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14 nov 2022

Lo sapevate che ai bombi piace giocare a calcio?



Nel caso non sappiate cosa siano i
 bombi, non credo esistano parole migliori per descrivere questi imenotteri di quelle usate dall’entomologo britannico Dave Goulson: “Imparai che, malgrado il loro aspetto da orsacchiotto maldestro, i bombi sono intelligenti: sono i giganti intellettuali del mondo degli insetti.” I bombi, infatti, sono bravissimi a orientarsi, a memorizzare le posizioni di tappeti fioriti, a scegliere con cura i loro fiori preferiti anche grazie a inusuali proprietà elettrostatiche, ma, oltre a essere serissimi e diligenti impollinatori, i bombi giocano?

È proprio questa domanda a intitolare una recente pubblicazione (Do bumble bees play?) da parte di un gruppo di ricercatori dell’università Queen Mary di Londra e il quesito scientifico è tutt’altro che un gioco. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’attività ludica non è affatto ristretta ai soli esseri umani, è stata osservata in diverse specie di altri animali e si pensa possa contribuire al sano sviluppo e mantenimento di quelle abilità cognitive e motorie che poi, in fin dei conti, servono per sopravvivere. Evidenti esempi di comportamento giocoso sono stati precedentemente studiati in mammiferi e uccelli, ma indagini in altri animali, come per esempio gli insetti, sono limitate.

Cosa significa giocare

Bisogna aggiungere che non è facilissimo riuscire a indagare e interpretare correttamente questo tipo di comportamento, soprattutto in una varietà di specie animali diverse, perciò sono stati stabiliti cinque criteri per un approccio più sistematico: un’attività si può effettivamente considerare ludica se risulta essere 1) indipendente da questioni di immediata sopravvivenza; 2) volontaria, spontanea e gratificante di per sé; 3) differente da comportamenti funzionali, come per esempio, il foraggiamento o l’accoppiamento; 4) ripetuta, ma non stereotipata e, infine, 5) iniziata in condizioni prive di stress. Per di più, il gioco può essere sociale, motorio e/o associato a oggetti inanimati e, una volta stabiliti tutti questi criteri e categorie, oltre ad avere perfettamente definito una partita di calcio umana, siamo decisamente pronti a vedere cosa succede nel caso in cui una palla, o più, sia lanciata nel campo dei bombi...continua https://www.wired.it/article/bombi-giocano-a-palla-video-studio-spiegazione/


13 nov 2022

Giornata Mondiale della Gentilezza

 


Oggi è la giornata nondiale della gentilezza.Il mondo è brutto.abbiamo bisogmo di tanta gentilezza.,Il 13 novembre non è una giornata qualsiasi, è la Giornata Mondiale della Gentilezza. Questa data non è stata scelta a caso, ma coincide con la giornata d’apertura della Conferenza del “World Kindness Movement” a Tokyo nel 1997 che si è chiusa con la firma della Dichiarazione della Gentilezza.

L’obiettivo

L’obiettivo di questa giornata è di guardare oltre noi stessi, oltre i confini dei diversi paesi, oltre le nostre culture, etnie e religioni.

Insomma, di renderci conto che siamo cittadini del mondo e che, in quanto tali, abbiamo spazi e presenze da condividere, abbiamo dei luoghi pubblici da curare, degli animali da proteggere, un sistema daconservare e uomini da accogliere e valorizzare.

Se vogliamo dare avvio a un miglioramento, se vogliamo raggiungere l’obiettivo di una coesistenza non solo pacifica ma anche di crescita, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione e le nostre cure su quello che abbiamo in comune.

Solo così possiamo essere parte di un mondo migliore.dal web

Irène Némirovsky Kiev 1903 - Auschwitz 1942


 Erano tre i regni dove Irène Némirovsky abitava e dove abitò per tutta la vita, nonostante l’esilio: l’immaginazione, i libri, la lingua francese. Nata Irma Irina a Kiev in una famiglia dell’alta borghesia ebraica, sin dall’infanzia la futura scrittrice attraversò e sopravvisse ai più tragici eventi della storia. Ben due volte la città fu sconvolta da pogrom, come spesso accadeva a quell’epoca nell’impero Zarista. A tre anni si salvò perché la cuoca le mise al collo la sua croce ortodossa e la nascose dietro un letto.

