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IVAN TRINKO padre della Benecia

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30 mag 2020

GUBANZA-GUBANA dolce tipico delle Valli del Natisone/Nediške doline



Preparazione e ricetta del dolce tradizionale delle Valli del Natisone di Stefano Morandini. La parola gubana deriva dallo sloveno "gubati" cioè arrotolare, infatti questo dolce ha la forma di chiocciola. E' un dolce che si faceva per Natale, Pasqua, matrimoni e per la fine della fienagione. Traduzione dal dialetto sloveno. Ingredienti: Impasto per 2 gubane Mezzo chilo di farina ,3/4 uova, sale, la buccia di un limone grattugiato, 2 cubetti di lievito, due cucchiai tra burro sciolto ed olio,zucchero, una fiala di vanillina. Ripieno: 250 g di noci macinate, 100 g di amaretti sbriciolati, un cucchiaio di zucchero, un panino raffermo, un po' di burro,30 g di pinoli,100 g di uvetta ammollata nel marsala, mezzo bicchiere di grappa, qualche cucchiaio di cacao. Preparazione La pasta deve lievitare due volte. Mettere la farina sul tavolo ed aggiungere il lievito precedentemente sciolto in un po' di latte tiepido, zucchero e una presa di sale. La pasta deve essere piuttosto molle, altrimenti stenta ad alzarsi. Lavorare bene il composto. Coprire con un panno caldo e lasciar lievitare (deve raddoppiare) Nel frattempo rosolare nel burro i pinoli, poi il panino raffermo sminuzzato, sbriciolare gli amaretti che ci serviranno per il ripieno. Quando è ben lievitato si prepara per la seconda lievitazione. Scaldare il latte e metterci dentro il lievito sciolto nel latte e un po' alla volta il burro sciolto e le uova precedentemente sbattute. L'impasto deve essere morbido, se necessario aggiungere un po' di farina. La pasta deve essere lavorata per un quarto d'ora. Si copre con un panno e si aspetta che lieviti nuovamente (minimo un'ora) Mettere in una terrina tutti i componenti del ripieno. Quando è ben lievitato spianare col mattarello una sfoglia di 1 cm e mezzo, mettere sopra il ripieno con qualche fiocchetto di burro. Fare un rotolo, pressare livemente per chiuderlo ed arrotolarlo a chiocciola. Prendere una teglia imburrata,spennellare la gubana con la chiara d'uovo sbattuta e mettere nel forno preriscaldato. Cuocere a per circa un'ora e un quarto a 170°.

Buon appetito!

29 mag 2020

Il maggiociondolo

foto personale

Il maggiociondolo (Laburnum anagyroides Medik.1787) è un piccolo albero caducifoglio (perde le foglie) alto dai 4 ai 6 metri, appartenente alla famiglia delle Fabaceae.
Ha portamento arbustivo, la corteccia è liscia, con rami espansi verdi scuri e ramoscelli penduli e pubescenti. Le foglie (composte da tre foglioline) hanno un lungo picciolo, glabre superiormente e pelose inferiormente. I fiori sono di colore giallo oro, molto profumati, sono raggruppati in lunghi racemi penduli (fino a 25 cm) e fioriscono tipicamente in maggio.
I frutti sono legumi dai numerosi semi neri contenenti citisina (un alcaloide), estremamente velenosi (per l'uomo, ma anche per capre e cavalli) specie se immaturi. Alcuni animali selvatici tuttavia (come lepri, conigli e cervi) se ne possono cibare senza problemi, e per questo in alcune regioni è ritenuta una pianta magica.
Il legno è duro e pesante, di colore giallo/bruno, ottimo per pali, lavori al tornio e come combustibile. In passato - ma anche oggi nelle rievocazioni storiche - era utilizzato come ottimo legno per la costruzione degli archi.
Anche Giovanni Pascoli la nomina:
«Il tempo si cambia: stasera
vuol l'acqua venire a ruscelli.
L'annunzia la capinera
tra li albatri li avornielli:
tac tac.»


Lussari/Svete Višarje

immagine da fb




immagini da wikipedia




Il monte Santo Lussari/Višarje è uno dei Cammini Celesti sloveni più antichi, più alti e più popolari. Questo santuario di alta montagna con la sua posizione sul confine trecentesco collega Italia, Austria e Slovenia.Gli inizi del Cammino Celeste hanno una base leggendaria e risalgono al 14 ° secolo. La chiesa fu demolita durante la prima guerra mondiale, ma fu ricostruita e completamente e decorata dal pittore Tone Kralj. Oggi una telecabina sale fino in cima, superando i mille metri di dislivello e consente il turismo sciistico invernale, è la cima più popolare tra gli alpinisti.

per approfondire leggi qui

Primo piano sul Dom del 31 maggio

Nel nono numero 2020, recante la data del 31 maggio, il quindicinale Dom apre con le previsioni per la stagione turistica in Benecia, Resia e Valcanale. Secondo gli esperti di turismo, borghi alpini autentici, seconde case, attività sportive in solitaria, esperienze a contatto con la natura saranno quest’anno le tendenze, in quanto bisognerà passare anche le vacanze con le mascherine ed evitando assembramenti, condizione che pone come meta ideale la montagna. E non quella delle località turisticamente rinomate, bensì quella vera, quella più tranquilla e autentica, come la nostra. Lo testimoniano le notevoli presenze di escursionisti registrate nelle scorse settimane sul Matajur, sul Colovrat, sullo Joanaz, in Val Resia e in Valcanale. «La prossima estate le regole relative al distanziamento sociale porteranno gli ospiti a preferire luoghi all’aperto, ma senza affollamento – riporta il documento previsionale dell’Osservatorio italiano di turismo montano –. Si tratterà soprattutto di un turismo di prossimità, infraregionale». Abbiamo chiesto, allora, ad alcuni operatori del territorio cosa si aspettano per i prossimi mesi.
https://www.dom.it/ne-spreglejte-doma-z-dne-31-maja_primo-piano-sul-dom-del-31-maggio/

