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10 mar 2021

NIVES MEROI

 


Nives, dal latino le nevi, come lei stessa dirà «Ce l’ho addosso!»

“Amo la neve all’arrivo al campo base quando stende sulla pietraia una tovaglia liscia e le nostre tende spuntano come tazze rovesciate. Amo la neve profumata di prima colazione, neve al caffè, al cacao. Poi subito la odio quando ci affondo i passi che devo tirar fuori a strappo, quando nasconde la bocca dei crepacci…”

Considerata tra le maggiori alpiniste donne della storia, ha scalato, insieme al marito Romano Benet, anch’egli alpinista, tutti i 14 ottomila senza l’uso di ossigeno supplementare e senza alcun aiuto di portatori d’alta quota, prima coppia in assoluto a riuscire nell’impresa.

Erri De Luca, nel definirla la più forte in assoluto proprio in virtù di questa modalità di arrampicarsi, riconosce, nella rinuncia all’uso dei portatori, una delle qualità della scalatrice: il rispetto per la vita, propria e altrui.

“Noi non vogliamo pagare a qualcuno il salario della sua pelle, prendergli in affitto l’esistenza. Non potremmo salire tranquilli. Noi paghiamo i portatori fino al campo base, fino a dove è in gioco solo la fatica, non la vita”.

Nata il 17 settembre 1961 a Bonate Sotto in provincia di Bergamo, Nives Meroi vive in Friuli, a Fusine Laghi. Quando è ancora piccola, la famiglia – una famiglia normale in cui nessuno pratica sport – si trasferisce a Tarvisio e qui, come tanti ragazzi del luogo, d’inverno pratica lo sci e d’estate l’atletica. Frequenta il liceo linguistico a Udine e sogna di tradurre libri. Durante il periodo scolastico usa il fine settimana per andare in montagna.  Ed è su quelle montagne del Friuli, montagne difficili come le più note Dolomiti, ma meno frequentate e per questo meno attrezzate, che nasce il desiderio di sperimentare. Le Alpi Giulie costituiscono una scuola di formazione severa che insegna a praticare un alpinismo esplorativo in cui è necessario cercare da soli la via, consapevoli dei propri mezzi e delle proprie capacità: la conoscenza profonda di sé diventerà il presupposto fondamentale per affrontare più tardi le grandi montagne dell’Himalaya.

In quell’epoca nasce il sodalizio con Romano Benet, che diventerà suo compagno fisso di cordata, con cui inizierà a realizzare quel modo di procedere improntato alla ricerca che sarà la loro cifra. Nell’89 si sposano e, come viaggio di nozze, compiono una spedizione in Sudamerica, sulla Cordigliera bianca, una sorta di allenamento prima di intraprendere la via alle vette più alte. Inizia così la carriera alpinistica himalayana tentando, nel 1994, di aprire una variante della via dei Giapponesi sul versante Nord-Nordovest del K2. L’itinerario si interromperà a pochi metri dalla cima poiché arrivati sopra a uno sperone, che credevano collegato alla vetta, si accorgono che era invece staccato da un abisso. Nives, che è la prima donna al mondo a tentare questo versante, ricorderà questa esperienza come una bella lezione di umiltà e rispetto

“Gli dei volevano che accettassi il fallimento senza scoraggiarmi, perché quando si tentano nuove vie, queste presentano sempre una possibile sconfitta.”

Nel 1995, Nives e Romano realizzano una nuova via sulla parete nord del Bhagirathi II (6450 mt.) scendendo, sempre lungo una via nuova, sulla parete sud.

Nel 1998 raggiungono la vetta del Nanga Parbat (8125 mt.) in sole nove ore dall’ultimo campo, riuscendo in un’impresa tecnicamente e fisicamente eccezionale.

Nel 1999 è la volta della cima dello Shisha Pangma (8046 mt.) e, solo dieci giorni dopo, quella del Cho Oyu (8202 mt.). Un’accoppiata velocissima che dà la cifra del loro valore.

Nel 2003 arriva un trittico d’eccezione con la salita in successione di Gasherbrum I (8068 mt.), Gasherbrum II (8035 mt.) e  Broad Peak (8047 mt.). Il tutto in venti giorni, un tempo da record e, soprattutto, mai nessuna donna aveva realizzato una simile impresa.

Le scalate, come sempre by fair means  da soli, o in compagnia di un ristrettissimo numero di amici, tra i quali Luca Vuerich, il fidanzato della sorella di Nives, continuano con l’arrampicata sul Lhotse (8516 mt.) nel 2004, effettuata in soli tre giorni. Segue nel 2006, il Dhaulagiri (8167mt.).

