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IVAN TRINKO padre della Benecia

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21 ott 2021

Leggenda di Castelmonte/Stara gora


 PRAVCA IZ STARE GORE


 Mati Božja s suojim siničam Jezusam je bila pršla u Nadiško dolino an določno blizu Spuodnje Mjerse, je usrečala dnega gardega moža, kateri ji je uprašu kam je bila namenjena. Mati Božja s prstam mu je pokazala goró s tremi puntami an je reklà: »Grem tam gor na tisto punto, ki, stoji u sredu, kadàr tam gor bom zgradila muojo hišo «. Gardi mož, ko je slišu tuo, sje sprožu an škrpajoč zobé je olguóru, de on bo pršu na tisto punto prej an takuó bi nieu pravico zgradit na mestu suojo hišo an hitro prez zamuje ku busk je začeu letjét pruot gori po krajši pot, po grebenu.S tako silo je šu, de tode ki je leteu, use kar je znajdlu, prjosake, trnje, vrhi, sje lomilu an valilu ku kadàr se zaganja an hudi vihar. Mati Božja sje zbrala to bujšo an rauno pot, čeglih buj dugo: pot ki pejé u Pikon, katere ljudjé selé si služijo kadar gredó na Staro Goró, «naproj ku prit do kapelce nad Pikonam, kjer sje opočjla, donašnidan se vidiju u živim kamane, ki stoji na stazi, stopinje nog . Tukaj Mati Božja se je opočila, kjer musac je biu trudan; potem zmjeram počasu su šli naprej an su pršil na vrh punte u sredu ti prvi. Kadàr je prsti do tuod gardi mož, kateri drugi nje biu ku sani hudič an je zagledu Mater Božjo- ki sednjena mirno je risala, suojo hišo.Muž sje razjezu ko kača an od jeze je naredu po luhtu an šalt čarjez sedam breguovu an z suojimi ruogi je zajéu an predrti goró od jam »


STORIA DI CASTELMONTE
La Madonna venne nelle Valli del Natisone vicino a Merso di sotto portando con sè Gesù. Incontrò un uomo che le chiese dove fosse diretta.La Madonna con il dito gli mostrò il monte con tre punte  e gli disse:
-Vado lassù sulla punta di mezzo,quando arriverò in cima costruirò lì la mia casa".
Quando l'uomo sentì le sue parole digrignando i denti le disse che sarebbe arrivato lassù prima di lei  così avrebbe lui avuto il diritto di costruire la casa in quel luogo.L'uomo veloce cominciò a dirigersi verso quella punta correndo e scegliendo la strada più breve.La Madonna scelse la strada diritta e migliore anche se era più lunga.Il sentiero porta a Pikon ed è quello che la gente sceglie per andare a Castelmonte,"prima di arrivare alla cappelletta sopra Pikon, oggi si vedono solo le rocce che si trovano sul sentiero e le orme dei piedi.La Madonna si riposò,l'uomo era stanco ed entrambi proseguirono il cammino ed arrivarono sulla cima della punta centrale per primi.Quando l'uomo,che in realtà era il diavolo, vide la Madonna che disegnava la sua casa si arrabbiò come un serpente e dalla rabbia fece un salto attraverso 7 colli e con le sue corna bucò la montagna.
da archivio personale

20 ott 2021

 


Quello di Canalaz è il castagno più grande del Friuli Venezia Giulia.


Fu la Madonna a portare il castagno nella Slavia. Già in tempi remoti la castanicoltura fu un asse importante dell’economia. Nei primi anni del ‘900 si raccoglievano quasi 40mila quintali di castagne di oltre venti varietà. I bacchiatori portavano a benedire le loro «late»

Giorgio Banchig

In un racconto dal titolo Marija v Landarski jami / Maria nella Grotta d’Antro (con illustrazioni di Tone Kralj) lo scrittore sloveno France Bevk (1890-1970) è ricorso alla leggenda per spiegare l’origine del castagno / kostanj nelle Valli del Natisone chiamando in causa nientemeno che la Madonna.

