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1 giu 2022

Vencò - Višnjevik - Korada - Lig - Kambreško - Britof

Un'uscita curiosa. Partito da casa alla ricerca del paese di Slapnik il villaggio in attesa di tempi migliori. Imboccata la strada sbagliata e arrivato a Višnjevik quindi sul Korada. Sorpreso, proseguito fino Lig , quindi Kambreško. Mi sarebbe piaciuto proseguire verso il passo Solarie, ma le gambe mi hanno consigliato Britof tutta discesa
ROMEO TREVISAN
..

Dal Solarie al Mrzli

Salito a Livek per verificare il percorso del Giro d'Italia. Incontrati diversi ciclisti con lo stesso mio interesse. Giunto al passo Solarie un colubro di Esculapio attraversava pigramente la strada. Sceso nuovamente a Livek. Ero rimasto attratto dalla Chiesa di Perati, poi Avsa e quindi un cartello che indicava Masseris. Trovata per caso la strada percorsa da Rommel per la conquista del Matajur sono salito. Ad un recinto per animali al pascolo mi sono fermato indeciso, ma ho trovato il coraggio di passare oltre. Percorsi altri 600 metri di salita, un'altra mandria occupava la strada e non aveva atteggiamenti pacifici. Ritornato indietro. A casa ho guardato le mappe e mi sono accorto che mi mancava un centinaio di metri per il monte Mrzli m.1356 dove avrei trovato una malga ed avrei visto la Chiesetta del Matajur e la sottostante conca di Caporetto.

31 mag 2022

L' ASINO

da wikipedia

 L'asino

di Angelo Floramo
Bestia da soma e dunque somaro. L’asino ha rivestito un ruolo estremamente importante nella storia dell’agricoltura friulana, almeno fino al secondo dopoguerra. Fu proprio quello il tempo in cui il “mus” venne sostituito dal meno recalcitrante trattore, più efficace, forse, ma sicuramente meno capace di empatia e difficilmente eleggibile a figura degna dell’immaginario collettivo. Per secoli questa bestia “dolce e docile”, come amava definirla Ippolito Nievo, venne impiegata per gravarne il basto di ogni peso malagevole da trasportare a spalla d’uomo o a dorso di donna. Carico di sacchi di granaglie, percorreva i sentieri che dai borghi rurali conducevano ai mulini, rientrando poi a casa con la farina; oppure risaliva in silenzio i tratturi di montagna, portando nelle bisacce di cuoio che gli scendevano dai fianchi gli strumenti utili a boscaioli, carbonari e minatori. Ma anche ai fabbri o ai falegnami delle tante officine e segherie disseminate lungo le pendici delle vallate alpine. Formidabile nel trascinare i tronchi fino agli scivoli di legno che li avrebbero fatti scendere a valle, spesso veniva impiegato nelle viscere della terra per tirare i pesanti vagoni nelle gallerie dove si estraevano il piombo o lo zinco. Sicuramente metteva allegria quando entrava in città, agghindato a festa con tanto di collane di fiori o cappelli di paglia, trainando in pariglia carretti pieni di frutta e verdura per il mercato. E di questo esiste ancora memoria a Udine. Viene ingiustamente associato all’ostinazione e alla stupidità nei proverbi che la tradizione popolare utilizzava per trasmettere una sapienza spicciola, e tuttavia ispirata al buon senso (A lavà il cjâf al mus si bute vie la aghe e si infastidìs le bestie: nel lavare la testa all’asino si butta l’acqua e si infastidisce la bestia), Indicato dalle maestre più severe come un esempio da non seguire, le sue lunghe orecchie hanno incoronato più di qualche zucca vuota dietro alla lavagna come marchio vergognoso d’infamia. Eppure la notte di Natale, almeno fino agli inizi del secolo XIII, era consuetudine che i presbiteri, anche nelle nostre pievi, intonassero il Kyrie Eleyson Asini con una voce che nel canto gregoriano imitava l’asprezza del raglio. Un asino campeggia tra i mosaici dell’Aula Nord della Basilica di Aquileia. E negli affreschi di Valvasone un Asino ammaestra un Lupo. D’altronde Cristo nacque in una mangiatoia riscaldata da un mus. E per entrare in Gerusalemme non scelse certo la sella di un destriero

ALMANACCO


 1972 – A Peteano una pattuglia di Carabinieri, accorsa in seguito ad una telefonata, incappa in una bomba: tre le vittime. L’attentato è impropriamente noto come Strage di Peteano

Poesia di Giovanni Pascoli

 

E vedo il mare


GIOVANNI PASCOLI

MARE

M'affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l'onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.

