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IVAN TRINKO padre della Benecia

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1 nov 2022

Campo di concentramento fascista di Gonars


 Il campo di concentramento di Gonars è stato un campo di concentramento realizzato dal regime fascista nell'autunno del 1941 presso Gonars, in provincia di Udine, e utilizzato per internare i civili rastrellati nei territori occupati dall'esercito italiano nell'allora Jugoslavia.

Storia

La costruzione

Il campo era stato costruito nell'autunno del 1941 in previsione dell'arrivo di prigionieri di guerra russi, ma non fu mai utilizzato per questo scopo. Nella primavera del 1942 invece fu destinato all'internamento dei civili all'interno della “Provincia di Lubiana”, rastrellati dall'esercito italiano in applicazione della Circolare 3C del generale Roatta, comandante della 2ª Armata, nella quale si stabilivano le misure repressive da attuare nei territori occupati e annessi dall'Italia.

Primo utilizzo: la repressione degli oppositori

Le due massime autorità civili e militari della Provincia di Lubiana, l'Alto Commissario Emilio Grazioli e il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'armata, attuarono le misure repressive: così ci furono fucilazioni di ostaggi, incendi di villaggi e deportazioni di popolazioni intere. Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1942 la città di Lubiana fu circondata interamente da filo spinato, tutti i maschi adulti furono arrestati, sottoposti a controlli e la gran parte di essi destinati all'internamento. In breve anche le altre città della "provincia" subirono la stessa sorte.

Arrivo al campo, 1942. Campo di concentramento di Gonars

Gli arrestati furono portati nel campo di concentramento di Gonars, dove nell'estate del 1942 erano presenti già più di 6000 internati, ben oltre le possibilità ricettive del campo, che era allestito per meno di 3000 persone. A causa del sovraffollamento, delle precarie condizioni igieniche e della cattiva alimentazione, ben presto si diffusero varie malattie, come la dissenteria, che cominciarono a mietere le prime vittime.

In questo primo periodo nel campo si trovarono concentrati intellettuali, insegnanti, studenti, operai e artigiani; quindi tutti coloro che erano considerati potenziali oppositori e tra essi c'erano anche molti artisti che alla detenzione nel campo hanno dedicato molte delle loro opere. Sotto pseudonimo erano internati anche esponenti del Fronte di Liberazione sloveno, che sarebbero poi diventati dirigenti della Resistenza jugoslava. Alcuni di essi nell'agosto del 1942 organizzarono una fuga dal campo, scavando una lunga galleria sotto la baracca XXII. Dopo la fuga, la gran parte degli internati fu trasferita in altri campi che nel frattempo erano stati istituiti in Italia, in particolare a Monigo, a Chiesanuova e a Renicci nonché a Visco, in provincia di Udine, a pochi chilometri da Gonars.

Seconda fase: la bonifica etnica

Il campo di Gonars si riempì ben presto di un nuovo tipo di internati: uomini, donne, vecchi e bambini rastrellati dai paesi del Gorski Kotar, la regione montuosa a nord-est di Fiume, e prima deportati a Kampor, nell'isola di Arbe. Qui nel luglio del 1942 il generale Mario Roatta aveva predisposto l'istituzione di un immenso campo di concentramento, destinato ad essere una delle tappe della "bonifica etnica"[1][2][3][4] programmata dal regime nei territori jugoslavi occupati. Nell'estate del 1942 furono internati ad Arbe oltre 10.000 sloveni e croati, in condizioni di vita spaventose, in tende logore, senza servizi igienici né cucine. Infatti i campi di concentramento per jugoslavi erano organizzati dai comandanti dell'esercito italiano secondo il principio espresso dal generale Gastone Gambara: "Campo di concentramento non è campo di ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo". Ben presto la mortalità ad Arbe raggiunse livelli altissimi e il generale Roatta decise di trasferire donne, vecchi e bambini a Gonars, dove, nell'autunno-inverno 1942-43, arrivarono migliaia di persone in condizioni di debilitazione estrema. Così, nonostante l'impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati del contingente di guardia, come il medico Mario Cordaro, nel campo di Gonars oltre 500 persone morirono di fame e di malattie. Almeno 70 erano bambini di meno di un anno, nati e morti in campo di concentramento. Dopo l'otto settembre del 1943 il campo venne occupato dalle truppe tedesche che costruirono in fretta e furia (grazie alla Todt e ai prigionieri) un raccordo ferroviario che dalla località Friulana Gas (Ferrovia Udine-Venezia) raggiunse il lager con ben tre ponti provvisori militari sul fiume Cormor. Il campo fu demolito e chiuso con la liberazione da parte degli Alleati.

