

9 ago 2020

Miti,fiabe e leggende del Friuli storico:autore Ada Tomazetig


Krivapeta mitica donna delle valli del Natisone
disegno di Moreno Tomazetig
                                                           

 "Istituto per la Ricerca e la Promozione della Civiltà Friulana “Achille Tellini” 

Collana Miti,fiabe e leggende del Friuli storico
Od Idrije do Nediže-Dal Judrio al Natisone
Benečija-Slavia Friulana

La scrittrice Ada Tomasetig ha raccolto circa  600 fiabe,miti e leggende che sono la ricchezza della cultura popolare delle Valli del Natisone e Judrio.In questi racconti vivono  mitiche e misteriose creature piene di sapere, saggezza e paure.
 Queste narrazioni trasmesse di bocca in bocca, di generazione in generazione, per la prima volta sono state  raccolte da Ada Tomazetig in un ricco libro.
In esso troviamo le Krivapete:streghe dai piedi storti(Val Natisone),le Torke e le Saravajedike mangiatrici di uomini vivi (valli dello Judrio),le Vesne(Stregna),le Tante,gli  Škrati(spiritelli dispettosi),le Morè,le Viešče e le Štrije(streghe).
Il volume fa parte della collana "Miti,fiabe e leggendo del Friuli storico" ed è edito dall'Istituto per la Ricerca e la Promozione della Civiltà Friulana "Achille Tellini".
La scrittrice ha avuto la fortuna di ascoltare i racconti dai suoi genitori sin da piccola.Scrive dal 1978 ed ha impiegato 5-6 anni per raccogliere tutto il materiale.E' stata anche a Lubiana al Festival della narrazione,dove ha avuto un grande successo.
(disegno di Moreno Tomazetig dal Dom)

Buona domenica

 Aspetto nuovi iscritti così aumentiamo il numero dei lettori.Buona domenica a tutti,OLga.

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