Inseguita dagli sgherri di re Erode, che avevano l’ordine di uccidere Gesù, Maria si è trovata raminga in Val Natisone, dove incontrò una povera donna che la accompagnò nella Grotta d’Antro. Qui trovò rifugio salvando la vita del suo piccolo. «Maria guardò la povera terra sulle pendici del Mia e del Matajur, dove i bambini non potevano dormire per la fame e sorrise dolcemente. Si mise una mano in grembo e diede alla donna una castagna. “Eccoti la ricompensa divina. – Disse. – Piantala, perché cresca il cibo per i bambini e un manto verde copra questi pendii spogli”. La povera donna, che aveva solo una capra, piantò la castagna e la annaffiò portando l’acqua del Natisone nei palmi delle mani. Crebbe un albero frondoso che diede molti frutti. I bambini li raccoglievano, li arrostivano sulla brace e se li gustavano» (Bevk 1937/38: 128-129).

Non so se lo scrittore abbia inventato del tutto la leggenda o l’abbia attinta da qualche racconto popolare sentito in Benecia, che in quegli anni frequentava spesso, in particolare la canonica di don Antonio Cuffolo a Lasiz. Ma il solo fatto che si sia occupato del castagno e ne abbia descritto le leggendarie origini dimostra quanto la coltura di questo prezioso frutto sia stata importante nella storia e nell’economia delle nostre valli, quanto abbia inciso sui ritmi della vita della comunità e abbia fatto conoscere in terre vicine e lontane la nostra Benecia che ancor oggi esibisce con orgoglio numerosi castagni secolari, a volte monumentali per la loro grandezza e magnificenza.

Dalla leggenda alla storia, all’economia, alla vita e alle tradizioni delle nostre comunità. Nel 1559 il provveditore di Cividale Alvise Marcello nella relazione, redatta al termine del suo mandato, scrive che nella Schiavonia la gente si nutre di carne degli animali che alleva, «di latticini vari e formaggi, ma anche di castagne, noci e altri frutti che producono in quantità per la maggior parte dell’anno» (Relazioni 1976: 40). La castanicoltura, dunque, come un asse importante dell’economia locale, non solo per i frutti consumati daparsone e maiali in autunno e in inverno, venduti sul mercato di Cividale e barattati nei paesi friulani, ma anche per il legname usato per la costruzione di abitazioni, stalle e kazoni e, in seguito, venduto alla fabbrica di tannino di Cividale.

Se ci fermiamo alla quantità del frutto raccolto, vediamo che all’inizio del XX secolo la produzione delle castagne nella Slavia sfiorava i 40mila quintali divisi nelle seguenti varietà: objaki 20mila quintali, marroni 8mila, altre 20mila (Dorigo 1909: 14). I limiti altimetrici del castagno variano da luogo a luogo, alzandosi o abbassandosi secondo il predominio del sole o dell’ombra. La quota più alta, 848 mslm, è stata registrata sul versante meridionale del monte Hum (Stregna); l’area più intensamente coltivata era tra i 700 e gli 800 mslm (Musoni 1912: 190).

Numerosissime erano le varietà di castagni. Božo Zuanella ne ha contate ben 19 nel solo comune di Savogna: barški, ranac pečanski, marujac, bogatec, grivnjak, sivac, gorjupar, kobilca, čufa o muronica, muron, objak, melivnjak, debejak, kitar, lužarca, čajh, purčinac (Zuanella 1981: 4); in altre aree erano conosciuti: rezijan, maron, golac… – quindi oltre venti varietà di castagni (alcune sono andate definitivamente perse), ciascuna delle quali produceva frutti con particolari forme, grandezza, qualità organolettiche e tempi di maturazione.

Due erano i metodi di raccolta delle castagne, che iniziava all’inizio di ottobre e proseguiva fino ai primi di novembre. Il primo consisteva nella raccolta dei frutti caduti spontaneamente dai rami o ancora nei ricci, dai quali venivano cavati con speciali kliešče / tenaglie di legno. Il secondo metodo era quello della «ricciaia» che comportava la bacchiatura dei ricci ancora chiusi con lunghe late / aste di legno, generalmente di frassino. I ricci caduti venivano rastrellati ed ammucchiati in cumuli alti 50-60 cm a ridosso del tronco del castagno e venivano coperti con uno strato di foglie e di terriccio dello spessore di 10-12 cm. Durante i 12-14 giorni in cui rimaneva nell’interno del cumulo il riccio perdeva consistenza consentendo la facile estrazione dei frutti, mentre nelle castagne si verificava una lenta fermentazione, con sviluppo di acido lattico ed anidride carbonica, che consentivano la loro conservazione per un tempo più lungo.

