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IVAN TRINKO padre della Benecia

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8 mar 2022

Così Jakob Kandut aiutò la sua gente

 


A cura della Casa editrice Goriška Mohorjeva družba e per i tipi di Grafica goriziana, a fine 2021 è stato pubblicato il libro «Jakob Kandut – Viharnik iz Kanalske doline» («Jakob Kandut – albero solitario della Valcanale»). Il nuovo volume in lingua slovena è uscito nell’ambito della collana «Naše korenine» (in italiano «Le nostre radici»), in collaborazione con l’Associazione/Združenje don Mario Cernet.

La pubblicazione raccoglie gli scritti che l’ugovizzano Jakob Kandut ha redatto, nel corso degli anni, per il bollettino parrocchiale «Ukve» e la trasmissione «Glasnik Kanalske doline» («Lo squillo della Valcanale»), alla quale collaborava per Radio Trst A. Alcuni testi erano già stati messi a disposizione tempo fa dai suoi figli, Marko e Miriam; altri erano conservati all’Istituto Urban Jarnik di Klagenfurt. La scorsa estate tutto il materiale è stato raccolto in modo organico.

Ad aprire il libro sono un’introduzione di Marko Tavčar, che ne ha curato la pubblicazione, e un ricordo di Kandut a firma del suo amico Stanislav Soban. Gli scritti di Kandut vengono, quindi, presentati ai lettori suddivisi in tre ambiti tematici: «Iz življenja na vasi» («Dalla vita in paese»); «Naravno bogastvo in gospodarski razvoj» («Ricchezza della natura e sviluppo economico») e «Kanalska dolina v kolesju zgodovine» («La Valcanale nell’ingranaggio del tempo»).

In ogni testo composto da Kandut spicca l’approccio più divulgativo che scientifico, che presenta una vasta gamma d’informazioni. Va ricordato che spesso tali testi erano rivolti ad un pubblico di ascoltatori. Un punto forte del libro sono anche le fotografie, fornite dalla famiglia Kandut stessa e da Osvaldo Errath di Ugovizza.

Jakob Kandut nacque nel 1913 a Ugovizza/Ukve e morì nel 1996 a Trieste. La pubblicazione, quindi, ricorre a 25 anni dalla sua scomparsa. L’interessante storia di vita di Kandut è portata all’attenzione del lettore da Marko Tavčar già nell’introduzione. Orfano di guerra, Jakob fu allevato da sua madre, che si mise a lavorare. Suo padre, infatti, era morto in Galizia durante la prima guerra mondiale. Negli anni in cui era parroco a Ugovizza, don Anton Češornja si adoperava affinché i ragazzi di maggiore talento andassero a studiare in città. Così il giovane Jakob ricevette una borsa di studio che lo portò a Gorizia/Gorica. Mentre viveva allo studentato di lingua slovena dell’Alojzijevišče, lì frequentò il ginnasio. Dopo avere proseguito gli studi al seminario minore, conseguì la maturità a Udine.

Nell’autunno del 1935 Jakob si iscrisse all’Università di Padova, prima a scienze naturali e in seguito a giurisprudenza. Dopo la laurea fece rientro a Ugovizza e, una volta assolto il periodo di leva, per qualche tempo trovò impiego a Tarvisio/Trbiž.

La seconda guerra mondiale portò un grande sconvolgimento anche in Valcanale, ma Jakob continuò a rimanervi. Essendo un giurista, dopo la guerra aiutò a scrivere lettere, adoperandosi molto per la restituzione della cittadinanza a quanti avevano optato per il Terzo Reich. Ad ancora prima, agli anni degli studi, risale il suo impegno a fianco della gente di Ugovizza per il mantenimento dei diritti di servitù.

Sempre dopo la seconda guerra mondiale aiutò molto anche gli abitanti di Rateče, allora in Jugoslavia, nell’ottenimento dei risarcimenti di guerra e circa i diritti di doppia proprietà sui loro possedimenti che si trovavano da parte italiana del confine.