La vita solitaria causata da una vita familiare poco regolare, dove Leonid il padre, diventato Léon dopo l’immigrazione definitiva in Francia, era occupato dai suoi affari, e dove la madre Anna – Fanny in onore della nuova patria – era occupata a mantenersi giovane e bella per non perdere il favore dei molteplici corteggiatori e amanti, favorì nella bambina lo sviluppo delle facoltà particolari che avrebbero poi sostenuto la sua vocazione di scrittrice. La solitudine sviluppò le sue inclinazioni verso il libero uso dell’immaginazione e le letture precocissime, ma la Francia e la sua lingua furono un dono involontario dei genitori. Era abitudine tra i russi ricchi e aristocratici trascorrere lunghi periodi dell’anno in Francia e il francese era la lingua della nobiltà e delle classi elevate. Durante i lunghi soggiorni invernali nelle città termali, in Costa Azzurra e a Parigi, lo spirito stesso della Francia e del suo dolce vivere, permearono l’anima di Irène, al punto che le venne riconosciuto già negli anni Venti di essere una delle più grandi scrittrici francesi; così scriveva di lei il critico Henri Régnier: «Némirovsky scrive il russo in francese».
Mentre i genitori seguivano i loro affari, la piccola era affidata alle cure della governante Marie detta Zézelle che profumava di sapone fine ed essenza di violetta e le insegnava canzoni e proverbi francesi, mentre lei languiva per la mancanza di attenzioni e di carezze paterne e materne. «La sua fu peraltro un’esistenza quasi da orfana, anche se l’abbandono le procurava un piacere sconosciuto: quello di osservare la propria vita a distanza». Questa dote fu uno dei motivi che rendevano così speciale la creazione artistica della Némirovsky. Le sue capacità descrittive, con poche immagini e parole chiare, sono formidabili, i suoi libri trascinano subito il lettore nel luogo preciso, nel paesaggio della storia. Con la descrizione di gesti essenziali e scarni, i suoi personaggi rivelano l’essenza del carattere, le meschinerie, la cattiveria. La madre bella e distante, alta e ben fatta, non sfuggirà alle cronache e reinvenzioni filiali.
Tutte le madri dei romanzi e racconti della Némirovsky ritraggono Fanny, ma è in particolare in Jezabel, che la penna della scrittrice trova la sua vendetta. «Gli anni erano passati per Gladys con la rapidità dei sogni. E a mano a mano che invecchiava, sembravano ancora più lievi, le parevano essere volati via ancora più in fretta. Ma le giornate erano lunghe, e certe ore pesanti e amare. Non le piaceva stare sola: non appena intorno a lei cessava il cicaleccio delle donne, non appena si spegneva l’eco dei discorsi d’amore, sentiva in cuore una sorda inquietudine». Anche il padre non venne risparmiato dallo sguardo totale della Némirovsky. David Golder è il suo ritratto puntuale e svela che dietro la corazza sfavillante e spietata dell’affarista geniale, che comprava l’amore e il quieto vivere in famiglia con fiumi di denaro, viveva ancora l’impavido ragazzino ebreo “sognatore del ghetto” che era partito in cerca di fortuna. Una copia di ciascuno di questi romanzi fu l’eredità che Fanny lasciò alle figlie di Irène, Denise e Élisabeth. Glieli fece trovare chiusi in cassaforte, lei che aveva rifiutato di accoglierle, orfane e spaventate alla fine della guerra, arrivando a dichiarare che lei non aveva nipoti.
Ma siamo ancora Kiev, prima che il destino prendesse forma e costringesse i Némirovsky alla fuga in Francia. La dolcezza di Kiev stordita dalla primavera è eterna: «Com’è bella la primavera in quel paese! Le strade erano fiancheggiate da giardini, l’aria profumava di tiglio, di lillà, e un’umidità lieve saliva da tutte quelle aiuole, da quegli alberi stretti gli uni contro gli altri che spandevano nella sera il loro profumo zuccherino». Quel clima era pericoloso per la piccola Irocka che soffriva di asma. «Nei giorni caldi dell’estate, la campanella del venditore di gelati, le corolle schiacciate al passaggio o gualcite fra le mani, troppa erba, troppi fiori, un profumo troppo soave, che turba e intorpidisce la mente; troppa luce, uno splendore selvaggio, il canto degli uccelli nel cielo». La vita faticosa e impaurita degli ebrei del ghetto e quella noncurante e sfarzosa degli ebrei dei quartieri eleganti in collina, è raccontata con pari intensità. La scrittura di Irène è dunque prima di tutto una scrittura di testimonianza e di salvaguardia della memoria. Niente di quello che lei ha visto e vissuto è andato perduto e la vita avventurosa dei suoi libri è proseguita anche nel nuovo secolo. La precisione, la ricchezza di dettagli e