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IVAN TRINKO padre della Benecia

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19 nov 2022

Onorificenza a mons. Qualizza

 


Sabato, 19 novembre, alle 19.30 nella sala parrocchiale di San Pietro al Natisone, mons. Marino Qualizza sarà insignito della Medaglia al merito della Repubblica di Slovenia per il lungo instancabile impegno a favore degli sloveni della provincia di Udine. A nome del presidente Borut Pahor, a consegnare l’onorificenza al sacerdote beneciano sarà il console generale di Slovenia a Trieste, Gregor Šuc. Il momento musicale sarà curato dalla flautista Orsola Banelli. Prima della cerimonia, mons. Qualizza alle 18.30 celebrerà la consueta Santa Messa prefestiva in lingua slovena nella chiesa parrocchiale di San Pietro al Natisone.

V saboto, 19. novemberja, ob 19.30 bo v špietarskim faružu generalni konzul RS v Trstu Gregor Šuc podeliu vesako daržavno odlikovanje Republike Slovenije, sicer medaljo za zasluge msgr. Marinu Qualizzi. Slovenski predsednik Borut Pahor je msgr. Qualizzo odlikovau za dugolietno neutrudno povezovalnost par dielu za duhovno in narodno rast Slovencu na videnskem. Za glasbeni intermezzo bo poskarbiela Orsola Banelli. Pred cerimonijo bo msgr. Qualizza ob. 18.30 v špietarski farni cierkvi molu sveto maso po slovensko.https://www.dom.it/odlikovanje-rs-msgr-qualizzi_onorificenza-a-mons-qualizza/

L'inutile braccio di ferro dell'Italia sulla pelle dei migranti

Ocean Viking 
dal web

Le persone salvate dalla nave Ocean Viking sbarcheranno sulle coste francesi. Ma Parigi ha sospeso l'accordo di ricollocamento di altri 3.500 migranti che ora resteranno in Italia, accusando il governo Meloni di mancanza di ascolto e responsabilità

 Il nuovo governo ha respinto i migranti.Si vuole fre la distinzione fra migranti e naufraghi,sempre persone che hanno bisogno di aiuto sono.Sono persone che sono venute da noi per cercare una vita migliore.Dobbiamo accoglierli anche se nel loro paese non c'è la guerra,ma la fame.L'Italia si sta rivelando inumana e razzista.Io mi vergogno di essere italiana!


Per aver rifiutato accoglienza a 200 migranti, il governo guidato dalla presidente Giorgia Meloni dovrà ora prendersi carico di 3.500 rifugiati, che resteranno in Italia invece di essere ricollocati in Francia. Parigi aveva infatti accettato di ricevere queste persone, in virtù del meccanismo europeo volontario di ricollocamento. Tuttavia, le autorità francesi hanno deciso di sospendere l'accordo, a causa del rifiuto italiano di far sbarcare in Sicilia i migranti salvati dalla nave Ocean Viking. È il primo schiaffo internazionale ricevuto dalla neo premier Giorgia Meloni, a causa della sua politica dei porti chiusi, che ha incrinato le relazioni con il governo di Emmanuel Macron e portato alla sospensione dei ricollocamenti.

Dopo nemmeno un mese in carica, l’esecutivo più a destra della storia repubblicana è stato già costretto ad accettare che non rispettare le convenzioni europee non è mai una buona idea, anche se la leader di Fratelli d’Italia sembra pensarla diversamente.

Così il braccio di ferro sullo sbarco dei migranti salvati in mare dalla nave Ocean Viking si è ritorto contro la presidente del Consiglio, accusata dal ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, di mancanza di ascolto e professionalità come riporta Le Figaro. Infatti, nonostante Francia e Germania avessero offerto all’Italia di accogliere due terzi dei migranti a bordo della nave, una volta sbarcati in Sicilia, il governo italiano non ha nemmeno risposto ai suoi partner, continuando a rifiutare lo sbarco, nonostante la presenza di minori e persone malate a bordo.

Una scelta ritenuta “incomprensibile” da Parigi e che ha innescato prevedibili conseguenze. Dopo aver accolto, in via eccezionale, la Ocean Viking e i suoi naufraghi nel porto di Tolone le autorità francesi hanno rivolto un duro appello ai vari paesi europei, annunciando la sospensione dell’accordo sui ricollocamenti con l’Italia e invitando gli altri stati membri a fare lo stesso.

"È evidente che con effetto immediato la Francia sospende l'insieme dei ricollocamenti di 3.500 rifugiati a beneficio dell'Italia e chiede a tutti gli altri partecipanti al Meccanismo europeo, in particolare alla Germania, di fare lo stesso” ha dichiarato Darmanin in una conferenza stampa nella quale ha annunciato anche il rafforzamento dei controlli alle frontiere con l’Italia. “Ci saranno conseguenze estremamente forti nelle relazioni bilaterali”, ha aggiunto, sostenendo come sarà il “governo italiano a perderci”.https://www.wired.it/article/migranti-meloni-governo-francia/

Cosa ne pensate?

