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IVAN TRINKO padre della Benecia

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4 giu 2020

Lo stambecco

Tutto ciò che è oro non brilla,
non tutti quelli che vagano sono persi;
Il vecchio che è forte non appassisce, le
radici profonde non sono raggiunte dal gelo.

Dalle ceneri si accenderà un fuoco,
una luce dalle ombre sorgerà;
Rinnovata sarà la lama spezzata, di
nuovo il senza corona sarà re.


- JRR Tolkien, La compagnia dell'anello


Lo stambecco delle Alpi (Capra ibex L. 1758) è un mammifero dell'ordine degli Artiodattili, della famiglia dei Bovidi e della sottofamiglia dei Caprini, diffuso lungo l'Arco alpino.Lo stambecco è attualmente diffuso in tutto l'arco alpino, dalle Alpi Marittime a ovest sino alle Alpi di Carinzia e di Slovenia a est, ad altitudini comprese tra 500 e 3.000 m[. Sebbene il suo areale si sia notevolmente ampliato nel corso del XX secolo, la sua distribuzione è tuttora abbastanza frammentaria.

3 giu 2020

Lingue sotto il tetto d'Italia.- Le minoranze alloglotte : Lo sloveno




La comunità slovena in Italia

Il territorio d’insediamento della comunità slovena in Italia viene solitamente distinto in sei aree situate lungo la fascia confinaria della regione Friuli Venezia Giulia con la repubblica di Slovenia. Questa suddivisione è basata sulle differenti caratteristiche geografiche, linguistiche, storiche, socio-culturali, economiche e politico-amministrative di queste aree (Jagodic 2016: 45-49): in provincia di Udine 1) la Val Canale (Kanalska dolina, dove però vivono anche comunità tedesche e friulane), 2) la Val Resia (Rezija), 3) le alte Valli del Torre (Terske doline) e 4) le Valli del Natisone (Nadiške o Nediške doline), 5) la parte orientale della provincia di Gorizia (Goriška), 6) la provincia di Trieste (Tržaška). In ciascuna di queste aree si parla il corrispondente tipo dialettale (in Val Canale si parlano varietà di tipo carinziano/koroško), cui si affianca lo sloveno standard soprattutto nelle province di Gorizia e Trieste (Benacchio 2002; Benacchio 2011).
La consistenza numerica della comunità slovena ammonta a circa 61.000 unità secondo i dati del Ministero dell’Interno (1996), ma altre stime e indagini svolte nello stesso periodo presentano dati assai differenti (oscillando tra 46.000 e 96.000) a causa dei differenti criteri con cui sono state effettuate (Sussi 1998; Jagodic 2016: 47-48).
Nel corso dell’Ottocento si è verificato l’inurbamento a Gorizia e soprattutto a Trieste di molti sloveni dai rispettivi circondari, durante la fase di sviluppo industriale e commerciale di queste città, arricchendo così la presenza slovena locale e facendo sorgere un ceto borghese e imprenditoriale sloveno. La crisi economica del primo ’900 e poi la pressione del regime fascista spinsero molti sloveni della Venezia Giulia e della Slavia friulana ad emigrare all’estero, in Europa e in Sudamerica (Stranj 1992: 159-160; Kacin Wohinc - Pirjevec 1998: 41). A partire dagli anni Settanta molti sloveni – soprattutto quelli della provincia di Udine – si sono trasferiti verso altre aree della regione caratterizzate da intensa industrializzazione, come ad esempio la periferia di Udine e il cosiddetto “Triangolo della sedia” a Manzano e dintorni (Stranj 1999: 134).
continua qui ...
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/Toso4.html

Storia, sviluppo, snazionalizzazione e tutela

L’insediamento di Slavi alpini negli attuali territori slovenofoni in Italia iniziò alla fine del VI secolo (Bratož 2005; Benacchio 2011). Tale colonizzazione proseguì anche nei secoli successivi (IX-XII) e si estese più a occidente dell’attuale isoglossa slavo-romanza, creando vari insediamenti anche nel Canal del Ferro (corso inferiore del fiume Fella), nel Territorio di Monfalcone (Bisiacaria) e nella pianura friulana tra Gorizia e Pordenone; tali enclaves furono poi assimilate dalla maggioranza romanza, ma la toponomastica locale ne testimonia l’antica presenza (Finco 2005).

Contea di Tribil Superiore: Senjam beneške piesmi - Un anno dopo, i video più ...