E poi una salita da incorniciare: quella del  K2. Sono le ore 13 del 26 luglio 2006 quando i due toccano la vetta della «Montagna degli Italiani» lungo lo storico Sperone degli Abruzzi.
Con questa salita, Nives raggiunge “quota nove”, il massimo delle vette oltre gli 8000 mt. raggiunte nella storia da una donna.

Nel 2007 arriva anche la montagna più alta, l’Everest (8850 mt.) e, nel 2008, il Manaslu (8163 mt.), raggiunto dopo solo tredici giorni. L’attesa notizia è comunicata via radio alla sorella di Nives, impegnata al campo base del Manaslu con la ricerca scientifica sull’edema polmonare.

Nel 2009 affrontano la salita del Kangchenjunga. Nives è in corsa per diventare la prima donna ad aver raggiunto tutti i 14 Ottomila.  Ma inspiegabilmente Romano appare affaticato, non è in grado di continuare la salita. Poco prima della vetta, lui le dice di andare e che l’aspetterà lì. S’impone una scelta, ma senza esitazioni, lei gli risponde: “Non ti farò aspettare” e scende, rinunciando alla gara per il record. L’episodio, che la vedrà impegnata per due anni nella cura del compagno, affetto da una grave forma di aplasia midollare, ispirerà a Nives un modo diverso di concepire l’impresa di scalare le montagne. Annuncerà il suo ritiro dalla competizione con queste parole:

“L’alpinismo di oggi perde le proprie caratteristiche… ovvero esplorazione di sé stessi in contesti diversi. Il fatto che l’alpinismo himalayano femminile sia diventato una corsa con come unico obiettivo il risultato mi ha fatto decidere di non giocare più”.

Il passaggio a questo nuovo rapporto con la montagna e la vita è espresso dal suo racconto

“[…] Io non mi ero ancora liberata di quel senso di sporcizia, quella puzza che mi sentivo addosso per avere preso parte allo spettacolo. Noi abbiamo recitato una parte, siamo stati al gioco della corsa femminile agli Ottomila perché era l’unico modo per trovare degli sponsor e riuscire a ripartire ogni anno”.

Poi, dopo la quindicesima vetta, quella della vita, come lei stessa la chiamerà, il cammino himalayano riprende e nel 2014 sono in vetta agli 8.586 metri dell’altissimo Kangchenjunga, Nel 2016 arriva il Makalu. Infine, nel 2017, ecco la cima dell’Annapurna con la quale Nives completerà il «grande tour» delle 14 cime.

Giunta al termine di questa lunga scalata di cime, ecco delinearsi lo scopo che muove i suoi passi: il desiderio di bellezza, quella che nasce da un alpinismo onesto, pulito, leggero, non violento, che sposta l’obiettivo dal quanto al come. Con questi aggettivi, che Nives sintetizza nell’espressione “andare in montagna”, si qualifica il percorso che la porta ad assumere un personale modo di vivere e interpretare l’alpinismo. È qui che inizia a delinearsi un modus femminile di vivere l’alpinismo cui fa seguito l’uso di una diversa terminologia.

L’uso di espressioni quali «attacco alla cima», «conquista della vetta» non appartengono al suo sentire:

“Quando arrivo in cima a una montagna, il mio non è mai uno sguardo di conquista, è uno sguardo che abbraccia. Non la vivo come una sfida alla natura, ma come una ricerca di un’armonia di me all’interno dell’ambiente. È una forma di appartenenza.  … Lassù io sono Nives la pietra, Nives la neve…Sono un’alpinista, però con l’apostrofo e quell’apostrofo è la mia bandierina di donna che faccio sventolare lassù. …Per i maschi una cima è un desiderio esaudito, per me è il punto di congiunzione con tutto il femminile di natura”.

Nives, che su iniziativa del Presidente della Repubblica nel 2010 è stata nominata Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana “Per gli eccezionali traguardi raggiunti nell’alpinismo di alta quota, un’attività che era rimasta a lungo prerogativa maschile”, si chiede se sia possibile andare in montagna da donne, aprendo così una nuova modalità.  Ed è questa la sua sfida.http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/nives-meroi-2/

Trieste, Colle di San Giusto – Sensazionale scoperta di evidenze archeologiche preromane

 Durante i lavori di sostituzione delle vecchie condotte di ghisa grigia in via Capitolina sul colle di San Giusto sono stati rinvenuti alcuni resti archeologici. Le verifiche della Soprintendenza hanno svelato uno dei più importanti ritrovamenti degli ultimi decenni, che dimostra la presenza di insediamenti preromani nell’area del colle.