Dr. Canciani: come sono belle e sane queste valli

L’emergenza causata dal coronavirus ha messo in evidenza, tra i tanti problemi e disagi, anche i vantaggi della vita in aree come Benecia, Resia e Valcanale, territori salubri e a bassa densità di popolazione. Probabilmente il Corona resterà con noi per diversi anni. È probabile che con il calo delle misure restrittive avremo nuovi focolai, che andranno circoscritti al più presto mediante quarantena, tracciabilità dei contatti e degli spostamenti. Anche se la mappa dell’inquinamento è abbastanza sovrapponibile a quella della diffusione del virus, per ora non abbiamo prove incontrovertibili, ma sappiamo che l’inquinamento causa una continua infiammazione dei bronchi, predisponendo a varie infezioni, soprattutto virali.
Oltre alle bellezze paesaggistiche e naturalistiche e all’interesse etnografico e culturale, queste valli offrono sempre la possibilità di offrire dei «farmaci naturali » e senza costi. Mi riferisco alla foresto e speleoterapia che abbiamo sperimentato con dei soggiorni per bambini e ragazzi asmatici.
L’esperienza maggiore è quella con i soggiorni climatici che svolgiamo da 17 anni, dapprima a Sauris e da 9 anni a Fusine, integrata in quest’ ultima località dalla speleoterapia. I bambini vengono seguiti da 2 medici, una psicologa e 16 volontari dell’Associazione allergie e pneumopatie infantili- Alpi.
Gli obiettivi del soggiorno sono: dare ai bambini autonomia nella gestione della propria malattia; aiutare i bambini a sentirsi «normali»; favorire il confronto e il sostegno tra le famiglie; ottimizzare l’efficacia dei trattamenti attraverso una valutazione al di fuori dell’ ambiente ospedaliero, con la supervisione di personale adatto, medico e paramedico; favorire stili di vita corretti e l’approccio all’attività fisica; valutare i pazienti in un luogo ottimale dal punto di vista medico (scarso inquinamento e allergeni), come è l’alta montagna; eseguire indagini strumentali complesse (indagini cliniche, spirometrie, ossido nitrico esalato, test da sforzo, metaboliti sul condensato esalato).
Tutte le attività vengono proposte ai bambini sotto forma di gioco e di divertimento. Si fanno escursioni, attività all’area aperta, momenti di gioco-apprendimento, nel corso dei quali vengono spiegate alcune tecniche per gestire la malattia respiratoria in situazioni di sforzo, di stress emozionale, di infezione, di scarsa «compliance» familiare.
Le attività all’aria aperta hanno il duplice obiettivo di giovare alla salute dei bambini (per questo si è scelta una località salubre e montana) e di farli sentire «normali», in quanto anche loro, sia pure con qualche limite, possono fare le stesse attività dei bambini «normali».
Nel corso degli anni abbiamo rilevato: un calo degli attacchi d’ asma, sia a riposo, sia sotto sforzo; un miglioramento della spirometria; un calo dei marcatori d’ infiammazione
bronchiale; un miglioramento della resistenza allo sforzo.
Per quanto riguarda la speleoterapia, questa è una forma particolare di terapia climatica che si avvale dell’effetto terapeutico del microclima presente nelle grotte – ad esempio Villanova nell’Alta Val Torre – e nelle miniere dismesse, come quelle di Raibl a Cave del Predil.
Presupposto per l’uso terapeutico di centri di speleoterapia fredda sono le seguenti caratteristiche microclimatiche: temperature basse costanti; umidità relativa intorno al 100%; bassa umidità assoluta; elevatapurezza dell’aria; correnti d’aria moderate.
L’inspirazione dell’aria fredda, pura e molto umida presente nelle grotte facilita il drenaggio del tessuto edematoso dei bronchi e aumenta il lume delle vie respiratorie, per cui il paziente respira più liberamente. Possiamo dire che il 30 per cento dei bambini riporta un miglioramento dell’asma, valutato non solo clinicamente, ma con metodi più sensibili, come la spirometria per bambini, la temperatura dei gas del respiro e l’ossido nitrico esalato, finissimo marcatore d’infiammazione bronchiale. Detto miglioramento in genere persiste per qualche mese, spesso senza bisogno di aggiungere dei farmaci. È probabile che con una maggiore frequentazione della speleoterapia (due settimane invece di una) e per un paio di ore al giorno i risultati siano ancor più evidenti.
Abbiamo sperimentato la forestoterapia nelle Valli del Natisone, dapprima con il soggiorno di un giorno e poi di 2 giorni, ai quali ha partecipato una trentina di persone, tra bambini e adulti.
I partecipanti sono stati sottoposti a un controllo medico (visita, rinoscopia, spirometria, dosaggio dell’ossido nitrico esalato) prima e al termine del soggiorno, per valu- tarne il beneficio.
La qualità dell’aria è stata valutata con i nostri strumenti per la rilevazione di inquinanti, la presenza di sostanze vegetali è stata rilevata in precedenza da un naso elettronico creato ad hoc, il quale permette l’analisi e lo studio degli odori su campioni d’aria prelevati nelle valli. Le analisi olfattometriche risultano indispensabili per capire le reali concentrazioni di odore e delle sostanze benefiche.
Oltre alla parte medica, sono stati valutati lo stato di ansia e di attenzione con dei questionari somministrati da una psicologa, i quali hanno evidenziato un calo dell’asma.
Possiamo concludere che nelle Valli del Natisone c’è un microclima adatto agli asmatici e inadatto al proliferare degli acari, che con le loro feci costituiscono una delle prime fonti di patologie dell’apparato respiratorio, specialmente nei bambini. Dalle cortecce degli alberi si liberano delle sostanze tra cui i terpeni, che sono dei potenti antiossidanti, utili per prevenire le malattie cardiovascolari e respiratorie. Con una frequenza più prolungata, si potrebbero avere risultati migliori, i quali potrebbero avere ricadute positive sia per i pazienti, sia per la zona, che potrebbe essere rivalutata nell’ottica di un turismo lento ed ecologico, oggi in forte ascesa.
Si tiene a sottolineare che questa è l’unica attività del genere in Friuli Venezia Giulia e una delle poche in Italia e in Europa. Foresto e speleoterapia sono, dunque, una ragione in più per frequentare Benecia e Valcanale.
Mario Canciani

27 mag 2020

Il meraviglioso mondo sotterraneo dell’Alta Val Torre -

Villanova delle grotte/Zavarh

 L’attrattiva naturalistica e turistica più conosciuta nel Comune di Lusevera è l’affascinante sistema ipogeo delle Grotte di Villanova che si dirama in un’infinita ragnatela di grotte e cavità. Un fenomeno carsico caratteristico della zona è rappresentato dalle doline, avvallamenti del terreno che spesso indicano la presenza di una sottostante cavità. E’ possibile osservare alcune doline percorrendo il sentiero delle grotte immerso nel verde.
foto da http://www.comune.lusevera.ud.it/index.php?id=5221

Un mondo nascosto sotto terra

Villanova delle Grotte custodisce un gioiello di rara bellezza e spettacolarità: il complesso carsico delle grotte di Villanova; quattro imponenti cavità, per uno sviluppo complessivo di oltre 20 km, formate dalla paziente opera dell’acqua durante il silenzioso trascorrere di milioni di anni. La cosiddetta Grotta Nuova fu scoperta nel 1925 da alcuni abitanti del paese che osservarono una fenditura naturale, dalla quale fuoriusciva una corrente d’aria umida, che si addensava in vapore.