Canzoni della Benečija dell'anno scorso
Contea di Tribil Superiore: Senjam beneške piesmi - Un anno dopo, i video più ...: A distanza di un anno dal Senjam beneške piesmi 2019, riproponiamo la classifica dei video più visti su Youtube. 1° 2° 3° ...

IL PLURILINGUISMO

L'IMPORTANZA DI STUDIARE LE LINGUE STRANIERE

Ci sono circa 225 lingue indigene in Europa – il 3% delle lingue mondiali. La maggior parte di esse è di origine indoeuropea, inoltre con l’arrivo di immigrati e rifugiati essa ha accresciuto il suo multilinguismo. Nella sola Londra si parlano 300 lingue.
Secondo un sondaggio europeo “Gli europei e le loro lingue”  il 56% dei cittadini europei (Ue a 25 membri) parla una lingua diversa dalla propria lingua madre, il 28% padroneggia due lingue straniere, il 38% sa l’inglese, il 14% sa il francese o il tedesco.
Il tipico europeo che parla più lingue è uno studente, un manager o è nato in un paese la cui lingua è diversa da quella dei genitori.
La Ue propugna una politica multilinguistica, sia nei suoi lavori istituzionali, sia come scopo per i suoi cittadini.
La UE si è prefissata come obiettivo quello di far imparare ai bambini almeno due lingue in giovane età. Il multilinguismo in Europa è legato alla mobilità dei lavoratori e all’economia.
L’Ue investe più di 30 milioni di euro all’anno per promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica .

Con tutte queste premesse ,secondo me, le regioni nelle quali si trovino minoranze linguistiche dovrebbero promuovere l'insegnamento delle lingue minoritarie nelle scuole sin dalla sc. primaria.
 

2 giu 2020

Spigolature storiche sulle chiese della Slavia (Platischis-Plestišče)

Ljetos te kličem " O žena"

Kam tuo puojde,
kam tuò grè
naše to lanskinje vesejè?
-"Lan' si po sejmah drinkala.
ljetos boš zibiel'co zìbala."
-Lan' si me obječu beli grad,
ljetos me njemaš še kam pejat."
-"Lan' sem te klicu : "pojdi pit,"
"ljetos te kličem: "poj dojit."
-"Muoji ti lanskinji trakčiči
 so ratali pouojčiči."
-"Lan" sem te klicu : "o čečica,"ljetos te kličem:"o ženica."

Stara Plestiška

traduzione

Quest'anno ti chiamo "oh moglie"

Come si cambia,dove è andata la nostra felicità dello scorso anno?
L'anno scorso brindavi alle sagre,quest'anno invece cullerai .
-L'anno scorso mi hai promesso un castello bianco,quest'anno invece non sai dove portarmi.-
-L'anno scorso ti dicevo di venir a bere ,quest'anno invece di andare ad allattare-.
-I miei nastri dello scorso anno sono diventati fasce per il bambino -
-L'anno scorso ti chiamavo - ragazza-quest'anno invece -mogliettina-

dal Trinkov koledar del 1956 (archivio personale)
foto degli ani 50'
dal Dom

.http://www.dom.it/spigolature-storiche-sulle-chiese-della-slavia-7/

Punteggiature in Val Resia/Rezija



La Val Resia è una delle valli alpine del Friuli più defilate e meno conosciute, che custodisce un patrimonio storico, linguistico e culturale assolutamente unico. Le sue montagne selvagge e i suoi paesaggi sono il cuore pulsante di scenografie di grande impatto emotivo.
Nuova versione aggiornata, riveduta e corretta del video precedentemente pubblicato con il titolo di: "Incantesimi delle terre friulane: Rosajanska Vas - Val Resia."
Cortometraggio realizzato da Fabrizio Zanfagnini.

