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5 nov 2021

IL FRICO

 

Angelo Floramo

La civiltà del frico

di Angelo Floramo
L’alchimia che si nasconde nella pasta del frico, piatto assurto a simbolo della friulanità assieme alla polente, è semplice ma il rito richiede un’attenzione che non lascia nulla al caso: il primo segreto sta nella scelta dei formaggi da grattugiare. Anzi, da grattare, questo è il termine giusto, altrimenti si perde in sapore. Ne serve uno vecchio, di malga, che abbia almeno dodici mesi di stagionatura, affinato nell’ombra freschissima di un “camarin”, su mensola in legno e finestrella mai chiusa, aperta alle spalle del bosco. Pasta dura, scagliosa, da vescicole che accendono la bocca e vanno spente da sorsi ruscellanti tra i denti, a sopirne quel fuoco. Poi una via di mezzo, un sei mesi di latteria, messo in forma da mano sapiente di un bravo casaro. Un formaggio sociale, orgoglioso dell’anima comunarda, confluita nel grande calderone di rame dalle poche stalle che ancora sopravvivono nei borghi del paese: una o due vacche, ma di tetta generosa, capaci di una linfa giallognola, densa e pannosa, che sa di fieno e di docile pastura. L’imperativo è sempre quello: grattare, furiosamente, fino a quando le dita sfiorano ormai la crosta sbocconcellata, con grave periglio del grattugiatore. Quello che resta si sminuzza a colpi ben assestati di coltello, anzi “cortello”, che detto così taglia di più. Ma non basta ancora: l’impasto ha bisogno di gioventù, che per quanto insipida e ribelle darà al piatto quella morbidezza che rassicura il boccone: sono le “crodie”, le strisce ribelli allo stampo della forma, quelle che ci davano quando eravamo bambini e in latteria ci si andava a piedi, chi per portare il latte chi per raccoglierlo nelle bottiglie di vetro. Ma questa è protostoria. Il frico è lì, a suggerire qualcosa di più. Poi bisogna chiedere all’orto il profumo della cipolla e la terrosità della patata. Il Mediterraneo che ha respiro più mite parteciperà con l’olio d’oliva, che in alcune delle nostre borgate si spreme ancora a freddo, come secoli fa, su frantoio di pietra. Friabile o tenero, pastoso o a “frucions”: questo dipende dal gusto di chi ne fa ordinazione. Se in città lo gustano in piedi, con ribolla ghiacciata, è cosa buona e giusta anche affogarlo nel Cabernet. Respirando la storia imbandita nel piatto.
DA FB

Il frico è un piatto a base di formaggio, ma anche di patate e burro, considerato la preparazione culinaria più tipica del Friuli, più precisamente della Carnia e della cucina friulana.
L'origine di questo piatto tipico friuliano è antichissima. È stato descritto per la prima volta, con il nome di "Caso in patellecte" dal maestro Martino da Como, cuoco del Patriarca di Aquileia Lodovico Trevisan, nella sua opera "De Arte Coquinaria" verso la metà del XV secolo.
Si tratta di formaggio cotto in padella con burro o lardo. Si presenta in due versioni: friabile o morbido.
Entrambi si possono servire sia come antipasto che come secondo. Sebbene oggi il frico sia visto come un piatto festivo, in origine la sua preparazione era finalizzata al recupero di scarti di formaggio (strissulis).
Il frico friabile o croccante è molto sottile ed è fatto di solo formaggio (generalmente Montasio) che viene fritto in olio bollente. Facile da sagomare è ottimo per delle terrine di funghi o fonduta di Montasio. Può essere servito anche come snack.
Frico
Il frico morbido si prepara con del formaggio di diversa stagionatura, patateburro o olio e sale, si presenta come una grossa frittata. Altre versioni prevedono l'uso della cipolla, o in alternativa mele, zucca, erbe aromatiche , può essere arricchito con dell'aggiunta di porro o dello speck. Entrambe le tipologie sono abitualmente servite con della polenta.
frico duro
http://it.wikipedia.org/wiki/Frico

Curiosità

Il frico è offerto in quasi tutte le sagre friulane, l'Alta Val Torre-Terska dolina è la patria del frico..
Tradizionalmente il frico croccante con la polenta fredda è il pasto tipico dei boscaioli, ideale per il lavoro duro nelle fredde montagne alpine.