Ecco sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.

Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?

(da Myricae, Giusti, 1891)

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Una breve vacanza mi ha portato in Romagna, sull’Adriatico, negli immediati dintorni di San Mauro, la località dove Giovanni Pascoli nacque e visse per anni e che dal 1932 ha aggiunto al suo nome quello del poeta. La mia stanza d’hotel aveva la vista su quel mare e sono andato a cercarmi questa poesia di cui ricordavo solo il primo verso. Come sempre, in Pascoli, il sentimento, il moto dell’anima, si comunica alle cose: il mare e le stelle della prima quartina vanno a chiamare quel ponte invisibile formato dal riflesso della luna sull’acqua.

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FOTOGRAFIA © GEORGE DESIPRIS/PEXELS

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30 mag 2022

E' morto Boris Pahor, memoria storica del Novecento



https://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/e--morto-boris-pahor-memoria-storica-del-novecento/2/266917 


0 maggio 2022

Si è spento, a 108 anni, Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena. Con lui se ne va un testimone diretto delle principali pagine di storia del Novecento.

Pahor era sopravvissuto alla Spagnola, che invece uccise l'amata sorella, alle persecuzioni fasciste, alla guerra in Libia, a cinque di lager e al sanatorio francese dove trascorse un anno e mezzo, perché malato di tubercolosi.

Aveva vissuto una vita piena, difficile, contrassegnata dalla violenza e dai contrasti del ‘Secolo breve’, ma anche ricca di successi internazionali, grazie alle sue opere che testimoniano il suo vissuto.

Nato nel 1913 a Trieste, allora porto principale dell'impero asburgico, quando governava Francesco Giuseppe, con la sua vita e i suoi racconti ha attraversato tutto il ‘900: dalle prime persecuzioni della minoranza slovena, allo squadrismo fascista, fino alle Guerre Mondiali e ai campi di sterminio nazisti, dove fu deportato.

Pahor era stato testimone dell'incendio del Narodni Dom - sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena -, il 13 luglio 1920 a Trieste, evento che lo aveva profondamente segnato e che aveva poi descritto nella raccolta di novelle "Il rogo nel porto".

Testimone fin da bambino delle discriminazioni verso la sua minoranza, quella slovena, nel 1940 venne arruolato nell'esercito italiano e mandato sul fronte in Libia. Poi nel '43, dopo l'armistizio dell'8 settembre torna a Trieste, ormai sotto occupazione tedesca dove decide di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia, aderendo alla Resistenza (nel 1955 descriverà quei giorni decisivi nel famoso romanzo Mesto v zalivu ("Città nel golfo"), col quale diventerà celebre nella vicina Slovenia) e nel '44 fu consegnato ai nazisti e internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania (Natzweiler-Struthof, Dachau e Bergen-Belsen). La deportazione durante la Seconda Guerra Mondiale è narrata nel suo capolavoro autobiografico "Necropoli".

Finita la guerra, tornò nella città natale, aderendo a numerose imprese culturali dell'associazionismo cattolico e non-comunista sloveno. Negli Anni '50, diventa il redattore principale della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupa, oltre a temi strettamente letterari, anche di questioni di attualità. In quel periodo, Pahor continua a mantenere stretti rapporti con Edvard Kocbek, ormai diventato un dissidente nel regime comunista jugoslavo. I due sono legati con uno stretto rapporto di amicizia. Nel 1975 Pahor pubblica, assieme all'amico triestino Alojz Rebula, il libro "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca".

Nel libro-intervista, pubblicato a Trieste, il poeta sloveno denuncia il massacro di 12.000 prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia anti-comunista slovena (domobranci), e i crimini delle foibe perpetrati dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945.

Il libro provoca durissime reazioni da parte del governo jugoslavo. Le opere di Pahor vengono proibite nella Repubblica Socialista di Slovenia e a Pahor viene vietato l'ingresso in Jugoslavia. Grazie alla sua postura morale e estetica, Pahor diventa uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni, a cominciare da Drago Jancar. Le sue opere, scritte in sloveno, sono tradotte in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese.