informazioni, la consistenza dei personaggi, sono frutto di un lavoro preparatorio rigorosissimo. I suoi biografi scrivono che «Irène Némirovsky ha spiegato spesso che, prima di iniziare a scrivere, riempiva interi quaderni di dati biografici su ogni singolo personaggio – la fase che lei definiva la “vita anteriore del romanzo”. Poi rileggeva, censurando e commentando, ed esprimendo appassionanti riflessioni sul suo mestiere di scrittrice». La vita monotona, in cui i libri sostituivano la realtà, si interruppe bruscamente durante la Rivoluzione. Tra il 1917 e il 1919 la Russia cambiò volto, le città e i possedimenti imperiali furono saccheggiati, alla famiglia Némirovsky non restò che cercare riparo all’estero. Nel romanzo Il vino della solitudine è rievocata la fuga da San Pietroburgo che li portò, dopo varie peripezie e una lunga sosta in Finlandia, a stabilirsi a Parigi dove Irma Irina ebbe in dono il nome Irène e una nuova patria. Parigi era anche un ritorno all’infanzia. A Parigi l’attendevano il jazz, la scrittura e l’amore. Nel 1921 a diciotto anni appena compiuti, vendette a una rivista di dubbia fama i primi racconti e quando passò a ritirare il suo compenso stupì, per via della giovane età, l’editore. Quando Irène ebbe compiuto i venti anni, il padre la sistemò in un appartamento indipendente dove ella poté darsi davvero alla pazza gioia. Nonostante la libertà, gli amori, il senso di rivalsa nei confronti dell’odiatissima madre che invecchiando le faceva godere della vendetta, la gioventù della Némirovsky fu bruciata da uno stupro, raccontato nel Vino della solitudine e da pensieri molto seri di suicidio che la sfiorarono molto da vicino. Dopo quattro anni di vita sregolata nel 1924 completò gli studi alla Sorbona e incontrò l’uomo con il quale avrebbe diviso la vita, Michel Epstein, «un piccoletto bruno dalla carnagione scura» come Irène scrisse all’amica del cuore Madeleine nel 1925. Moscovita, nato nel 1896, figlio di un banchiere, Michel viveva a Parigi con la famiglia dal 1920. Prima di incontrarlo la scrittrice aveva già scritto, durante i soggiorni estivi sulla costa basca, Il bambino prodigio e Il malinteso. Quei luoghi le erano così cari che vi trascorse tutte le estati sino al 1939. Il malinteso uscì nel 1926 e il 31 luglio dello stesso anno Irène e Michel si sposarono. La casa dove andarono ad abitare era grande e confortevole, la giovane coppia aveva al suo servizio una cameriera e una cuoca. Irène poté dedicarsi alla scrittura e riscrittura di David Golder sino al 1929 conducendo al contempo una vita agiata e divertente. Durante tutti gli anni del matrimonio lei scriveva mentre Michel lavorava in banca. Il patto era che lei scrivesse solo durante il giorno e mezz’ora dopo cena, quando il marito l’aiutava copiando a macchina i suoi manoscritti. Durante la gestazione di David Golder, pubblicò sotto falso nome il romanzo La nemica dove regolava ancora e non una volta per tutte, i conti con sua madre. Un altro dei suoi racconti più spietati, Il ballo, venne scritto durante una pausa dell’altro libro. Una volta terminato, David Golder venne spedito all’editore Bernard Grasset che lo lesse e decise di pubblicarlo immediatamente. Scrisse quindi allo scrittore Epstein, questo il nome che accompagnava il manoscritto, ma non ebbe risposta per diverse settimane. La spiegazione era semplice, anche se a lui rimase ignota per qualche tempo. Irène era impegnata a mettere al mondo Denise France Catherine. Quando Grasset, tre settimane dopo il parto, si vide comparire davanti quella giovane donna, quasi non credette possibile che lei fosse l’autrice di un libro di tale potenza. Mise in campo tutta la sua forza editoriale per creare un caso letterario e ci riuscì. Tutti i critici scrissero di questo libro, tutti i lettori lo volevano leggere e sia il cinema che il teatro se ne contesero la messa in scena. Dopo il grande successo seguirono tre anni di blocco anche se Grasset pubblicò il racconto Il ballo che era già stato scritto. Il mondo letterario dovette aspettare sino al 1932 con L’affare Courilov, per avere conferma dello straordinario talento della giovane russa. Non le mancarono accuse di anti-semitismo per via della crudezza dei suoi personaggi, ma lei se ne stupiva e scherniva rivendicando sempre l’orgoglio di appartenenza a una cultura, una storia e una religione, anche se proprio alla dimensione spirituale dell’ebraismo non era mai davvero stata vicina. I romanzi successivi uscirono con regolarità e la fama si ingrandì. I motivi che la spingevano a scrivere erano anche di natura economica e non solo