Scoperte archeologiche sostituendo le condotte

AcegasAspAmga sta svolgendo in questi giorni i lavori relativi all’importante intervento di risanamento e ammodernamento delle reti gas, acqua ed energia elettrica sul Colle di San Giusto.

La Soprintendenza, sulla base della Valutazione dell’Impatto Archeologico obbligatoria per tutte le opere pubbliche, aveva prescritto per questi lavori sondaggi esplorativi e la sorveglianza continua da parte di impresa archeologica specializzata. La zona infatti è nelle immediate adiacenze del nucleo centrale della città romana, con i suoi più importanti edifici pubblici.

In questi giorni sono venuti alla luce alcuni interessanti reperti nella piazza della Cattedrale, dove i tecnici di Archeotest srl, incaricati da AcegasApsAmga, hanno identificato una scoperta di assoluto rilievo: un focolare risalente all’età protostorica che confermerebbe la tesi di un insediamento sul castello di San Giusto in epoca preromana. Secondo gli archeologi presenti sul posto si tratta decisamente del ritrovamento più importante degli ultimi decenni.

I dettagli dei rinvenimenti archeologici

La messa in luce di una struttura muraria entro una trincea parallela alla facciata del ricreatorio Toti ha indotto ad effettuare un allargamento dello scavo archeologico, fino ad ottenere un sondaggio, pur parzialmente disturbato da sottoservizi precedenti e dagli apparati radicali delle piante, opportunamente salvaguardati.

Alla base è stata così scoperta una sequenza stratigrafica completamente nuova e inedita per l’area: una sistemazione di pietre di forma e dimensioni diverse e con andamento nord-sud in connessione con un’area circolare, scottata dal fuoco e coperta in parte da un accumulo di cenere. Le caratteristiche del contesto permettono di ipotizzare la presenza di una struttura realizzata con materiali deperibili, probabilmente una capanna con al centro un focolare. Un secondo livello di calpestio, individuato subito a nord di questo e in relazione con la cenere, potrebbe indicare più livelli di frequentazione della stessa struttura.

I materiali ceramici (per lo più frammenti di pareti) rinvenuti all’interno di questa sequenza stratigrafica sono riferibili ad un periodo compreso fra la tarda fine dell’età del bronzo e l’età del ferro (IX-VI secolo a.C.).

Di altrettanto interesse è la risistemazione che, a distanza di svariati secoli, si imposta direttamente sopra i livelli protostorici, ed è invece riconducibile ai più antichi momenti della presenza romana a Trieste.

continua QUI http://vocedelnordest.it/?p=14525

Situazione Covid

 




Impennata di contagi nella zona confinaria:Valli del Natisone,Cividale,Prepotto,Stregna,San Pietro al Natisone.Aspettiamo la vaccinazione e osserviamo il distanziamento,mascherine,igiene delle mani.Stiamo
più possibile in casa,non c'è altro da fare.Statemi bene,ce la faremo!!!

Nelle pianure del Fvg sono tornate le lontre

 Le lontre sono tornate nelle pianure e colline del Friuli Venezia Giulia. A confermarlo è lo studio realizzato per la tesi di laurea da Giacomo Stokel, laureando del corso di laurea magistrale in Scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio, interateneo con l’ateneo giuliano, che nel corso dello scorso anno ha condotto un monitoraggio su scala regionale della presenza dell’animale, con l’obiettivo di aggiornare i dati di presenza sulla lontra (Lutra lutra). Lo studio si è svolto nel contesto delle attività di ricerca sulla fauna selvatica svolte dall’Università di Udine, con il coordinamento di Stefano Filacorda del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali, e supportate da progetti di ambito locale e internazionale.

Lo scopo dell’indagine condotta da Stokel - che giovedì 11 marzo discuterà il suo lavoro davanti alla commissione di laurea - è stato quello di definire la distribuzione, l’andamento della colonizzazione e gli eventuali aspetti di vulnerabilità e di rischio per la specie.

La novità emersa durante le ricerche riguarda il ritrovamento della lontra in aree dove si riteneva scomparsa da circa 50 anni: nell’alto e medio Tagliamento, nelle Valli del Natisone, nelle pianure dell’Isontino, sui fiumi Fella e Arzino, e molti altri corsi d’acqua alpini e prealpini rientranti anche all’interno dell’area del Parco delle Prealpi Giulie. A documentare la presenza di dell’animale, sia i molti reperti biologici quali feci, marcature e impronte, sia i numerosi video e foto che sono stati realizzati in luoghi diversi della regione.