1 giu 2020

2 giugno festa della Repubblica



Prima pagina del quotidiano Corriere della Sera, edizione del 6 giugno 1946, che dichiarava la vittoria del voto repubblicano a seguito della proclamazione dei risultati del referendum istituzionale del 2 e 3 giugno



La nascita della Repubblica Italiana avvenne a seguito dei risultati del referendum istituzionale di domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di stato da dare all'Italia dopo la seconda guerra mondiale.
Per la prima volta in una consultazione politica nazionale votavano anche le donne: risultarono votanti circa 13 milioni di donne e circa 12 milioni di uomini, pari complessivamente all'89,08% degli allora 28 005 449 aventi diritto al voto.
I risultati furono proclamati dalla Corte di cassazione il 10 giugno 1946: 12 717 923 cittadini favorevoli alla repubblica e 10 719 284 cittadini favorevoli alla monarchia[1]. Il giorno successivo tutta la stampa dette ampio risalto alla notizia.
La notte fra il 12 e 13 giugno, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, prendendo atto del risultato, assunse le funzioni di capo provvisorio dello Stato. L'ex re Umberto II lasciò volontariamente il paese il 13 giugno 1946, diretto a Cascais, nel sud del Portogallo, senza nemmeno attendere la definizione dei risultati e la pronuncia sui ricorsi, che saranno respinti dalla Corte di Cassazione il 18 giugno 1946; lo stesso giorno la Corte integrò i dati delle sezioni mancanti, dando ai risultati il crisma della definitività.
I sostenitori della causa monarchica hanno lamentato azioni di disturbo e brogli elettorali nella consultazione popolare.[2]
Subito dopo il referendum non mancarono scontri provocati dai sostenitori della monarchia, durante i quali si verificarono alcune vittime, come ad esempio a Napoli, in via Medina[3][4].
Il 2 giugno 1946, insieme con la scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova carta costituzionale[5]. Alla sua prima seduta, il 28 giugno 1946, l'Assemblea Costituente elesse a capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, con 396 voti su 501, al primo scrutinio.
Con l'entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica Italiana, il 1º gennaio 1948, De Nicola assunse per primo le funzioni di presidente della Repubblica. Si trattò di un passaggio di grande importanza per la storia dell'Italia contemporanea dopo il ventennio fascista, il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale e un periodo della storia nazionale assai ricco di eventi. Nello stesso anno, nel mese di maggio, fu poi eletto presidente della Repubblica Luigi Einaudi, primo a completare regolarmente il previsto mandato di sette anni.https://it.wikipedia.org/wiki/Nascita_della_Repubblica_Italiana

Raccontami una favola... della Val Resia

Continuano le iniziative della Biblioteca Comunale di Resia, in collaborazione con lo sportello linguistico



In seguito al grande successo di 'Ascoltare un libro' promossa dalla Biblioteca Comunale di Resia, con il prezioso lavoro di Gianluca Da Lio, lo Sportello Linguistico al Cittadino si è attivato per un’iniziativa simile.
Questa volta, però, largo spazio alle tradizioni orali della Val Resia: è stato, infatti, aperto un nuovo gruppo Whatsapp, attraverso il quale è possibile ascoltare ogni settimana diverse favole del patrimonio orale della valle in lingua originale, ovvero in resiano. L’iniziativa è promossa dallo Sportello Linguistico al Cittadino della Val Resia in collaborazione con la Biblioteca Comunale.
Diverse e varie saranno le voci che si alterneranno nei racconti: uno degli intenti è sicuramente quello di valorizzare le diverse varianti dell’idioma locale che sottolineano l’appartenenza a una frazione piuttosto che a un’altra, oltre alla volontà di stimolare le persone a parlare in resiano.
Per partecipare è necessario iscriversi. Si può contattare la Biblioteca Comunale tramite telefonata allo 0433-53554, oppure inviando un’e-mail a biblio_museo@libero.it.
La Biblioteca Comunale è attiva e disponibile per informazioni negli orari: lunedì 9-12, martedì 14-18, mercoledì e giovedì 9-12 e 14-17, venerdì 9-12 e 14-18.