La chiusura[modifica | modifica wikitesto]

Come tutti gli altri campi italiani per internati jugoslavi, il campo di Gonars funzionò fino al settembre del 1943, quando, con la capitolazione dell'esercito italiano, il contingente di guardia fuggì e gli internati furono lasciati liberi di andarsene.

Nei mesi successivi il campo fu occupato dalle truppe tedesche e destinato a tutti i prigionieri rastrellati nel Friuli come campo di transito.

Alla fine della guerra, la popolazione di Gonars smantellò il campo utilizzando i materiali per altre costruzioni, come l'asilo infantile, e così oggi delle strutture del campo non rimane più nulla.

Nel 1943 il campo venne raccordato al Bivio Mortegliano sulla ferrovia Basiliano-Udine attualmente denominato Raccordo Friulana Gas

La memoria

Nel dopoguerra l'Ufficio Storico dello Stato maggiore dell'Esercito italiano con la lettera del 17/10/1959 prot. 7732/063[5] ha descritto il campo di concentramento di Gonars in modo molto diverso rispetto alle testimonianze degli ex internati.[6] Inoltre, secondo l'Esercito non risulta siano stati internati nel campo anche cittadini italiani, fatto smentito dalla morte proprio di un cittadino italiano di lingua slovena, residente a Trieste.[7]

A memoria di questo campo di concentramento, per iniziativa delle autorità jugoslave nel dicembre 1973 lo scultore serbo Miodrag Živković dell'Accademia di Arti Applicate di Belgrado, realizzò un sacrario nel cimitero cittadino dove in due cripte furono trasferiti i resti di 453 cittadini sloveni e croati internati e morti nel campo di concentramento di Gonars.

Nel 1993 in occasione del cinquantesimo anniversario dalla chiusura del campo (1943) il Comune di Gonars ha finanziato la pubblicazione di un libro a cura della prof.ssa Nadja Pahor Verri sul campo intitolato "Oltre il filo: storia del campo di internamento di Gonars, 1941-1943". In esso venne ricordata anche la figura del professor Mario Cordaro, ufficiale medico del campo e noto per la sua umanità nei confronti degli internati. Nel 1996 è stata pubblicata una seconda edizione del libro.

Nel 2003 in occasione del sessantesimo anniversario dalla chiusura del campo, il Comune di Gonars ha commissionato alla ricercatrice storica Alessandra Kersevan un nuovo libro sulla storia del campo, intitolato "Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943", più volte ristampato, che approfondisce alcuni temi del libro precedente.

Nel 2005 il Comune di Gonars, nell'ambito del progetto "The Gonars Memorial" finanziato dalla Commissione europea, ha promosso il documentario intitolato "The Gonars Memorial - Gonars 1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta", realizzato da Alessandra Kersevan e Stefano Raspa.

Alla fine del 2009 è stato anche inaugurato a cura del Comune di Gonars il Parco della Memoria nel luogo dove sorgeva il campo, con le riproduzioni delle opere fatte dagli internati.

Nel 2011 il regista Dorino Minigutti ha girato un film sulla storia dei bambini internati nel campo, intitolato "Oltre il Filo", sottotitolato in italianoinglesesloveno e in croato.

Ogni anno il Comune di Gonars organizza nel Giorno della Memoria e nel Giorno della Commemorazione dei defunti delle cerimonie commemorative per ricordare quanti perirono nel campo. A queste cerimonie partecipano anche autorità provenienti dalla Slovenia e dalla Croazia.https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Gonars

Poesia di Drago Stammbuch

 

Antenati


DRAGO ŠTAMBUK

STAMMBUCH

Non ho l’anello d’oro puro,
ma l’occhio che vede l’invisibile
mi conduce dai Boscimani,
mi porta illeso alla corte paterna,
nell’antica montagna sul lago,
sotto il ghiacciaio trasparente e la cupola di neve.