IL CACO

 



Diospyros kaki
, originario dell'Asia orientale, è una delle più antiche piante da frutta coltivate dall'uomo, conosciuta per il suo uso in Cina da più di 2000 anni. In cinese il frutto viene chiamato 柿子 shìzi[4] mentre l'albero è noto come 柿子树 shizishu. La sua prima descrizione botanica pubblicata risale al 1780[5][6]. Il nome scientifico proviene dall'unione delle parole greche Διός, Diòs, caso genitivo di «Zeus», e πυρός, pyròs, «grano»[7], letteralmente "grano di Zeus". È originario della zona centro-meridionale della Cina, ma comunque mai al di sotto dei 20° di latitudine Nord, e nelle zone più meridionali spesso in zone collinari o montane più fredde. Detto mela d'Oriente, fu definito dai cinesi l'albero delle sette virtù: vive a lungo, dà grande ombra, dà agli uccelli la possibilità di nidificare fra i suoi rami, non è attaccato da parassiti, le sue foglie giallo-rosse in autunno sono decorative fino ai geli, il legno dà un bel fuoco, la caduta dell'abbondante fogliame fornisce ricche sostanze concimanti. Dalla Cina si è esteso nei paesi limitrofi, come la Corea e il Giappone.

Cachi coltivati a Misilmeri, in Sicilia.
Un cachi intero e uno tagliato a metà.

Intorno alla metà dell'Ottocento fu diffuso in America e Europa. In Italia fu introdotto nel 1880 e il successo fu subito straordinario. Apprezzato, fra i primi, anche da Giuseppe Verdi che nel 1888 scrisse una lettera nella quale ringraziava chi gliene aveva fatto dono I primi impianti specializzati in Italia sorsero nel Salernitano, in particolare nell'Agro Nocerino, a partire dal 1916, estendendosi poi in Sicilia, dove è stata selezionata la varietà acese (piccola e dolcissima, quasi selvatica), e in seguito in Emilia-Romagna. In Italia la produzione si è stabilizzata intorno alle 65.000 tonnellate: la coltura è sporadicamente diffusa su tutto il territorio, ma è importante solo in Campania ed Emilia con produzioni rispettive di 35.000 tonnellate e 22.000 tonnellate. In Sicilia, pur esistendo una delle varietà più antiche nell'areale di Acireale e lungo la costa etnea, è più diffuso il cachi di Misilmeri. Il cachi è oggi considerato "l'albero della pace", perché alcuni alberi sopravvissero al bombardamento atomico di Nagasaki nell'agosto 1945.da wikipedia



17 nov 2022

L'autunno

 

Finché ci sarà l’autunno, non avrò abbastanza mani, tele e colori per dipingere la bellezza che vedo.Vincent van Gogh

Viva la polenta!

immagine dal web

 Gialla,morbida,fumante è rimasta a lungo l'unico sostentamento  per la Val Torre,Benecia,Val Resia ,altre zone montane e della pianura dell'Italia settentrionale.Oggi rappresenta una specialità gastronomica ricercata.


La polenta-Argia Bonaccorsi


Di sua abitudine
l’aveva lasciata cadere
il nonno,
su la rozza tavola di legno tarmito
bella tonda

gialla e fumante
innanzi a occhi allibiti
dei bambini
che dall’ansia di prenderla
stringevano la tavola.
si sente nell’ aria un odore,
un odore
di quel tondo oro,
la crosta, la crosta è mia
ripetevano in coro i bambini
la massaia lesta raschia di mestolo
il paiolo di rame
simile a un rito .
La crosta, la crosta
un tozzo anche al nonno
la ciucciavano come fosse croccante
la salsiccia fioriva
nel mezzo alla palla gialla.
Il nonno aveva posato
il trepiedi sui carboni ardenti
per la festa di polenta.
dal web

La polenta è un antico alimento di origine italiana a base di farina di mais o altri cereali.

Pur essendo conosciuto nelle sue diverse varianti pressoché sull'intero suolo italiano, ha costituito, in passato, l'alimento di base della cucina povera in varie zone settentrionali alpineprealpinepianeggianti e appenniniche di LombardiaVeneto Valle d'AostaPiemonteLiguriaTrentinoEmilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, regioni nelle quali è piuttosto diffuso. La polenta è tradizionalmente cucinata anche in Toscana e nelle zone di montagna di Umbria e MarcheAbruzzoLazio e Molise.

