NEMMENO IL LUPO HA MAI MANGIATO L'INVERNO
dal giornale Dom vignetta di Moreno Tomazetig |
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Marino Qualizza
Mi ha fatto un gran piacere vedere il telegiornale Rai in lingua slovena delle 20.30, quando ha mostrato come a Codromaz, Canebola e Masarolis fosse viva la nostra lingua, chiaramente nella versione dialettale, ma pur sempre appartenente alla grande quercia della lingua slovena, come dichiarano da anni, inascoltati, gli slavisti italiani. Che si sia conservata e che i superstiti dello spopolamento l’abbiano mantenuta viva, fa grande piacere.
Vedo ora che la Giunta regionale ha approvato un «Regolamento per la concessione di finanziamenti in favore del resiano e delle varianti linguistiche delle Valli del Natisone, del Torre e della Val Canale». Si potrebbe dire, tanto tuonò che piovve. L’insistenza dei promotori per questi finanziamenti,dopo l’approvazione della legge statale in difesa dello sloveno, nel 2001, ha trovato udienza in Regione. Si sa che le decisioni politiche non sono dichiarazioni scientifiche né si fondano su studi di glottologia, ma rispondono ad una esigenza funzionale.Ciò che ci interessa particolarmente in questo caso, è l’uso dei finanziamenti. Dopo il 2001 è sorto un interesse mai visto per i dialetti. Potremmo dire che è il primo effetto positivo della legge di tutela, ma esso ha due esiti non coincidenti. Se questi finanziamenti vanno veramente per la promozione di queste varianti, siamo i primi a esultare. Da sempre sosteniamo i nostri dialetti e li consideriamo come base per la conoscenza anche della lingua corrente. Le due cose vanno bene e convivono in tutto il mondo, con buona pace di chi teme la scomparsa dei dialetti.Questi in realtà stanno scomparendo perché pochi li parlano, a partire da coloro che ora si affidano alla Regione. Dobbiamo affidarci a noi, altrimenti non succede proprio nulla. E allora ci sorge il sospetto che anche questo aiuto regionale sia una maschera per nascondere tutto e impedire quanto si vuole promuovere. Soprattutto se si vuole affermare che queste varianti fanno parte di una lingua slava scomparsa. Sarebbe veramente deplorevole e una presa in giro, che questi finanziamenti servissero ad altri scopi. Ma visto che l’astuzia umana ha mille risorse, dovremo fare attenzione per il buon uso di un bene comune.
dal Dom del 15/11/2020
La situazione odierna non è delle migliori e, in particolare, per alcune aree ai margini come la Benecia le difficoltà attuali si inseriscono in un contesto di partenza non facile. Gli operatori e le realtà associative delle Valli del Natisone, però, ce la mettono tutta e stupiscono per l’inventiva che sanno tirare fuori anche in periodi duri come quello che viviamo oggi. Ecco che iniziative come «Marajna» nell’ambito del tradizionale Burnjak di Tribil – che quest’anno si è svolto domenica, 18 ottobre, sotto una nuova veste – Invito a pranzo e quella organizzata da Sapori nelle Valli alla zona industriale di San Pietro al Natisone ogni fine settimana di ottobre (l’ultima è saltata causa misure relative al contenimento della Covid-19) riescono ad attirare numerose persone anche da fuori.
«È andata meglio di quello che pensavo – racconta Francesco Chiabai della Kmečka zveza di Cividale che, assieme a Michela e a Stefano Predan, ha organizzato l’iniziativa «Marajna» –. Le persone cercano questo adesso, ossia conoscere le aziende agricole operanti sul territorio che, devo dire, lavorano molto bene e non hanno paura di aprire le proprie porte». Le aziende agricole che hanno preso parte a «Marajna» sono state una decina: l’azienda agricola Giuseppe Specogna s.s. (Pulfero), l’azienda agricola Manig (San Pietro al Natisone), Gubana della nonna (San Pietro al Natisone), L’oro della Benečija (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Zore (Taipana), Pra’ de Fontana (Torreano), l’azienda agricola Angolo di Paradiso (San Leonardo), l’agriturismo La Casa delle Rondini (Stregna), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone) e La casa del tempo (San Leonardo). «Siamo soddisfatti dei numeri, non abbiamo avuto tantissima gente ma meglio così, perché come prima esperienza è andata bene con all’incirca 60/70 presenze. Si potrebbe anche pensare di ripetere questa iniziativa», aggiunge Francesco Chiabai che sottolinea anche quanto sia importante che le persone di fuori vengano in Benecia e vedano con i propri occhi dove lavorano le nostre aziende e quali sono le difficoltà che si trovano a dover fronteggiare.