La grotta nuova presenta una singolarità morfologica che la differenzia notevolmente dalle altre grotte di origine carsica. E’ formata a contatto di due tipi di roccia sottoposti a differenti modelli di carsismo; il risultato è una grotta con ambienti diversi a seconda del tipo di roccia in cui si sono sviluppati.

Ogni ramo della Grotta Nuova è dissimile dall’altro e varia ogni poche decine di metri per forma, dimensioni e fenomeni di concrezionamento. Questo tipo di grotte è molto raro e la Grotta Nuova, nel suo genere ed è una delle più estese al mondo (con quasi 9 km di sviluppo).

Speleoturismo . Per chi vuole scoprire questo mondo nascosto esistono più possibilità. Ben illuminato e provvisto di comodi camminamenti, il percorso turistico attraversa ampie gallerie dalle forme singolari, imponenti saloni e tortuosi “canyon” ornati da stalattiti e stalagmiti, che conducono i visitatori verso luoghi d’incomparabile bellezza, come lo spettacolare “Angolo dei Cristalli” e la “Sala del Gran Portone”, con il suo maestoso arco naturale. La visita è guidata ed ha una durata di 1 ora e 15 minuti circa. La temperatura della grotta è di 11° costanti.

E’ però possibile prenotare anche delle facili escursioni guidate di 3 o 5 ore alle parti più interne della grotta, solitamente riservate agli speleologi. Le particolarità geologiche, le miriadi di concrezioni che ornano le gallerie con le loro forme bizzarre, l’aria fresca e pura che percorre i cunicoli ed il suono dell’acqua, che a tratti scorre quieta e a tratti si ode impetuosa, là dove il torrente interno forma cascate come nastri d’argento, accompagnano gli speleoturisti in un’esperienza indimenticabile.

bellezze della valtorre-lepote terske doline

Le grotte di Villanova/Zavarh


Col termine generico di grotte di Villanova vengono indicate le principali grotte che si aprono nell'area di Villanova delle Grotte (frazione di Lusevera, in provincia di Udine).
In una piccola area delle Prealpi Giulie compresa fra il massiccio dei Monti La Bernadia e la catena del Gran Monte sono state scoperte numerose cavità fra cui le maggiori sono la Grotta Doviza, la Grotta Nuova di Villanova, la Grotta Egidio Feruglio e l'Abisso Vigant. Le prime tre cavità si aprono nel territorio del comune di Lusevera, la quarta in quello di Nimis. Altre grotte si aprono nel territorio di Taipana (Monteaperta, ...).
Le grotte dell'area di Villanova sono state esplorate da intere generazioni di speleologi a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Attualmente sono stati esplorati e rilevati oltre quindici chilometri di gallerie.

Grotta Doviza

La grotta Doviza o Tazajama si apre nei pressi di Villanova delle Grotte (Lusevera, Udine) con tre ingressi posti sul versante destro della valle Ta pot Cletia. La lunghezza delle gallerie esplorate finora è superiore a tre chilometri. La grotta, particolarmente complessa, si sviluppa su più livelli. I rami principali sono percorsi da alcuni ruscelli che si uniscono nel Salone delle Confluenze. Le prime esplorazioni della grotta Doviza risalgono alla seconda metà del XIX secolo (1876), ma l'esplorazione ed il rilievo topografico più completi risalgono al primo decennio del Novecento ad opera di Giovanni Battista De Gasperi. All'epoca delle prime esplorazioni erano noti solamente due ingressi, definiti come Superiore ed Inferiore. La pianta topografica e la descrizione della cavità vennero pubblicate nel 1916 sulla monografia Grotte e Voragini del Friuli nell'ambito della rivista Mondo Sotterraneo del Circolo Speleologico ed Idrologico Friulano. Nella seconda metà del Novecento ulteriori contributi al rilievo topografico della grotta vennero da speleologi di diverse associazioni friulane ed isontine. La scoperta del terzo ingresso della cavità è avvenuta nel 2007.

Grotta Nuova di Villanova

La grotta Nuova di Villanova si trova esattamente in corrispondenza dell'abitato di Villanova delle Grotte (Lusevera). La Grotta Nuova è particolarmente interessante poiché si tratta di una delle maggiori cavità di contatto conosciute: si sviluppa infatti al contatto fra una bancata di flysch ed una di conglomerato calcareo. Le gallerie principali sono caratterizzate da una tipica sezione trapezoidale, col soffitto in conglomerato, pareti in flysch e fondo coperto da sedimenti.
La grotta venne scoperta nel 1925 da un abitante del luogo, Pietro Negro. Quasi subito egli fondò insieme ad altri locali il Gruppo Esploratori e Lavoratori delle Grotte di Villanova, che esplorò la cavità e la rese accessibile al pubblico attraverso un accesso artificiale. Ancora oggi le visite guidate alla grotta sono gestite dalla stessa associazione locale.

Abisso Vigant

L'abisso Vigant è una cavità che si apre nei pressi di borgo Vigant, in comune di Nimis. È costituita da un inghiottitoio, diversamente dalle tipiche entrate a pozzo. Con 10 verticali abbastanza semplici si arriva a una profondità di meno 254 metri.

Grotte di Monteaperta

Grotta "pod Lanisce" (semi-allagata) presso la località Ponte Sambo, grotte "del Briec e del Celò" (sopra Debellis), grotta "della Divia Jáma" (sopra la pod Biéla Skála a Monteaperta).

