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26 giu 2021
25 giu 2021
I 30 anni della Slovenia
Per l’indipendenza della Slovenia, proclamata il 25 giugno di trent’anni fa e riconosciuta dalla comunità internazionale all’inizio dell’anno successivo, oltre alla vittoriosa difesa della volontà popolare contro l’armata jugoslava, furono determinanti gli appoggi di alcune potenze europee. La politica europea e mondiale era in gran parte ostile allo smembramento della Jugoslavia e nutriva forti simpatie nei confronti della Serbia.
In questo quadro, la Slovenia ebbe la fortuna di avere alla guida del proprio Governo un democristiano, Lojze Peterle, molto stimato in Germania, in Italia – due delle principali potenze europee, allora entrambe a guida democratico cristiana. E questo fece la differenza, portando anche al superamento delle diffidenze per il fatto che il presidente sloveno, Milan Kučan, tra l’altro illustre sconosciuto fuori dalla Jugoslavia, fosse l’ultimo leader del Partito comunista.
Anche l’Italia era ufficialmente contraria all’indipendenza della Slovenia, tanto che il ministro degli Esteri, il socialista Gianni De Michelis, ammonì Lubiana che il nuovo Stato non sarebbe stato riconosciuto nemmeno in cent’anni. Eppure, dopo nemmeno sei mesi il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si recò a Lubiana a consegnare di persona il riconoscimento ufficiale della vicina Repubblica come Stato indipendente e sovrano.
Nel repentino cambio di rotta ebbero un ruolo determinante le Regioni Friuli Venezia Giulia – presidente Adriano Biasutti – e Veneto, ma soprattutto Carlo Bernini, leader della componente Dorotea nella Dc e ministro dei Trasporti nel settimo Governo di Giulio Andreotti.
Nell’impegno di Bernini, morto nel 2011 all’età di 74 anni, nei confronti della Slovenia, c’è il non trascurabile fatto che suo stretto collaboratore al ministero fosse il beneciano Armando Noacco, all’epoca sindaco di Taipana.
A trent’anni di distanza, il segretario particolare di Bernini, Mario Po’, ci ha rivelato importanti retroscena. «Già da presidente della Regione Veneto, Bernini aveva promosso l’adesione della Slovenia (ancora parte della Federazione della Jugoslavia) alla Comunità di lavoro Alpe Adria a cui partecipavano entità substatali italiane, austriache, tedesche, ungheresi, svizzere e jugoslave, cooperando su vari temi. Ciò avvenne dieci anni prima dell’indipendenza slovena ed era il modo allora possibile per affermare la piena appartenenza della Slovenia alla storia, alla cultura, alla società europea», scrive Po’.
«Questa esperienza – prosegue – non era sempre ben vista dai governi centrali, che la consideravano un’ingerenza negli affari interni o, in Italia, un rischioso scavalcamento delle prerogative e compatibilità statali. Per questo Bernini riuscì sempre a guadagnare tutto lo spazio possibile a favore della collaborazione regionale con la Slovenia, senza creare vere situazioni di crisi con i governi. Il coinvolgimento della Slovenia ricevette un impulso paneuropeo con la partecipazione all’Assemblea delle Regioni d’Europa, sotto la presidenza di Bernini, anche quando egli assunse l’incarico di ministro italiano dei Trasporti nel 1989 (anno cruciale per la caduta della “Cortina di ferro”). Questa priorità politica era stata posta del resto da Bernini nel corso dei Vertici a Venezia e Vienna della CSCE-Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa già nel 1987-1988».
Po’ ricorda che nel corso di un summit dei maggiori esponenti italiani della Dc, tenutosi a Padova il 10/11 febbraio 1990 (prima delle libere elezioni in Slovenia, ndr) il ministro Bernini dichiarò «la necessità di un più avanzato impegno politico dell’Europa occidentale verso la Slovenia, innalzando il profilo istituzionale della collaborazione». Questa dichiarazione, secondo il segretario del ministro, «segnò un punto di svolta nei rapporti tra l’Unione Europea e la Slovenia. A questo summit erano presenti, su invito di Bernini, l’allora giovane segretario della Dc slovena Lojze Peterle, poi diventato primo ministro, e l’arcivescovo di Lubiana, mons. Alojzij Šuštar».