DI GENTI, LUOGHI, ACQUE E DELLE ORIGINI DELLA PENTECOSTE IN FRIULI Seconda Parte

Ben ritrovate e ritrovati, amiche ed amici del Contastorie, e “buine Pasche di Maj” ovvero buona Pentecoste.
Prima di riprendere il nostro viaggio, il Contastorie Vi dedica un video musicale, che Vi invita a guardare ed ascoltare, con uno dei maggiori successi di un menestrello e cantastorie contemporaneo, Angelo Branduardi in “Ballo in Fa Diesis Minore”:
https://youtu.be/uwAOZaAfUughttps://youtu.be/uwAOZaAfUug
Vi starete chiedendo quale attinenza abbia questo brano musicale di Branduardi con la Pentecoste e con la Pasche di Maj friulana, vero?
Bene: nelle prossime due tappe fra oggi e domani, scopriremo che questa può essere considerata la colonna sonora della Pentecoste in Friuli e non solo... e, se avrete pazienza, Vi farò ascoltare la sua versione più antica ed una friulano-russa.
Intanto, parliamo della Pentecoste e del senso della sua festività nel cristianesimo intero, perché viene celebrata da tutte le chiese cristiane (cattoliche, ortodosse, protestanti, copte, armene, vetero-cattoliche e così via).
La parola viene dal greco πεντήκοστος ημέρα (pentecostos emera - cinquantesimo giorno) a significare il 50° giorno dopo la Pasqua di resurrezione di Gesù Cristo, quando – come narrano gli Atti degli Apostoli – lo Spirito di Dio sotto forma di lingue di fuoco scese sui dodici Apostoli riuniti con Maria, madre di Gesù, nel cenacolo della casa di Maria, madre di Johannes Marcus, Marco, san Marco l’Evangelista.
È la nascita della Chiesa cristiana perché la discesa dello Spirito ha dotato Pietro ed i suoi del dono della glossolalia, ovvero il dono di parlare e venir compresi da persone che parlano diverse lingue, permettendo loro di attuare l’invito del Messia – come riportato nel vangelo di Marco: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura… E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni e parleranno lingue nuove…”.
Ma prima di divenire l’evento fondante di tutta la Chiesa cristiana, la Pentecoste esisteva già ed era la festa più importante della religione ebraica, soprattutto per le comunità rurali che vivevano nelle campagne e comunque erano estranee alle caste cittadine di sacerdoti e scribi (Farisei e Sadducei), dominanti e colluse con il potere: per esempio i Galilei, i Samaritani, gli Esseni, i Terapeuti e così via.
Ed era la "festa della mietitura e delle primizie", una sorta di rito di ringraziamento e di propiziazione per la fertilità della terra e la fecondità degli armenti.
Cadeva (e cade tuttora) il 50° giorno dopo la Pesah – la Pasqua ebraica, che come abbiamo già visto significa “passaggio” a ricordo della salvezza di Mosè e del popolo ebraico inseguiti dagli Egizi con il miracoloso passaggio attraverso il Mar Rosso, quando – alla vista dell’esercito del faraone inghiottito dalle acque – la profetessa Myriam prese in mano un tamburello e guidò le donne d’Israele in una danza di ringraziamento, salmodiando in due cori di donne e uomini: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere”.
Poi, lasciato l’accampamento sulle rive del mar Rosso, Mosè condusse il popolo verso il deserto: ma la mancanza d’acqua provocò le lamentale degli Israeliti, che si rivoltarono contro il profeta.
Allora, su indicazione del Signore, Mosè prese un legno, lo immerse nell’acqua amara e questa si fece dolce.
E, a quel punto, Dio propose a Israele un patto: “Se tu ascolterai la mia voce, io non farò cadere su di te alcuna delle malattie con cui ho colpito l’Egitto, poiché io sono il Signore, Colui che guarisce” (in greco “terapeuta”, in ebraico “esseno”, in aramaico “asìn”).
Così, nel tempo, per la religione ebraica il giorno di Pentecoste e della festa delle primizie è divenuto il giorno della festa del Patto fra Dio e Israele, il “Berit” in ebraico, continuando a mantenere per le comunità rurali galilee, samaritane, essene, terapeutiche (da cui discendevano le famiglie di Gesù di Nazareth e dei suoi discepoli) il ruolo di festa più importante al termine di un periodo liturgico di cinquanta giorni che iniziava con la Pasqua e terminava con la Pentecoste, appunto.
La predicazione di Gesù e quella degli apostoli fece breccia in queste comunità e nei territori limitrofi, arrivando in breve ad Alessandria d’Egitto, dove c’era una folto numero di ebrei dissidenti e colà esulati.
Alessandria, al tempo (siamo nel I° secolo d.C.), era la capitale economica del Mediterraneo con quasi un milione di abitanti ed era un centro culturale di grande importanza, caratterizzato dalla convergenza e dalla fusione di elementi religiosi ebraici (ed in questo periodo “giudaico-cristiani”) e di elementi filosofici greci (in questo periodo “ellenistici”).
Inoltre, il porto alessandrino era il riferimento a sud per gli scambi con il nord del mondo di allora, nord dove c’era – come già abbiamo visto – il porto della nostra Aquileia…e fra le due metropoli si istaurarono – inevitabilmente – relazioni culturali, artistiche, religiose, soprattutto in merito al nuovo messaggio di Cristo, portatovi dal “terapeuta danzante” Marco l’Evangelista e dai suoi accoliti.