Riapertura grotte di Villanova-Zavarh jame
foto di Guido Marchiol

26 mag 2020

La restituzione del Narodni dom non è un regalo ma un atto doveroso di pacificazione storica


Trieste è una città che si vanta, giustamente, del proprio passato glorioso mitteleuropeo, di cui oggi se ne intravede,malgrado tutto, ancora qualche raggio di luce. Una mescolanza di radici latine, germaniche e slave, identità plurime di questa nostra città di confine. Poi, però, c'è chi ha cercato con la violenza di determinare il sopravvento della propria identità cercando di sradicare quella considerata con arroganza e prepotenza "inferiore" o "nemica", così annichilendo l'identità stessa della città di Trieste e della nostra regione.
L'emblema di questo scontro, di questa arroganza, di questa prepotenza è stato certamente il Narodni dom in una città che conoscerà nel '900 plurime violenze nazionaliste. Non era solo un centro culturale ed economico sloveno, era l'affermazione di una delle identità storiche di Trieste che andava a completare con ciò che rappresentava quell'edificio progettato da Fabiani, il puzzle dell'essere mitteleuropeo di questa località a volte contesa anche da Dio. Un contenitore potente, immenso di vitalità, c'era il famoso Hotel Balkan con 62 stanze, uno dei più moderni d'Europa per l'epoca, c'erano palestre, due ristoranti, un caffè, una tipografia, una sala di lettura, un teatro con oltre 400 posti a sedere, trovavano ospitalità società di vario tipo, da musicali a teatrali, da sportive a società di mutuo soccorso. Era un qualcosa di unicum, irripetibile. Venne assaltato dai nazionalisti italiani, capeggiati dal dannunziano Giunta. Il 21 luglio del 1920 alla Camera del Regno d'Italia il deputato Barberis fu il primo a portare nelle aule di Roma la prima testimonianza di quanto accadde a Trieste il 13 luglio del 1920 evidenziando che si trattava di opera "dei nazionalisti teppisti". L'Italia è un Paese che non ha mai fatto i conti con la propria storia, non ha mai avuto una sua Norimberga e sappiamo bene il perchè. Restituire il Narodni dom agli sloveni non è un regalo, ma è un atto doveroso, a prescindere da quello che possano prevedere leggi che attendono da tempo la loro attuazione. E' un atto di pacificazione storica che deve accomunare tutti. E' un simbolo quello che non rappresenta solo le violenze nazionaliste subite dagli sloveni, ma segna l'inizio del fascismo del confine orientale che ha comportato conseguenze e tragedie che si son prolungate fino alla fine della seconda guerra mondiale. Con l'atto della restituzione si realizza la pacificazione storica con la quale, questa volta per davvero, "se pol" ricominciare un nuovo percorso, una nuova vita e mettere una pietra tombale su un passato che è la maledizione di questa città.
mb