Il lavoro della bacchiatura / klatenje era faticoso e pericoloso: arrampicarsi sui tronchi e i rami del castagno ed agitare le lunghe aste comportava un grande sforzo fisico e una capacità di equilibrio non comune. Non erano rari i casi di cadute rovinose anche con conseguenze nefaste. Per implorare la protezione divina i klatiči, nella festa di San Michele (29 settembre), si recavano nelle chiese a lui dedicate di Pechinie e di Topolò per partecipare alla messa ed essere benedetti assieme alle loro lunghe late (Primorski dnevnik 13.10.1966: 5); a Spignon la cerimonia si svolgeva nella seconda domenica di ottobre, festa della Madonna detta Kostanjovca.

Lungo, faticoso e spesse volte umiliante era il baratto delle castagne in cambio di granoturco nei paesi della pianuta friulana. Tante persone hanno raccontato a voce e per iscritto questa attività che ha caratterizzato un’epoca della nostra storia, in particolare del secondo dopoguerra.Proprio a quel periodo risale un articolo del Matajur (28.11.1950) che descrive il gravoso peregrinare da un paese all’altro del Friuli e anche del Veneto. Angelo Clignon – Kurinu di Pegliano, classe 1905, mi ha raccontato di essersi spinto con il suo carico «not’ do Štintina», vale a dire fino a San Stino di Livenza (VE).

Il baratto delle castagne, leggiamo nel Matajur, iniziava di solito verso fine del mese di ottobre, cioè prima della festa di tutti i Santi. Il primo faticoso lavoro degli uomini era portare sulla schiena i sacchi di castagne nel fondovalle; il giorno seguente, di primo mattino, partivano da casa. Solitamente si mettevano insieme due uomini di famiglie diverse: uno di loro afferrava le stanghe della burela / carretto a due ruote, e la tirava, il secondo la spingeva da dietro. La fatica di condurre la burela era rappresentata, oltre che dal peso delle castagne, dalle strade dissestate e dalle salite. Quando arrivavano in pianura il cammino era più agevole, ma lì iniziava l’ancora più gravoso pellegrinaggio di paese in paese, di casa in casa per offrire le castagne in cambio di granoturco. Alla sera andavano a dormire nelle stalle e nei fienili. Il giorno dopo riprendevano il baratto fino all’esaurimento delle scorte. Allora aveva inizio il cammino di ritorno trainando e spingendo il carretto altrettanto pesante come all’andata, ma questa volta carico di granoturco che veniva macinato e nelle fredde sere invernali si trasformava in profumata polenta.

Luciano Chiabudini – Ponediščak, forte delle sua esperienza personale all’età di 12-13 anni, aggiunge altri particolari a questa radicata tradizione autunnale. Nell’andare a barattare «portavano sempre con loro un bambino/ a perché imparasse la strada e il modo di offrire le castagne, ma anche per impietosire la gente in quanto andare di casa in casa era come chiedere la carità. Tutti mi volevano portare con sé perché ero magro come il baccalà, tanto da far pena alla gente». Il gruppo partì da Cicigolis e si fermò a Firmano e Oleis senza tanta fortuna, perché altri l’aveva preceduto; da lì si spinse verso Manzano e Percoto, ma anche lì con scarsi risultati. Alla fine entrò a Clauiano, paese fuori dalle principali vie del baratto. «Lì non siamo dovuti andare noi di casa in casa, ma era la gente a venire a chiedere le castagne con cesti pieni di granoturco. In brevissimo tempo finimmo le scorte e tornammo a casa col nostro carro carico del dorato granoturco» (Chiabudini 1987: 2).

(40 – continua)

Bevk F. (1937-38), Marija v Landarski jami. Naš rod, 127129.

Birtig V., Zuanella B. (1981), Kostanj in njegov pomen za Nediške doline. Dom 10, 4) Dorigo D (1909), La frutticoltura del Mandamento di Cividale e il vivaio di fruttiferi di S. Pietro al Natisone. Bullettino dell’Associazione Agraria friulana, serie V, vol. XXVI, 11-20.

Chiabudini L. (1987), Baretanje. Dom 18, 2.

https://dom-ita.newsmemory.com/

19 ott 2021

LA BROVADA

 

Minestra di brovada


La brovada (rape inacidite) è un tipico prodotto del Friuli  che si mangia in autunno/ inverno.Si può acquistare in sacchetti appositi (ottima) o in scatola.Quella in scatola della Zuccato è buona.