Il cereale di base più usato in assoluto è il mais, importato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, che le dà il caratteristico colore giallo, mentre precedentemente era più scura perché la si faceva soprattutto con farro o segale, e più tardivamente anche con il grano saraceno, importato dall'Asia. Pur comparendo un esemplare di mais nell'Erbario di Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1551), le prime testimonianze scritte di coltivazioni di mais in Italia fanno riferimento ai territori della Repubblica di Venezia. In un'annotazione alla seconda edizione del Delle navigationi et viaggi di Giovan Battista Ramusio (Venezia, 1554), commentando un testo del portoghese João de Barros (1496-1570), si afferma infatti che:

«La mirabile et famosa semenza detta mahiz ne l'Indie occidentali, della quale si nutrisce metà del mondo, i Portoghesi la chiamano miglio zaburro, del qual n'è venuto già in Italia di colore bianco et rosso, et sopra il Polesene de Rhoigo et Villa bona seminano i campi intieri de ambedui i colori»

(Giovan Battista RamusioDelle navigationi et viaggi)

Caratteristiche

La polenta viene prodotta cuocendo a lungo un ammasso semi-liquido costituito da un impasto di acqua e farina (solitamente a grana grossa) di cereale. La più comune in Europa è quella a base di mais, detto granoturco, cioè la classica "polenta gialla". Questa si versa a pioggia nell'acqua bollente e salata, in un paiolo (tradizionalmente di rame), e si rimesta continuamente con un bastone di legno di nocciolo per almeno un'ora.

La farina da polenta è solitamente macinata a pietra ("bramata") più o meno finemente a seconda della tradizione della regione di produzione. In genere la polenta pronta viene presentata in tavola su un'asse circolare coperta da un canovaccio e viene servita, a seconda della sua consistenza, con un cucchiaio, tagliata a fette, con un coltello di legno o con un filo di cotone, dal basso verso l'alto.

Il termine polenta deriva dal latino puls, una specie di polenta di farro (in latino far da cui deriva "farina") che costituiva la base della dieta delle antiche popolazioni italiche. I greci invece usavano solitamente l'orzo. Ovviamente, prima dell'introduzione del mais (dopo la scoperta dell'America), la polenta veniva prodotta esclusivamente con vari altri cereali come, oltre ai già citati orzo e farro, la segale, il miglio, il grano saraceno e anche il frumento, in misura minore, soprattutto in zone montane, si usano farine di castagne e di fagioli, dando origine a un impasto più dolce. Le polente prodotte con tali cereali sono più rare, specie in Europa.

Sonnante et alii sostengono che il puls originario fosse costituito da una miscela che includeva semi di leguminose, forse anche spontanee. Essi sostengono che il termine inglese pulses, che indica i legumi in genere, origini infatti dal pre-romano pulus. L'etimologia inglese della parola conferma questa osservazione in quanto fa risalire il nome al XIII-XIV secolo per indicare genericamente i legumi, con probabile derivazione dal francese arcaico pols e dal greco antico poltos, col significato di zuppa spessa.[8] A questo proposito è da notare che è in uso, soprattutto in alcune regioni del Sud Italia, una polenta a base di fave, con la quale si accompagnano verdure come ad esempio la cicoria.

Esistono in commercio farine di granoturco precotte, che permettono di cucinare la polenta riducendo il tempo di cottura a pochi minuti, naturalmente con sostanziali differenze di consistenza e sapore, rispetto alla polenta tradizionale.



paiolo per la polenta

https://it.wikipedia.org/wiki/Polenta


Nella vostra regione si cucina la polenta?

16 nov 2022

8 miliardi di persone

 

immagine dal web
Il 15 novembre 2022 la popolazione mondiale
ha raggiunto 8 miliardi di persone.

Gli esseri umani sul pianeta Terra sono ormai quasi 8 miliardi. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione mondiale supererà questo traguardo il 15 novembre 2022, dodici anni dopo aver raggiunto i 7 miliardi nel 2010. Un record che testimonia i progressi e i successi scientifici in campo medico e sanitario, ma anche l’importanza di assumere la responsabilità collettiva di tutelare il nostro pianeta e ridurre le disuguaglianze tra esseri umani.

Rallentamento

Negli ultimi dodici anni, la popolazione umana è cresciuta al ritmo più lento dal 1950, scendendo sotto l’1% nel 2020. Tuttavia, sono sempre i paesi con un reddito pro capite più basso ad avere i livelli di fertilità più alti, concentrando così la crescita nei paesi più poveri del mondo, assieme alle responsabilità che ne derivano. Una tendenza che porta a maggiori disuguaglianze e accresce le divisioni tra le varie zone del pianeta. Infatti, mentre il progresso scientifico ha ridotto la mortalità infantile, migliorato la nutrizione e aumentato l’aspettativa di vita media, allo stesso tempo sono mancati un progresso sociale e una redistribuzione economica in grado di ridurre le differenze e aumentare la ricchezza in tutto il mondo...continua https://www.wired.it/article/8-miliardi-esseri-umani-popolazione-mondiale/

15 nov 2022

Non possiamo vivere così


 La condotta del governo sui salvataggi in mare è disumana. Anche secondo il diritto internazionale
Contro la Humanity1, è infatti stato emesso il 4 novembre un decreto interministeriale: con questo atto, il Viminale, di concerto con i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture, ha vietato alla nave della Ong, con 179 naufraghi a bordo, di “sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario alle operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali”. Alle persone rimaste a bordo (o che ci sarebbero dovute rimanere, nelle intenzioni governative) sarebbe comunque stata garantita, assicurava il decreto, “l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali”.