Tutti siamo partigiani sloveni

Pubblichiamo l’intervento di Furio Honsell, sindaco di Udine, alla commemorazione, avvenuta domenica 7 settembre, dei quattro martiri sloveni fucilati dai fascisti nel 1930 a Bazovica.
BazovicaPresidente del Comitato per le onoranze degli eroi di Basovizza, Milan Pahor, Ministro Jakič, Ambasciatore Mirosič, Console Sergaš, Onorevole Blazina, Sindaci in rappresentanza delle vostre comunità, familiari e amici degli eroi, cittadine e cittadini antifascisti,
spoštovani, vsi lepo pozdravljeni,
con grande emozione prendo la parola oggi in un’occasione così intensa sia sul piano etico e politico, sia su quello umano. Sento profondamente il significato che questa ricorrenza ha per la comunità slovena di Trieste, e quindi deve avere per la città di Trieste tutta, per la nostra regione, per l’Italia e per tutti quei cittadini italiani e sloveni che sentono il dovere di riaffermare i valori di libertà, di pluralità, di solidarietà, di uguaglianza, di pari opportunità, di giustizia, di democrazia. Valori che sono la nostra unica speranza per il progresso civile dell’umanità. Ma questa è anche un’occasione per condannare i fascismi e la loro barbarie, per condannare le politiche di omologazione che vogliono negare le specificità e azzerare le differenze, togliendo così la dignità alle diverse identità e culture che sono invece gli autentici fondamenti delle comunità.
La feroce politica di denazionalizzazione forzata, ma sarebbe più corretto dire di fascisitizzazione, di cui fu fatta oggetto la popolazione di lingua slovena di queste terre a partire dagli anni venti da parte del governo Italiano di allora rimarrà per l’eternità simbolo di atrocità e barbarie. L’eliminazione delle scuole slovene prima, poi della lingua slovena dalle scuole e dalle chiese, la messa al bando delle associazioni culturali e addirittura sportive slovene, la chiusura dei giornali sloveni, la soppressione di qualsiasi attività culturale slovena e in lingua slovena, la progressiva eliminazione di cognomi e toponimi, sin dei nomi dei corsi d’acqua, sono tra le forme più abominevoli e più subdole di negazione della cultura di una comunità. Particolarmente vigliacca fu la messa al bando dello sloveno nei tribunali negando così il diritto ai cittadini ad avere pari opportunità nel potersi difendere.
In aperta violazione dei trattati internazionali le autorità italiane non repressero le violenze fisiche di cui era fatta oggetto la minoranza slovena da parte degli squadristi, ma anzi con il rafforzarsi del Fascismo la violenza nei loro confronti fu legittimata sempre di più e crebbe a livelli più alti con l’incendio di varie Case del Popolo e del Narodni Dom a Trieste, per venire infine pienamente legalizzata con l’internamento dell’intellighenzia slovena e il trasferimento di insegnanti e clero sloveno.
Questa drammatica vicenda, così tragica per chi l’ha vissuta in prima persona o nelle narrazioni dei propri anziani, oggi non va inquadrata meramente come un problema di una minoranza oppressa, ma ne va colto il valore simbolico più ampio. Riconoscere e ammettere pienamente la responsabilità di questi atti di “bonifica etnica” è oggi un dovere, per un paese come l’Italia che non ha mai saputo fare i conti con i suoi crimini fascisti, per un paese che non ha avuto una sua Norimberga. E quest’oggi da autentici cittadini europei, cittadini di un’Europa antifascista che ha come motto “uniti nella diversità” e quindi sull’antitesi dell’idea di Europa nazifascista, dobbiamo dire siamo tutti partigiani sloveni “vsi smo slovenski partizani”. Questi eroi sono martiri universali perché hanno saputo resistere contro la dittatura, e non solamente esistere, hanno saputo sacrificarsi nel nome di valori e diritti umani e civili per tutti noi. Sono i nostri martiri.
Per onorare questi eroi barbaramente trucidati alle 5.43 del 6 settembre 1930, dopo atroci torture e un processo farsa, basterebbe pronunciare, anzi gridare i loro nomi, Ferdinand Bidovec di anni 22, Franjo Marušič di anni 24, Zvonimir Miloš di anni 27 e Alojz Valencič di anni 34, unendo ad essi anche il nome dell’eroe croato istriano Vladimir Gortan, fucilato a Pola il 17 ottobre del 1929.
Quanto erano giovani e quanto erano coraggiosi. Avevano capito che era importante resistere, che a un certo punto giunge l’ora di agire. Quanto sarebbe stato più facile, allora, ma forse in tutte le epoche, essere invece spettatori piuttosto che attori. Questi giovani capirono invece prima degli altri che la vera etica è quella che impone di reagire perché l’attesa, ma soprattutto l’indifferenza, di fronte all’ingiustizia, sono già complicità. E oggi nella perdurante crisi antropologica, prima ancora che economica che stiamo vivendo, della quale i giovani sono le prime vittime non possiamo non trarre profonda ispirazione dall’età giovanissima di questi eroi. Dai giovani nasce la libertà e la giustizia. Erano giovani ma erano già dei giganti.
La solenne occasione di oggi è piccola cosa di fronte alla grandezza della loro epopea. Ma nondimeno è un’occasione importantissima per noi per rinnovare il significato universale di quanto seppero dimostrare con le loro gesta. Questi eroi sono un modello da non dimenticare. E mi sento profondamente onorato nell’avere l’opportunità di prendere parte a questa manifestazione in rappresentanza di tutta la comunità udinese.
Il Fascismo è infatti sempre in agguato, soprattutto in Italia. Come disse Gobetti all’indomani della marcia su Roma: “Questa non è una rivoluzione ma una rivelazione degli antiche mali d’Italia”. In ogni epoca c’è il rischio di una deriva fascista, di una deriva totalitaria. L’abbiamo visto anche in anni recentissimi in Italia e oggi in altri paesi della “civilissima” Europa. La deriva fascista è lenta, quasi impercettibile, si alimenta di consensi diffusi costruiti sui pregiudizi e sui luoghi comuni, fino a quando è troppo tardi, e perduti i diritti democratici si instaura la dittatura. E allora ci vuole una sanguinosa lotta di Liberazione per potersene liberare. Questa è l’unica grande lezione del XX secolo, il tragico secolo breve. Bisogna dunque resistere sempre e non stancarsi mai di condannare il fascismo stigmatizzandone i segnali deboli quando fanno “capolino”. Ma non basta essere consapevoli dei rischi del fascismo, bisogna vivere l’impegno antifascista quotidianamente anche quando sembra che il rischio sia lontano. Per questo motivo occasioni come questa, non sono mere cerimonie retoriche, ma sono invece occasioni molto significative anche sul piano etico e politico.
Ma questa giornata è molto importante anche sul piano storico, perché è l’occasione per sottolineare quanto forse è poco conosciuto, oppure viene dimenticato, o addirittura deliberatamente misconosciuto: la portata europea della resistenza antifascista slovena e croata a Trieste e Gorizia, sul Carso, in Istria e nel litorale.
Vi ringrazio anche personalmente per avermi dato l’opportunità oggi di rendermene pienamente conto, e di rendermi interprete di questo fatto che purtroppo è ancora troppo poco noto, e che andrebbe invece fatto conoscere di più anche nelle scuole: “quello che si diffuse nei territori sloveni a partire dagli anni venti fu la prima autentica forma in Europa di antifascismo come movimento diffuso in un popolo.”  Se si pensa a quale consapevolezza avesse, negli stessi anni, l’opinione pubblica, soprattutto italiana, esaltata dalla mistificazione e dalla propaganda fascista, si coglie pienamente la grandiosa portata ideale e profetica della comunità slovena. A parte alcuni settori dell’élite intellettuale antifascista e i membri del Partito Comunista, pochissimi in Italia seppero rendersi conto allora di quanto stava avvenendo. La piena consapevolezza nella popolazione italiana e il dissenso esplicito al fascismo arrivarono solamente dopo le prime sconfitte militari nella guerra imperialista dell’Italia a fianco della Germania, quindi quasi vent’anni dopo. In Italia un’autentica presa di coscienza dal basso, un convinto sentimento antifascista e lo slancio ideale resistenziale si diffusero in un movimento collettivo e in un bisogno di partecipazione attiva, sia di resistenza armata che di resistenza civile, solamente dal 1943in poi.  Solamente allora la popolazione italiana divenne ciò che mirabilmente espresse  Calamandrei e oggi è riportato sul monumento alla Resistenza a Udine: “Quando io considero questo misterioso e meraviglioso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica , ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come le rondini di un continente che lo stesso giorno s’accorgono che è giunta l’ora di mettersi in viaggio. Era giunta l’ora di resistere, era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini, per vivere da uomini.“