creativa, soprattutto dopo la morte di Léon avvenuta nel settembre del 1932, che le aveva lasciato un’eredità modesta rispetto al ricchissimo patrimonio che possedeva. Tutti i beni finirono nelle mani di Fanny che si guardò bene dal dividerli con la figlia. In quegli anni si sa che Irène leggeva e rileggeva i racconti di Katherine Mansfield Preludio e Alla baia. Il tema del romanzo La pedina sulla scacchiera sono i tremendi anni Trenta arrivati come una sorta di punizione dopo i dissoluti anni Venti. Anche per questo romanzo è stata tracciata la “vita anteriore” che accompagnava ogni suo scritto. L’ascesa al potere di Hitler viene raccontata nella corrispondenza della scrittrice che, all’amica Néné, si dice certa che ci sarà di nuovo la guerra e «vedrete che sarà la morte». Come ricordano i suoi biografi dal 1926 al 1940, la Némirovsky non ha fatto altro che scrivere un unico, immenso, lunghissimo romanzo, a partire da Il ballo per arrivare a I cani e i lupi. «Comincio a scrivere, in una minuta informe, il romanzo vero e proprio e nel contempo le riflessioni che esso mi suggerisce, il “diario del romanzo”, per usare l’espressione di André Gide. Poi lascio riposare il tutto, sforzandomi di non pensare più alla letteratura. Quando lo riprendo, tutto sembra organizzarsi, costruirsi da sé».
Nel 1933 passò all’editore Albin Michel che sarà il custode della mole dei suoi manoscritti, riportati alla luce solo di recente. Parigi è la cornice di molti dei suoi libri e allo stesso tempo anche il luogo che ne favorisce la scrittura. Tra Saint-Gérmain e le Tulieries si siederà con il quaderno in grembo e scriverà respirando la città e allo stesso tempo estraniandosene. Fatti i conti, tra il 1935 e il 1942, lei avrà scritto 9 romanzi, una biografia e 38 racconti. Le sue opere tradotte e portate in scena in tutto il mondo sono la fonte principale di entrate della sua famiglia. Nel 1935 la piccola Denise sarà la prima a ottenere la cittadinanza francese. Nel 1937 nasce Élisabeth, la sua futura biografa. Ma non bastarono né la fama letteraria, né le relazioni sociali, né tanto meno la conversione al cattolicesimo di tutta la famiglia nel febbraio del 1939, a costruire la rete di salvezza in cui lei e Michel speravano. Nessuno dei due riuscirà mai a ottenere la cittadinanza francese, anche se neppure questo avrebbe potuto salvarli. L’odio razziale si strinse sempre più intorno a loro come una rete cui è impossibile sfuggire. Quando scoppiò la guerra il 3 settembre 1939, era una giornata estiva ancora piena di promesse e la famiglia era in vacanza sulla costa basca. Il rifugio durante la guerra fu Issy-l’Évêque, un paesino della Borgogna dove il cibo e la quiete non mancavano. Alloggiata all’Hotel des Voyageurs, la famiglia riusciva a condurre una vita di quasi normalità, nonostante le notizie tremende che arrivavano da Parigi e dal fronte. L’ultimo quaderno da cui non si separava mai, era il manoscritto di Suite francese, il libro che ha restituito il suo nome alla fama che merita.
Nonostante il pericolo ormai evidente, Irène e Michel non riuscivano a risolversi di scappare o nascondersi. Il 16 luglio 1942 lei venne arrestata e il giorno dopo insieme ad altre decine di ebrei francesi mandata ad Auschwitz. Il 19 luglio all’arrivo le donne, dopo essere state private di abiti e gioielli, vennero rapate, vestite con i mesti abiti a righe che abbiamo imparato a conoscere e marchiate con i numeri dal 9550 al 9668. Gli uomini, per la maggior parte provenienti da Parigi, erano operai e artigiani, furono marchiati con i numeri dal 48.880 al 49.688. Irène sopravvisse solo un mese, nel certificato redatto ad Auschwitz, è scritto che il decesso avvenne alle 15 e 20 del 19 agosto 1942 a causa di un’influenza, molto più probabilmente di tifo. L’ultima lettera che riuscì a scrivere per la sua famiglia iniziava con le parole «Mio amato, mie piccole adorate». Di lei resta un’immagine netta e felice contenuta nel famoso quaderno di Suite francese, la nota è datata 11 luglio ’42, Bosco della Maie: «I pini intorno a me. Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa, con le gambe ripiegate sotto di me! Ho messo nella borsa il secondo volume di Anna Karenina, il Diario di Katherine Mansfield e un’arancia. I miei amici calabroni, insetti deliziosi, sembrano contenti di sé e il loro ronzio ha note gravi e profonde. Mi piacciono i toni bassi e gravi nelle voci e nella natura. Lo stridulo “cip cip” degli uccellini sui rami mi irrita… Tra poco cercherò di ritrovare quello stagno isolato».http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/irene-nemirovsky/