Domenica, 25 ottobre, si è svolto un evento molto simile a «Marajna », organizzato da Marino Visentini, segretario del circolo di Udine di Legambiente, con visita all’Oro della Benečija di Angela Venturini e all’azienda agricola Manig di Elisa Manig. All’iniziativa «Marajna» hanno collaborato anche i giovani, Katja Canalaz, Fanika Coren e Biagio Tomasetig, che Francesco Chiabai ci ha tenuto a ringraziare. (Veronica Galli)
Anche se una volta contava oltre settecento abitanti, oggi Canebola di Faedis/Čenijebola conta una settantina di residenti. Gli abitanti al momento sono sempre meno, ma di giovani ce ne sono ancora e la comunità cerca di restare unita attorno alle proprie usanze e tradizioni.
Ricordiamo che sul territorio del comune di Faedis (come a Nimis, Attimis, Torreano e Prepotto) si parlano tre lingue: accanto all’italiano, anche le locali varianti di friulano e sloveno, entrambe tutelate dalle leggi statali e regionali. A Canebola, accanto all’italiano e al friulano, la lingua tradizionale del paese è il locale dialetto sloveno. La signora Iva Zoder spiega: «A casa nostra abbiamo sempre parlato nel nostro dialetto. Parliamo anche friulano e italiano, ma a Canebola si parla nel nostro dialetto».
La parlata di Canebola rappresenta, quindi, ancora un elemento importante nella vita di una comunità che nei decenni passati ha subito le stesse dinamiche di spopolamento che hanno interessato molti altri paesi della Slavia. «La modernità ha un po’ svuotato i nostri paesi, con la nostra gente che tende a disperdersi », nota Claudio Petrigh, anche se alcuni, dopo qualche anno all’estero, hanno fatto ritorno.
Un punto di riferimento importante per la cultura del paese, come in molte altre località, è la chiesa, intitolata a San Giovanni Battista. Le prime notizie della sua esistenza risalgono al XV secolo. È stata ricostruita nel XVIII e nel XIX secolo; dopo il terremoto del 1976 è stata ristrutturata per i forti danni subiti. I tempi in cui a prestare servizio erano sacerdoti che conoscevano la lingua locale, tra cui don Emilio Cencig, ormai sono un ricordo; ora i sacerdoti che conoscono lo sloveno sono pochi – e le celebrazioni sono, così, officiate in italiano. Ma la cultura locale è ancora presente attraverso il canto, ad esempio con Lepa si o Ti, o Marija, nonché altri canti religiosi intonati in occasione delle festività centrali nell’anno liturgico.
Nei plessi scolastici del comune, giù in pianura, l’insegnamento dello sloveno non è stato attivato. E pensare che un tempo, nelle frazioni montane di Faedis, il catechismo era insegnato in sloveno locale.
Anche se la chiesa del paese è intitolata a San Giovanni Battista, il momento centrale per eccellenza nella vita della comunità continua a restare la festa di Sveta Marija Bandimica («Madonna della Vendemmia»), che ogni anno cade in una delle domeniche prossime alla ricorrenza della Natività della Beata Vergine Maria, celebrata l’8 settembre. Rino Petrigh, che a Canebola aiuta in chiesa, nota come il nome della festa in dialetto sloveno sia legato al periodo della vendemmia, con le attività agricole espletate in quel periodo. (Luciano Lister)
https://www.dom.it/cenijebola-se-diha-v-svojem-jeziku_canebola-respira-nella-sua-lingua/
ORGANO DEGLI SLOVENI DELLA BENEČIJA-GLASILO
BENEŠKIH SLOVENCEV
ČEDAD/CIVIDALE, 3. Ottobre 1950.