È decisivo sia sul piano etico che storico riconoscere oggi come i primi a prendere coscienza che in Italia si stava delineando un abominevole e barbaro mostro fascista fu proprio la popolazione di lingua slovena di Trieste e del goriziano, così barbaramente brutalizzata. Furono loro questi eroi i primi antifascisti d’Europa. A loroil merito e l’onore.  La loro è una grande lezione di civiltà e di libertà della quale tutti siamo debitori. Se solamente i cittadini italiani avessero guardato a questi loro concittadini sloveni quanto avrebbero saputo riconoscere prima i segnali di una tragedia che avrebbe di li a poco travolto tutti. Quanto dolore e quanta sofferenza e violenza contro innocenti si sarebbero potute evitare.
Va dunque ribadito “quant’era pien di sonno”, come direbbe Dante, la coscienza italiana in quegli anni, e va riconosciuta e condannata la violenza contro la popolazione slovena e croata che l’esercito fascista avrebbe ancora perpetrato nel ventennio successivo culminata con l’invasione della Slovenia stessa nel 1942, fino alla repressione e ai rastrellamenti di Lubiana e alla deportazione in massa dei dissidenti sloveni nei campi di concentramento italiani, come quello di Gonars.
Qui sul Carso e in Istria e nel litorale la grande anima slovena fu invece profetica della tragedia ma anche della Liberazione. Per cosa combattevano quei giovani se non per un futuro di dignità che non avevano mai potuto veramente conoscere, ma solamente immaginare con la forza dei loro ideali. Quale consapevolezza avevano questi ragazzi che furono i pionieri della Resistenza antifascista, come movimento di popolo, in Europa! Proprio la giovane età di questi eroi ci fa capire quanto fosse profonda e radicata nella comunità slovena questa consapevolezza di libertà e di giustizia.
Manifestazioni come questa sono anche importanti perché sono momenti nei quali bisogna ribadire e combattere il revisionismo storico che proprio a Basovizza assume un significato ancora più drammatico. La tragedia dei profughi italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, del dopoguerra, non deve essere sottovalutata e dimenticata, furono anch’essi vittime, vittime della tragedia della guerra imperialista nazifascista. Ma ricordare Basovizza, come purtroppo viene fatto, solamente per la sua Foiba, e non per questi eroi, è una mistificazione che non aiuta a capire la Storia e quindi a non ripetere gli errori e gli orrori. Accresce solamente i pregiudizi, gli stereotipi e offende la memoria di questi eroi. Va riconosciuto invece che la retorica delle foibe è stata inventata dalla propaganda nazista già nel 1943, paradossalmente addirittura prima che accadessero i fatti drammatici per i quali oggi è stata istituita la giornata del ricordo. È decisivo per costruire un’Europa di pace e convivenza che si riconoscano invece i crimini fascisti e ci si liberi dalle mistificazioni riconoscendo le tragedie senza fare una contabilità delle vittime e ricercare inqualificabili giustificazioni. Vanno dunque respinti e condannati tutti i tentativi di riscrivere la Storia. Le responsabilità non si cancelleranno mai. La forza oscurantista del revisionismo è sempre in agguato come dimostrano i numerosi (13) attentati anche contro questo monumento.
Concludo con tre brevi considerazioni. La prima è che il monumento più importante per una comunità è costituito dalla propria lingua, quella slovena qui. Non fu certo a caso se la violenza legalizzata fascista si abbatté con tanta ferocia proprio contro la lingua slovena. La lingua è cultura. Il bisogno di identità di una comunità e di un popolo si realizza attraverso le proprie narrazioni. Ed è proprio la lingua nella quale queste narrazioni sono espresse che diventa essa stessa la prima e autentica narrazione, “il mezzo stesso è messaggio” La lingua è narrazione di identità allo stato puro. Un appello quindi che come riscatto per questi martiri siano sempre più le occasioni per tutti i giovani di questi territori italiani e sloveni di poter imparare lo sloveno. Tutte le scuole dovrebbero insegnare lo sloveno, almeno in questa regione, molte di più dovrebbero diventare almeno bilingui.
L’importanza della Resistenza slovena è decisiva proprio per capire il senso della nuova cittadinanza Europa che dobbiamo costruire. I nazionalismi quando diventano fondamentalismi generano mostri. La Resistenza slovena in queste terre fa invece capire come possa esserci una difesa della propria identità che non è distruzione del diverso ma anzi è opportunità di confronto con il diverso. Il pluralismo è il più grande valore democratico da difendere oltre ad essere una grande opportunità. Si conosce se stessi anche per contrasto. L’idea di Europa nazifascista prevedeva un’omologazione totale e l’azzeramento delle differenze, l’Europa nata della Resistenza invece fa delle differenze il proprio fondamento: “unita nella differenza” è il suo motto. I nazionalismi sono un dramma quando diventano, come in recente movimenti politici anche in Italia, rifiuto e annientamento del diverso, le identità sono invece delle opportunità di arricchimento quando sono vissute con orgoglio e tolleranza come viene fatto qui. L’Europa per realizzarsi pienamente deve infatti abbandonare il concetto ottocentesco di stati-nazione. L’intera Europa va sentita come propria patria, la pluralità di lingue e culture va cementata dai comuni valori di democrazia e tolleranza.
Un ultima riflessione riguarda il dilemma vissuto così profondamente nella Resistenza slovena in queste terre: Resistenza legale oppure Resistenza clandestina e armata. Il XX secolo ha dimostrato che purtroppo quando la democrazia scompare, l’azione ancorché armata è inevitabile. E questo è un motivo in più per difendere quindi strenuamente la democrazia e i diritti delle minoranze. Siamo infatti tutti minoranza, membri di qualche minoranza. Se una minoranza viene delegittimata, in quanto tate, da un governo diventiamo tutti potenzialmente delle vittime. Per questi motivi, come giustamente viene ricordato qui a Basovizza, questi martiri hanno dato la loro vita anche per tutti noi indipendentemente dalla nostra lingua madre. La loro battaglia per il pieno riconoscimento dell’identità slovena è una battaglia che hanno condotto anche per la nostra identità, per l’Umanità, per la democrazia.
Grazie dunque Ferdinand, Franjo, Zvonimir e Alojz, per i vostro sacrifico, il nostro impegno antifascista e democratico e la difesa della cultura e lingua slovena sarà il vostro riscatto.
Come dice il poeta Miroslav Košuta:
E che mai non muoia il ricordo
Di un tempo che non deve fare ritorno
In da nikdar ne zamre spomin
Na čas, ki naj se ne povrne
Concludo facendo mia la frase eroica con la quale ha concluso la sua esistenza terrena il giovanissimo Ferdo Bidovec: Živela Jugoslavia –Smrt Fasizmu.
Viva la Resistenza dei popoli al fascismo, viva la verità, la libertà e la giustizia! Viva i diritti delle minoranze.