Non ho quell’anello, ma sento i miei
antenati nelle correnti della mia fronte.
È un tocco leggero e benedetto,
è un bacio improvviso con cui mi visitano
nei mezzogiorni ardenti e nelle mattine
azzurre.

Oh, lo splendido sguardo, il respiro gelido
all’origine di Axel, dove nasce il Danubio,
l’innocenza di porcellana di Lohengrin,
che nella profondità dell’Adriatico
ondula raffinato il brillante ovale!

E un bracciale cerca il mio fragile polso,
nel mare, il letto più dolce
per l’albero genealogico che racconta i morti.

(da L’usignolo e la fortezza)

.

È il 2 novembre, giorno in cui si commemorano i defunti. Ho scelto questa poesia di Drago Štambuk che, inserendo elementi dell’epica germanica ripescati attraverso la tetralogia wagneriana dell’Anello del Nibelungo, ricorda i propri antenati: chi non c’è più ma ha contribuito a forgiarci, chi sentiamo talora in noi, in un gesto che facciamo, in uno sguardo o in un nostro tratto somatico che rinveniamo in quelle fotografie che ora ci guardano dalle lapidi dei cimiteri.

.

1024px-Wagner,_R._Rheingold_(München,_1952)

SCENOGRAFIA DI HELMUT JÜRGENS PER “L’ORO DEL RENO”, STAATSOPER, 1952

.

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LA FRASE DEL GIORNO
Ogni uomo è un omnibus in cui viaggiano i suoi antenati.
OLIVER WENDELL HOLMES




drago_stambuk2Drago Štambuk (20 settembre 1950) è un poeta, saggista e ambasciatore croato. Medico esperto di malattie del fegato e di AIDS, ha pubblicato 50 opere poetiche ed è stato ambasciatore in Giappone, Corea del Sud, Brasile, Colombia e Venezuela.


Poesia di Ivan Minatti


 Nostalgija

Ivan Minatti (1924-2012)
Že rumené gozdovi
in oblaki počasneje jadrajo
svojo pot.
In tiho tiho je v meni
in tiho je naokrog.
(...)
Già i boschi si colorano di giallo
e le nuvole più lentamente
veleggiando se ne vanno.
C'è il silenzio in me,
silenzio tutt' intorno.
Ivan Minatti , poeta e tra duttore sloveno. Nacque a Slovenske Konjice il 22 marzo 1924 ed è morto a Ljubljana il 19 giugno 2012. E’ uno dei maggiori rappresentanti dell’intimismo sloveno.

CASA


 CASA

Lassù,sulla cima maestosa

i monti nostri mi compaiono,Sloveni;

lì dietro,in piano,gorgogliano le acque,

ed in rigoglio vedo arbusti e campi.

La stirpe lì gioisce delle sue radici

in una primavera in fiore vivon lì

i miei fratelli e la fortuna lor sorride

che Madre Gloria fa di lor figli solerti.

O dolce stirpe!Gioisci di quest'alba limpida,

ecco che il sol soave spunta,

inviato da Colui che ogni cosa smuove.

Secoli interi passati sconosciuti;

ma or le nubi cedono al sereno,

son giunti tempi provvidi,è ora.


Monsignor Ivan Trinko

zamejski 

padre della Benecia


IVAN TRINKO 

TRINKO Ivan – Zamejski, fautore della conservazione delle peculiarità etniche e culturali della Slavia Veneta, poeta, scrittore, traduttore, linguista, pittore, compositore, professore di filosofia, “padre degli sloveni della Benecia,” nato il 25 gennaio 1863 a Tercimonte nella famiglia  “pri Piernovih”, ivi morto il 26 giugno 1954.

Quarto di due figli e tre figlie (di cui Terezija fu religiosa a Brescia e vi morì). Il padre Anton (1826-1905), piccolo possidente, la madre Marija Golob (1828-1904), casalinga (vedi genealogia in Trinkov koledar 1973).