Anno/Leto 1-numero 1/štev.1
Primo giornale degli Sloveni bella Benečija
3 ottobre 1950 primo numero
Il Novi Matajur è il settimanale degli sloveni della provincia di Udine. Dal primo numero uscito nel 1950 il 3 ottobre (MATAJUR) diretto per 23 anni da Tedoldi Vojmir (mio padre) svolge un importante ruolo informativo, culturale e di collegamento. Il giornale è bilingue, gli articoli sono in sloveno standard o nei dialetti locali e in italiano.Ora è diretto da Michele Obit. Il 3 ottobre 1950 a San Pietro al Natisone uscì il primo numero del periodico Matajur,portavoce della Benečija.L’idea di istituire questo giornale venne a Vojmir Tedoldi, a sua moglie Jožica Miklavčič (mia madre),a Mario Cont e a Izidor Predan (Dorič).
Il nome Matajur lo prese da un giornale partigiano del 1944.
Inizialmente la redazione ebbe sede a San Pietro al Natisone,ma poi a causa dei movimenti antisloveni di allora, fu trasferita a Udine dove vi rimase fino alla fine del 1973.
Inizialmente si stampava a Gorizia nella tipografia Lukežič e poi a Udine da Marioni. Fino ad allora il direttore responsabile del Matajur fu Vojmir Tedoldi,giornalista di Cornappo,che con la moglie Jožica si è impegnato per la diffusione della lingua slovena in Benečija attraverso il Matajur.
All’inizio usciva su due,a volte quattro pagine ,poi si arricchì di più fogli ed iniziò a pubblicare un’appendice linguistica in italiano che presentava, in modo semplice,le regole della grammatica slovena (le declinazioni).
Successivamente diventò quindicinale con più pagine ed immagini a colori.
Il Matajur era scritto nei vari dialetti della Benečija, in sloveno ed italiano.
Essere direttore di un giornale sloveno in provincia di Udine per gli anni 50′-60’non era era facile.
Ricordo con piacere le belle illustrazioni del prof. Emilio Kavčič ,originario della Benečija,insegnante all’istituto d’arte di Udine.
Gli abbonati del Matajur erano Benečani delle varie valli ed emigranti sloveni dell’ Europa e del mondo.
Attraverso la lettura del giornale generazioni di benečani hanno imparato a leggere e a scrivere nelle varianti di dialetto e si sono avvicinati alla lingua slovena letteraria.
Dal 1 gennaio 1974 il periodico prese il nome di Novi Matajur,la redazione da Udine si trasferì a Cividale,dove ha sede tuttora.Il direttore responsabile era Izidor Predan fino all’ 84, con il primo gennaio 1985 il giornale è diventato settimanale, la direzione è stata affidata prima a Iole Namor. Oggi è direttore responsabile Michele Obit.
Il Matajur e il suo successore Novi Matajur, pubblicando contributi in italiano, sloveno e in diverse varianti dialettali, svolge un’attività informativa, culturale e di raccordo sia sul territorio che tra gli sloveni emigrati all’estero.(O.T.)
Primo direttore del Matajur - Tedoldi Vojmir |
Predan Isidoro/Dorič |
Jole Namor |
Miha/Michele Obit attuale direttore |
Monteaperta, chiesa parrocchiale e sacramentale dedicata a San Michele Arcangelo e a San Lorenzo (prima era una chiesa vicariale dedicata ai Santi Daniele e Lorenzo, dei quali esisteva una Fraterna fino 1482).