Il concetto elastico di emergenza

Già lo scarno dispositivo del decreto pone un primo problema: che cosa si intende per “condizioni emergenziali”? In base a quali parametri le condizioni di salute dei naufraghi a bordo si considerano precarie? 

La definizione del decreto appare tanto più vaga se guardiamo all’uso comune e politico della parola “emergenza”. Consideriamo emergenza una pandemia quanto un terremoto, ma, con lo stesso termine, vengono indicati anche fenomeni meno imprevedibili e più gestibili: periodicamente sono stati varati provvedimenti per rispondere all’emergenza carceri, l’emergenza abitativa impegna da sempre gli enti locali, si parla di emergenza climatica dopo anni di minimizzazioni sull’abuso antropico delle risorse naturali. E, quanto alla comunicazione istituzionale (se non alla propaganda in senso stretto) dei governi dell’ultimo ventennio, abbiamo visto varie “emergenze”: siamo passati da quella sui “nomadi”, che ha legittimato politiche ai limiti della segregazione, a quella su sbarchi e immigrazione, a prescindere da qualunque dato o statistica. Allo stesso modo, guardando al presente, nel suo discorso programmatico, la presidente Meloni ha citato una “crescente emergenza delle devianze, fatte di droga, alcolismo, criminalità”.

Il concetto di emergenza è allora elastico, flessibile, si plasma a seconda delle esigenze di chi lo utilizza. Se riguarda i naufraghi trasportati dalle navi delle ONG, però, viene di fatto inteso come emergenza sanitaria o, al più, come fragilità anagrafica: inizialmente dalla Humanity1 sono scesi soltanto uomini e donne malati, bambini e minori non accompagnati, mentre sul ponte sono rimasti ad aspettare, altri giorni, trentacinque uomini, il “carico residuale”, secondo il ministro Piantedosi, il quale, interpellato sull’utilizzo dell’espressione, ha dichiarato: “non prendiamo lezioni da nessuno dal punto di vista del rispetto dei diritti umani”. 

Naufragio, ricerca, soccorso: si salva, non si seleziona

Ecco perché, quanto più grave è il rischio, tanto più la soluzione deve essere semplice. Così, ad esempio, chiunque è punibile per omissione di soccorso se non presta aiuto a una persona ferita, o in pericolo, o priva di conoscenza. Sullo stesso principio si basano le regole del mare e, in particolare, le convenzioni in materia di soccorso o in caso di naufragio, recepite anche nel nostro Codice della Navigazione.

Il quadro normativo è chiaro: in mare, se ci sono vite in pericolo, chiunque è obbligato a prestare soccorso a imbarcazioni in difficoltà o persone in acqua. A questo dovere generale, per tutti i soggetti pubblici o privati che si trovino a navigare, si aggiunge l’obbligo per gli Stati di prevedere sistemi di coordinamento e cooperazione per l’assistenza e lo sbarco. 

In questo sistema di solidarietà, le condizioni personali e giuridiche delle persone da recuperare e assistere sono irrilevanti: che provenga da uno yacht in avaria davanti a Posillipo, da una monoposto per regate nell’Atlantico o da una carretta del mare partita dalla Libia, un naufrago ha sempre e comunque diritto di essere soccorso.

Leggi anche >> Dire “non possiamo accogliere tutti” giustifica l’omissione di soccorso

E il soccorso non termina mettendo i sopravvissuti su una nave più grande, ma si conclude solo con lo sbarco, portando cioè le persone recuperate, secondo le indicazioni del centro di coordinamento, al più vicino POS (place of safety, porto sicuro).

Il POS è il luogo in cui le operazioni di soccorso si considerano concluse, dove la sicurezza e la vita dei naufraghi non sia minacciata e le loro necessità umane primarie possano essere soddisfatte. Non tutti i porti, allora, sono sicuri.

Porto o posto: in ogni caso, non la Libia

All’inizio del mese si è rinnovato tacitamente il memorandum tra Italia e Libia, siglato dal ministro Minniti sotto il governo Gentiloni. Per altri tre anni, il nostro paese si impegna a vario titolo nella fornitura di mezzi, nella formazione e nel finanziamento della guardia costiera libica e dei cosiddetti centri di accoglienza, mentre la Libia, come contropartita, deve occuparsi del controllo dei confini marittimi...continua qui https://www.valigiablu.it/

In Slovenia una donna come Presidente della Repubblica.