11 nov 2022

Crisi diplomatica Italia-Francia: Parigi accoglie la Viking ma blocca il ricollocamento dei migranti e blinda le frontiere con 500 agenti. Piantedosi: “Incomprensibile”

 

da L'Arena

Il ministro dell'Interno francese concede alla nave umanitaria il porto di Tolone. Ma attacca in modo frontale il governo di Giorgia Meloni per la scelta di non autorizzare lo sbarco: "Ci saranno conseguenze estremamente gravi per le nostre relazioni bilaterali", minaccia. E annuncia la sospensione immediata dell'accoglienza di 3.500 rifugiati attualmente in Italia, chiedendo "a tutti gli altri partecipanti al meccanismo europeo, in particolare alla Germania, di fare lo stesso". Previste anche "misure di rafforzamento dei controlli alle frontiere interne con l’Italia"

continua...https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/10/crisi-diplomatica-italia-francia-parigi-accoglie-la-viking-ma-blocca-il-ricollocamento-dei-migranti-piantedosi-reazione-incomprensibile/6868393/

Io sono per l'accoglienza e voi?Siamo tornati all'era Salvini.

SAN MARTINO

 


Il titolo fa riferimento alla data dell'11 novembre (commemorazione di San Martino), giorno in cui, tradizionalmente, in Italia si festeggia la maturazione del vino nuovo, da cui deriva la locuzione proverbiale "a San Martino ogni mosto diventa vino".

Il metro è quello della canzonetta anacreontica, in due coppie di quartine di settenari, a schema abbc deec, con ad piani sciolti, bb ee piani in rima baciata, cc tronchi in rima costante.

La nebbia a gl'irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor de i vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

Giosuè Carducci


La parafrasi

La nebbia, dissolvendosi e lasciando il posto ad una leggera pioggerella, risale per le colline rese ispide dalle piante ormai prive di foglie e, spinto dal freddo vento di maestrale, il mare rumoreggia frangendosi sulla scogliera con imponenti onde bianche di spuma. Per le vie del paesello si propaga dai tini, dove fermenta il mosto, l'odore aspro del vino nuovo che allieta l'umore dei paesani. Nel frattempo sui ceppi che bruciano nel focolare scoppietta il grasso che cola dallo spiedo, e il cacciatore, fischiettando, se ne sta sull'uscio a guardare stormi di uccelli che, in contrasto con le nubi rosseggianti per l'imbrunire, appaiono neri, come vagabondi pensieri che volano via nel crepuscolo.

Analisi dell'opera

Si descrive] un paesaggio in bianco e nero con l'eccezione del colore rossastro al termine della poesia che serve a far risaltare ancora di più il volo degli uccelli neri.

Evidente il contrasto tra l'atmosfera del borgo e il suono del mare in tempesta agitato dal maestrale, simbolo di un'inquietudine che, a mano a mano che si sale con fatica verso la cima del colle, quasi svapora attraverso la nebbia[ che vela la realtà, che non ci fa capire cosa veramente vogliamo, finché si giunge alla chiara allegrezza del borgo dove il rumore del mare è ormai lontano e dove si diffondono gli odori del vino che si sta facendo e della carne che gira sullo spiedo. Questi sono i suoni della pace, il vino che bolle nelle botti, la legna dello spiedo che scoppietta contrapposti alla furia del vento che agita il mare dell'esistenza umana.

Al termine della faticosa salita per la conquista della tranquillità ci attendono il vino e il cibo, una consolazione e un modo per raggiungere serenità, lasciare alle spalle, giù in basso il mare agitato della vita.

La serenità, oltre che negli odori, qui tinta di tristezza, è nel suono: nel fischiettio del cacciatore che appoggiato alla porta di casa guarda pensoso le nuvole rosse per il tramonto dove si stagliano uccelli neri che volano via come i foschi pensieri.

È una pace questa che si percepisce durerà poco, poiché ancora si sente là, in basso, il mare della vita rumoreggiare e poiché il poeta è ormai al tramonto che precede le tenebre della notte.

da wikipedia

10 nov 2022

Svet Martin-San Martino


Il padre, un ufficiale dell'esercito dell'Impero Romano, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Con la famiglia il giovane Martino si spostò a Pavia, dove trascorse la sua infanzia e dove, contro la volontà dei suoi genitori, cominciò a frequentare le comunità cristiane. A quindici anni, in quanto figlio di un ufficiale, dovette entrare nell'esercito e venne quindi inviato in Gallia.