Quindi Po’ rivela un fatto poco noto: «Nei giorni del distacco della Slovenia dalla Jugoslavia, giugno 1991, il ministro Bernini decise di lasciare Roma per andare in Slovenia in auto per fare un atto di protezione (concordato con il ministero degli Esteri italiano) della nuova entità statuale che stava nascendo. Non riuscì a raggiungere Lubiana, perché bloccato da una sparatoria subito dopo il confine italiano. Ne sono testimone personale, avendo seguito i fatti in diretta telefonica dal mio ufficio presso il Gabinetto del ministro a Roma».
Infine, «nelle settimane antecedenti il riconoscimento diplomatico della Repubblica di Slovenia, avvenuto dai Paesi della Comunità Europea il 15 gennaio 1992, il ministro Bernini coltivava frequenti contatti con un esponente sloveno (di cui non posso rivelare il nome) che rappresentava il nuovo governo sloveno presso la Santa Sede (che per decisione di Giovanni Paolo II aveva già riconosciuto la nuova Repubblica). Più volte il ministro mi incaricava di portare messaggi politici al predetto esponente nel suo ufficio a Roma in via della Conciliazione. Tutto ciò era finalizzato ad aiutare la Slovenia nelle fasi iniziali della sua esistenza politica».
Po’ conclude sottolineando di poter riferire nella sua nota solo «fatti privi di segreto di Stato».
Per saperne di più sui fatti di 30 anni fa bisognerà, dunque, attendere ancora. (Ezio Gosgnach)
https://www.dom.it/30-let-za-slovenijo_i-30-anni-della-slovenia/
A Moggio per un programma comune
mons.Lorenzo Caucig |
Dopo molti rinvii, dovuti al perdurare della situazione pandemica, lunedi, 7 giugno, nella Casa San Carlo di Moggio Alto si è riunito, per la prima volta, il Consiglio pastorale di Collaborazione di Moggio Udinese, del quale fanno parte le parrocchie di Pontebba, Dogna, Chiusaforte, Resia, Resiutta e Moggio, che ha sostituito il precedente Consiglio pastorale foraniale.
Come molte altre realtà dell’Arcidiocesi di Udine anche la popolazione del Canal del Ferro vive oggi in una situazioneterritoriale molto diversa da quella vissuta solo una quarantina di anni fa, quando ancora il declino demografico era visto e vissuto solo come una questione di calo della popolazione. Oggi, purtroppo molto tardi, ci si accorge che questo è soprattuttoun problema di squilibri tra generazioni, che comporta gravi implicazioni soprattuttoeconomiche e sociali. Tra gli strumenti, messi in campo dalla società civile negli ultimi anni per mitigare gli effetti prodotti da questa crisi sociale, vi è quella delriordino delle istituzioni
esistenti, cercando di renderle più efficaci nell’operare a favore del prossimo. Anche per questo motivo, ma non solo, l’Arcivescovo di Udine nel 2018 ha promulgato il documento «Siamo una cosa sola perché il mondo creda – Nuove opportunità per l’azione missionaria della Chiesa sul territorio friulano. Le Collaborazioni pastorali».