 Dopo quattro uomini, per la prima volta in Slovenia ci sarà una donna come Presidente della Repubblica.

Si sono concluse ieri infatti le elezioni presidenziali con il ballottaggio vinto da Nataša Pirc Musar: 54 anni, giornalista con un dottorato in Legge ed ex presidente della Croce Rossa slovena, è particolarmente conosciuta e apprezzata per il suo impegno nei confronti della libertà di informazione e del diritto alla privacy.
La Slovenia è una repubblica di tipo parlamentare e il ruolo del Presidente della Repubblica in Slovenia è di tipo prettamente istituzionale e di garanzia, un po' come in Italia.
Čestitke e buon lavoro alla nuova presidente slovena! 🇸🇮

14 nov 2022

Lo sapevate che ai bombi piace giocare a calcio?



Nel caso non sappiate cosa siano i
 bombi, non credo esistano parole migliori per descrivere questi imenotteri di quelle usate dall’entomologo britannico Dave Goulson: “Imparai che, malgrado il loro aspetto da orsacchiotto maldestro, i bombi sono intelligenti: sono i giganti intellettuali del mondo degli insetti.” I bombi, infatti, sono bravissimi a orientarsi, a memorizzare le posizioni di tappeti fioriti, a scegliere con cura i loro fiori preferiti anche grazie a inusuali proprietà elettrostatiche, ma, oltre a essere serissimi e diligenti impollinatori, i bombi giocano?

È proprio questa domanda a intitolare una recente pubblicazione (Do bumble bees play?) da parte di un gruppo di ricercatori dell’università Queen Mary di Londra e il quesito scientifico è tutt’altro che un gioco. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’attività ludica non è affatto ristretta ai soli esseri umani, è stata osservata in diverse specie di altri animali e si pensa possa contribuire al sano sviluppo e mantenimento di quelle abilità cognitive e motorie che poi, in fin dei conti, servono per sopravvivere. Evidenti esempi di comportamento giocoso sono stati precedentemente studiati in mammiferi e uccelli, ma indagini in altri animali, come per esempio gli insetti, sono limitate.

Cosa significa giocare

Bisogna aggiungere che non è facilissimo riuscire a indagare e interpretare correttamente questo tipo di comportamento, soprattutto in una varietà di specie animali diverse, perciò sono stati stabiliti cinque criteri per un approccio più sistematico: un’attività si può effettivamente considerare ludica se risulta essere 1) indipendente da questioni di immediata sopravvivenza; 2) volontaria, spontanea e gratificante di per sé; 3) differente da comportamenti funzionali, come per esempio, il foraggiamento o l’accoppiamento; 4) ripetuta, ma non stereotipata e, infine, 5) iniziata in condizioni prive di stress. Per di più, il gioco può essere sociale, motorio e/o associato a oggetti inanimati e, una volta stabiliti tutti questi criteri e categorie, oltre ad avere perfettamente definito una partita di calcio umana, siamo decisamente pronti a vedere cosa succede nel caso in cui una palla, o più, sia lanciata nel campo dei bombi...continua https://www.wired.it/article/bombi-giocano-a-palla-video-studio-spiegazione/


13 nov 2022

Giornata Mondiale della Gentilezza

 


Oggi è la giornata nondiale della gentilezza.Il mondo è brutto.abbiamo bisogmo di tanta gentilezza.,Il 13 novembre non è una giornata qualsiasi, è la Giornata Mondiale della Gentilezza. Questa data non è stata scelta a caso, ma coincide con la giornata d’apertura della Conferenza del “World Kindness Movement” a Tokyo nel 1997 che si è chiusa con la firma della Dichiarazione della Gentilezza.

L’obiettivo

L’obiettivo di questa giornata è di guardare oltre noi stessi, oltre i confini dei diversi paesi, oltre le nostre culture, etnie e religioni.

Insomma, di renderci conto che siamo cittadini del mondo e che, in quanto tali, abbiamo spazi e presenze da condividere, abbiamo dei luoghi pubblici da curare, degli animali da proteggere, un sistema daconservare e uomini da accogliere e valorizzare.

Se vogliamo dare avvio a un miglioramento, se vogliamo raggiungere l’obiettivo di una coesistenza non solo pacifica ma anche di crescita, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione e le nostre cure su quello che abbiamo in comune.

Solo così possiamo essere parte di un mondo migliore.dal web

Irène Némirovsky Kiev 1903 - Auschwitz 1942


 Erano tre i regni dove Irène Némirovsky abitava e dove abitò per tutta la vita, nonostante l’esilio: l’immaginazione, i libri, la lingua francese. Nata Irma Irina a Kiev in una famiglia dell’alta borghesia ebraica, sin dall’infanzia la futura scrittrice attraversò e sopravvisse ai più tragici eventi della storia. Ben due volte la città fu sconvolta da pogrom, come spesso accadeva a quell’epoca nell’impero Zarista. A tre anni si salvò perché la cuoca le mise al collo la sua croce ortodossa e la nascose dietro un letto.