Nel novembre 2008 gli era stato conferito il Premio Resistenza per il libro Necropoli. Il 18 dicembre 2008 Necropoli è stato eletto Libro dell'Anno da una giuria di oltre tremila ascoltatori del programma di Radio 3, dedicato ai libri, Fahreneit.

Membro dell'Accademia slovena delle scienze e arti, Pahor è stato insignito di importanti premi e onorificenze, anche a livello internazionale: fra gli altri, nel 1992 ha ricevuto il Premio Prešeren, massimo riconoscimento per i risultati ottenuti in campo artistico in Slovenia, mentre nel 2007 gli è stata attribuita la Legion d'Onore da parte del Presidente della Repubblica Francese. Più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, ha iniziato la sua vasta produzione, che comprende romanzi e saggi tradotti in una decina di lingue, nel 1948 con i racconti dal titolo Moj traški naslov (Il mio indirizzo triestino).

Il 13 luglio 2020, in occasione della storica visita del Presidente Sergio Mattarella e del suo omologo sloveno Borut Pahor, era stato premiato con la doppia massima onorificenza, italiana e slovena.


Anika Horvat - Vse bo še dobro-Andrà tutto bene (Official Video) 2022

Nascita24 maggio 1977 (età 45 anni), Capodistria, Slovenia

29 mag 2022

Il Giro d'Italia


 Il Giro d'Italia (detto anche Giro o Corsa Rosa) è una corsa a tappe maschile di ciclismo su strada professionistico che si svolge annualmente lungo le strade italiane.

Istituito nel 1909 su idea dei giornalisti Tullo MorgagniEugenio Camillo Costamagna e Armando Cougnet, è una delle tre corse a tappe più importanti del calendario ciclistico, insieme al Tour de France e la Vuelta a España, ed è inserito dall'Unione Ciclistica Internazionale nel circuito professionistico del World Tour; storicamente è da ritenersi la seconda corsa a tappe più prestigiosa dopo quella francese[1], anche se, a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta e durante gli anni settanta, il prestigio e il numero di grandi ciclisti iscritti portarono il Giro ad avere un'importanza pari a quella del Tour.

A partire dalla prima edizione si è sempre disputato, salvo che per le interruzioni dovute alla prima e alla seconda guerra mondiale, nell'arco di tre settimane tra i mesi di maggio e giugno, fatta eccezione per il 1946, quando si corse tra giugno e luglio, e il 2020, anno in cui, a causa della pandemia di COVID-19, viene rinviato a ottobre[2]. La corsa si svolge sul territorio italiano, ma occasionalmente il percorso può interessare località al di fuori dai confini italiani (sconfinamenti, arrivi o partenze di tappa, prime tappe). Mentre il luogo di partenza è in genere ogni volta diverso, l'arrivo è il più delle volte posto a Milano, città sede de La Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo che organizza la corsa sin dalla sua istituzione. Proprio il colore delle pagine della Gazzetta, il rosa, caratterizza dal 1931 la maglia del ciclista primo in classifica; anche per questo motivo il Giro è noto come "Corsa rosa".

Il record di vittorie al Giro è condiviso da tre ciclisti, ognuno con cinque vittorie: gli italiani Alfredo Binda, vincitore tra il 1925 e il 1933, e Fausto Coppi, vincitore tra il 1940 e il 1953, e il belga Eddy Merckx, che vinse tra il 1968 e il 1974. Per quel che riguarda le vittorie di tappa, il record appartiene al velocista italiano Mario Cipollini, che nell'edizione del 2003 riuscì a superare il record di 41 vittorie che dagli anni trenta apparteneva ad Alfredo Binda; a quest'ultimo rimangono i record di vittorie di tappa in una stessa edizione, 12 tappe su 15 nel 1927, e di vittorie di tappa consecutive, ben 8 nel 1929. Parallelamente ogni anno è organizzato anche il Giro Baby riservato alla categoria Under-23 uomini e il Giro Donne riservato alla categoria professionistica femminile.