Le Collaborazioni pastorali sono una forma stabile di collaborazione tra parrocchie, chiamate a far maturare, nel contestoecclesiale e socio- culturale, la loro identità e missione di comunità cristiane mediante un cammino condiviso e coordinato. L’obiettivo da raggiungere è che le singole parrocchie mettano in comune atteggiamenti di dono reciproco, laricchezza di persone, tradizioni, spiritualitàe strutture di cui dispongono. Ciò permetterà ad esse di trovare nuova linfaper esprimere la propria vitalità spirituale ed energie nuove per attuare l’azione pastorale. Durante l’incontro, in cui si è presa coscienza delle forze a disposizione edel campo in cui operare
i prossimi cinque anni, sono stati eletti Sandro Quaglia in qualità di direttore, al quale è stato chiesto di occuparsi anche degli ambiti di cultura e comunicazione, Cristina Savoia quale segretaria ed i vari referenti d’ambito del progetto pastorale: catechesi, liturgia, carità, famiglia, giovani e amministrazione. A conclusione dell’incontro, il parroco coordinatore, mons. Lorenzo Caucig, abate di Moggio ed originario di Iainich/ Jagnjed, ha voluto ringraziare tutti i presenti per l’impegno che si sono assunti a favore della comunità cristiana locale.<
24 giu 2021
Legambiente Pordenone: sacrificare il patrimonio arboreo in piena crisi climatica è poco lungimirante
I lavori in corso tra il Ponte di Adamo ed Eva e Borgomeduna, nel quartiere di San Giuliano, preoccupano il circolo Legambiente "Fabiano Grizzo" di Pordenone, a cui molti cittadini si stanno rivolgendo per avere spiegazioni e per comprendere il significato di quanto sta accadendo in città. Da mesi, la richiesta di creare occasioni pubbliche di condivisione delle informazioni relative alla gestione del verde urbano e instaurare un dialogo tra amministrazione e residenti è rimasta inascoltata. Non solo, ma oggi si assiste a un'opera che impatterà in modo profondo sul paesaggio urbano e che viene realizzata in un'area ad elevato valore naturalistico, lungo lo straordinario e delicato corridoio ecologico del Noncello. Da uno studio commissionato dal Comune di Pordenone nel 2008, la porzione urbana del fiume è risultata il sistema con il più elevato numero e la maggiore superficie di habitat naturaliformi - cioè con una vegetazione simile a quella che si svilupperebbe in condizioni naturali. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la naturalità degli habitat diminuisce seguendo il corso del fiume fuori dalla città.
È difficile, per Legambiente, comprendere perché si sia scelto di intervenire in maniera così impattante proprio in quest'area. Infatti, data la presenza delle piste ciclabili di via Riviera del Pordenone e via San Giuliano e dell'argine, su cui molti pordenonesi amano già correre e passeggiare, non si capisce l'utilità di un nuovo percorso tanto ampio, soprattutto vista la quantità di alberi che è stato necessario abbattere (con la speranza che non ne vengano abbattuti altri) per realizzarlo e visto che il suggestivo sentiero che già attraversava l'area poteva essere mantenuto senza un intervento tanto pesante.L'operazione, peraltro, è stata realizzata in un periodo non consentito. Infatti, secondo la direttiva europea n.147 del 2009, è vietato assolutamente tagliare rami e alberi nel periodo di nidificazione degli uccelli e la legge 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica omeoterma, all’articolo 21 lettera O e all’articolo 31, prevede pesanti sanzioni per la distruzione di uova e nidi. Il periodo di nidificazione dovrebbe iniziare dalla metà di marzo e proseguire fino ad agosto. Alla luce di ciò, pur considerando la presenza di alcune specie aliene invasive che eranopresenti nell'area, appare impossibile giustificare, da un punto di vista forestale e naturalistico, una devastazione simile.
Sacrificare un tale quantitativo di alberi nel contesto della crisi climatica e con i problemi che la città ha da anni per il contenimento dell'inquinamento da polveri sottili, appare poco lungimirante. Il patrimonio arboreo fornisce infatti una serie di importanti benefici, tra cui un indispensabile contributo al contrasto del riscaldamento globale e al miglioramento della qualità dell’aria. Agendo da filtri naturali, gli alberi assorbono gli inquinanti generati dal traffico veicolare, riducendo l'insorgenza di malattie respiratorie nelle aree urbane.