Lo studio, inoltre, ha al contempo confermato la presenza della specie nelle aree di cui essa era già nota, ovvero nelle zone alpine, dove la lontra è arrivata nel 2014 dalle vicine popolazioni austriache e slovene, dopo una prima segnalazione avvenuta nel 2011 nelle colline moreniche del comune di Treppo Grande, con il ritrovamento di un individuo morto in seguito ad un investimento stradale.

La ricerca. Nel corso della ricerca, che proseguirà anche nel 2021, sono stati percorsi circa 150 chilometri lungo piccoli e grandi corsi d’acqua, paludi e laghi del Friuli Venezia Giulia, dalle montagne al mare. A questi percorsi campione sono stati aggiunti anche sopralluoghi in oltre 150 ponti e altri punti specifici, dove risulta più facile trovare le marcature di questa specie. Infine, sono state posizionate fotocamere a infrarossi. Ben 16 quadranti (10x10 km) sui 48 monitorati sono risultati positivi, ossia con presenza della specie, pari a oltre il 30% del territorio regionale indagato, ossia il 14% del territorio regionale.

Durante i monitoraggi, grazie ai video raccolti e alle tracce, è stata documentata anche la presenza di altre specie quali lupi, volpi, gatti selvatici, sciacalli dorati, martore, faine, visoni americani, nutrie, rapaci notturni (tra i quali il gufo reale), aironi e altri uccelli che frequentano le medesime aree utilizzate dalla lontra.

"I risultati ottenuti da questa ricerca – spiega Stefano Filacorda -, oltre a fornire informazioni utili per meglio conoscere la dinamica di popolazione della specie e la sua ecologia, hanno permesso di raccogliere importanti dati volti a consentire la protezione delle specie stessa e la pianificazione e valorizzazione del territorio anche in prospettiva di attività divulgative e didattiche. Un ulteriore aspetto cruciale è ciò che consente alle comunità locali di riappropriarsi di una specie straordinaria, patrimonio naturale e culturale dei nostri corsi d’acqua sin dagli anni Sessanta del secolo scorso".

Le attività di ricerca sono state finanziate nell’ambito del progetto “Individuazione della Rete Ecologica Locale (REL) e formazione di corridoi ecologici nei tre Comuni di Treppo Grande, Buja e Magnano in Riviera” e dal progetto Interreg Nat2care “Attivazione della cittadinanza per il ripristino e la conservazione delle aree transfrontaliere”.

I ricercatori impegnati nelle attività sono stati Giacomo Stokel, Lorenzo Frangini, Marcello Franchini, Andrea Madinelli, Antonella Stravisi, Stefano Pesaro e Stefano Filacorda per l’Università di Udine, ed Elisabetta Pizzul per l’Università di Trieste.

La lontra (Lutra lutra)La lontra è un mammifero straordinario, specie “chiave”, “ombrello” e “bandiera”, ovvero importante dal punto di vista della protezione e della conservazione tanto quanto l’orso e il lupo. La sua presenza testimonia l’esistenza di corsi d’acqua, e contesti naturali e seminaturali, integri e ricchi di biodiversità.

Dalla forma elegante, sinuosa e adattata a muoversi in ambiente acquatico, presenta una lunghezza di circa 100-120 centimetri (dei quali ben 50 cm sono rappresentati dalla coda) e un peso medio di 8-12 chili, ma può raggiungere anche i 15 chilogrammi.

La lontra mostra delle abitudini prevalentemente notturne nelle aree del Friuli Venezia Giulia. Si alimenta soprattutto di pesci (a differenza della comune e problematica nutria, che è vegetariana, ed è molto presente nella zona della bassa pianura e non solo), ma anche di crostacei, molluschi, piccoli uccelli, anfibi e rettili.


https://www.ilfriuli.it/articolo/green/nelle-pianure-del-fvg-sono-tornate-le-lontre/54/237928


9 mar 2021

ACCADDE OGGI - 87 anni fa nasce Jurij Gagarin

 


Jurij Alekseevič Gagarin (in russo: Юрий Алексеевич Гагарин?; Klušino, 9 marzo 1934  Kiržač, 27 marzo 1968) è stato un cosmonauta, aviatore e politico sovietico, primo uomo a volare nello Spazio, portando a termine con successo la propria missione il 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1.

