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IVAN TRINKO padre della Benecia
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31 ago 2020
Slovenia, tra api e miele
Turismo e benessere nel segno del miele e delle api: questo è l’apiturismo, nuova tendenza di viaggio che sempre più sta prendendo piede in tutto il mondo, ma le cui origini sono radicate nel “cuore verde” dell’Europa, la Slovenia
Slovenia, terra di api e di mieli
Il webdoc
Senza dimenticare la cera, utilizzata tanto in cucina quanto nella fabbricazione di candele.
Dalla Giornata mondiale delle api all’apiturismo
Le azioni a tutela delle api in Slovenia
Le erbe infestanti, nelle città, sono estirpate meccanicamente, senza ricorrere a prodotti chimici.
Il decalogo dell’apiturismo in Slovenia
- Fate un tour di apiturismo a 360 gradi: andate a conoscere tutti gli effetti curativi (e non solo) dell’antica tradizione apistica slovena.
- Pernottate in un alveare: nella verde valle della Savinja, potete trasformarvi in un’ape e vivere in capanne a forma di favo, nel Villaggio del Miele.
- Viziate i vostri sensi con il miele: alle terme Topolšica potete sperimentare gli effetti calmanti del miele o trascorrere del tempo in compagnia delle api, lasciando che il loro ronzio lenitivo vi faccia rilassare, magari durante un massaggio.
- Partecipate al Festival internazionale dei fiori selvatici di Bohinj: prendete parte al primo appuntamento europeo dedicato ai fiori selvatici, che ogni anno celebra anche le api con un ricco programma di eventi a tema.
- Degustate le “forme del miele”: assaggiate il vino spumante a base di miele di castagno a Maribor e il tradizionale Lectarstvo, un dolce pan di zenzero a base di pasta di miele, che viene cotto in stampi di latta dalle varie forme e decorato.
- Inalate l’aria sana dell’alveare: coccolate il vostro sistema respiratorio e respirate l’aria calmante degli apiari di Selo pri Bledu o nella tenuta Pule in Dolenjska, facendo vostri i benefici delle particelle volatili provenienti dagli alveari.
- Fate un salto a Radovljica, la città più dolce della Slovenia: sede del museo dell’apicoltura e di 600 arnie dipinte a mano, è il luogo ideale per conoscere a fondo la ricca tradizione apicola slovena.
- Seguite la vostra voglia di conoscenza: iscrivetevi a un laboratorio di apicoltura, imparate a dipingere a mano i pannelli delle arnie o a fare candele di cera d’api.
- Visitate il Centro nazionale di apicoltura, nel villaggio di Lukovica: fondato nel 1873, presenta la storia dell’apicoltura slovena e offre svariati percorsi naturalistici, oltre alla possibilità di degustare i tradizionali liquori al miele.
- Esplorate i paesaggi della Slovenia , anche in bici: scoprite la flora autoctona che fa della Slovenia un paradiso per le api.
Breve itinerario di apiturismo in Slovenia
La bussola del direttore
LE GUERRE TRA SLAVI E LONGOBARDI: GENESI DI UN DUALISMO CULTURALE (PARTE PRIMA)
INTRODUZIONE
Una delle peculiarità etnico-linguistiche del Friuli è senza dubbio data dalla presenza secolare, per non dire millenaria, di insediamenti slavi lungo la fascia di confine orientale, quasi senza soluzione di continuità; fascia che può essere poi suddivisa nelle varie aree del Carso (o Carsia), del Collio, della Slavia Friulana (o Benecia), della Val Resia (volendo, includibile nella precedente) e della Val Canale. Certamente la migrazione più nota ed emblematica, e che ha in effetti consolidato permanentemente la presenza slava in terra friulana, fu quella favorita dai patriarchi per ripopolare la pianura a cavallo della linea delle Risorgive, resa desolata dalle ferocissime invasioni ungare tra l’898 e il 954. Ma la storia conta due imponenti flussi migratori slavi, o meglio, due stagioni di spostamento di questo popolo; questa era solo la seconda. La prima si realizzò seguitamente all’ingresso longobardo in Friuli e in Italia, ma, mentre il secondo flusso non causò disordini e si sviluppò in maniera pacifica, il primo ebbe come risultato quello di aver fatto scaturire un periodo di forti dissidi tra Slavi e Longobardi, con non pochi episodi di aperto conflitto. Gli esiti degli scontri non lesinarono disastri da ambo le parti, anche se alla fine l’azione longobarda riuscì a confinare gli Slavi ai limiti della Patria del Friuli.
Proprio per questa cruciale importanza che ebbe la difesa e la reazione longobarda nel preservare l’integrità appena costituita del territorio friulano, vale la pena ben approfondire, al pari di altre invasioni più note, le vicende che interessarono questo primo e violento contatto tra queste genti dell’Est e i nuovi padroni del Friuli: un confronto tra una civiltà slava e una germanica in territorio latino. Un mix etnico-storico che il Friuli, per la sua natura geografica, ha permesso di produrre. Buona lettura!