Negli anni Cinquanta conobbe Hedvika, un’insegnante che sposò nel 1959 e con cui ebbe due figli. In quegli anni risiedeva ancora in Valcanale, dove insegnava tedesco. All’inizio degli anni Settanta sua madre morì e lui si trasferì a Trieste/Trst, dove la moglie lavorava.

Quando la situazione pandemica relativa al Covid-19 lo renderà possibile, il nuovo libro su Jakob Kandut sarà presentato anche a Ugovizza.dal dom

Poesia di Alda Merini


 A TUTTE LE DONNE

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso

sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.

Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.

Alda Merini

poesia di Dostoevskij

 


“Era una notte incantevole,

una di quelle notti
come ci possono forse capitare
solo quando siamo giovani, caro lettore.
Il cielo era un cielo così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi:
è mai possibile che esistano
sotto un simile cielo
persone incapaci di fare la pace?
Fedor Dostoevskij

7 mar 2022

buona giornata


 

Citazione del giorno


"Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando hanno ormai lasciato il posto a giorni infelici."

Arthur Schopenhauer


Dove sono i padroni della Benecia


 In una notifica giuridica di Altroconsumo ha attirato la mia attenzione l’argomento trattato: l’articolo 42 della Costituzione italiana. Tra l’altro recita: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. (…) Può essere espropriata per motivi di interesse generale (…)».

Nell’articolo 44 si specifica ancora: «Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, (…) promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane». Disposizioni di per sé chiare; non tanto consigli, quanto imposizioni.

Lungi dal propormi costituzionalista, tuttavia prendendo spunto da queste norme anch’esse fondanti la nostra Repubblica, mi permetto qualche riflessione sulle particolari condizioni del territorio montano sul confine orientale, in primis delle Valli del Natisone.

Storicamente, lo sappiamo, essendo il possesso del pezzo di terra l’unica ricchezza, l’unico mezzo di sostentamento degli abitanti, il lega- me con essa spesso assumeva manifestazioni patologiche. Infatti, nei secoli passati, per diatribe confinarie tra proprietari, gli avvocati cividalesi ebbero il loro bel tornaconto. Ma qual è oggi il vero problema del territorio valligiano, già propagandato come lussureggiante, incontaminato, ameno per pace ed aria pulita, ideale per forestoterapia?

Oltre alla perdita di tre quarti della popolazione e la conseguente forte riduzione del lavoro agricolo, rimane la esasperata frammentazione delle proprietà, una parcellizzazione parossistica ormai insanabile.

Non ho dati attuali relativi alle «ditte» iscritte nel catasto terreni dei sette comuni del bacino idrografico del Natisone ma, seppure siano fortemente datati, posso fare riferimento ai dati raccolti oltre un secolo fa dal geologo Francesco Musoni, nato a Sarženta / Sorzento. La superficie di 17.043 ettari di allora non dovrebbe essere cambiata, ma su di essa si sono susseguite diverse generazioni ed è aumentato proporzionalmente il numero degli eredi successori. Ai tempi più antichi vigeva una specie di maggiorascato per cui le proprietà non venivano frazionate tra i famigliari rimanendo al primogenito, ma quando le norme cambiarono, il frazionamento aumentò senza misura.

Tornando alla popolazione, sappiamo che dopo la prima guerra essa iniziò a calare parzialmente e che dopo la seconda si ruppe ogni equilibrio, riducendosi di oltre due terzi dei 16 mila residenti del 1951. Ogni angolo di mondo vide i nostri emigranti e la pianura friulana si arricchì del lavoro dei valligiani. E le proprietà? Veramente difficile stabilirne le reali dimensioni ed i reali antichi confini degli appezzamenti ed ancor più trovarne i teorici possessori. Per constatare l’abbandono massiccio di ogni attività agricola e di ogni sfruttamento razionale del territorio basta percorrere le belle strade del Giro d’Italia e, anche occasionalmente, percorrere le stradine dei borghi contando i camini fumanti, per rendersi conto di quanta forza vitale si sia disciolta nei cimiteri e nell’emigrazione. Ebbene, se come scriveva il Musoni, nel lontano 1895 nel distretto di San Pietro erano censiti 71.281 appezzamenti per una superficie di 17.043 ettari, da allora ad oggi quanti sono divenuti dopo la suddivisione dovuta alle successioni?