Già citata in documenti risalenti al 1585, è stata ricostruita dopo la distruzione del terremoto del 1976. Il suo alto antico campanile è stato restaurato. Furono però mantenuti una Via Crucis, l'organo e mobili antichi. La vecchia chiesa era riccamente decorata con affreschi dipinti da Titta Gori (1870-1941) pittore di Nimis. Il 23 settembre 1708, Monteaperta supplica il Senato Veneto di elevare la loro chiesa in battesimale e sacramentale: si conferma che ad onta della distanza e della difficoltà delle vie, nessuna chiesa in montagna è sacramentale. Bambini morti senza battesimo, ed adulti senza sacramenti. Il Cornappo si attraversava 4 volte. La chiesa parrocchiale fu fatta solo sacramentale il 6 settembre 1710. Il 4 dicembre 1710, il Monsignore Patriarca permette finalmente di amministrare il battesimo in chiesa a Monteaperta. Monsignore Alessio Pievano di Nimis eleva con il decreto del 19 dicembre 1912 la chiesa San Michele Arcangelo a curaziale.Montemaggiore (Brezje in sloveno) è una frazione del comune di Taipana, in provincia di Udine.
Il paesino è collocato ai piedi della Punta di Montemaggiore - Gran Monte (m 1613) ad un'altitudine di m 790. Attualmente vi risiedono circa 15 abitanti ma fino alla metà del secolo scorso era popolato da oltre 300 persone, in gran parte contadini e allevatori. Questi ultimi, all'inizio di ogni inverno, si spostavano con le mandrie e le famiglie nel villaggio più riparato di Sdregnobardo, dove avevano delle abitazioni e delle stalle che oggi sono in totale abbandono.Alla fine della seconda guerra mondiale gran parte della popolazione fu costretta ad emigrare in Francia, Svizzera, Canada e perfino in Brasile. Il terremoto del 1976 dette il colpo finale a questo paesino che venne allora quasi completamente abbandonato nonostante la ricostruzione avvenuta negli anni '80. Gran parte delle case sono infatti utilizzate prevalentemente soltanto nel periodo estivo.
La parte nord-orientale della provincia Friuli (Italia), ovvero l'entroterra della città di Cividale del Friuli , è una regione montuosa al confine con la pianura friulana che si estende verso il mare Adriatico. Gli abitanti della regione da tempo parlano sloveno. La regione di lingua slovena storicamente si chiama Schiavona, e più tardi Slavia Veneta o Slavia Friulana (Beneška Slovenija, in sloveno).
Una regione che nella storia è stata separata dalle altre province slovene, prima sotto il Patriarcato di Aquileia (Friuli) e dal 1420 d.C., insieme al Friuli, sotto la Repubblica di Venezia. Quando dopo il 1500 d.C. il vicino Principato di Görz passò sotto il dominio degli Asburgo e del loro impero (Austria), Schiavona ottenne una posizione molto strategica. Per garantire la lealtà dei suoi abitanti, la Repubblica di Venezia le concesse un'ampia autonomia.
Lo stemma di Schiavona era fino a poco tempo sconosciuto. Ma esisteva, e si trova nel manoscritto di Vincenzo Jacopi (1672 - 1726), conservato nella biblioteca di Udine.
La metà superiore rappresenta i monti di Schiavona con il sol levante, che sono osservati dalla pianura friulana e veneta, che si vedono nella metà inferiore.
https://www.heraldry-wiki.com/heraldrywiki/index.php?title=Slavia_Friulana&fbclid=IwAR3p5nuWruT9ua-QH9qAbe_phAN_iqKXvwxODxp9P_feb_aIuTcpb38gc5Y
Dopo di lei hanno portato il proprio saluto la sindaca del comune di Grimacco, Eliana Fabello, i consiglieri regionali Giuseppe Sibau e Furio Honsell (che è anche rettore dell’Università di Topolò), la ministra per gli sloveni nel mondo Helena Jaklitsch e il presidente dell’associazione Mittelfest, Roberto Corciulo.
Quindi Moreno Miorelli, che fin dalla prima edizione organizza l’evento
assieme a Donatel la, ha presentato i contenuti della Stazione, gli incontri
che si tengono prevalentemente nei fine settimana, con un ricco program-
ma che non risente delle limitazioni legate al coronavirus, emergenza che però ha costretto a organizzare la manifestazione, per la prima volta, in una data diversa da quella di luglio.