La vita solitaria causata da una vita familiare poco regolare, dove Leonid il padre, diventato Léon dopo l’immigrazione definitiva in Francia, era occupato dai suoi affari, e dove la madre Anna – Fanny in onore della nuova patria – era occupata a mantenersi giovane e bella per non perdere il favore dei molteplici corteggiatori e amanti, favorì nella bambina lo sviluppo delle facoltà particolari che avrebbero poi sostenuto la sua vocazione di scrittrice. La solitudine sviluppò le sue inclinazioni verso il libero uso dell’immaginazione e le letture precocissime, ma la Francia e la sua lingua furono un dono involontario dei genitori. Era abitudine tra i russi ricchi e aristocratici trascorrere lunghi periodi dell’anno in Francia e il francese era la lingua della nobiltà e delle classi elevate. Durante i lunghi soggiorni invernali nelle città termali, in Costa Azzurra e a Parigi, lo spirito stesso della Francia e del suo dolce vivere, permearono l’anima di Irène, al punto che le venne riconosciuto già negli anni Venti di essere una delle più grandi scrittrici francesi; così scriveva di lei il critico Henri Régnier: «Némirovsky scrive il russo in francese».
Mentre i genitori seguivano i loro affari, la piccola era affidata alle cure della governante Marie detta Zézelle che profumava di sapone fine ed essenza di violetta e le insegnava canzoni e proverbi francesi, mentre lei languiva per la mancanza di attenzioni e di carezze paterne e materne. «La sua fu peraltro un’esistenza quasi da orfana, anche se l’abbandono le procurava un piacere sconosciuto: quello di osservare la propria vita a distanza». Questa dote fu uno dei motivi che rendevano così speciale la creazione artistica della Némirovsky. Le sue capacità descrittive, con poche immagini e parole chiare, sono formidabili, i suoi libri trascinano subito il lettore nel luogo preciso, nel paesaggio della storia. Con la descrizione di gesti essenziali e scarni, i suoi personaggi rivelano l’essenza del carattere, le meschinerie, la cattiveria. La madre bella e distante, alta e ben fatta, non sfuggirà alle cronache e reinvenzioni filiali.
Tutte le madri dei romanzi e racconti della Némirovsky ritraggono Fanny, ma è in particolare in Jezabel, che la penna della scrittrice trova la sua vendetta. «Gli anni erano passati per Gladys con la rapidità dei sogni. E a mano a mano che invecchiava, sembravano ancora più lievi, le parevano essere volati via ancora più in fretta. Ma le giornate erano lunghe, e certe ore pesanti e amare. Non le piaceva stare sola: non appena intorno a lei cessava il cicaleccio delle donne, non appena si spegneva l’eco dei discorsi d’amore, sentiva in cuore una sorda inquietudine». Anche il padre non venne risparmiato dallo sguardo totale della Némirovsky. David Golder è il suo ritratto puntuale e svela che dietro la corazza sfavillante e spietata dell’affarista geniale, che comprava l’amore e il quieto vivere in famiglia con fiumi di denaro, viveva ancora l’impavido ragazzino ebreo “sognatore del ghetto” che era partito in cerca di fortuna. Una copia di ciascuno di questi romanzi fu l’eredità che Fanny lasciò alle figlie di Irène, Denise e Élisabeth. Glieli fece trovare chiusi in cassaforte, lei che aveva rifiutato di accoglierle, orfane e spaventate alla fine della guerra, arrivando a dichiarare che lei non aveva nipoti.
Ma siamo ancora Kiev, prima che il destino prendesse forma e costringesse i Némirovsky alla fuga in Francia. La dolcezza di Kiev stordita dalla primavera è eterna: «Com’è bella la primavera in quel paese! Le strade erano fiancheggiate da giardini, l’aria profumava di tiglio, di lillà, e un’umidità lieve saliva da tutte quelle aiuole, da quegli alberi stretti gli uni contro gli altri che spandevano nella sera il loro profumo zuccherino». Quel clima era pericoloso per la piccola Irocka che soffriva di asma. «Nei giorni caldi dell’estate, la campanella del venditore di gelati, le corolle schiacciate al passaggio o gualcite fra le mani, troppa erba, troppi fiori, un profumo troppo soave, che turba e intorpidisce la mente; troppa luce, uno splendore selvaggio, il canto degli uccelli nel cielo». La vita faticosa e impaurita degli ebrei del ghetto e quella noncurante e sfarzosa degli ebrei dei quartieri eleganti in collina, è raccontata con pari intensità. La scrittura di Irène è dunque prima di tutto una scrittura di testimonianza e di salvaguardia della memoria. Niente di quello che lei ha visto e vissuto è andato perduto e la vita avventurosa dei suoi libri è proseguita