ALLE PORTE DEL FRIULI
Lo storico udinese Francesco Prospero Antonini (1809-1884) nel suo libro “Del Friuli ed in particolare dei trattati da cui ebbe origine la dualitá di questa regione” ci racconta che nel 545 il popolo dei Vindi, antenato degli Sloveni e dominato crudelmente dagli Avari, calò dalle terre a est del Danubio nel Norico Mediterraneo, dunque alle porte della Patria, incendiando chiese ed abbazie. Altre fonti indicano invece il termine “Vendi” (presumibilmente un sinonimo) come il nome che i Tedeschi davano agli Sloveni della Carinzia. Ad ogni modo essi nel 548 occuparono la Carniola, quindi la Carinzia, venendo poi però bloccati e ricacciati indietro quando nel Tirolo Orientale si scontrarono coi Bavari del Re Tassilo, circa nel 596, che così impedirono che si compissero scorrerie slave sino in Rezia, l’antica regione a cavallo tra Alpi Centrali e Orientali. In effetti questi flussi, anche violenti, furono solo una conseguenza della volontà di questi proto-Sloveni di liberarsi finalmente dall’opprimente morsa avara. Scesi nel frattempo, seguendo l’ingresso in Italia del Re longobardo Alboino del 568, si insediarono infine, tra il 580 e il 590, nel territorio bagnato dai fiumi Drava, Sava e Mura, quindi grossomodo nel cuore dell’attuale Slovenia, ma anche nella Valle del Gail (detta anche Valle Giulia) e nell’Alto e Medio Isonzo. Ma mancavano ancora le terre sul Golfo di Trieste, quindi Carso e Istria settentrionale, che infatti cominciarono ad essere popolate da Sloveni dopo l’emanazione dell’editto del 619, col quale l’Imperatore d’Oriente Eraclio consentiva la nascita di colonie slave in territori bizantini. Questa nuova e bellicosa popolazione si era ormai stabilita presso i confini del neonato Ducato del Friuli. Tuttavia lo storico cividalese dei Longobardi Paolo Diacono (720-799), noto intellettuale presso la corte di Carlo Magno, non sembra aver fatto cenno in nessuna sua opera alla vicinanza degli Slavi a Cividale, nonostante lo storico bujese Gian Domenico Guerra (1703-1779), posteriore di mille anni, nel suo “Otium forojuliense”, opera che raccoglie trascrizioni di documenti pubblici e privati sulla storia friulana, faccia riferimento a un’antica relazione cividalese che dice: “il monte che occupa il Settentrione, ed il Levante (del territorio di Cividale) é abitato dai Schiavi, così chiamati fino da Paolo Diacono, de’ Schiavi o Illirici di Dalmazia”. “Schiavi” altro non era che l’arcaico nome attribuito agli Slavi. Un importante indizio certamente vero è la lettera (del 598) che Papa Gregorio Magno (540-604) inviò al clero dell’Istria in merito alle incursioni degli Sloveni anche in quella regione. Il riferimento alla loro imminente calata in Italia, e quindi in Friuli, è evidente: “affligor in his, quoniam in vobis patior; conturbor, quia per Istriæ aditum jam in Italiam intrare coeperunt”. C’è infatti da ribadire che queste violente razzie, nonostante non avessero ancora investito il fiero Friuli longobardo, non furono contrassegnate affatto da incontri amichevoli tra le civiltà. Anzi il paganesimo slavo produsse vere e proprie devastazioni in molte località a danno delle testimonianze cristiane, tanto che per due secoli, ove regnarono gli Slavi, non ve ne saranno.