Adesso il Contastorie vi porta a fare un salto nel tempo e nello spazio, passando dal I secolo d.C. e dal Medio Oriente al XVII secolo d.C. ed al Friuli: esattamente alla Pentecoste del 1624 ed a Palazzolo dello Stella.
È il 10 giugno 1624 quando il nuovo vicario curato di Palazzolo dello Stella invia al Tribunale del Sant’Uffizio una lettera per denunciare un “insano” e “falso” comportamento di alcuni fedeli (donne e uomini) della locale pieve.
Per agevolare la lettura e la comprensione di tutti, ho sintetizzato e traslato in lingua italiana contemporanea il testo del prevosto, scritto nell’italiano “volgare” del tempo. Eccolo qui sotto:
“Si denuncia al Sant’Uffizio che certe donne e uomini di Palazzolo, contro ai riti di Santa Romana Chiesa e della vera e sana religione, per ottener la pioggia dal cielo sono andati nella notte di Pentecoste in processione lustrando il paese e la campagna, ballando e cantando a due cori una canzone che comincia con <Schiarazula Marazula a marito io me ne vò, siccome son donzella che piova questa sera>. E avendo rubato a tre signori del paese gli aratri, li portavano in tre luoghi d’acqua immergendoli nelle acque, dicendo che è il sicuro rimedio per far venir la pioggia…”
Continua, poi, il prevosto spiegando che questo rito è d’uso comune e tramandato nel territorio, sottolineando che i suoi predecessori non lo hanno mai vietato, e che la “leader” del gruppo era una certa Maria Alessandrina, “vedova impudica”.
Questo testo del 1624 contiene parole ed indicazioni molto interessanti per capire l’origine della Pasche di Maj ed i motivi per cui in queste tappe il Contastorie si è allungato nel parlare di ebrei, greci e alessandrini.
In particolare, la processione con musiche, canti e danze a due cori dal titolo “Schiarazula Marazula”; la lustrazione (o aspersione o benedizione) della terra; l’immersione dell’aratro (allora in legno) nell’acqua (che richiama il gesto di Mosè prima citato) e, infine, il nome della capo-coreuta della processione pentecostale eretica: Maria Alessandrina.
Partiamo dal titolo della canzone: Schiarazula Marazula.
E così facciamo assieme un salto indietro nel tempo di circa 50 anni, restando sempre in Friuli: è il 1578 quando Giorgio Mainerio, parmense di origini scozzesi e maestro di cappella della Basilica di Aquileia (intellettuale irrequieto e autore importante nella storia della musica strumentale e della danza), pubblica “Il Primo Libro de Balli”, la prima antologia europea di balli regionali, in cui ci sono pure alcune testimonianze friulane: e fra queste vi è lo spartito (privo di testo) di un brano intitolato “Schiarazzola Marazzola”!
E qui approfitto per farvi ascoltare il brano secondo l’originale del Mainerio, su cui Branduardi ha composto il testo di uno dei suoi successi: https://youtu.be/mC3uHa4iX3I
https://youtu.be/mC3uHa4iX3I
Ma cosa significano, a cosa si riferiscono Schiarazula Marazula?
Per Schiarazula, si potrebbe ipotizzare una somiglianza al termine con cui in friulano vengono definite le raganelle (scraçulis) adoperate in particolare durante il triduo pasquale quando le campane tacevano.
Ma Marazula?
Un grande ricercatore e musicologo friulano, Gilberto Pressacco, ha scoperto la reale etimologia delle due parole: greca!
Perché Schiarazula viene dal greco χάραξ (charax – canna) e Marazula dal greco μάραθων (marathon – finocchio) ovvero la canna ed il finocchio, due piante molto diffuse nelle zone lacustri, fluviali e di risorgiva del Friuli, considerate apotropaiche (che tengono lontano il male) tanto che anche i mitici “Benandants” friulani le adoperavano nelle loro battaglie notturne.
Per chi non sa chi fossero, i Benandants erano uomini e donne nati con il cencio amniotico (ancora oggi si dice in friulano “nassût cun la cjamêse” ed in italiano “nato con la camicia” per indicare persona fortunata e porta-fortuna), processati e condannati dal Tribunale dell’Inquisizione di Santa Romana Chiesa fra il XVI ed il XVIII secolo (l’ultimo, di Santa Maria la Longa, alla fine del 1700) perché, in virtù della loro nascita, sostenevano di uscire in puro spirito nelle notti delle Quattro Tempora a combattere con demoni e streghe per mettere in salvo il raccolto della campagna, brandendo canna e finocchio, per l’appunto.
Fermandoci qui in questa tappa e preannunciando che domani parleremo del canto a due cori, della lustrazione (o aspersione o benedizione) della terra con l’issopo, dell’immersione dell’aratro (allora in legno) nell’acqua e trovando le origini di questi gesti rituali nel mondo ebraico-ellenistico alessandrino e incredibili coincidenze con riti dei cristiani copti dell’attuale Etiopia,
salutandoVi, il Contastorie Vi lascia con un’ultima versione di Schiarazula Marazula, eseguita dai musicisti russi dell’ensemble di musica antica “Drolls” sul testo scritto nel secolo scorso dall’indimenticabile pre’ Domenico Zannier:
https://youtu.be/Wq8fF4rDGow
https://youtu.be/Wq8fF4rDGow