Nel passato gli eredi si impossessavano fisicamente delle proprie quote al fine di sfruttarle. E sfruttate lo erano, se dei 17.043 ha di territorio ne erano considerati produttivi come fossero in pianura – e tassati – il 95 per cento. Per codesto territorio montano, non produttivi erano solo 888 ettari! Che venissero sfruttati anche i sassi, i percorsi dei torrenti, le strade, le superfici verticali delle forre e dei precipizi? Detto per inciso, di fatto fece più danno alla popolazione il fisco ingiusto e rapinatorio di qualsiasi altro fattore fisico e sociale. L’alternativa all’inedia sociale, solo la fuga. Le prime furono le donne a cercare soluzioni alternative alla miseria, poi furono i giovani e i padri famiglia a prendere ogni possibile strada promettente. Questo ha portato a conseguenze difficilmente valutabili.

Dove sono, chi sono, quanti sono dunque, oggi, i legittimi proprietari delle terre beneciane? Come esempio di parcellizzazione delle proprietà fondiarie potrei citare il mio caso: per il catasto sono proprietario di un trentacinquesimo (1/35) di 11 piccoli lotti per una superficie complessiva 1,94 ettari con una particella di 23 metri quadrati. Tutte queste in teoria dovrebbero essere suddivise tra 35 legittimi proprietari, con un costo iperbolico privo di ogni senso. Qualunque sia il classamento: castagneto da frutto, bosco ceduo o prato, ogni particella mantiene il proprio valore reddituale dei tempi remoti pur essendo ormai bosco.

A corollario di quanto detto, è lecito chiedersi: c’è un modo giuridico, politico, amministrativo di buon senso che possa ridare una qualche utilità, una funzione sociale, uno sfruttamento razionale del suolo e di quanto insiste su esso? Oppure permarrà il destino assegnatovi dal Piano urbanistico regionale di 50 anni fa che definiva le Valli del Natisone «zona silvopastorale »? Parli pure la Costituzione di provvedimenti a favore delle zone montane, di ricostituzione delle unità produttive; di aiuti alla piccola e media proprietà. La legge propone e impone… la politica dispone.

Riccardo Ruttar

https://www.dom.it/dove-sono-i-padroni-della-benecia_kje-so-beneski-gospodarji/

6 mar 2022

L'Europa deve trovare una propria identità energetica

 La guerra ricade come un macigno sul destino dell’Europa. E i governi e la Commissione scoprono, nelle ore più dure, la cruda realtà della propria dipendenza strategica dalle importazioni di gas russo. Le conseguenze dirette e indirette del tuonare delle armi potrebbero interrompere questi flussi, colpendo poderosamente cittadini ed economie. La paura ci spinge ora a guardare altrove per le nostre forniture energetiche, ma corriamo molti rischi.

Un quadro sconfortante

La guerra rischia di far naufragare definitivamente l’asse fondante degli ultimi 40 anni nei rapporti fra Europa e Unione Sovietica prima, e Federazione Russa poi, ovvero l’interdipendenza energetica.

L’Ucraina, ponte geografico naturale fra i bacini gasiferi siberiani, gli ex paesi membri del Patto di Varsavia e le economie sviluppate di Germania, Italia e Francia, ha storicamente rappresentato la principale via di transito del gas russo verso l’Europa. Dopo la fine dell’epoca sovietica e i turbolenti anni 2000, con ben due crisi del gas fra Mosca e Kyiv, la rete di gasdotti si è infittita con nuovi flussi a circumnavigare il territorio ucraino. L’Europa importa circa il 40% del proprio gas dalla Russia, facendone un perno essenziale per le attività industriali ed economiche, oltre che per la vita quotidiana dei suoi cittadini.continua a leggere

OMAGGIO A PASOLINI

 

SUPPLICA A MIA MADRE

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.


Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

(da Poesia in forma di rosa, Grazanti, 1964)

da https://cantosirene.blogspot.com/

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