anche nel nuovo secolo. La precisione, la ricchezza di dettagli e informazioni, la consistenza dei personaggi, sono frutto di un lavoro preparatorio rigorosissimo. I suoi biografi scrivono che «Irène Némirovsky ha spiegato spesso che, prima di iniziare a scrivere, riempiva interi quaderni di dati biografici su ogni singolo personaggio – la fase che lei definiva la “vita anteriore del romanzo”. Poi rileggeva, censurando e commentando, ed esprimendo appassionanti riflessioni sul suo mestiere di scrittrice». La vita monotona, in cui i libri sostituivano la realtà, si interruppe bruscamente durante la Rivoluzione. Tra il 1917 e il 1919 la Russia cambiò volto, le città e i possedimenti imperiali furono saccheggiati, alla famiglia Némirovsky non restò che cercare riparo all’estero. Nel romanzo Il vino della solitudine è rievocata la fuga da San Pietroburgo che li portò, dopo varie peripezie e una lunga sosta in Finlandia, a stabilirsi a Parigi dove Irma Irina ebbe in dono il nome Irène e una nuova patria. Parigi era anche un ritorno all’infanzia. A Parigi l’attendevano il jazz, la scrittura e l’amore. Nel 1921 a diciotto anni appena compiuti, vendette a una rivista di dubbia fama i primi racconti e quando passò a ritirare il suo compenso stupì, per via della giovane età, l’editore. Quando Irène ebbe compiuto i venti anni, il padre la sistemò in un appartamento indipendente dove ella poté darsi davvero alla pazza gioia. Nonostante la libertà, gli amori, il senso di rivalsa nei confronti dell’odiatissima madre che invecchiando le faceva godere della vendetta, la gioventù della Némirovsky fu bruciata da uno stupro, raccontato nel Vino della solitudine e da pensieri molto seri di suicidio che la sfiorarono molto da vicino. Dopo quattro anni di vita sregolata nel 1924 completò gli studi alla Sorbona e incontrò l’uomo con il quale avrebbe diviso la vita, Michel Epstein, «un piccoletto bruno dalla carnagione scura» come Irène scrisse all’amica del cuore Madeleine nel 1925. Moscovita, nato nel 1896, figlio di un banchiere, Michel viveva a Parigi con la famiglia dal 1920. Prima di incontrarlo la scrittrice aveva già scritto, durante i soggiorni estivi sulla costa basca, Il bambino prodigio e Il malinteso. Quei luoghi le erano così cari che vi trascorse tutte le estati sino al 1939. Il malinteso uscì nel 1926 e il 31 luglio dello stesso anno Irène e Michel si sposarono. La casa dove andarono ad abitare era grande e confortevole, la giovane coppia aveva al suo servizio una cameriera e una cuoca. Irène poté dedicarsi alla scrittura e riscrittura di David Golder sino al 1929 conducendo al contempo una vita agiata e divertente. Durante tutti gli anni del matrimonio lei scriveva mentre Michel lavorava in banca. Il patto era che lei scrivesse solo durante il giorno e mezz’ora dopo cena, quando il marito l’aiutava copiando a macchina i suoi manoscritti. Durante la gestazione di David Golder, pubblicò sotto falso nome il romanzo La nemica dove regolava ancora e non una volta per tutte, i conti con sua madre. Un altro dei suoi racconti più spietati, Il ballo, venne scritto durante una pausa dell’altro libro. Una volta terminato, David Golder venne spedito all’editore Bernard Grasset che lo lesse e decise di pubblicarlo immediatamente. Scrisse quindi allo scrittore Epstein, questo il nome che accompagnava il manoscritto, ma non ebbe risposta per diverse settimane. La spiegazione era semplice, anche se a lui rimase ignota per qualche tempo. Irène era impegnata a mettere al mondo Denise France Catherine. Quando Grasset, tre settimane dopo il parto, si vide comparire davanti quella giovane donna, quasi non credette possibile che lei fosse l’autrice di un libro di tale potenza. Mise in campo tutta la sua forza editoriale per creare un caso letterario e ci riuscì. Tutti i critici scrissero di questo libro, tutti i lettori lo volevano leggere e sia il cinema che il teatro se ne contesero la messa in scena. Dopo il grande successo seguirono tre anni di blocco anche se Grasset pubblicò il racconto Il ballo che era già stato scritto. Il mondo letterario dovette aspettare sino al 1932 con L’affare Courilov, per avere conferma dello straordinario talento della giovane russa. Non le mancarono accuse di anti-semitismo per via della crudezza dei suoi personaggi, ma lei se ne stupiva e scherniva rivendicando sempre l’orgoglio di appartenenza a una cultura, una storia e una religione, anche se proprio alla dimensione spirituale dell’ebraismo non era mai davvero stata vicina. I romanzi successivi