Parrebbe dunque che le genti slave insediatesi sino ai confini della Friuli provenissero dalla vicina Carinzia e Carniola, ma un paio di elementi compromette almeno in parte questa che sembrava una verità ovvia. Già secondo la tradizione radicata proprio nelle terre slave del Friuli, queste genti discenderebbero da Slavi originari della Dalmazia o della Bosnia-Erzegovina, piuttosto che della Carinzia e della Carniola (un tempo detta anche Cragno). E siccome le tradizioni non sono mai campate in aria, ecco subito un riscontro linguistico: un addolcimento nella pronuncia. Gli slavi a nord-est del Friuli dicono latte mleco e fiume reka, mentre quelli del Centro Adriatico fanno mlieco e rieka. Quest’ultimo termine, poi, è facilmente individuabile a livello toponomastico proprio nella regione di cui ci stiamo occupando. “Rieka”, che letteralmente vuol dire “fiume” (vedi per esempio la famosa città, oggi croata, sul Golfo del Quarnaro), nelle Valli del Natisone indica nello specifico proprio tre corsi d’acqua; per cui è come se questi letteralmente si chiamassero “Fiume Fiume” (anche se in realtà si tratta di torrenti e nulla più), una tautologia in pratica, e uno di questi, il più occidentale, dopo essere nato in località Bocchetta di Calla, si inserisce nel Chiarò esattamente nel punto in cui sorgono, non a caso, i Casali Rieca, in Comune di Torreano. Altra similitudine con gli slavi più del sud è la terminazione in “-ac” e in “-ar” di alcune parole, anziché in “-ec” e in “-er”. Lo storico cividalese Carlo Podrecca (1839-1916) ci racconta che alcuni montanari della Benecia, in seguito all’annessione asburgica della Bosnia-Erzegovina (1908), nel recarvisi per adempiere ai loro commerci, notavano la presenza di nomi, nelle famiglie e nei paesi, identici ad alcuni delle loro terre, cosa che non avevano riscontrato nella molto più vicina Carinzia, per esempio. Uno di questi era “Gabrovizza”, toponimo di una certa frequenza se pensiamo che oltre al nostro paese, nei pressi di Cepletischis, esiste una località col medesimo nome anche in Comune di Sgonico, sul Carso triestino, ma anche nel Carso sloveno in Comune di Comeno e in quello di Capodistria. Ma è proprio possibile che le nostre genti di origine slava siano tutte derivate da popoli provenienti da regioni a centinaia di chilometri a sud-est? Rimanendo concentrati sulle Valli, in realtà deve esserci stata una combinazione di due migrazioni, l’una effettivamente irradiatasi dalla Dalmazia, dalla Bosnia e dall’Erzegovina, e l’altra dalle confinanti Carinzia e Carniola. A dimostrarlo ci sarebbero differenze etniche tra la valle di San Pietro e quella di San Leonardo, che suggerirebbero che presso la prima fossero giunti gli Slavi cragnolini, mentre presso la seconda e nel territorio di Prepotto, già Val Judrio, quelli dalmato-bosniaci...continua qui https://forumjuliiblog.wordpress.com/2017/11/18/le-guerre-tra-slavi-e-longobardi/
FVG una regione autonoma, ma chi se ne è accorto?
La Regione del Friuli- Venezia Giulia, e già qui sul nome, con o senza trattino, si apre un dibattito che non finisce più, è stata istituita nel 1963 come regione autonoma. A Statuto speciale grazie al suo plurilinguismo. Identità plurisecolare latina, germanica e slava, anche se nel '900 c'è stato l'avvento della supremazia di quella latina, con l'italianizzazione forzata ante fascismo e durante il fascismo e anche un pò post,che ha cercato di spezzare e spazzare via le radici considerate scomode di questa terra di confine. Terra di mescolanza, che per quanto speciale a livello statuario a dire il vero, tolte quelle tutele che più o meno vengono in modo non sempre pieno garantite alle minoranze linguistiche, ha fatto veramente poco nel corso di questi ultimi anni per far emergere il proprio essere speciale. Se in Italia racconti che il FVG è una regione a statuto speciale ti diranno, davvero? Davvero. Sinceramente è difficile far capire da cosa la nostra regione si distingua dalle altre ordinarie. Le province? Abrogate, sostituite dalle UTI, ora dagli EDR. Non è proprio una cosa di cui essere orgogliosi e nessuno ci ha capito una beata mazza. Sigle e siglette, ma siamo sempre alle solite. Sanità? In cosa consiste l'autonomia? Lavoro? Istruzione? Ambiente? La tessera della benzina, ma è una questione di confine più che di autonomia. Avevo presentato una petizione alla Regione FVG assegnata alla competente Commissione con la quale proponevo di istituire un modello di suddivisione territoriale similare a quello del Trentino-Alto Adige. In FVG l'autonomia è veramente soft, ed in questi ultimi anni c'è stato un vero appiattimento sul centralismo statale come non mai. Ed ora, con il taglio dei parlamentari, rischierà di sparire pure la rappresentanza della minoranza slovena nel nostro Parlamento. È evidente che qualcosa non funziona e che una riflessione andrebbe fatta su come rendere più incisivo il sistema dell'autonomia in FVG perchè se si continua su questa strada arriverà presto il momento in cui si metterà sul tavolo istituzionale di Roma in discussione l'autonomia della nostra regione, perchè rischia di essere inutile.
mb
30 ago 2020
Il tempo meteorologico
29 ago 2020
Artigianato delle Valli del Natisone/Nediške doline
Parco Naturale Prealpi Giulie
CONCLUSA LA VERIFICA DI EUROPARC PER IL RINNOVO DELLA CETS E DEL RICONOSCIMENTO DI PARCO TRANSFRONTALIERO.