Miorelli ha anche ricordato i tanti appuntamenti che coinvolgono la Postaja nel corso dell’anno, segno di un impegno e una presenza che coinvolge molte persone. In questi ultimi anni si è distinta in particolare l’associazione Robida, composta da giovani del luogo le cui iniziative sono sul solco di quelle della Stazione, ma lo stesso aumento di abitanti nel paese in questi ultimi tempi, in controtendenza con altre realtà della Benecia, è di per sé un dato significativo e che infonde fiducia per il futuro.
https://novimatajur.it/cultura/i-progetti-per-topolo-una-dote-per-tutto-il-territorio-della-benecia.html
Bisognerebbe sempre cambiare casa
anche quando non si è soli
e non stanchi
e si sta bene.
Bisognerebbe cambiare casa
sempre e portare con sé i quadri
la radio e le tende
cambiare casa perché è così che
si cambia
prendendo le poche armi ed i tanti bagagli
andandosene
anche quando non si è soli
e non stanchi
e si pensa di stare bene.
Michele Obit (Ludwigsburg, 1966) vive e lavora a Udine.
È direttore responsabile del settimanale bilingue della minoranza slovena in Italia «Novi Matajur».
Come organizzatore culturale collabora alla realizzazione del festival Stazione di Topolò / Postaja Topolove, che ogni anno, in estate, si tiene sul confine, per il quale cura il progetto di residenza per scrittori e poeti «Koderjana» e gli incontri letterari «Voci dalla sala d’aspetto/Glasovi iz cakalnice».
Dal 1998 si occupa di traduzione letteraria dallo sloveno in italiano.
Ha curato e tradotto due antologie di poeti sloveni delle giovani generazioni: «Nuova poesia slovena »(1998) e «Loro tornano la sera» (2011), entrambe pubblicate per Editoriale Stampa Triestina (ZTT EST).
L’anno seguente traduce in italiano le poesie per l’infanzia di Srecko Kosovel pubblicate con il titolo Il ragazzino e il sole. Nel 1999 ha inoltre co-fondato a Sacile (PN) il laboratorio sulla traduzione poetica «Linguaggi di-versi / Razlicni jeziki».
Ha pubblicato numerose raccolte poetiche: Notte delle radici (1988), Per certi versi / Po drugi strani (1995), Epifania del profondo / Epiphanje der Tiefe (2001), Leta na oknu (2001), Mardeisargassi (2004), Quiebra-Canto (2004), Le parole nascono già sporche (2010), Marginalia/Marginalije (2010) e la plaquette Un uomo è anche un aratro (2015).
Ha anche proposto, tradotti per il pubblico italiano, i grandi scrittori sloveni e i poeti più significativi della nuova generazione come Brane Mozetič (Passion, Zoe edizioni, 2007), Miha Mazzini (Il giradischi di Tito, Fazi, 2008), Aleš Šteger (Berlino, Zandonai, 2009).
A questi nomi, si aggiungono infine anche quelli del pluricentenario autore triestino in lingua slovena Boris Pahor (Piazza Oberdan, Nuova dimensione, 2010) e di Florjan Lipuš (L’educazione del giovane Tjaž, Zandonai, 2011).
Dal 2006 collabora come traduttore permanentemente con la Fondazione «Le vie della pace nell’Alto Isonzo di Kobarid/Caporetto». Per la collana eLit ha tradotto due volumi: Niente di nero in vista di Nataša Kramberger e La stagione secca di Gabriela Babnik.
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JAJNICH/JAGNJED Domenica, 30 agosto, alle 16 la santa messa nel sacro edificio dopo i lavori di restauro
Domenica, 30 agosto, alle ore 16 si riapre al culto la chiesetta di San Nicolò, appartenente alla parrocchia di San Leonardo, lungo la strada che da Castelmonte conduce a Tribil Superiore, sopra il paese di Janich.
I lavori di restauro si riassumono nel rifacimento del manto di copertura dell’atrio antistante, parte della copertura dell’aula della chiesa; rinforzo e stabilizzazione della bifora delle campane; demolizione degli intonaci esterni assai ammalorati; sabbiatura delle pietre e pulizie delle loro fughe. Si è voluto rimettere in luce le originali pietre lasciandole in vista. La tinteggiatura dell’interno ha concluso l’opera. Tutto l’intervento è stato effettuato dai volontari della parrocchia e dal gruppo Ana di San Leonardo, che porta nel suo logo distintivo la chiesa di San Nicolò.