Frequentò la scuola in lingua italiana a Iellina sotto Tercimonte, sua maestra fu Roza Koren (1870-73), nativa delle Valli; su consiglio del cappellano Valentin Domenis il padre lo iscrisse alle elementari di Cividale (1873-75); già alla fine del primo anno si distinse tanto da meritarsi una medaglia d’oro. Dopo le elementari entrò nel Seminario Arcivescovile di Udine (1875), articolato in un ginnasio-liceo classico e in un seminario vero e proprio. Studente modello saltò la prima classe del liceo diplomandosi nel 1882. Compì gli studi seminariali in quattro anni e celebrò la Prima messa il 21 giugno 1886 a Tercimonte. Per l’occasione gli dedicarono e stamparono tre poesie. Già prima della consacrazione aveva prestato il servizio militare di leva di durata ridotta a Padova, poi rimase al Seminario di Udine sino al pensionamento nel 1942, poiché i suoi superiori gli avevano chiesto di proseguire gli studi e di ricoprire una cattedra d’insegnamento al Ginnasio arcivescovile.

Fu così che Trinko divenne prefetto seminariale, dedicandosi pure per tre anni agli studi di filosofia e delle lingue russa, polacca e ceca.

Nel suo curriculum di studi filosofici a suo tempo non fu chiaro presso quale Università avesse studiato. In occasione della sua prima elezione nel Consiglio Provinciale di Udine La Patria del Friuli  scrisse che aveva studiato “a Vienna e altrove”.  Anche Pasquale Gujon parla di  “una laurea in filosofia”. Il professore Aldo Moretti del Seminario di Udine, il professore Marino Qualizza e il parroco Božo Zuanella ritengono invece che Trinko non avesse compiuto  studi filosofici all’Università perché ciò dal Seminario udinese, istituzione privata, non veniva richiesto a tutti gli insegnanti, essendo all’epoca l’unico criterio di valutazione la capacità professionale e l’irreprensibilità religiosa. (Lettera dello Zuanella del 24 gennaio 1989). In questo periodo fu pure prefetto, perciò approfondì gli studi da solo. Sui suoi indirizzi filosofici influì soprattutto il pensatore friulano Giovanni Battista De Giorgio, che aveva pubblicato nel 1861-62 l’opera  Institutiones philosophicae ad mentem divi Thomae tironum usui… Di lui Trinko parlò e scrisse...https://www.kries.it/kd-ivan-trinko-2/mons-ivan-trinko/biografia/ivan-trinko-it/?lang=it#:~:text=TRINKO%20Ivan%20%E2%80%93%20Zamejski%2C%20fautore%20della,Piernovih%E2%80%9D%2C%20ivi%20morto%20il%2026

Caldo autunnale in Friuli

ieri a Grado da Friulioggi

 Quest'anno  l'autunno è veramente strano.Fa caldo come se fosse ferragosto.Ieri al mare c'era tanta gente che prendeva il sole.E' un fatto insolito per il Friuli.Abbiamo avuto un'estate molto calda che pare continuare.E' un fenomeno che c'è anche in altre parti d'Europa.

1 novembre


 La morte mi è nemica

non mi viene a rapire
e pur con le mie dita
io tento di fuggire
da questa amara vita,
ma non vuole colpire
il mio cuore di foglia,
morte vuole tradire
questa tenera voglia
e morir fa l’insetto
e la gente gentile
ma a me che son reietta
non mi viene a colpire.
(La morte mi è nemica – 
Alda Merini)


La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
(La morte è la curva della strada – Fernando Pessoa)


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – Cesare Pavese)

31 ott 2022

Oggi è il giorno della Riforma in Slovenia

 



Il Giorno della Riforma commemora il movimento religioso, politico e culturale del XVI secolo, grazie al quale gli sloveni hanno ricevuto il primo libro nella loro lingua madre e il primo libro stampato in Slovenia - Catechismo di Pimož Trubar.