In seguito a questo storico volo, che segnò una pietra miliare nella corsa allo spazio, Gagarin divenne una celebrità internazionale e ricevette numerosi riconoscimenti e medaglie, tra cui quella di Eroe dell'Unione Sovietica, la più alta onorificenza del suo paese. La missione sulla Vostok 1 fu il suo unico volo spaziale, anche se in seguito venne nominato come cosmonauta di riserva nella missione Sojuz 1, conclusasi in tragedia al momento del rientro con la morte del suo amico Vladimir Komarov. Successivamente Gagarin servì come vice direttore del centro per l'addestramento cosmonauti, che in seguito prese il suo nome.

Nel 1962 venne eletto membro del Soviet dell'Unione e poi nel Soviet delle Nazionalità, rispettivamente la camera bassa e la camera alta del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica. Gagarin morì nel 1968 a seguito dello schianto, avvenuto nei pressi della città di Kirzhach, del MiG-15 su cui si trovava a bordo con l'istruttore di volo Vladimir Seryogin in occasione di un volo di addestramento.

continua QUI https://it.wikipedia.org/wiki/Jurij_Gagarin

LA FAVOLA DEL CANE, DEL GATTO E DEL TOPO

favola della Val Resia/Rezija

Sapete perché i cani non possono vedere i gatti
ed i gatti non possono vedere i topi?

C’era una volta un cane che non aveva padrone e c’era una gattina, anche lei sola, senza padrone.
Un giorno si incontrarono e la gattina gli chiese:
“Come va? Sei sempre solo!”
“Si, – lui le disse – anche tu sei sola?”
“Non ho nessuno” – rispose.
“Se è così – continuò il cane –  possiamo stare insieme!”


Il cane e la gattina per un po’ stettero insieme.
Quando la gattina prendeva qualcosa lo dava al cane e anche il cane quando prendeva qualcosa lo dava alla gattina.
Insieme stavano bene e avevano fiducia l’uno dell’altro.
Un giorno il cane le disse:
“Così non possiamo stare, dobbiamo fare le carte per sposarci”.
Decisero così di fare le carte necessarie per sposarsi.
Poco dopo però il cane ricevette la cartolina per andare a fare il soldato e disse alla gattina:
“Tieni tu le carte, nascondile bene, e quando tornerò, ci sposeremo!”
“Si!!, si!!, tengo io le carte e vedrai che nessuno le troverà!”
La gattina si recò in un solaio dove nessuno andava.
Cercò un posto sicuro. Fece un buco dove mise le carte e lo coprì bene.
Quando il cane tornò a casa disse alla gattina:
“Ora finalmente possiamo sposarci, vai a prendere le nostre carte che, sono certo, avrai ben nascoste e messe al sicuro!”
Quando la gattina andò nel posto dove aveva nascosto le carte, vide che erano tutte mangiucchiate.
La gattina tornò dal cane e disse: “Guarda!!! le carte sono tutte mangiucchiate!”
“Ma come, avevi detto che le avresti messe al sicuro!” – rispose il cane tutto arrabbiato.
“Le ho messe al sicuro, più che potevo, ma il topo le ha mangiate” – disse la gattina desolata e preoccupata.
“Allora sai cosa ti dico? D’ora in poi non sopporterò più alcun gatto!” – disse il cane.
“Tu….?! Anch’io diventerò nemica dei topi; quando li vedrò li mangerò!” – disse la gattina.
 
Per questo ancora oggi il cane non può vedere il gatto ed il gatto non può vedere il topo.

 fonte http://rezija.com/it/circolo-culturale-resiano-rozajanski-dum/lingua/favole/

Se ti interessa leggi la favola in lingua resiana

Vi è piaciuta,a me molto!

8 mar 2021

La scritta ‘chiuso’ sempre più spesso sulle porte di trattorie e ristoranti delle Valli

 


Sale e pepe, locale d’eccellenza delle Valli del Natisone, “si prende una lunga pausa”, affidando a poche righe sul proprio profilo facebook la comunicazione della scelta evidentemente sofferta, giunta al termine di un anno particolarmente difficile per i ristoratori. La “lunga pausa” della trattoria di Stregna non è però un caso isolato. Lo scorso anno ha chiuso i battenti anche ‘La Posta’ a Clodig di Grimacco.