Infine, il Comune di Pordenone non ha ancora adottato il Piano comunale del verde pubblico e privato, previsto dalla legge 10 del 2013, che dovrebbe consentire di formulare una visione strategica del sistema del verde urbano nel medio e lungo periodo. Ancora una volta, Legambiente ribadisce che, per una corretta progettazione e cura del verde urbano pubblico e privato, è indispensabile informare e coinvolgere la cittadinanza, come accade in diverse città europee, dove la progettazione è partecipata.https://www.legambientefvg.it/component/content/article/2-uncategorised/2374-legambiente-pordenone-sacrificare-il-patrimonio-arboreo-in-piena-crisi-climatica-e-poco-lungimirante?Itemid=101
IL KAKI
Il kaki, un'adozione recente
23 giu 2021
In arrivo il caldo africano anche in Friuli
L'alta pressione africana è in indebolimento per un'area depressionaria in approfondimento tra Isole britanniche e Francia ma con poche conseguenze sul Triveneto. Quella di oggi è una giornata nel complesso soleggiata e asciutta. Temperature stabili, caldo ancora intenso seppur un po' meno afoso. Venti da sud/sudovest al mattino con rinforzi sulle aree costiere, di brezza nel pomeriggio. Mare Adriatico poco mosso o localmente mosso.
Le previsioni
Da ieri ci sono infiltrazioni atlantiche da ovest che determineranno un generale aumento della nuvolosità sul Friuli Venezia Giulia e il ritorno di qualche temporale di calore su Alpi e Dolomiti, localmente anche di moderata o forte intensità. Nei primi giorni della settimana anticiclone in indebolimento ma correnti da sudovest piuttosto stabili manterranno condizioni in prevalenza soleggiate e asciutte sulle zone di pianura e costiere mentre su Alpi e Dolomiti rimarrà il rischio per temporali di calore occasionalmente intensi. Caldo che rimarrà sempre piuttosto intenso. https://www.udinetoday.it/meteo/meteo-fvg-settimana-21-giugno-2021.html
22 giu 2021
IL KRIES (FALO') di san GIOVANNI
Celebrato da millenni presso le popolazioni di mezza Europa, il solstizio d’estate, che il cristianesimo ha associato alla festa di San Giovanni Battista, è un autentico scrigno di tradizioni popolari, alcune delle quali ancora vive in Slovenia. Qui come altrove, la festa del Santo cristiano si è sovrapposta a riti pagani antichissimi, al cui centro vi era Kresnik (“Svetovit” per gli antichi slavi), divinità del sole.
Anche grazie all’assonanza dei nomi, presso gli sloveni il cristianesimo ebbe gioco facile a sostituire questa figura con quella del Battista, che in sloveno si chiama appunto “Krstnik” (da “krst” = battesimo). L’antica figura mitologica di Kresnik è stata quindi soppiantata da quella di Janez Krstnik, ma ciò non è bastato a cancellare tutta una serie di riti e usanze di origine pagana, con innumerevoli varianti nelle singole regioni slovene.
Il sole e il fuoco
Durante il solstizio d’estate il sole raggiunge il suo apice, ma ciò significa anche che a partire da questo punto la sua forza andrà diminuendo giorno per giorno. Desiderio dell’uomo era quello di prolungare il più possibile il potere del sole, “aiutandolo” e dandogli forza con l’accensione di grandi fuochi. Ancora oggi uno dei momenti centrali dei riti di San Giovanni è proprio il falò, in sloveno “kres” (legato al nome della divinità Kresnik).
Il kres viene acceso la notte tra il 23 e il 24 giugno di solito sulle alture, affinché possa essere il più vicino possibile al cielo. In molti paesi la raccolta stessa del materiale da ardere rappresenta una sorta di rituale: i giovani vanno di casa in casa a raccogliere legno di scarto e ramaglie e tutte le famiglie devono contribuire in base alla propria disponibilità.
I paesi fanno a gara a chi ha il kres più grande e più bello, in alcuni luoghi si gareggiava addirittura tra le varie frazioni del paese (così ad esempio a Doberdò del Lago – Doberdob (GO)). Nella Slovenia settentrionale al centro del kres si pone un palo decorato chiamato “kresni mlaj”, simile a quello innalzato per il primo maggio. La tradizione del kres è conosciuta anche nei paesi in Italia dove vive la minoranza slovena ed è ancora molto viva in Benečija (Slavia Veneta), dove il più famoso è il “Kries svetega Ivana” a Gorenji Tarbij – Tribil Superiore.