5 giu 2021

IL FRIC0

 

da vita nei campi fb

Tutta la poesia del frico

di Adriano Del Fabro
Il tecnico caseario Salvino Braidot, dedicò l’appendice del suo libro: “Il Montasio friulano”, pubblicato nel 1972, proprio al frico, riportando quattro ricette. Nello stesso anno Renzo Valente, per conto della Provincia di Udine, curò una Guida turistica della montagna friulana. Nel capitolo dedicato alla gastronomia della Carnia, sottolineò che il “frico (formaggio tenero salato, liquefatto insieme a tuorli d’uova nel burro o nel lardo, due versioni: filato o croccante)” è pietanza tipica carnica oltre che della Val Canale e Canal del Ferro (con la polenta).
Poco prima di morire, nel 1973, Ferdinando Primus di Cleulis di Paluzza (nato nel 1894), diede alle stampe: “Memorie di un piccolo mondo scomparso”. Nel suo componimento poetico: “Polenta e formaggio e polenta e frico”, scrive:
I menus, par chei casòns,
ai mangiavi biei fricons!
Loor ai era strapazzaats,
ma no erin mai malaats!!!
Stait attents a che chi scriif
E disèlu ‘tal paiisc:
Nonde’ nua di plui bon
Di polenta e un fricon!
Datato 1976 è l’interessante scritto di Gaetano Perusini dal titolo: “Vecchie cose di cucina: l’antian pal frico”. Nel suo testo, il Perusini non solo riporta una testimonianza diretta di una signora di Illegio, sulla ricetta del frico di quelle parti, ma descrive pure il recipiente nel quale la stessa veniva cotta e preparata.
A Chiaulis di Verzegnis, nel 1916, era nato il poeta Adalgiso Fior. Nella sua raccolta postuma: “La mê Cjargna” (La mia Carnia), curata da Andreina Ciceri nel 1985, è contenuta la poesia dal titolo: “Prima dì a stâli” (Primo giorno in malga) nella quale, nella terza strofa si richiama a “un frico ben saurît”.
La più antica Sagra del Frico è quella di Carpacco di Dignano la cui prima edizione si è celebrata nel 1982.
Il protagonista del romanzo del 1991 di Sergio Maldini: “La casa a Nord Est” (Premio Campiello), un giornalista romano in fuga dalla capitale, assapora con gusto frico e trote affumicate in una trattoria di Sterpo.
Mario Castagnaviz, sempre nel 1991, nel suo libro dedicato alla storia della Latteria di Cividale, pubblica una scheda su “il formaggio da frico filante” e nel testo: “Carnia Agroalimentare”, racconta del frico di Carnia. Un anno dopo, lo stesso fa Erminio Polo descrivendo le vicende della Latteria di Lavariano.
Nel 1992, il “Dizionario etimologico dei dialetti italiani” spiega che il termine frico deriva dal latino frigere (in friulano: frizi).
La pietanza a base di formaggio fritto, viene descritta anche da Alfio Anziutti, nel 1999, all’interno della sua pubblicazione dal titolo: “Giochi e cibi a Forni di Sopra”.
Nell’anno 2001, il frico è stato inserito nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali del Friuli Venezia Giulia mentre, dal 2017, se realizzato con materie prime certificate regionali, può fregiarsi del marchio collettivo di qualità: AQuA (ma servirebbe qualcosa in più).
Potrebbe essere un'immagine raffigurante cibo e spazio al chiuso
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13 feb 2021

#Vellutata con #aglio di resia


L'aglio di Resia, chiamato anche strok in dialetto resiano[1], è una tipologia di aglio coltivata esclusivamente nel comune di Resia, si presenta generalmente di piccole dimensioni con peculiari caratteristiche organolettiche che si manifestano in odore e sapore accentuato, è riconosciuto tra i prodotti agroalimentari tradizionali di Resia.Il bulbo dell'aglio di Resia si presenta generalmente di piccole dimensioni come pure i bulbilli in esso contenuti in numero variabile da 6 a 8, e solo talvolta 10. Caratteristico è il colore rossastro assunto generalmente dal secondo strato delle tuniche sterili che rivestono il bulbo. Viceversa i bulbilli sono bianchi. Peculiari sono pure le caratteristiche organolettiche che si manifestano in odore e sapore più accentuato degli agli normalmente in commercio.https://it.wikipedia.org/wiki/Aglio_di_Resia