In epoca pre-covid, nel 2019, aveva già cessato la propria attività lo storico albergo ristorante ‘Al Vescovo’ di Pulfero. Ancora prima lo stesso destino è toccato al ristorante ‘Alle querce’ di San Pietro al Natisone e alla trattoria ‘Alla fontana’ di Oculis.
Motivazioni diverse e certamente personali alla base di queste scelte. È difficile però non scorgere un filo conduttore comune quantomeno negli effetti, quello cioè di un territorio che continua a soffrire la marginalizzazione, la progressiva riduzione dei servizi essenziali, il calo demografico strutturale che rende difficile il ricambio generazionale. Cui si è aggiunta la pandemia con le misure restrittive sugli assembramenti che hanno colpito maggiormente i ristoratori rispetto ad altre categorie e che hanno dato un’accelerazione alla spirale già in atto.
Eppure prima del covid – e in misura quasi sorprendente anche durante la scorsa estate di tregua – i segnali per un rilancio dei territori a ridosso del confine c’erano: pernottamenti e presenze in aumento, investimenti anche nel campo dell’accoglienza e della ristorazione, pure di realtà già strutturate che hanno deciso di ampliare nelle valli la loro offerta (anche di imprenditori sloveni dell’alta valle dell’Isonzo). L’auspicio per tutti è che si possa finalmente elaborare strategie e pianificazioni che siano in grado di invertire la tendenza. In modo da non disperdere quanto questi ristoratori hanno seminato nel tempo, avviando con successo non solo un’attività economica tout court, ma una vera e propria innovazione culturale che ha saputo valorizzare con gli strumenti contemporanei i prodotti e la cucina tipica e unica della secolare tradizione valligiana.

'L'8 marzo non sia una ricorrenza ma un impegno'


 "Il miglior augurio a tutte le donne del mondo è che questa non sia solo una ricorrenza ma un impegno. Un impegno a moltiplicare gli sforzi affinché una donna non debba lavorare il doppio per veder ripagate la propria fatica e le proprie capacità, perché non debba impegnarsi il doppio per veder  riconosciuti ruoli e opportunità, nella società e anche in politica. Il Pd e le forze progressiste ora possono e devono dare un segnale chiaro: approvando la legge sulla parità salariale e sulla doppia preferenza di genere anche in Friuli Venezia Giulia. Nell'utilizzo delle risorse europee sia sempre centrale l'obiettivo del superamento del divario di genere". Lo dichiara il segretario regionale Pd Fvg Cristiano Shaurli, alla vigilia dell'8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna.

https://www.ilfriuli.it/articolo/politica/-l-8-marzo-non-sia-una-ricorrenza-ma-un-impegno-/3/237820



8 marzo

 

La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in molte parti del mondo.[1][2] Viene associata alla Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne istituita il 17 dicembre 1999 e che cade ogni anno il 25 novembre.

Questa celebrazione si tiene negli Stati Uniti d'America a partire dal 1909. In alcuni paesi europei dal 1911 e in Italia dal 1922.[3][4] Specialmente in passato e ancora oggi dall'Unione donne italiane e nell'accezione comune viene chiamata Festa della donna[5][6][7] anche se sarebbe più corretto Giornata internazionale della donna, poiché la motivazione non è la festa ma la riflessione.

Fonti ONU invitano a operare affinché nel mondo si possa raggiungere una effettiva parità di genere entro il 2030.[8]Nel settembre del 1944, si creò a Roma l'UDI, Unione Donne in Italia, per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d'Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e fu l'UDI a prendere l'iniziativa di celebrare, l'8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell'Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all'ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l'8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce tra febbraio e marzo, secondo un'idea di Teresa Noce,[30] di Rita Montagnana e di Teresa Mattei.[31]Nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere Noi donne, il mensile dell'Unione Donne Italiane (UDI), divenne un gesto «atto a turbare l'ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico».[32] Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l'iniziativa cadde nel vuoto.

Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell'opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista. da wikipedia

7 mar 2021

Donne friulane

 Per l'8 marzo tutti si ricordano di donne famose,io invece voglio parlarvi di quelle non hanno fatto cose grandi ,ma che hanno contribuito a fare la storia della Slavia friulana.Le donne della Benecia restavano per mesi o anni da sole e si dedicavano al duro lavoro nei campi ,nella stalla ,accudivano i figli ed aspettavano che i mariti  rientrassero dall'estero.Lavoravano giorno  e notte,salivano sulle montagne con le loro pesanti gerle che riempivano di fieno,legna ed altro.Erano donne forti ,di poche parole,combattevano tutti i giorni per sopravvivere, la storia della Benecia è stata scritta anche da loro.


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