DI GENTI, LUOGHI, ACQUE E DELLE ORIGINI DELLA PENTECOSTE IN FRIULI - Prima Parte



Continuiamo, dunque, questo viaggio nei tempi e nei luoghi del nostro Friuli, del Patriarcato di Aquileia e di quella che fu la Patria del Friuli.
Nelle ultime tre tappe abbiamo visto assieme la “rivoluzione” apportata dall’Impero Romano alle vie ed alle modalità di comunicazione fra la fine del I° millennio avanti Cristo e l’inizio del I° millennio dopo Cristo con la conseguente trasformazione del tessuto sociale-ambientale-urbanistico: rivoluzione e trasformazione che, per il territorio del nostro Friuli, hanno significato un’ulteriore implementazione del proprio ruolo strategico di crocevia di popoli, etnie, culture, modi di vedere, di pensare e di fare.
Un miscuglio eterogeneo ed un crogiuolo di razze, religioni, gruppi e individui molto diversi e diversificati tra loro: quello che oggi, all’inglese, viene chiamato “melting pot” (tradotto letteralmente in italiano: pentola di fusione).
Ovvero una pentola che avrebbe potuto esplodere o fondersi se non fosse stata messa su fuochi opportuni e gestita da chefs (capi come si dice in lingua francese, o capi-cuoco come si dice in inglese) capaci di comprendere e valorizzare le opportunità garantite da una simile situazione “biologica”.
Qualcuno si chiederà cosa c’entra la biologia in una questione sociale ed economica, vero?
La biologia c’entra perché la crescita della civiltà umana e della sua economia (nel senso etimologico del termine = saggia amministrazione del proprio luogo di vita) corrispondono esattamente a quelli che sono i processi biologici di crescita nell’ambiente naturale con l’incontro, la sovrapposizione, lo scontro e l’incrocio di elementi diversi e contradditori fra loro.
E con questo il Contastorie intende affermare che la civiltà europea è nata proprio nel “melting pot” di Aquileia e del Friuli fra la fine del I° millennio avanti Cristo e l’inizio del I° millennio dopo Cristo dove si sono incontrati, sovrapposti, scontrati ed incrociati i popoli di quel periodo (in particolare celti, ebrei, greci, alessandrini e latini, oltre a etnie protoslave e protogermaniche), i quali - grazie al messaggio cristiano di san Marco sulla salvezza universale - hanno identificato e realizzato una modalità di convivenza e di rispetto reciproco, base fondante di quello che avrebbe dovuto essere il Sacro Romano Impero nella vision di Carlo Magno e che sarebbe dovuta diventare l’Unione Europea secondo il disegno dei suoi padri fondatori…
E questo sarà un po’ il file rouge nella continuazione del nostro viaggio.
Ho voluto fare questa digressione (una sorta di sosta fuori dall’itinerario di un viaggio) sul ruolo storico di crocevia etnico e sulla funzione indiscutibile di crogiuolo civile svolto dalla terra friulana, perché da decenni sento parlare di questa terra come terra “ponte” fra l’Italia e l’Europa o come terra di “confine”, nell’accezione negativa che quest’ultima parola ha assunto nel lessico italiano contemporaneo (muro, steccato, divisione, conflitto, etc.).
Ora, parafrasando una canzone di Francesco De Gregori, su un ponte “non ci si ferma neanche per pisciare”, mentre in questa terra si sono fermati “tutti”; un confine, poi, normalmente non permette di entrare mentre in questa terra sono entrati “tutti”.
Un tanto per affermare che questa terra è ancora, o può – se vuole – essere ancora, crocevia e crogiuolo, riappropriandosi del ruolo che la natura e le genti le hanno assegnato nella storia…
E, pensate, proprio la parola confine conferma questo: la sua etimologia viene dal tardo latino “cum finis” (condividere un limite) utilizzato durante l’alto medioevo nei contratti agrari per segnare i limiti delle proprietà e specificare i reciproci doveri-diritti di condivisione del “confine” e del suo mantenimento.