9 feb 2021

LA BROVADA DOP

 da Vita nei Campi

di Adriano Del Fabro
Questo alimento invernale, simbolo della tradizione gastronomica friulana, è stato inserito nell’Elenco dei prodotti agroalimentari regionali nel 1999 e protetto con la Dop dal 2011 (il Consorzio di tutela si è costituito nell’agosto del 2020).
Le rape utilizzate per la produzione della brovada, appartengono a un ecotipo friulano, selezionato a partire dagli anni Cinquanta del Novecento e iscritto nell’Albo regionale per la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale. Il fittone è di colore bianco con colletto viola, con caratteri peculiari relativi alla consistenza e al sapore della polpa. Seminate all’inizio dell’estate, le rape vengono raccolte nei mesi di settembre-ottobre, a seconda dell’andamento meteoclimatico stagionale.
La vinaccia, prima dell’utilizzo, deve avere completato il processo di fermentazione con la trasformazione degli zuccheri in alcol e non deve provenire dalla distillazione.
Una volta lavate e scollettate, le rape intere vengono inserite negli appositi contenitori, alternando strati di radici con strati di vinaccia. La parte superiore della massa è sempre costituita da vinaccia. Nella creazione degli strati viene utilizzata una quantità di vinaccia che varia dal 25 al 100 per cento del peso delle rape immesse. Gli unici ingredienti ammessi sono: rape, vinacce di uve rosse del Friuli Venezia Giulia e acqua. In piccole quantità possono essere aggiunti: sale marino, aceto di vino rosso e vino rosso della regione. Proibito ogni uso di coloranti e conservanti.
A caricamento completato, sulla massa così preparata, si applicano dei pesi per assicurare l’immersione del materiale fermentante durante tutto l’arco del processo.
L’inacidimento delle rape è dovuto al lavoro dei batteri lattici che trasformano lo zucchero delle stesse in acido lattico durante la fermentazione che si svolge a una temperatura non inferiore ai 10 °C e non superiore ai 22 °C. Si considera concluso il processo fermentativo (dopo circa 35-50 giorni), quando anche le parti interne delle rape hanno assunto il caratteristico colore roseo, un aroma di vinaccia e la completa scomparsa del sentore di vegetale fresco.
Oggi, la decina di produttori che rispetta il disciplinare Dop, commercializza annualmente circa 7mila quintali di brovada, proveniente da una cinquantina di ettari delle ex-province di Udine, Pordenone e Gorizia. Dunque, la brovada è una verdura fermentata dal sapore pungente e caratteristico di vinaccia con un pH compreso tra 3,4 e 3,8. Il suo consumo è strettamente stagionale e la sua preparazione può iniziare il 1° settembre e deve terminare entro il 31 marzo. L’immissione al consumo della brovada Dop è ammessa a partire dal 26 settembre e deve concludersi entro il 15 maggio dell’anno successivo.



15 gen 2021

La pitina che cos'è?

 

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pitina_IGP_01.jpg#/media/File:Pitina_IGP_01.jpg

La pitina è una polpetta di carne affumicata originaria della Val Tramontina a nord di Pordenone in Friuli Venezia Giulia.In passato, nelle valli a nord di Pordenone, quando si abbatteva un camoscio o un capriolo, se si feriva o ammalava una pecora o una capra (troppo preziose per essere seppellite) era d'obbligo trovare un metodo di conservazione di lungo periodo. Proprio dall'esigenza di conservazione delle carni nacque la pitina e le sue varianti[1]. L'animale veniva disossato e la carne triturata finemente nella pestadora (un ceppo di legno incavato). Alla carne si aggiungevano sale, aglio, pepe nero spezzettato. Con la carne macinata si formavano piccole polpette, si passavano nella farina di mais e si facevano affumicare sulla mensola del focolare bruciando soprattutto legno di pino mugo. Una volta affumicata la pitina poteva resistere per molti mesi e diventava quindi un riferimento nella dieta dei tramontini.Sembra che già nella prima metà del 1800 fosse in uso fra le genti che abitavano le borgate di Frassaneit, località sita nel comune di Tramonti di Sopra[2].Originalmente la pitina era composta esclusivamente da carni ovine o caprine o da selvaggina ungulata d'alta montagna (camoscio o capriolo). La forma di polpetta è dovuta al fatto che in zone montane non c'erano possibilità di reperire budella per insaccare la carne e quindi conservarla, per cui si era sfruttato questo espediente per sopperire questa carenza. La preparazione non richiedeva particolari attrezzature quindi era possibile prepararle ovunque anche in malghe lontane da centri abitati. Questo succedeva normalmente senza un preciso programma, per cui una capra che si spezzava una zampa, un malessere da parto o l'abbattimento di un camoscio, erano l'occasionale condizione per l'immediata preparazione delle Pitine.https://it.wikipedia.org/wiki/Pitina