Ricetta della minestra di brovada e fagioli come la faceva la mia nonna Rosa

Ingredienti
  • 300 g di fagioli borlotti dell'Alta val Torre preferibilmente "Fiorina" di Bardo/Lusevera
  • 2 carote e una costa di sedano
  • una bella cipolla dorata tritata
  • un battuto di aglio e lardo fresco
  • olio extra vergine di oliva (nonna Rosa usava le morchie del burro fuso)
  • sale e pepe 
  • 300 g di brovada
  • qualche cucchiaiata di farina di polenta
Preparazione
  • mettere in ammollo i fagioli per una notte
  • fare il soffritto con l'olio, il battuto di lardo,sedano,carota tagliate a rotelline e fagioli.
  • nella casseruola mettere acqua bollente ,far bollire a fuoco basso i fagioli per 2 ore (devono essere ben cotti)
  • con un mestolo togliere un po' di fagioli e metterli in parte,frullate quelli rimasti con il liquido o passateli allo scolino
  • unire il passato ai fagioli messi a parte
  • dare un bollo in acqua e sale per alcuni minuti alla brovada
  • scolare la brovada , aggiungerla al minestrone e cuocere per 15 minuti
  • in un pentolino tostare per qualche minuto la farina di polenta,aggiungerla alla minestra e cuocere per 10 minuti
  • Aggiungere il sale se è insipida
  • servire molto calda

    La brovada (brovade) è un piatto tipico della cucina friulana, usato per accompagnare carni arrosto o bollite, abbinabile con il vino. Dal 2011 è anche riconosciuto marchio DOP.
    Si ottiene tagliando in piccole fettine (circa come i crauti)  delle rape a colletto viola.
    immagini dal web

Idranti, fumogeni e cariche: sgomberato l'accesso al Porto di Trieste

 

Idranti, fumogeni e cariche: sgomberato l'accesso al Porto di Trieste

 

Sciolto il presidio al Varco 4 contro l'obbligo del Green Pass. Manifestanti in sit-in in piazza Unità. Cinque denunce. Tre agenti lievemente feriti. Tensioni nella zona dei Campi Elisi



E' stato sgomberato l'accesso al varco 4 del porto di Trieste. Dopo una mattinata nella quale non sono mancati i momenti di tensione, le forze dell'ordine - con idranti, cariche e fumogeni - hanno allontanato i manifestanti dall'area portuale. Le persone in presidio si sono spostate in corteo verso piazza Unità, dove dalle 12 circa, quasi tremila persone stanno mettendo in atto un sit-in pacifico.

Intorno alle 16, una rappresentanza dei manifestanti - guidata da Stefano Puzzer - è entrata in Prefettura. La piazza è in attesa di una risposta alle richieste fatte all'Autorità di Governo. In serata, dopo l'annuncio che sabato 23 si terrà un incontro a Trieste con il ministro Stefano Patuanelli e un altro esponente del Governo, i manifestanti hanno lasciato piazza Unità e si sono spostati al porto Vecchio. Lì si sono dati appuntamento per domattina alle 11 alla Centrale Idrodinamica. Nel frattempo, giungono voci di tensioni nella zona di Campi Elisi, dove una parte dei manifestanti sgomberati dal porto è rimasta in presidio. Le forze dell’ordine stanno caricando in tenuta antisommossa. 

La Polizia di Stato - in una nota - fa sapere di aver denunciato per interruzione di pubblico servizio, invito a disobbedire alle leggi statali e violazione di quanto previsto dall’articolo 18 del TULPS relativo agli obblighi per i promotori di riunioni in luogo pubblico quattro personeUna quinta è stata denunciata per resistenza a pubblico ufficiale.

Questo il bilancio di quanto avvenuto in mattinata durante lo sgombero da parte delle Forze dell’Ordine dell’area antistante il varco 4 del Molo VII del Porto Nuovo di Trieste. Al vaglio la posizione di altre persone analizzando i video e le riprese delle telecamere di videosorveglianza. Tre i feriti – lievi - fra le Forze dell’Ordine.

In relazione alle notizie circa il lancio di un lacrimogeno all’istituto comprensivo Campi Elisi di Trieste, la Questura smentisce che lo stesso abbia raggiunto l’interno del plesso scolastico; si è fermato nel piazzale antistante, senza arrecare danno ai presenti...continua qui https://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/idranti-fumogeni-e-cariche-sgomberato-l-accesso-al-porto-di-trieste/2/253402

18 ott 2021

Friuli Venezia Giulia - Drone - Topolò - Italy

Dal Bernadia a Torlano

E' SUCCESSO A ME...