La tradizione del taglio del mantello Quando Martino era ancora un militare, ebbe la visione che divenne l'episodio più narrato della sua vita e quello più usato dall'iconografia e dalla aneddotica. Si trovava alle porte della città di Amiens con i suoi soldati quando incontrò un mendicante seminudo. D'impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Quella notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per "mantello corto", cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella. (wikipedia)
San Martino di Tours affresco
 di Simone Martini


Nel periodo di S.Martino 11-12 novembre le giornata sono solitamente tiepide e soleggiate tanto da meritarsi la definizione di"estate di S.Martino".I primi giorni di novembre si fanno i primi assaggi dalle botti e si stappa il vino novello.Il tutto accompagnato da castagne e dolci tipici. 
In questa giornata la Chiesa fa delle liturgie per il Ringraziamento.


IN FRIULI

L’11 di novembre, giorno di celebrazione del santo, segnava infatti la fine dei contratti agrari dei coloni (cumiât, disdete), che si ritrovavano a lasciare la terra in affitto, traslocare e cambiare casa (fâ Sanmartìn). All’amarezza di questo finire si contrappone però il momento di ringraziamento a Dio per i prodotti della terra e il primo godimento di questi: polenta con farina novella, tacchino, anatra, castagne, zucche, rape e soprattutto vino ne sono l’esempio, tanto da far pensare ad un “piccolo martedì grasso”.  Un S. Martino dionisiaco dunque, soprattutto nelle zone della Slavia , dove al santo viene attribuito il potere di trasformare il mosto in vino.
Sull’Ostermann (La vita in Friuli) si legge che alcuni proprietari non vogliono lasciar assaggiare i loro vini prima di San Martino, e spillano le botti soltanto in quel giorno. Una leggenda racconta che San Martino, inseguito dai nemici, si ricoverò da un povero contadino, che lo nascose in cantina dentro una botte vuota. Entrati i nemici, lo cercarono dappertutto, e trovando le botti piene di vino, tanto ne bevvero che si ubriacarono; il santo poté fuggire, compensando il contadino col lasciargli tutte le botti piene. La popolarità del santo è legata anche alla diffusione dei racconti popolari che lo vedono protagonista. Uno di questi racconta di come S. Martino si aggirasse per il Friuli, alla ricerca del modo migliore per far raffreddare la minestra e, dopo molto peregrinare, di come giunse a Resiutta. Qui, invece di raffreddare le zuppe allungandole con l’acqua, soffiandoci sopra o cambiandogli contenitore, ci mettevano dei bocconi di pane dentro e li mangiavano. S. Martino ne fu conquistato e decise di rimanere a Resiutta, dove, non a caso, è il patrono.
Molti sono i proverbi che lo vedono protagonista:
- A San Martin-ogni most l’è vin; 
- A Sant Martin il gran al va a mulin; 
-Ocjis, cjastinis e vin a son plats di Sant Martin;
- Astât di Sant Martin, trê dîs e un freghenìn.
Quest’ultimo proverbio indica la cosiddetta “estate di san Martino” o “istât dei vecios”, quando cioè dopo i primi freddi il tempo dà una tregua in attesa della definitiva morsa invernale.



Festeggiamenti di San Martino in Slovenia (Martinovanje)

Il periodo intorno alla Festa di San Martino è il periodo in cui i contadini svolgono gli ultimi lavori autunnali e iniziano a preparasi per l’inverno. Specialmente in campagna è anche il periodo in cui avvengono celebrazioni rituali tradizionalmente intrecciate con la vita rurale. 

Per la Festa di San Martino, cioè l’11 novembre, si rievoca l’onomastico di San Martino, il santo che secondo la leggenda trasforma l’acqua in vino. Ogni anno, in omaggio alla Festa di San Martino, si svolgono per l’intera settimana numerose celebrazioni tradizionali in onore di San Martino. Il santo è festeggiato in tutta la Slovenia, sia in paesi sia in città. 

Proprio in questo periodo il vino matura e le celebrazioni di solito comprendono la benedizione della trasformazione del mosto “torbido” e “peccaminoso” in vino puro. Le feste in onore di San Martino di regola abbondano di gioia, musica, specialità gastronomiche locali e ovviamente – vino. 

Sebbene le feste siano organizzate dappertutto, l’esperienza più genuina la si vive nelle cantine, nelle rivendite di vino sfuso e nei casotti tra i vigneti
fonte:web


Dal web

9 nov 2022

Comuni ‘in bolletta’, anche le Valli restano al buio


  Il caro bollette è una realtà che ci accompagna ormai da tutto il 2022. Non colpisce però solo i bilanci di famiglie e imprese, ma anche quelli dei Comuni. Le tranches di aiuti contenute nei decreti legge del Governo (in arrivo in settimana il quarto dl) non sono sufficienti a coprire costi dell’energia elettrica che in dodici mesi sono aumentati anche fino a cinque volte.

