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Le comunità di lingua tedesca nel territorio friulano
Le comunità di lingua germanica disseminate lungo le aree alpine del Friuli ( link all’articolo di Marco Caria ) hanno avuto fin dall’inizio caratteri di insediamenti spontanei da parte di gruppi esigui di persone, allontanatisi verosimilmente dalle valli carinziane nel corso del XIII sec. alla ricerca di occupazione nell’estrazione mineraria (a Sappada/Plodn, ora in provincia di Belluno e a Timau/Tischlbong, ca. 700 abitanti, nella valle del But) o di sfruttamento di terre spopolate (a Sauris/Zahre, ca. 500 abitanti, nell’alta valle del Lumiei). Diversa è la vicenda dei tedescofoni della Val Canale/Kanaltal (con i centri principali di Pontebba/Pontafel e Tarvisio/Tarvis) sudditi fino la 1918 dell’Impero Austro-Ungarico. Si tratta di comunità che usano varietà di tedesco o austro-bavarese, talora a stretto contatto con sloveno e friulano in contesto plurilingue. Negli ultimi decenni si osserva, in specie fra i giovani, un progressivo cedimento delle antiche parlate: tale regresso è in parte rallentato dalla riscoperta delle proprie origini e da una più matura consapevolezza linguistica, favorite da molteplici iniziative promosse dalle associazioni culturali e dalle istituzioni locali.
Le comunità slovenofone del Friuli Venezia Giulia
Trovano spazio lungo la fascia montuosa e collinare del confine nord-orientale tra Italia e Slovenia. Parte di quest’area (alta valle del Torre e valli del Natisone), appartenente alla provincia di Udine, è anche nota, per l’antica dipendenza dalla Repubblica di Venezia, come Benècija o SlaviaVeneta. Dal punto di vista linguistico, le comunità slovenofone sono suddivise in vari gruppi dialettali da nord verso sud: lo zegliano (zilijsko), propaggine italiana, acquisita dopo il primo conflitto mondiale, del dialetto della valle carinziana di Zeglia, ancora diffuso in alcuni centri della Val Canale (KanalskaDolina), a contatto con dialetti tedeschi e i friulani; il resiano (rezijansko), in uso nei paesi della Val di Resia, che, esibendo tratti conservativi, rappresenta un caso a sé tra i dialetti sloveni del Friuli; il tersko, cioè i dialetti del Torre, sulle Prealpi, con diramazioni verso l’area pianeggiante; il nadiško, ossia i dialetti della Val Natisone (e delle valli contermini), tipo più vitale ed esteso. A questi si affiancano le varietà della provincia di Gorizia (briško cioè del Collio o collinare) e di Trieste (kraško, parlato prevalentemente nei paesi del Carso).Di tale articolata compagine va sottolineato che gli slavofoni della fascia prealpina orientale del Friuli hanno saputo preservare fino ai nostri giorni la loro antica parlata avvantaggiati dal relativo isolamento in cui si sono trovati i loro insediamenti, situati in aree scarsamente popolate, e dal tenace radicamento alle origini etnico-linguistiche. Sul piano del riconoscimento e della tutela, gli sloveni della Provincia di Udine sono stati lasciati un po’ nell’ombra fino all’entrata in vigore della legge 38/2001, che intrducendo “Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia”, ha promosso una significativa politica linguistico-culturale di sviluppo degli idiomi locali; alla normativa statale si sono poi affiancati provvedimenti regionali. Diverso è stato il trattamento riservato alle altre comunità slovene della regione, che godono della tutela da parte dello Stato, in particolare nel settore scolastico, prevista alla fine del secondo conflitto mondiale dal Memorandum di Londra del 1948 e poi dal Trattato di Osimo del 1975.Gli abitanti delle aree slovenofone non sono concordi nella scelta degli strumenti e del modello linguistico da proteggere e promuovere, che alcuni vorrebbero appiattire sullo sloveno letterario, ritenuto in grado di salvaguardare anche l’identità linguistica delle valli della provincia di Udine. A tale opzione si oppone tuttavia una parte consistente della popolazione, che vi ravvisa un tentativo di imporre una lingua che non percepisce come sua (lo sloveno letterario), a svantaggio delle parlate locali, che sono considerate invece il patrimonio da tutelare. La ragione di tale atteggiamento dipende anche dalla consapevolezza che esiste un forte legame partecipativo con le vicende storiche e culturali del Friuli (e indirettamente, dell’Italia) mentre i rapporti con gli Sloveni dell’opposto versante alpino, seppur mai interrotti, non sono stati mai così stringenti. Fino a qualche anno fa, inoltre, ribadire le relazioni di parentela linguistica coi vicini della ex Repubblica Iugoslava assumeva in alcune comunità il valore di accettazione di un simbolo politico sgradito a molti.
fonte https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/minoranze/Fusco.html
"Popolo mio amato! Per te ho vissuto, per te mi sono preoccupato, per te ha battuto il mio cuore.Con te ho spartito i giorni belli e quelli tristi, il tuo destino è stato il mio destino (...).