 Su fb ho chiesto a una mia amica(virtuale) se per andare in Slovenia servisse il greenpass.E' noto che io sono pro vaccini e lei no .Mi ha risposto di dimenticarmi di lei visto che abbiamo idee diverse.Vi dirò che sono rimasta un po' male comunque visto la persona non mi meraviglio.Tempo fa mi disse che siamo tutti pecore e non ci piace la libertà.Cosa ho fatto;l'ho cancellata ,non voglio farmi cattivo sangue per gente come lei!!!

La distilleria Candolini di Tarcento

 


In Friuli gli alambicchi funzionano da tempi immemorabili.

Non si sa di preciso chi e quando iniziò a distillare le vinacce, ma lo storico Luigi Papo ha ipotizzato che i Burgundi, venuti dalla vicina Austria verso il 511 d.C., furono i primi ad applicare alle vinacce il metodo di distillazione da loro utilizzato per le mele. La leggenda popolare, invece, ci porta ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1° secolo a.C., quando un legionario romano ottenne, come era consuetudine per premiare i reduci, un vigneto in Friuli; il soldato era riuscito a trafugare in Egitto un impianto di distillazione denominato "Crisopea di Cleopatra" e con questo aveva iniziato a produrre la prima Grappa, o meglio, il primo distillato di vinacce. 
Siamo sempre tra leggenda e ipotetiche datazioni storiche, ma resta il fatto sta che il Friuli Venezia Giulia ha sempre prodotto e bevuto grappa tanto che, in una cronaca del 1334, viene menzionata l' acquavite, mentre la prima data certa, 1451, compare sull'inventario dei beni lasciati dal notaio di Cividale "Ser Everardo da Cividale" e tra questi: "Unum ferrum ad faciendam acquavitem", praticamente un alambicco.
Passarono i secoli e, sotto il dominio austriaco, l'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo permise la libera distillazione familiare della "Schnaps" (da qui il nome grappa), in esenzione da gabelle, per premiare la fedeltà delle truppe originarie delle province friulane; non meraviglierà, quindi, che nella sola provincia udinese, a fine '800, vi fossero ben 219 distillerie. Moltiplicato questo numero per tutte le province vocate del Nord Italia si arriva a diverse migliaia, con la stragrande maggioranza a dimensione familiare. Un mare di grappa che per anni ha accompagnato montanari, contadini ed operai regalando loro qualche attimo di calore e di piacere.
Bevanda per gente rude, quindi, e questo marchio l' accompagna ancora oggi che gli alambicchi "domestici" sono praticamente scomparsi e gli opifici, che da anni stanno lavorando alla qualità, si sono ridotti, in tutto il Friuli Venezia Giulia, ad una ventina. Un calo drastico che, sicuramente avrebbe portato anche alla scomparsa della "sgnapa", oltrechè alla dismissione degli ultimi alambicchi, se non ci fosse stato questa manciata di aziende che hanno impedito la perdita di un tale patrimonio storico, culturale e gastronomico.
http://www.tigulliovino.it/dettaglio_articolo.php?idArticolo=947

17 ott 2021

proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Se ‘l è biel il dì di San Giâl ‘lè biel fin a Nadâl” ovvero se c’è bel tempo il giorno di San Gallo (il 16 ottobre) è bello poi fino a Natale”

San Gallo (Irlanda550 circa – Arbon16 ottobre 645) è stato un monaco cristianomissionario e scrittore irlandese ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
San Gallo, che secondo alcune fonti nacque tra il 532 e il 560 e morì nel 627 o fra il 646 e il 650, svolse principalmente la sua attività di monaco colombaniano nei dintorni del lago di Costanza.

La leggenda dell'orso[modifica | modifica wikitesto]

L'orso di San Gallo nello stemma della città omonima

Una nota leggenda su san Gallo vuole che un fatto straordinario avesse avuto luogo presso queste cascate. Mentre il compagno di San Gallo, Hiltibod, dormiva, quegli era già sveglio quando improvvisamente gli si parò innanzi un grosso orso. San Gallo non si lasciò intimidire da quell'apparizione: egli ordinò all'orso, in nome del Signore, di gettare un pezzo di legno nel fuoco. L'orso ubbidì e gettò il pezzo di legno nel fuoco. San Gallo deve aver infine dato all'orso una pagnotta, a condizione che non si facesse più vedere. Hiltibod, che nel frattempo si era svegliato ed aveva visto ed udito tutto, disse a San Gallo: Ora so che il Signore è con te, se persino gli animali della foresta ubbidiscono alla tua parola. L'orso non si fece poi più vedere. Nell'interpretazione di questa leggenda l'incontro di San Gallo con l'orso fu un segno al missionario pellegrino di stabilirsi quel luogo e vincere le forze della natura.[2]