Oggi è l' anniversario della Riforma, le cui origini risalgono appunto al 1517, quando il monaco agostiniano Martin Lutero affisse sulla porta della chiesa di Wittenberg le sue 95 tesi, con le quali criticava l’organizzazione ecclesiastica di quel tempo. Il movimento della Riforma si diffuse rapidamente, raggiungendo anche la Slovenia, dove ebbe un impatto significativo sulla coscienza popolare. In questo periodo furono pubblicati i primi due libri stampati in lingua slovena, mentre la figura chiave della Riforma in Slovenia fu Primož Trubar. La Controriforma sradicò quasi completamente il protestantesimo. Oggi in Slovenia vivono circa 20.000 evangelici, la maggior parte nella regione Prekmurje. La comunità delle chiese protestanti d’Europa ha inserito, tra le oltre cinquanta città europee importanti per il movimento protestante, anche tre località slovene - LubianaRašica e Puconci

 ž
Puconci  località di nascita di Primož Trubar

Primož Trubar (1508-1586), autore del primo libro stampato in lingua slovena.
Nato a Raščica, minuscolo villaggio della Carniola inferiore, nel 1508, fu dapprima sacerdote cattolico e, in seguito, pastore luterano in Germania. Si avvicinò al luteranesimo alla scuola del vescovo di Trieste, Pietro Bonomo, e divenne il più attivo animatore della riforma protestante in terra slovena.
Nel 1550, pubblicò il primo libro stampato in lingua slovena, Katekizem (Catechismo), cui seguì Abecedarium (Abecedario, sempre del 1550).
Considerato il padre della letteratura slovena, Trubar fu autore di più di venticinque libri in lingua slovena, i più importanti dei quali furono le traduzioni in sloveno del Nuovo Testamento (1555-1577) e dei Salmi (1566)
Portret Primoža Trubarja, Saša Šantel.
Primož Trubar in un disegno di Saša Šantel (Gorizia 1883 - Lubiana 1945)
Spomenik pred rubijskim gradom.
Monumento all'entrata del castello di Rubbia dove Trubar predicò ai fedeli.

POZABLJENIM/DIMENTICATI


 Simon Gregorčič

Goriški slavček - L'usignolo di Gorizia 1844-1906
Il giorno in cui tutti noi rivolgiamo i nostri pensieri ai cari defunti, il poeta si chiede chi ricordi le tombe dimenticate.
"A chi, in questo giorno, si rivolge il mio cuore? A voi, tombe dimenticate, dove non c'è una croce, né una pietra, non vi ornano fiori, e alcuna luce brilla.
Ma se nessuno, questa notte, vi ricorda, non vi ha dimenticati l'umile poeta e - il cielo"
Pozabljenim
Vseh mrtvih dan!
Na tisto tiho domovanje,
Kjer mnôgi spé nevzdramno spanje,
Kjer kmalu, kmalu dom bo moj,
In - tvoj,
Nocoj se sesul je roj močán,
Saj jutri bo vseh mrtvih dan,
Vseh mrtvih dan!
Bledó trepeče nad grobovi
Tisóč svetíl,
In križe, kamne vrh mogíl
Jesenski venčajo cvetovi -
Vseh mrtvih dan!
Kjer dragi spé jim po pokôpi,
Kleče, solzé živóčih trôpi,
Oh, dušo trè jim žal in bol;
Pod zêmljo pol, na nèbu pol
Nocój jim je srcé:
Na grob lijó grenké solzé,
V nebó gorké prošnjé!
O, le klečíte, le molíte,
Po nepozabnih vam solzíte,
Da bóde gròb od solz rosán,
Saj jutri bo vseh mrtvih dan,
Vseh mrtvih dan!
Solzíte,
Molíte!...
In jaz?
Ko misli vsakedó na svoje,
Kogà, kogà pa srce moje
Spomína se tačàs?
Vas, zabljeni grobovi,
Kjer križ ne kamen ne stojí,
Ki niste venčani s cvetóvi,
Kjer luč nobèn ne brlí.
O, če nikdó
Nocój se vas ne spomni,
Pozábil ni vas pévec skromni
in pa - nebo.