1909-1918: la nascita e i primi anni[modifica | modifica wikitesto]

La nascita del Giro venne formalizzata con un annuncio sulla Gazzetta dello Sport il 24 agosto 1908, con la promessa di 25 000 lire di premio al vincitore e la volontà di organizzare «una delle prove più ambite e maggiori del ciclismo internazionale». Nell'organizzazione del Giro la Gazzetta dello Sport anticipò di poco il Corriere della Sera, che stava per dare il via a un'iniziativa ciclistica nazionale sulla scorta dell'analogo Giro automobilistico d'Italia lanciato qualche anno prima.[3] Il primo Giro d'Italia partì il 13 maggio 1909 alle 2:53 da Piazzale Loreto, a Milano, con 127 ciclisti al via.[3] La prima tappa di sempre fu vinta da Dario Beni sul traguardo di Bologna dopo 397 km a 28,090 di media oraria. Fra il 13 e il 30 maggio si corsero otto tappe, per complessivi 2.447 chilometri, che videro affrontarsi i migliori ciclisti dell'epoca: tra essi Giovanni GerbiGiovanni RossignoliLuigi Ganna (cui andò la vittoria finale), Carlo GalettiEberardo Pavesi e Giovanni Cuniolo.[4] La classifica fu stilata a punti, sulla base dei piazzamenti nelle tappe, e il montepremi effettivo fu di 18 900 lire, di cui 5 325 per il vincitore.[4]

Luigi Ganna vincitore al Giro 1909

Le due seguenti edizioni videro imporsi Carlo Galetti, sempre con un sistema di graduatoria a punti. Da segnalare negli annali è il quarto Giro, quello del 1912, in cui venne stilata la sola classifica per squadre: la vittoria andò così ufficialmente all'Atala (formata da Ganna, Galetti, Pavesi e Micheletto), e solo in via ufficiosa, a livello individuale, a Carlo Galetti. Dopo un Giro 1913 in cui si tornò alla classifica individuale a punti, vinto da Carlo Oriani, nel 1914 fu introdotta la classifica generale a tempo, tutt'ora in vigore, che sostituiva quella a punti: si impose Alfonso Calzolari, nonostante una penalizzazione di tre ore comminatagli dalla Gazzetta e l'iniziale squalifica da parte dell'Unione velocipedistica italiana, revocatagli solo nel 1915 dal Tribunale di Milano, per essersi attaccato a un'autovettura sulla Salita delle Svolte, in Abruzzo.[5] Quel Giro 1914, considerato il più duro di sempre, fu portato al termine da soli otto ciclisti su 81 partiti; si ebbero anche la tappa più lunga di sempre, 430,3 km da Lucca a Roma, e la media oraria di percorrenza più bassa di sempre, 23,347 km/h.[6][5]

La partenza della corsa nelle prime edizioni del Giro fu sempre a Milano, tranne che nel 1911, quando si partì da Roma per celebrare il cinquantenario dell'Unità d'Italia;[4][7] l'arrivo fu invece posto a Milano nel 1909, 1910, 1913 e 1914, mentre nel 1911 fu ancora a Roma e nel 1912 fu spostato da Milano a Bergamo con l'aggiunta di un'ulteriore tappa in sostituzione della frazione Pescara-Roma annullata per lo straripamento di un torrente.[8][4] Dal 1915 al 1918 la corsa dovette quindi fermarsi per l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale.

continua ...https://draft.blogger.com/blog/post/edit/2963768517500394620/1575995704887181417

Il budino al cioccolato di Graziana

 