Quindi, confine non significa divisione, bensì con-divisione…
Queste cose, prima dei libri e degli studi, me le aveva insegnate mio nonno Juchìn, il contadino che nella sua “braida” (podere) condivideva i confini con altri tre contadini (Zèf – Giuseppe, Jàcun – Giacomo e Tita – Giovanni Battista): a turno li curavano falciando l’erba, potando gli alberi, pulendo il greto della roggia e così via, poi alla sera e nel giorno di festa si trovavano assieme per bere un bicchiere in compagnia suonando e cantando in una “frasca” o in osteria con la gente del paese o forestiera.
E l’origine alto-medievale di questo termine giuridico e del suo significato testimoniano, se possibile, che il Medioevo non è stato proprio il periodo dei “secoli bui”, come ancora la storiografia italiana scrive nei propri libri, in particolare quelli dedicati alla scuola primaria e secondaria!
In effetti, questo significato di “condivisione” del termine confine è esistito nel lessico fino al XVIII secolo.
I secoli successivi, compreso quello che stiamo vivendo, forse sono veramente i “secoli bui” della civiltà, dove e quando – a modesto parere di un Contastorie – la saggezza e la condivisione hanno lasciato il campo alla follia ed alla speculazione con tutti gli “ismi” di questo mondo (illuminismi, razionalismi, nazionalismi, positivismi, ideologismi, capitalismi tanto per essere sintetico) deprivando la nostra civiltà dei concetti e delle pratiche del sacro e del mistero, utilizzando la natura e l’ambiente con modalità insensate ed autoreferenziali, modificando l’economia e l’impresa da metodi di costruzione in strumenti di distruzione, omologando massivamente comportamenti e desideri (addirittura per “legge”), trasformando la quotidianità in una vera e propria catena di montaggio uniforme e asettica, espellendo i corpi non produttivi (in primis i vecchi) in luoghi di detenzione coatta e di appropriazione “indebita” dell’altrui vita.
Altro che Medioevo!!!
Riflessioni personali – e spero, care amiche e cari amici del Contastorie, concorderete - che la pandemia di questo 2020 sta evidenziando nella loro cruda veridicità…
Ma torniamo, ora, al nostro viaggio ed a questa tappa.
Abbiamo già parlato in modo diffuso della presenza dei Celti e dei Latini nel periodo del fulgore della metropoli aquileiese, del suo porto e dei suoi mercati, solo accennando alla presenza di altre etnie, in particolare a quelle ebraiche, alessandrine ed elleniche.
E abbiamo già visto come la presenza delle acque marittime, fluviali, risorgive e lacustri – oltre a svolgere una funzione cruciale per le comunicazioni e gli scambi del tempo – detenessero un significato altrettanto cruciale per la religiosità e la ritualità celtica, quale luogo dell’incontro del mortale con l’immortale.
Tant’è vero che gran parte dei fiumi, torrenti e corsi del territorio (Timavo, Isonzo, Natisone, Torre, Cormòr, Tagliamento, etc.) derivano i loro nomi da etimi celtici.
Vogliamo ora dedicare qualche parola alla presenza ebraica e greca ed ai loro retaggi nella cultura friulana, sia a livello toponomastico sia a livello lessicale che patronimico, anche in funzione del fatto che ci stiamo approssimando alla Pentecoste.
Vi chiederete, giustamente: ma cosa c’entra la Pentecoste con la presenza ebraica e greca in Friuli?
Bene, con un po’ di pazienza cercherò di spiegarlo, partendo da dettagli a prima vista insignificanti o addirittura desueti per arrivare a capire perché la Pentecoste in Friulano si chiama “Pasche di Maj” (Pasqua di Maggio), perché i germanici vengono nelle “Terre di Aquileia” ovvero in Friuli a festeggiare la Pentecoste (i giovani, in particolare, festeggiando in modo orgiastico…), e così via.