La sua costruzione è antichissima (XIII sec.). Era il 27 febbraio del 1294 quando il patriarca di Aquileia diede licenza per edificare una cappella in onore di San Nicolò. L’edificio subì numerose modifiche, soprattutto
a causa dei sismi del 1511. La costruzione attuale risale al primo Cinquecento. Una nuova consacrazione avvenne nel 1525, come è testimoniato dalla data incisa sull’arco della porta. All’interno l’altare è opera recente, creazione degli artisti cividalesi Leo e Pio Morandini e del pittore Giacomo Bront, e risale al 1959.
La chiesa è consacrata a San Nicolò di Bari, protettore dei naviganti ma anche invocato nelle alluvioni. Proprio in questo luogo ha avuto origine la devozione verso questo santo. Dietro la chiesa c’era in antico un lago che durante un terribile acquazzone straripò. L’acqua scese lungo il pendio invadendo l’abitato sottostante e abbattendo le abitazioni ricoperte di paglia. La gente si votò a San Nicolò e il temporale cessò immediatamente.
Per volere dell’arcivescovo Giuseppe Luigi Travisanato la festa della dedicazione fu trasferita alla seconda domenica di ottobre. Si creò così un momento per ricordare un avvenimento storico, la “battaglia
di Jainich” (28.10.1917) nel luogo di un sanguinoso scontro armato fra truppe tedesche e reparti italiani. In memoria di questo avvenimento venne posta una lapide sopra la porta della chiesetta. I corpi dei caduti furono sepolti nel prato intorno alla chiesa.
Un altro prezioso reperto di storia delle Valli riacquista il suo originale aspetto.
don Michele Molaro
Il progetto in corso nel Friuli Orientale nasce grazie alla collaborazione tra la giornalista italo- francese Monica Fantini e Stazione di Topolò. ‘Ecouter le monde/Ascoltare il mondo’ è il nome del progetto internazionale artistico e pedagogico, creato dalla Fantini e dedicato allo sviluppo della pratica e della capacità di ascolto.
Per farlo, è stata inventata una piattaforma digitale che offre un’esperienza inedita: far scoprire le culture del mondo attraverso i suoni della quotidianità.
“In effetti – dice Fantini – siamo abituati a guardare il mondo, me- no ad ascoltarlo. Eppure, i richiami dei venditori di un mercato di Dakar, le grida dei bambini in una piazza di Parigi, i canti della pagoda di Rangoon, i suoni di tutte le lingue parlate a Bruxelles o la mezzanotte suonata dalle campa- ne di piazza San Marco a Venezia… raccontano la nostra quotidianità, con una forza evocativa forse superiore alle immagini. I suoni registrano tracce della nostra umanità.”
Il progetto per Stazione di Topolò prevede la registrazione di suoni e testimonianze dirette di giovani che hanno scelto di sfidare le difficoltà del vivere in zone ritenute marginali per intraprendere attività di impresa, come l’allevamento, l’agricoltura, il turismo sostenibile o lo studio della montagna.
Oltre a ciò, saranno proposti diversi laboratori dedicati all’ascolto, alla creazione letteraria, sonora e visiva in collaborazione con Robida, con gli artisti in residenza a Topolò dal 28 settembre e i visitatori della Stazione.
Tutte le creazioni realizzate nell’ambito della residenza saranno presentate al Festival, pubblicate sul sito www.ecouterlemonde.net e mandate in onda su Radio France Internationale. Un contributo, questo, decisamente importante per la conoscenza all’estero delle nostre zone confinarie.
https://novimatajur.it/cultura/ascoltare-il-mondo-con-i-suoni-del-quotidiano.html
Escursione adatta alle famiglie negli ambienti naturali dell’incontaminata
. Risalendo il corso del torrente Resia, splendido corso d’acqua di elevato valore ecologico, verranno percorsi ambienti di fondo valle dalla notevole qualità ambientale in cui vengono raccolte o coltivate piante benefiche trasformate poi in infusi e sciroppi salutari, in una filiera corta che dal prato giunge direttamente ad una buona tisana.