Il budino al cioccolato di Graziana

di Roberto Zottar
A guardare le scatole dei preparati in polvere fra i banchi del supermercato a nessuno verrebbe in mente che i budini, in realtà, hanno origini antichissime e che, nel passato, erano delle preparazioni salate. L’etimologia remota del termine budino, infatti, si ricollega al latino ‘botellus’, ‘budello’, che in origine si usava per preparare salsicce o budini salati. I romani preparavano il ‘sanguiculus’ – ‘sanguinaccio’ – anche noto come ‘botellus sanguineus’ – ossia una salsiccia ottenuta con sangue di maiale e in Friuli oggi nota come ‘mule’ o ‘sanganel’. Nel medioevo continua la preparazione dell’insaccato e abbiamo documenti tardo medievali, tra cui il Ménagier di fine del XIV secolo, che descrivono ricette per un ‘boudin blanc’, cioè salsiccia, e un ‘boudin noir’, il sanguinaccio, che nella cucina inglese diventa poi ‘(black) pudding’. La carne veniva macinata fino ad una consistenza finissima, quasi spalmabile. Queste preparazioni si sono poi evolute solo nel corso del XVIII secolo nelle tipologie di budini dolci conosciute oggi, mantenendo dei prodotti di salumeria soltanto la consistenza morbida. Della famiglia del budino fanno parte oggi creme in tazza, creme caramel, bavaresi. Il budino era molto diffuso in Veneto, usato non solo come dolce, ma anche come secondo piatto; venivano mescolati latte, miele, riso o semolino o farina, uva passa e zucchero che lo rendevano molto ricco. Nello stesso periodo anche in Gran Bretagna il budino cotto (boiled pudding) era il cibo giornaliero della marina militare, la Royal Navy. Il termine attuale ‘budino’ è un adattamento dell’inglese ‘pudding’: è documentata nel Settecento la forma ‘puddingo’ sul quale in seguito influì probabilmente anche il francese ‘boudin’.
La ricetta di oggi quindi non può che essere quella di un budino, l’ottimo budino al cioccolato di Graziana, una amica di web che per la passione per la cucina anni fa ha lasciato il posto fisso in una azienda pubblica per aprire una rosticceria a Trieste. La ricetta non prevede uova. Setacciate insieme 100 g di farina, 200 g di zucchero e 100 g di cacao amaro di alta qualità e versate il tutto in un tegame dove avrete fatto sciogliere 100 g di burro. Mescolate bene, aggiungete un litro di latte e cuocete per 10’ dal bollore abbassando la fiamma. Caramellate uno stampo da budino, bagnate con un cucchiaio di rum e versatevi la crema. Lasciate raffreddare e rassodate in frigorifero. Invece del cacao si può usare cioccolato fondente e, volendo esagerare, parte del latte può essere sostituito da panna liquida.
Buon appetito!

LIBRI

 


GUERRA E PACE -Tolstoj

Meditata a partire dal 1863, più volte rivista e riscritta fino alla versione del 1886, "Guerra e pace" è l'opera più nota di Tolstòj e una delle più lette e amate della letteratura universale. In queste pagine di altissima scrittura, in cui spiccano le celeberrime figure della contessina Natàsha Rostòva e del principe Andréj Bolkònskij, si narrano le vicende di due famiglie dell'aristocrazia russa, i Bolkònskij e i Rostòv appunto, sullo sfondo della Russia patriarcale e contadina devastata dalle guerre e dall'invasione di Napoleone, ma ancor più sconvolta dall'influsso, borghese e civilissimo, dell'Europa occidentale. Della Grande Russia di inizio Ottocento "Guerra e pace" è infatti insieme il magnifico epos e la struggente elegia. Un capolavoro che esce dagli angusti confini del romanzo.

Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono introdotti nel romanzo nel corso di una soirée presso Anna Pavlovna Scherer nel luglio 1805Pierre Bezuchov è il figlio illegittimo di un conte benestante che sta morendo di ictus: egli rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per l'eredità del padre. L'intelligente e sardonico principe Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce il ruolo di aiutante di campo (aide-de-camp) del Comandante Supremo Michail Illarionovič Kutuzov nell'imminente guerra contro Napoleone. Apprendiamo pure dell'esistenza della famiglia moscovita dei Rostov, di cui fanno parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella memoria le figure di Natal'ja Rostova ("Nataša"), la vivace figlia più giovane, e di Nikolaj Rostov, il più anziano ed impetuoso. A Lysye Gory ('Colline calve'), il principe Andrej affida al proprio eccentrico padre, ed alla mistica sorella Marja Bolkonskaja, sua moglie incinta e parte per la guerra. all'inizio del romanzo

Uno dei personaggi centrali di Guerra e pace è senz'altro Pierre Bezuchov. Ricevuta un'eredità inattesa, è improvvisamente oberato dalle responsabilità e dai conflitti propri di un nobile russo. Il suo precedente comportamento spensierato svanisce, rimpiazzato da un dilemma tipico della poetica di Tolstoj: come si dovrebbe vivere, in armonia con la morale, in un mondo imperfetto? Si sposa con Hélène, la bella ed immorale figlia del principe Kuragin, andando contro il suo stesso miglior giudizio. Preso dalla gelosia affronta in un duello il suo presunto rivale e malgrado non abbia mai impugnato una pistola lo vince. Si separa dalla moglie lasciandole metà del patrimonio quando in preda a riflessioni e sommerso da dubbi sulla vita incontra i massoni e ne diventa confratello. Pieno di buone intenzioni tenta di liberare i suoi contadini o servi della gleba ma viene imbrogliato dai suoi amministratori e non ottiene niente per migliorare le loro condizioni di vita, tenta anche di migliorare i suoi fondi agrari, ma in definitiva non ottiene risultati.