Iniziamo dai retaggi greci nella cultura friulana.
Al di là delle iscrizioni e delle lapidi che tuttora vengono rinvenute sul territorio, al di là delle citazioni degli storici greci dell’epoca in riferimento ad Aquileia ed alle sue terre, ci sono dei frammenti greci nel lessico friulano che viene adoperato quotidianamente da centinaia di migliaia di persone.
Per esempio: sapete come si traduce l’italiano papà in friulano?
Si traduce con “pai”, derivato per contrazione dal greco παιδαγωγός (paidagogòs) ovvero educatore, colui che insegna la vita, ruolo che è stato per millenni delegato all’uomo nella civiltà friulana mentre alla donna era delegata l’amministrazione (l’economia) della famiglia.
Sapete come si dice (o si diceva) inferno in friulano?
“Boboròs”: quando ero bambino, per rimproverarmi o ammonirmi mia madre mi diceva “stâ in vuaita che tu vâs tal boboròs” (stai attento che vai all’inferno). E nel V secolo a.C. Socrate (il padre della filosofia greca), nel Fedone, rispondendo a chi gli chiedeva se temesse o meno la morte, così descriveva il luogo che lo aspettava: “nel regno dei morti ci sono due luoghi, i Campi Elisi dei beati da un lato e il “borboros” (βόρβορως) ovvero gli inferi, dall’altro”.
Sapete come si dice (o si diceva) umido, ruscello in friulano?
“Patòc” e “potòc” dal greco ποταμώς (potamòs) ovvero acqua, fiume… Tra l’altro, il cognome Potocco è diffuso principalmente in Friuli, con oltre 50 famiglie che portano tale patronimico (soprattutto nella zona del manzanese) e la sua presenza in altri territori deriva da emigrazione friulana.
Poca cosa? Beh, nelle prossime due tappe vedremo altri retaggi ellenici nella cultura e nella lingua friulane, legati particolarmente alla Pentecoste ed ai suoi riti locali.
Veniamo, ora, a quelli ebraici, anche prescindendo dalle lapidi e dalle iscrizioni archeologiche, che riempiono il Museo Paleocristiano di Aquileia, la cui sede di trova sulle fondamenta della sinagoga ebraica aquileiese edificata probabilmente nel III secolo a.C.
E qui partiamo dalla patronimica, lasciando a margine la diffusione in Friuli di cognomi derivanti dai nomi di profeti biblici (pensiamo solo a Iop, Ioppi, Jop, Job, etc.), concentrandoci sul patronimico Tam, presente praticamente solo in Friuli (oltre 100 famiglie) e derivante da una parola ebraica che significa sorgente.
Passiamo ora alla toponomastica con il nome di paesi, borghi e località friulani chiamati Osoppo (per esempio a est di Gemona, fra Latisana e Palazzolo dello Stella, vicino a Martignacco, presso Bertiolo): in friulano Osôf, che è il termine adoperato dagli ebrei per chiamare una pianta aromatica e terapeutica: l’issopo (in friulano "issov").
Ed, infine, arriviamo alla zona delle Prealpi friulane a est del Tagliamento, nella zona montano dei borghi di Pinzano – Forgaria – Clauzetto – Anduins – Vito d’Asio…
Sapete come sono chiamati gli abitanti di questa zona?
Avete presente la villotta friulana che inizia “Sul puint di Bràuilins al’ê passât un Asîn” (Sul ponte di Bràulins è passato un Asìno) che molti pensano parli di un àsino?
In realtà parla di un abitante di questa zona, la Val d’Arzìno, i cui abitanti sono chiamati Asîns.
E Asîn nell’antico aramaico – la lingua parlata in Palestina al tempo di Cristo – significava guaritore, terapeuta e faceva riferimento in particolare ad una setta giudaico-cristiana chiamata in ebraico “Esseni” ed in greco “Terapeuti” di cui abbiamo già parlato in precedenza e riparleremo nelle prossime tappe.
Ci fermiamo qui, stasera, per riprendere domani il viaggio con la scoperta del nesso fra queste parole e questi etimi, la Pentecoste e la storia del Friuli, nonché con qualche accenno ai retaggi alessandrini nella cultura friulana.

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