San Leonardo e Stregna, misure per il risparmio già dalla scorsa primavera
Così, in ordine sparso, gli enti locali stanno cercando di correre ai ripari adottando misure tese al risparmio energetico. Nelle Valli del Natisone, i primi a muoversi in questa direzione, in tempi che ancora non lasciavano presagire una corsa verso l’aumento così rapida, sono stati S. Leonardo dal 4 marzo e Stregna dalla settimana successiva. A S. Leonardo l’illuminazione pubblica è spenta dall’una di notte fino alle alle cinque del mattino. Salvo che sulla strada provinciale dove per motivi di sicurezza stradale non è stato possibile intervenire. Dove c’era la possibilità in compenso, si è scelto di ridurre l’intensità della luce. “Con alcuni investimenti realizzati in questi anni – ci dice il sindaco Antonio Comugnaro – avevamo già sostituito la tecnologia delle lampade che ora sono in maggioranza a led, 400 su 600. Ne restano circa 80 obsolete che abbiamo in programma di sostituire a breve”. Non solo, sul versante del risparmio Comugnaro aggiunge che “Abbiamo già chiesto un contributo per poter coprire tutti gli edifici di proprietà del comune con il fotovoltaico dotandoli di batterie di accumulo. Dovesse andare in porto questo progetto il Comune sarebbe quasi del tutto autosufficiente.” Quanto al capitolo riscaldamento a San Leonardo è già operativa una centrale a biomassa che viene alimentata con cippato prodotto in loco e che serve già scuole e palestra.
“Quando abbiamo scelto di introdurre queste misure di riduzione dell’illuminazione abbiamo cercato di spiegare ai cittadini la necessità di questa scelta, allora non così scontata. Il riscontro però è stato più che positivo sia da parte dei privati, sia delle associazioni che, per esempio, hanno ridotto il consumo di energia del campo sportivo. Qualche critica c’è stata, certo, ma alla luce di come stanno andando le cose, credo che sia stata la scelta giusta. A dicembre, con le bollette sul consumo effettivo ne quantificheremo il beneficio. Sicuramente – conclude Comugnaro – sono decisioni che stanno comportando qualche sacrificio ma di fronte a questa emergenza è necessario stringersi e fare di necessità virtù”.
Anche il Comune di Stregna è intervenuto in tempi non sospetti. L’amministrazione guidata da Luca Postregna già l’11 marzo scorso ha scelto di spegnere l’illuminazione pubblica dalle 23 alle 5 del mattino. Senza distinzioni di sorta.
La stessa scelta che lo scorso 23 settembre ha operato il Comune di Pulfero. Qui il sindaco Camillo Melissa ha disposto lo spegnimento di tutta l’illuminazione pubblica fra le 23 e le 5 ad eccezione dei lampioni dislocati sulla statale 54 del fondovalle.
A Drenchia l’ordinanza dello scorso 25 ottobre prevede lo spegnimento dell’illuminazione pubblica da mezzanotte alle cinque dal lunedì al venerdì e dall’una alle cinque nei fine settimana. A Savogna l’illuminazione è stata spenta, a partire dallo scorso 2 novembre, tutti i giorni da mezzanotte alle cinque.
A San Pietro il costo del kWh è cresciuto di quasi 8 volte
Il comune di San Pietro al Natisone ha scelto una via sensibilmente diversa: l’illuminazione pubblica stradale, là dove le condizioni lo consentono, è stata ridotta con l’accensione parziale dei lampioni in modo alternato ‘uno sì e uno no’, in tutte le frazioni del fondovalle, statale 54 compresa. Il versante montano invece per ora è stato risparmiato da questa misura perché, ci spiega il sindaco Mariano Zufferli, “abbiamo valutato che potrebbero esserci problemi di sicurezza visto che in quei paesi risiede una percentuale significativa di anziani”. Nel corso degli anni il Comune aveva sostituito le lampade ‘tradizionali’ con impianti a led. In questi nuovi punti luce, un centinaio, oggi si è scelto di abbassare l’intensità dell’illuminazione.
È stato disposto, infine, lo spegnimento completo degli impianti di parchi e giardini. Ancora Zufferli: “Era inevitabile per noi adottare queste misure, e non siamo sicuri siano sufficienti. Abbiamo fatto un raffronto fra le bollette di agosto 2021 e lo stesso mese di quest’anno: allora il costo del kilowattora era di 0,09 euro, ad agosto 2022 è stato di 0,79. Secondo la nostra stima avremmo speso alla fine dell’anno 300mila euro, una cifra che non potremo mai permetterci. Anche perché in termini di aiuti, ad oggi, abbiamo ricevuto 6mila euro dalla Regione e 10.900 dallo Stato”.