Koš - gerla

 Koš - gerla 
E' una cesta in legno, vimini o viburno intrecciati a forma di tronco di cono rovesciato, aperta in alto, usata per trasportare materiali vari; è munita di due cinghie, fettucce o spallacci di fusti di nocciolo per poter essere portata sulle spalle.
In latino si chiamava cista cibaria e veniva usata per il trasporto del cibo.
In Carnia si ha il zèi (pronuncia locale: gei) per il trasporto di fieno, legna, formaggio, letame,prodotti agricoli ecc. (nella prima guerra mondiale veniva usata per portare le munizioni). Assieme al zèi si usava il màmul o musse, una sorta di treppiede in legno su cui si poggiava la gerla per poterla caricare senza bisogno d'aiuto.
immagine dal mio archivio personale

                   NA RAMANAH

   Na ramanah so nosili sieno.
Na ramanah tou košu so nosili nuoj
   anu a zanašali v vilami.
Na ramanah so nosili derva

dal calendario 2014 del Centro  di Ricerche Culturali di Bardo-Lusevera

                SULLE SPALLE

Sulle spalle portavano il fieno.
Sulle spalle nella gerla portavano letame
lo spargevano con la forca.
Sulle spalle portavano la legna

25 mag 2020

ANCORA A DEBITA DISTANZA



In questo periodo – dagli inizi di marzo ad oggi – in cui non sono accaduti eventi, in realtà è accaduto e sta accadendo di tutto. Sta cambiando il mondo, stanno cambiando i nostri stili di vita, sta cambiando la nostra idea di futuro. Sarà poi che in questo periodo sono nati e proliferati come i funghi sul Planino i virologi, epidemiologi e mascherinologi di ogni specie, ma a volte sembra veramente di essere soppraffatti da informazioni che spesso informazioni nemmeno lo sono.
In tutto questo a noi, come comunità, forse dovrebbero interessare soprattutto due aspetti. Di uno se ne parla molto anche a livello nazionale. La scuola. La scuola in Italia è e rimarrà ancora per tanto una nota dolente, inutile girarci attorno. La pandemia sta però mettendo ancora di più in discussione il sistema scolastico italiano, con tutti gli annessi e connessi. Si può cominciare con il chiedersi se è (o meglio: era) davvero impossibile pensare a una ripresa delle lezioni in classe (o fuori dalla classe, nei cortili, nei prati, nei boschi, ovviamente ove questo sarebbe stato possibile) prima della fine dell’anno scolastico. Di certo quella che a fatica sta terminando atttaverso la didattica a distanza non è un’esperienza che si può definire ‘scuola’. Lo dice benissimo Angelo Floramo nell’intervista che pubblichiamo su questo numero.
Il secondo aspetto che più ci interessa, come comunità slovena, è quello del confine. Anche qui l’impressione è che, una volta tolti i blocchi di cemento dai valichi confinari, non tutto sarà come prima. Da una par- te abbiamo capito che quel confine che vorremmo sempre aperto può richiudersi anche da un momento all’altro, per motivi che certo non dipendono da noi. Dall’altro, anche su questo giornale abbiamo spesso registrato voci che parlavano di una grande occasione che non sempre è stata utilizzata al meglio. Quando torneremo a circolare liberamente, ricordiamoci anche di questo. (m.o.)

24 mag 2020

Cividale-Čedad



Cividale,Cividât in friulano, Čedad in sloveno è un comune del Friuli di 11.077 abitanti.Fu fondata da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii, da cui poi ha preso il nome tutta la regione, diventò il capoluogo longobardo del Friuli.

Cividale del Friuli sorge ai piedi dei colli del Friuli orientale sulle sponde del Natisone, a 17 km da Udine, sulla strada che collega la pianura friulana alla media e alta Valle dell'Isonzo , in territorio sloveno. Si estende su una superficie di 49,50 km², dall'altitudine minima di 97 metri alla massima di 508 metri.
La città, ai tempi dei romani, era chiamata Forum Iulii. La tradizione la indica come fondata da Giulio Cesare: «Forum Iulii ita dictum, quod Iulius Caesar negotiationis forum ibi statuerat». Il toponimo "Forum Iulii" potrebbe, invece, aver avuto origine dalla gens Iulia, che ha lasciato nella zona diverse altre testimonianze nei nomi attribuiti ai luoghi della regione. Tra il VII e l'VIII secolo venne chiamata Civitas Forum Iulii. Alla fine dell'VIII secolo Paolo Diacono la citava come Civitas vel Castrum Foroiulianum. Nel X secolo, essendo allocata nella parte orientale del regno di Lotario, cominciò a chiamarsi Civitas Austriae. Abbreviando il nome ufficiale, la popolazione la denominò Civitate(m), da cui discesero i nomi locali di SividàtZividàtCividàt e successivamente, intorno al XV secolo, prima in ambito letterario, quello di Cividale
La città, ai tempi dei romani, era chiamata Forum Iulii. La tradizione la indica come fondata da Giulio Cesare: «Forum Iulii ita dictum, quod Iulius Caesar negotiationis forum ibi statuerat». Il toponimo "Forum Iulii" potrebbe, invece, aver avuto origine dalla gens Iulia, che ha lasciato nella zona diverse altre testimonianze nei nomi attribuiti ai luoghi della regione. Tra il VII e l'VIII secolo venne chiamata Civitas Forum Iulii. Alla fine dell'VIII secolo Paolo Diacono la citava come Civitas vel Castrum Foroiulianum. Nel X secolo, essendo allocata nella parte orientale del regno di Lotario, cominciò a chiamarsi Civitas Austriae. Abbreviando il nome ufficiale, la popolazione la denominò Civitate(m), da cui discesero i nomi locali di SividàtZividàtCividàt e successivamente, intorno al XV secolo, prima in ambito letterario, quello di Cividale.
Epoca romana

La presenza umana nella zona dove oggi sorge Cividale risale a epoche piuttosto antiche, come attestato dalle stazioni preistoriche del Paleolitico e del Neolitico trovate appena fuori della città; ad esse si aggiungono abbondanti testimonianze dell'Età del Ferro e della presenza veneta e celtica risalenti sino al IV secolo a.C. La strategica posizione di questo primitivo insediamento indusse i Romani a stabilirvisi, fondando forse alla metà del II secolo a.C. un castrum, di ovvia natura militare, il quale fu in seguito elevato da Giulio Cesare a forum (mercato) e per tale motivo la località assunse il nome di "Forum Iulii" poi divenuto identificativo di tutta la regione. Successivamente la località fu elevata a municipium, venendo ascritta alla tribù romana Scaptia e assurse infine al rango di capitale della Regio X Venetia et Histria allorché Attila rase al suolo Aquileia nel V secolo

Epoca longobarda

Nel 568 giunsero dalla Pannonia i Longobardi, di origine scandinava, il cui re Alboino elesse subito la romana Forum Iulii a capitale del primo ducato longobardo in Italia e ponendovi duca il proprio nipote Gisulfo. Ribattezzata la propria capitale Civitas Austriae, ossia "Città dell'Austria" (da cui il nome moderno), i longobardi vi eressero edifici imponenti e prestigiosi e nei dintorni fondarono strutture fortificate assegnate alle fare, ossia le stirpi nobili di quel popolo germanico; nel 610 Cividale venne saccheggiata e incendiata dagli Avari, chiamati dal re longobardo Agilulfo (allora con sede a Milano) per punire la riottosità del duca "friulano" Gisulfo II. Nel 737, durante il regno di Liutprando e per sfuggire alle incursioni bizantine, il patriarca di Aquileia Callisto decise di trasferire qui la propria sede, così come già fece il vescovo di Zuglio che venne scacciato dallo stesso Callisto. La città ebbe così aumentato il suo ruolo anche grazie a quest'importante presenza ecclesiastica; già pochi decenni più tardi, nel 796, qui si tenne il concilio che riconfermò l'indissolubilità del matrimonio.
Il sacro Romano Impero e il Patriarcato di Aquileia