La leggenda del mostro di Loch Ness[modifica | modifica wikitesto]

C'è un'altra leggenda riguardo a san Gallo, descritta nei libri della tradizione scozzese.[senza fonte] Si dice che San Colombano, che nel 565 con i suoi seguaci giunse nelle Highlands per convertire al cristianesimo gli scozzesi, abbia partecipato per puro caso ad una cerimonia funebre presso il Loch Ness. Il morto fu afferrato all'amo da un mostro sul lago. San Colombano mandò un suo seguace (forse proprio San Gallo) sul luogo dell'incidente. Immediatamente il mostro emerse dai flutti. Non disturbare più questa gente! Ritorna immediatamente giù di dove sei venuto! ordinò il santo e fece il segno della croce. Il mostro obbedì e tutti i testimoni di questo miracolo si convertirono alla fede cristiana...


da https://it.wikipedia.org/wiki/San_Gallo_(monaco)

Inaugurazione mostra per i 70 anni del Matajur/Novi Matajur






 Venerdì al SMO di S.Pietro al Natisone è stata inaugurata la mostra per il 70° anniversario del giornale Matajur/Novi Matajur

Il Segretario di Stato sloveno dott. Dejan Valentinčič In occasione del 70° anniversario della pubblicazione del Matajur, il settimanale degli Sloveni in provicia Udine e del 25° anniversario della morte del suo ex direttore Izidor Predan-Dorič, Dejan Valentinčič si è rivolto ai presenti al centro SMO di Špeter Slovenov.
Ha portato i cordiali saluti del Ministro dott. Jaklitsch, che in questo momento si trova in Sudamerica, ha sottolineato: “Negli anni molto difficili per la Benecia del secondo dopoguerra, ci è voluto molto coraggio per creare un giornale che testimoniasse la presenza degli sloveni in queste valli e ha fatto conoscere e portato la parola scritta slovena tra la gente. Il primo direttore del giornale, Vojmir Tedoldi, è stato sottoposto a forti pressioni e vessazioni, e la sua incolumità è stata spesso messa in pericolo. Ma il risultato di questo coraggio vi sono oggi tracce profonde, anche grazie al Novi Matajur, la lingua slovena è ancora viva a Udine oggi». dal giornale sloveno Novi Matajur.
Un numero enorme di beneciani vive in tutto il mondo e Matajur e il Novi Matajur li ha aiutati a preservare la loro lingua ed identità nativa e li ha collegati alla Benecia.
In tale occasione, il Sottosegretario di Stato ha consegnato al Novi Matajur uno speciale riconoscimento dell'Ufficio "in occasione del 70° anniversario della pubblicazione del giornale, che è stato un'importante testimonianza della presenza degli sloveni a Udine e assicura che la scritta "La parola slovena è presente in pubblico nella sua forma dialettale e libraria".

SMO - museo di paesaggi e narrazioni




Allo SMO il confine è il fil rouge delle narrazioni che su diversi piani indagano la dimensione storico-antropologica del territorio e l’unicità della sua cultura.

Come scrive Claudio Magris, I confini muoiono e risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano l’esperienza, il linguaggio, lo spazio dell’abitare, il corpo con la sua salute e le sue malattie, la psiche con le sue scissioni e i suoi riassestamenti, la politica con la sua spesso assurda cartografia, l’io con la pluralità dei suoi frammenti e le loro faticose ricomposizioni, la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine.

Il confine quindi non è solo una linea che marca una separazione, ma è un luogo, un paesaggio che intreccia storia e cultura.

Stare sul confine, vivere la liminarità, richiede a ciascuno di noi la disponibilità e la volontà di compiere un’esperienza di apprendimento oltre le abitudini, al di là delle convenzioni e dei preconcetti che ciascuno di noi può avere (Piero Zanini)

Il lavoro di ricerca (che ha messo a confronto tante fonti spesso contradditorie o lacunose) intrapreso per realizzare Meja, ha ricostruito nel dettaglio i tracciati di confine nell’arco di 1400 anni, per poterli mostrare oggi sul grande plastico del territorio regionale.

Le invasioni e le scorribande, di qua e di là, i domini che si sono succeduti fino alle ultime vicende che hanno cambiato il volto all’Europa sono esposti allo sguardo in una animazione video.

testo e citazioni dal web





sono io




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