Popolo mio! Come hai fatto finora, anche in futuro ama la tua terra e conserva la fede dei tuoi padri, affinchè un giorno ci ritroviamo tutti nella patria eterna".torrente Resia |
tradotto dal Novi Matajur
Per merito della sua fioritura anomala (in autunno) e quindi facilmente individuabile, il colchico è una pianta conosciuta fin dai tempi più antichi. In effetti il termine colchicum (in greco antico = kolchikòn) etimologicamente è posta in relazione all'antica Colchide (un regno affacciato sul Mar Nero nell'Asia Caucasica). Questo nome lo si trova già nei trattati di medicina di Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell'imperatore Nerone e Galeno di Pergamo (129 – 216), medico greco antico ellenista.
Il nome venne ripreso per la prima volta in tempi moderni dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (5 giugno 1656 — 28 dicembre 1708) e consolidato definitivamente come genere nel 1737 da Linneo[3]. L'epiteto specifico (autumnale) fa ovviamente riferimento al periodo di fioritura anche se la stessa può avvenire anche in piena estate e può trarre in inganno chi crede di raccogliere lo zafferano (Crocus sativus) anche con esiti mortali[4].
Il binomio scientifico attualmente accettato (Colchicum autumnale) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 –Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753.
In lingua tedesca questa pianta si chiama Herbstzeitlose; in francese si chiama colchique d'automne; in inglese si chiama meadow saffron oppure autumn crocus.
La più grande associazione ambientalista della Germania sceglie le Valli del Natisone per i viaggi naturalistici dei suoi iscritti: saranno oltre una trentina – suddivisi in tre turni (17-24 settembre; 1-8 ottobre; 15-22 ottobre) – i turisti tedeschi ospiti della Pro Loco Nediške Doline-Valli del Natisone, che proporrà loro varie escursioni sul territorio tra natura, cultura, storia, tradizioni ed enogastronomia. Si tratta della Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschlands, ovvero la Federazione Tedesca per l’Ambiente e la Protezione della Natura, con sede a Berlino, ma fondata a Monaco nel 1913, che conta oltre 550 mila soci. Ha quale braccio operativo un’agenzia turistica che, insieme alla realtà più piccola ma molto dinamica Sento Wanderreisen di Monaco di Baviera, ha organizzato la trasferta friulana.
“Un riconoscimento – ha commentato Antonio De Toni, presidente della Pro Loco con sede a San Pietro al Natisone – al grande lavoro di sviluppo della ricettività turistica che abbiamo compiuto in questi anni insieme a Comuni, ristoratori, albergatori e aziende del territorio, confrontandoci con le comunità nella manutenzione dei sentieri, nella valorizzazione delle chiesette e nella promozione dei sapori tipici locali.”
I turisti d’Oltralpe visiteranno alcune delle tappe del Cammino delle 44 Chiesette Votive (come quella di Cravero), il borgo di Montefosca per conoscere le sue tradizioni sul Carnevale, viaggeranno tra il santuario di Castelmonte e Stregna e ovviamente esploreranno Cividale. Non mancherà l’ascesa al monte Matajur e una visita ai vignaioli dei Colli orientali del Friuli scendendo fino all’Abbazia di Rosazzo.
“Questi turisti – spiega la guida che li accompagnerà, Antonietta Spizzo – sono alla ricerca di mete fuori dai flussi del turismo di massa, nelle quali ci sia uno stretto rapporto tra le persone che vi abitano e la natura circostante. In tal senso le Valli del Natisone sono una meta ideale e anche molto amata, come dimostrato da altri visitatori che hanno partecipato a questi tour negli anni passati e che sono poi tornati da noi in maniera autonoma. Si tratta di cittadini tedeschi che amano l’Italia e che in alcuni casi parlano anche un po’ d’italiano. Con il programma studiato per loro andremo a toccare tutti gli aspetti salienti del nostro territorio.”
dal Novi Matajur