9 dic 2020

GUBANZA-GUBANA dolce tipico sloveno delle Valli del Natisone e della Slovenia

 


Dolce friulano tipico delle feste, ponte tra la cucina italiana e quella slovena. La ricetta originale è tipica delle Valli del Natisone, nelle zone di confine con la Slovenia.

Preparazione e ricetta del dolce tradizionale delle Valli del Natisone di Stefano Morandini. La parola gubana deriva dallo sloveno "gubati" cioè arrotolare, infatti questo dolce ha la forma di chiocciola. E' un dolce che si faceva per Natale, Pasqua, matrimoni e per la fine della fienagione. Traduzione dal dialetto sloveno. Ingredienti: Impasto per 2 gubane Mezzo chilo di farina ,3/4 uova, sale, la buccia di un limone grattugiato, 2 cubetti di lievito, due cucchiai tra burro sciolto ed olio,zucchero, una fiala di vanillina. Ripieno: 250 g di noci macinate, 100 g di amaretti sbriciolati, un cucchiaio di zucchero, un panino raffermo, un po' di burro,30 g di pinoli,100 g di uvetta ammollata nel marsala, mezzo bicchiere di grappa, qualche cucchiaio di cacao. Preparazione La pasta deve lievitare due volte. Mettere la farina sul tavolo ed aggiungere il lievito precedentemente sciolto in un po' di latte tiepido, zucchero e una presa di sale. La pasta deve essere piuttosto molle, altrimenti stenta ad alzarsi. Lavorare bene il composto. Coprire con un panno caldo e lasciar lievitare (deve raddoppiare) Nel frattempo rosolare nel burro i pinoli, poi il panino raffermo sminuzzato, sbriciolare gli amaretti che ci serviranno per il ripieno. Quando è ben lievitato si prepara per la seconda lievitazione. Scaldare il latte e metterci dentro il lievito sciolto nel latte e un po' alla volta il burro sciolto e le uova precedentemente sbattute. L'impasto deve essere morbido, se necessario aggiungere un po' di farina. La pasta deve essere lavorata per un quarto d'ora. Si copre con un panno e si aspetta che lieviti nuovamente (minimo un'ora) Mettere in una terrina tutti i componenti del ripieno. Quando è ben lievitato spianare col mattarello una sfoglia di 1 cm e mezzo, mettere sopra il ripieno con qualche fiocchetto di burro. Fare un rotolo, pressare livemente per chiuderlo ed arrotolarlo a chiocciola. Prendere una teglia imburrata,spennellare la gubana con la chiara d'uovo sbattuta e mettere nel forno preriscaldato. Cuocere a per circa un'ora e un quarto a 170°.

Buon appetito!

31 ott 2020

Per Ognissanti c’è l’ocikana - Ocikana v Terski dolini za Vahte

 


Tempo di preghiera, per la ricorrenza di Ognissanti e di Tutti i Morti, e tempo di tradizioni in Alta Val Torre, dove si è mantenuta inalterata nei decenni, in questa zona del Friuli più che altrove, l’usanza di cucinare un piatto tipico, quello della polenta condita, la «Ocikana».