30 ott 2022

Vahti_Ognissanti in Benecia

 


Ogni anno il 1° e il 2 novembre i paesi rivivono, visto che molte persone tornano nei luoghi della loro infanzia. «Questa è la migliore occasione – scrive il direttore responsabile del Dom mons. Marino Qualizza – per capire il grande valore della nostra fede, che ci dona la gioia di incontrarci e di non dimenticare da dove veniamo».

La festività di Ognissanti fu istituita solamente nel 1006 da papa Innocenzo XIX. Molte sono le tradizioni per questa ricorrenza nei paesi delle valli del Natisone. Una di queste è la raccolta del pane dei morti. Nella giornata del 31 ottobre i bambini la mattina e la sera gli adulti si recavano di casa in casa, di paese in paese, a pregare per le anime dei defunti di ogni famiglia. In cambio ricevevano delle pagnottine di pane, cotte appositamente per l’occasione, chiamate «hliebci» o «hliebčiči». Questa tradizione è ancora viva a Cosizza, Liessa, Dolegna, Tribil superiore, Iesizza, Iainich, Clodig, Lombai e Seuza.


Ocikana v Terski dolini za Vahte
Per Ognissanti c’è l’ocikana

Tempo di preghiera, per la ricorrenza di Ognissanti e di Tutti i Morti, e tempo di tradizioni in Alta Val Torre, dove si è mantenuta inalterata nei decenni, in questa zona del Friuli più che altrove, l’usanza di cucinare un piatto tipico, quello della polenta condita, la «Ocikana».


A raccontare come si prepara la speciale pietanza è Franca Sinicco, 57 anni, un’esperta dei fornelli, ottima cuoca ed erede della tradizione culinaria di famiglia.

«Per prima cosa – spiega –, bisogna preparare la polenta che va fatta più morbida di quella che si fa di solito. Si può usare la farina bianca con un pugno di quella gialla. A parte si deve far sciogliere, intanto, un bel po’ di burro. A parte, ancora, si mette del latte a scaldare con l’aggiunta di sale».

Una volta cotta la polenta, si prende una terrina ampia e si comincia a preparare la Ocikana a strati. È da questa terrina, molto capiente, che poi la pietanza sarà mangiata dai componenti della famiglia durante la sera del primo novembre.

«Con il cucchiaio si trasforma la polenta in una sorta di gnocchetti. Tra uno strato e l’altro di gnocchetti si sparge il latte e si cosparge con il formaggio tagliato fino, grattugiato. Si possono usare insieme formaggio fresco e quello stagionato, più saporito. Fatti un po’ di strati, a piacere, si procede con il burro: fatto colorire senza bruciarlo, va messo sopra l’ultimo strato. La Ocikana è pronta».

La pietanza non va mangiata tutta, si lascia una parte nella terrina, sulla tavola, per la notte: al calare del buio, si dice, le anime dei morti che si ridestano per Ognissanti potranno cibarsene, nel loro breve viaggio di ritorno nel mondo dei vivi, concesso loro solo per questa notte così particolare.

«Si tratta di un piatto molto calorico, che dà molta energia, mangiato tutti insieme per affrontare, nei mesi già freddi, il duro lavoro nei campi e più spesso nei boschi». Ad accompagnare la polenta condita, che ancora oggi preparano tutte le famiglie dell’Alta Val Torre, poteva esserci, raramente, del vino. «Ognuno aveva una vigna fuori casa e il vino, seppure poco come quantità, faceva parte delle tradizioni della tavola – spiega Franca –; era un vino spesso acido, che si beveva subito perché non si conservava per molto tempo». (Paola Treppo)



Na praznik Vseh svetnikov in na dan Vernih duš je v gornji Terski dolini še živa navada, da pripravljajo ocikano. O tem nam je povedala domačinka Franca Sinicco, ki je stara 57 let.

Ocikana je mehka polenta iz koruznega in pšeničnega zdroba, ki je najprej rezana na kose, nato zabeljena z mlekom in potem posuta z ribanim dozorjenim sirom ter popraženim maslom. Nekaj ocikane so nekoč po hišah pustili za duše, ki so se na Vahte vrnile med živimi.

fonte archivio Dom

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