Il principe Andrej, la cui moglie Lise è nel frattempo morta di parto, rimane gravemente ferito durante la sua prima esperienza guerresca. Decide, in seguito a profonde riflessioni, di dedicarsi all'amministrazione delle sue proprietà; è in questo periodo che inizia a frequentare la casa dei Rostov e si innamora, ricambiato, della giovane Nataša. Amore osteggiato dal vecchio padre di lui, la cui ostilità fa decidere al principe Andrej di separarsi per un anno da Nataša, in attesa che il loro amore si consolidi.

Durante quest'intervallo Hélène e suo fratello Anatole tramano per far sì che quest'ultimo seduca e disonori la giovane e bella Nataša Rostova. Il piano fallisce in extremis; ma Andrej, venutone a conoscenza, ripudia Nataša, che cade in una profonda depressione; tuttavia, per Pierre, è causa di un importante incontro con la giovane Rostova.

Quando Napoleone invade la Russia, Pierre osserva la Battaglia di Borodino da distanza particolarmente ravvicinata, sistemandosi dietro agli addetti di una batteria di artiglieria russa, ed apprende quanto la guerra sia realmente sanguinosa ed orrida. Quando la Grande Armata occupa Mosca, in fiamme ed abbandonata per ordine del governatore Fëdor Vasil'evič Rostopčin Pierre intraprende una missione donchisciottesca per assassinare Napoleone, e viene fatto prigioniero di guerra. Dopo essere stato testimone del saccheggio perpetrato dai francesi su Mosca, con relative fucilazioni di civili, Pierre è costretto a marciare con le truppe nemiche nella loro disastrosa ritirata. Successivamente viene liberato da una banda russa che sta conducendo un'incursione. Andrej, ancora innamorato di Nataša, rimane ferito nella battaglia di Borodino ed alla fine muore dopo essersi ricongiunto a Nataša prima della fine della guerra. Pierre, rimasto vedovo, si riavvicina a Nataša mentre i russi vincitori ricostruiscono Mosca. Pierre conosce finalmente l'amore e sposa Nataša, mentre Nikolaj sposa Mar'ja Bolkonskaja.

Tolstoj ritrae con efficacia il contrasto tra Napoleone ed il (già ricordato) generale russo Kutuzov, sia in termini di personalità, sia sul piano dello scontro armato. Napoleone fece la scelta sbagliata, preferendo marciare su Mosca ed occuparla per cinque fatali settimane, quando meglio avrebbe fatto a distruggere l'esercito russo in una battaglia decisiva. Kutuzov rifiutò di sacrificare il proprio esercito per salvare Mosca: al contrario, dispose la ritirata e permise ai francesi l'occupazione della città. Una volta dentro a Mosca, la Grande Armée si disperse, occupando abitazioni più o meno a casaccio; la catena di comando collassò, e (ineluttabilmente, a giudizio di Tolstoj) ne derivò la distruzione di Mosca a causa di un incendio.

Tolstoj spiega che ciò era inevitabile, perché quando una città costruita in buona parte in legno è lasciata in mano a stranieri, che naturalmente cuociono cibi, fumano pipe e tentano di scaldarsi, necessariamente si attizzano dei focolai. In assenza di un qualche servizio antincendio organizzato, questi roghi avrebbero arso buona parte della città. Dopo gli incendi, l'esercito francese, prossimo allo sbando, tenterà di guadagnare la via di casa, subendo però la durezza dell'inverno russo e le imboscate dei partigiani locali.

Napoleone prese la sua carrozza, con una muta di cavalli veloci, e partì alla testa dell'esercito, ma la maggior parte dei suoi non avrebbe più rivisto la patria. Il generale Kutuzov è convinto che il tempo sia il suo più valido alleato: continua a procrastinare la battaglia campale, mentre in effetti i francesi sono decimati dalla loro penosa marcia verso casa. Sono poi pressoché annientati quando i cosacchi sferrano l'attacco finale, nella battaglia della Beresina.

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