Nel 775 il Ducato del Friuli fu invaso dai Carolingi e i longobardi, col loro duca Rotgaudo in testa, impugnarono per l'ultima volta le armi fronteggiando l'arrivo dei Franchi. Sconfitti gli antichi dominatori, i Carolingi istituirono la marca orientale del Friuli, mantenendo come capitale Civitas Austriæ. Quest'ultima divenne sede di un'importante corte, soprattutto durante il marchesato di Eberardo che attirò uomini di cultura da tutt'Europa.
Il 25 maggio dell'anno 825 l'imperatore Lotario I promulga il capitolare di Corteolona che costituì le scuole imperiali, oltre a Pavia capitale del Regno d'Italia, anche Cividale ebbe la scuola pubblica di diritto, di retorica e arti liberali, ereditando la tradizione della scuola di diritto, fondata dall'imperatore romano Teodosio I; dalla sede di Cividale dipendevano tutti gli studenti della Marca del Friuli.
Dalle famiglie che ressero la marca ebbero i natali importanti uomini politici tra cui l'imperatore Berengario, figlio dello stesso Eberardo. Nel X secolo, ossia in epoca ottoniana, la marca friulana venne declassata a contea (o contado) e inserita dapprima nella marca di Verona e quindi in quella di Carinzia (quest'ultima facente dapprima parte del Ducato di Baviera per poi assurgere essa stessa a Ducato). La ricomposizione dei poteri a livello centroeuropeo e norditaliano lasciò un importante spazio ai patriarchi, i quali accrebbero i propri beni e il proprio potere sin dall'inizio del X secolo e nel 1077 divennero liberi feudatari del Sacro Romano Impero su un vasto territorio. Sorse così lo Stato patriarcale durato sino al 1419.
Cividale rimase comunque il massimo centro politico e commerciale di tutto il Friuli, rivaleggiando dal XIII secolo con Udine, la quale era in forte ascesa grazie a una più congeniale posizione geografica, tanto che il patriarca Bertoldo di Andechs-Merania nel 1238 vi trasferì la propria sede. La città vide sorgere monasteri e conventi, palazzi e torri, qui posero residenza le più importanti casate parlamentari del Friuli e ne fiorirono di altrettanto dignitose. nel 1331 Cividale rimane nelle cronache perché furono usate, per la prima volta, le prime armi da fuoco; le cronache parlano di combattimento "con gli sclopi" sul Ponte del Diavolo. Nel 1353 l'imperatore Carlo IV, dopo una sanguinosa vendetta operata da suo fratello il patriarca Nicola di Lussemburgo (1350-58) - e scatenata anche contro i cividalesi per punire l'assassinio del predecessore Bertrando - concedette a Cividale l'apertura dell'Università.
Nel 1301 un terremoto e una violenta grandinata colpirono Cividale ma non si segnalarono danni neppure al Duomo, che invece nel 1348 fu notevolmente rimaneggiato da una violenta scossa, le notizie sono molto scarne e trovano riscontro solo nel sito "storing.ingv.it". Nel 1364, probabilmente l'8 agosto, il Duomo subì ulteriori danni; in questo caso si conosce l'intensità della scossa, che fu di 4,83° scala Richter, ma non si sa se vi furono delle vittime. Il terremoto ebbe come epicentro Lombai nel comune di Grimacco e un'ulteriore conferma la troviamo sul portale dell'Abruzzo.
Le lotte intestine friulane, durante le quali Cividale era spesso alleata dei conti di Gorizia e dei nobili castellani contro Udine, trovarono via via una più serrata intensità sino a concludersi convulsamente nel 1419, quando Venezia si decise a invadere la regione. Cividale si diede per prima alla Serenissima, stipulando una solenne pace e una contestuale alleanza. Nei decenni successivi alcuni nobili progettarono di aprir le porte allo spodestato patriarca Ludovico di Teck, tornato nel 1431 alla testa di 4.000 ungari, ma il progetto fallì.

Le due guerre mondiali
Durante la Prima guerra mondiale, Cividale ospitò il comando della II Armata e rimase danneggiata da bombardamenti aerei; occupata dagli austro-tedeschi in seguito alla disfatta di Caporetto, la città venne riconquistata dagli italiani alla fine di ottobre 1918 dopo la vittoria sul Piave. Negli anni seguenti fu foriera di illustri personalità date al Fascismo. Nel corso della Seconda Guerra mondiale (1943) la città venne annessa con tutto il Friuli al III Reich e qui vennero anche dislocate truppe cosacche e calmucche alleate dei tedeschi.
Sul suo territorio si consumò non solo la guerra civile ma altresì un drammatico episodio di lotta tra partigiani osovani e garibaldini (comunisti e socialisti, agli ordini del IX Korpus jugoslavo): nel Bosco Romagno i Gappisti comunisti uccisero diversi combattenti Osovani (tra cui il fratello di PierPaolo Pasolini) precedentemente catturati alle malghe di Porzûs. Furono diversi gli episodi di scontro tra Osovani e Garibaldini filo-titini. Una situazione ambigua, poiché gli Jugoslavi non nascosero mai il loro desiderio di annettere i territori italiani fino al Tagliamento, in virtù di un'infondata convinzione che il Friuli fosse anticamente abitato da sloveni. Questo provocò una netta contrapposizione tra Osovani e Garibaldini.
Nel secondo dopoguerra, Cividale è stata la sede del comando e di alcuni reparti della Brigata meccanizzata "Isonzo", posta a difesa della frontiera orientale in caso di invasione da parte del patto di Varsavia, dove alcune componenti della Fanteria d'arresto custodivano diverse opere difensive, tra cui la Galleria di Purgessimo. La particolare posizione in tale contesto storico e geopolitico portò alla presenza in zona dell'Organizzazione Gladio, - articolazione nazionale della Stay Behind della NATO - a cui aderirono principalmente alpini ed ex alpini addestrati ad organizzare una resistenza armata sul territorio in caso di invasione sovietica. La Città e il territorio subirono alcuni danni nel terremoto del 1976, ma le ferite vennero presto rimarginate.
A Cividale del Friuli, accanto alla lingua italiana, la popolazione utilizza la lingua friulana. Ai sensi della Deliberazione n. 2680 del 3 agosto 2001 della Giunta della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, il Comune è inserito nell'ambito territoriale di tutela della lingua friulana ai fini della applicazione della legge 482/99, della legge regionale 15/96 e della legge regionale 29/2007.
La lingua friulana che si parla a Cividale del Friuli rientra fra le varianti appartenenti al friulano centro orientale .
Tradizioni e folclore
Cucina
La cucina cividalese è tipica della valle del Natisone e del Friuli orientale. Particolarmente importanti i vini, i formaggi e la pasticceria: la Gubana, un tipico dolce delle valli del Natisone, a base di pasta dolce lievitata con un ripieno di nociuvettapinolizucchero, scorza grattugiata di limone, dalla forma a spirale e cotto al forno, le gubanette, simili alla gubana ma più piccole, e gli strucchi, pasta dolce fritta o lessa ripiena con uvetta, pinoli, noci e nocciole.
Cividale è la città capofila del progetto Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568-774 d.C.), inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel giugno 2011 ed è membro associato del progetto europeo a guida italiana EUHeritage-TOUR; a Cividale fa parte del sito seriale l'area della Gastaldaga con il Tempietto longobardo e il Complesso episcopale, che include i resti del Palazzo patriarcale sottostanti al Museo archeologico nazionale.
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