8 nov 2022

Sono in arrivo dall'est i ciuffolotti/Pyrrhula pyrrhula - Eurasian Bullfinch - hýl obecný

Meloni alla Cop27 in Egitto nel silenzio sul caso Regeni



Mentre le autorità egiziane continuano a rifiutarsi di collaborare per punire i responsabili dell'omicidio di Regeni, la presidente del Consiglio ha incontrato al-Sisi senza affrontare il tema


 Un silenzio terribile e imbarazzante ha accompagnato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo viaggio in Egitto, in occasione dell’inizio dei lavori della conferenza sul clima Cop27. Arrivata per partecipare alle due giornate riservate ai capi di Stato e di governo, debuttando nel suo primo vertice internazionale, Meloni ha stretto la mano al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi senza aver mai pronunciato una parola riguardo all’omicidio del ricercatore Giulio Regeni o all’ingiusta carcerazione del ricercatore dell’università di Bologna, Patrick Zaki.

Nessuna frase di circostanza, nessun riferimento, nemmeno una telefonata alla famiglia di Regeni, come avevano fatto i precedenti governi. Il governo di Giorgia Meloni ha deciso di ignorare pubblicamente il sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni per mano delle autorità egiziane. Al contrario, la premier ha semplicemente ringraziato al-Sisi con un tweet, per gli auguri di inizio mandato, e si è presentata all’incontro bilaterale organizzato dal leader egiziano nel silenzio istituzionale su uno degli omicidi politici diventati il simbolo dell’impunità del regime di El Cairo.

Il depistaggio su Regeni

Un regime che da anni si rifiuta di collaborare con la giustizia e lo stato italiani, mettendo in scena depistaggi, occultando prove e rifiutandosi perfino di consegnare gli indirizzi dei quattro agenti delle forze speciali imputati dell’assassinio di Regeni, necessari a far cominciare il processo in Italia. Un regime che ha anche contribuito a creare e diffondere un finto documentario fatto per screditare la figura del dottorando dell’università di Cambridge, dipingendolo come una spia, e al quale ha partecipato anche l’attuale vice-presidente del Senato, Maurizio Gasparri.

Atteggiamento che contrasta con l’ampia retorica del governo Meloni di voler “ridare speranza e certezze” agli italiani e che invece sembra sorvolare sul tema per non innervosire il leader egiziano, condannando ancora una volta la famiglia Regeni all’incertezza e al dubbio. Un comportamento reso ancora più terribile dai risvolti dell’ultima udienza del caso Regeni dello scorso 6 ottobre, quando le autorità egiziane si sono, ancora una volta, rifiutate di collaborare con la giustizia italiana.

"Se ce n'era bisogno, è emerso ancora una volta e con ulteriore chiarezza che le autorità egiziane non hanno, né hanno mai avuto, nessuna intenzione di collaborare e si fanno beffe del nostro sistema di diritto - hanno dichiarato a Rai News i genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, assistiti dall'avvocato Alessandra Ballerini -. Anche che la richiesta del gennaio 2022 della ministra della Giustizia Cartabia di incontrare l'omologo egiziano non ha mai avuto alcun riscontro, e questo rifiuto non ha precedenti. Quindi anche alla luce di quanto dichiarato oggi dal funzionario del ministero della Giustizia ascoltato in udienza, auspichiamo in una adeguata reazione di dignità del nostro governo".

Il caso Zaki

Un governo che era sul punto di cambiare e che ha lasciato il testimone a Giorgia Meloni, la quale sembra averlo riposto in un cassetto. Lo stesso in cui sembrano essere finite anche le pratiche relative alla situazione di Patrick Zaki, il ricercatore dell’università di Bologna incarcerato in detenzione preventiva per 22 mesi al Cairo e da 9 in libertà vigilata in attesa di processo. Processo che le autorità egiziane continua a rimandare, impedendo a Zaki di poter espatriare e tornare a Bologna. Rinvio dopo rinvio, la prossima udienza si terrà il 29 novembre, ma visto il comportamento del governo Meloni, Zaki potrebbe essere costretto ad affrontarla senza poter più contare sul sostegno ufficiale dell’Italia.https://www.wired.it/article/regeni-silenzio-governo-meloni-egitto-cop27-zaki/



Proverbio friulano


 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei Vita Nei Campi
“Soreli a San Martin al dà un unviêr cianìn” ovvero se c’è sole il giorno di San Martino, l’11 novembre, l’inverno sarà “canino” freddissimo.Il proverbio friulano della settimana
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