A raccontare come si prepara la speciale pietanza è Franca Sinicco, 57 anni, un’esperta dei fornelli, ottima cuoca ed erede della tradizione culinaria di famiglia.
«Per prima cosa – spiega –, bisogna preparare la polenta che va fatta più morbida di quella che si fa di solito. Si può usare la farina bianca con un pugno di quella gialla. A parte si deve far sciogliere, intanto, un bel po’ di burro. A parte, ancora, si mette del latte a scaldare con l’aggiunta di sale».
Una volta cotta la polenta, si prende una terrina ampia e si comincia a preparare la Ocikana a strati. È da questa terrina, molto capiente, che poi la pietanza sarà mangiata dai componenti della famiglia durante la sera del primo novembre.
«Con il cucchiaio si trasforma la polenta in una sorta di gnocchetti. Tra uno strato e l’altro di gnocchetti si sparge il latte e si cosparge con il formaggio tagliato fino, grattugiato. Si possono usare insieme formaggio fresco e quello stagionato, più saporito. Fatti un po’ di strati, a piacere, si procede con il burro: fatto colorire senza bruciarlo, va messo sopra l’ultimo strato. La Ocikana è pronta».
La pietanza non va mangiata tutta, si lascia una parte nella terrina, sulla tavola, per la notte: al calare del buio, si dice, le anime dei morti che si ridestano per Ognissanti potranno cibarsene, nel loro breve viaggio di ritorno nel mondo dei vivi, concesso loro solo per questa notte così particolare.
«Si tratta di un piatto molto calorico, che dà molta energia, mangiato tutti insieme per affrontare, nei mesi già freddi, il duro lavoro nei campi e più spesso nei boschi». Ad accompagnare la polenta condita, che ancora oggi preparano tutte le famiglie dell’Alta Val Torre, poteva esserci, raramente, del vino. «Ognuno aveva una vigna fuori casa e il vino, seppure poco come quantità, faceva parte delle tradizioni della tavola – spiega Franca –; era un vino spesso acido, che si beveva subito perché non si conservava per molto tempo». (Paola Treppo)
Na praznik Vseh svetnikov in na dan Vernih duš je v gornji Terski dolini še živa navada, da pripravljajo ocikano. O tem nam je povedala domačinka Franca Sinicco, ki je stara 57 let.
Ocikana je mehka polenta iz koruznega in pšeničnega zdroba, ki je najprej rezana na kose, nato zabeljena z mlekom in potem posuta z ribanim dozorjenim sirom ter popraženim maslom. Nekaj ocikane so nekoč po hišah pustili za duše, ki so se na Vahte vrnile med živimi.

30 set 2020

Ricette delle Valli del Natisone-Nediške doline

 

Le Sope o Šnite
Frittelle di pane imbevuto con latte e tuorlo

4 Fette di pane vecchio
latte 100 ml
2 uova
Sale un pizzico
Un cucchiaino di grappa

Procedimento:
Preparare le uova sbattute con il latte, sale e grappa; bagnare il pane immergendolo nel liquido e poi friggerle direttamente nell’olio di arachidi bollente fino a doratura.
Ricetta di Stulin Liliana di Tribil Superiore di Stregna.

25 set 2020

Gnocchi di patate con le prugne (piatto tipico austro ungarico)


 ingredienti

  • 250 g di farina di frumento
  • 600 g di patate schiacciate
  • sale 
  • 0,5 di olio
  • 2 uova
  • 2 cucchiai grandi di burro
  • 3-4 cucchiai di pane grattugiato
  • zucchero a piacere
  • cannella in polvere

procedimento

Laviamo e cuociamo le patate.Quando sono ancora calde le peliamo e schiacciamo con  lo schiacciapatate.Quando si raffreddano mettiamo il sale ,l'olio,le uova e impastiamo il tutto.Aggiungiamo la farina e aggiungiamo gradualmente la farina,impastiamo velocemente per distribuire uniformemente. Se impastiamo troppo a lungo o lasciamo riposare l'impasto diventerà liquido.Con le mani infarinate strappate dei mucchietti di pasta della stessa dimensione.Appiattire la pasta e adagiare una prugna su ogni pezzo di pasta.Cospargere un cucchiaino di zucchero al centro della prugna.Chiudere la pasta e formare uno gnocco.
Quando l'acqua leggermente salata bolle,adagiare nella pentola gli gnocchi e cuocere per 10 minuti ca.Quando  vengono a galla sono cotti.Riscaldare il burro in una padella e friggere il pangrattato.Quando diventa dorato aggiungere gli gnocchi e cospargere con pangrattato,zucchero e  cannella prima di servire.
Buon appetito.

Questo piatto è tipico della Benečija,Slovenija ,Austria,Friuli (goriziano e Trieste,Carnia,Resia)


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