uscirono con regolarità e la fama si ingrandì. I motivi che la spingevano a scrivere erano anche di natura economica e non solo creativa, soprattutto dopo la morte di Léon avvenuta nel settembre del 1932, che le aveva lasciato un’eredità modesta rispetto al ricchissimo patrimonio che possedeva. Tutti i beni finirono nelle mani di Fanny che si guardò bene dal dividerli con la figlia. In quegli anni si sa che Irène leggeva e rileggeva i racconti di Katherine Mansfield Preludio e Alla baia. Il tema del romanzo La pedina sulla scacchiera sono i tremendi anni Trenta arrivati come una sorta di punizione dopo i dissoluti anni Venti. Anche per questo romanzo è stata tracciata la “vita anteriore” che accompagnava ogni suo scritto. L’ascesa al potere di Hitler viene raccontata nella corrispondenza della scrittrice che, all’amica Néné, si dice certa che ci sarà di nuovo la guerra e «vedrete che sarà la morte». Come ricordano i suoi biografi dal 1926 al 1940, la Némirovsky non ha fatto altro che scrivere un unico, immenso, lunghissimo romanzo, a partire da Il ballo per arrivare a I cani e i lupi. «Comincio a scrivere, in una minuta informe, il romanzo vero e proprio e nel contempo le riflessioni che esso mi suggerisce, il “diario del romanzo”, per usare l’espressione di André Gide. Poi lascio riposare il tutto, sforzandomi di non pensare più alla letteratura. Quando lo riprendo, tutto sembra organizzarsi, costruirsi da sé».
Nel 1933 passò all’editore Albin Michel che sarà il custode della mole dei suoi manoscritti, riportati alla luce solo di recente. Parigi è la cornice di molti dei suoi libri e allo stesso tempo anche il luogo che ne favorisce la scrittura. Tra Saint-Gérmain e le Tulieries si siederà con il quaderno in grembo e scriverà respirando la città e allo stesso tempo estraniandosene. Fatti i conti, tra il 1935 e il 1942, lei avrà scritto 9 romanzi, una biografia e 38 racconti. Le sue opere tradotte e portate in scena in tutto il mondo sono la fonte principale di entrate della sua famiglia. Nel 1935 la piccola Denise sarà la prima a ottenere la cittadinanza francese. Nel 1937 nasce Élisabeth, la sua futura biografa. Ma non bastarono né la fama letteraria, né le relazioni sociali, né tanto meno la conversione al cattolicesimo di tutta la famiglia nel febbraio del 1939, a costruire la rete di salvezza in cui lei e Michel speravano. Nessuno dei due riuscirà mai a ottenere la cittadinanza francese, anche se neppure questo avrebbe potuto salvarli. L’odio razziale si strinse sempre più intorno a loro come una rete cui è impossibile sfuggire. Quando scoppiò la guerra il 3 settembre 1939, era una giornata estiva ancora piena di promesse e la famiglia era in vacanza sulla costa basca. Il rifugio durante la guerra fu Issy-l’Évêque, un paesino della Borgogna dove il cibo e la quiete non mancavano. Alloggiata all’Hotel des Voyageurs, la famiglia riusciva a condurre una vita di quasi normalità, nonostante le notizie tremende che arrivavano da Parigi e dal fronte. L’ultimo quaderno da cui non si separava mai, era il manoscritto di Suite francese, il libro che ha restituito il suo nome alla fama che merita.
Nonostante il pericolo ormai evidente, Irène e Michel non riuscivano a risolversi di scappare o nascondersi. Il 16 luglio 1942 lei venne arrestata e il giorno dopo insieme ad altre decine di ebrei francesi mandata ad Auschwitz. Il 19 luglio all’arrivo le donne, dopo essere state private di abiti e gioielli, vennero rapate, vestite con i mesti abiti a righe che abbiamo imparato a conoscere e marchiate con i numeri dal 9550 al 9668. Gli uomini, per la maggior parte provenienti da Parigi, erano operai e artigiani, furono marchiati con i numeri dal 48.880 al 49.688. Irène sopravvisse solo un mese, nel certificato redatto ad Auschwitz, è scritto che il decesso avvenne alle 15 e 20 del 19 agosto 1942 a causa di un’influenza, molto più probabilmente di tifo. L’ultima lettera che riuscì a scrivere per la sua famiglia iniziava con le parole «Mio amato, mie piccole adorate». Di lei resta un’immagine netta e felice contenuta nel famoso quaderno di Suite francese, la nota è datata 11 luglio ’42, Bosco della Maie: «I pini intorno a me. Sono seduta sul mio maglione blu come su una zattera in mezzo a un oceano di foglie putride inzuppate dal temporale della notte scorsa, con le gambe ripiegate sotto di me! Ho messo nella borsa il secondo volume di Anna Karenina, il Diario di Katherine Mansfield e un’arancia. I miei amici calabroni, insetti deliziosi, sembrano contenti di sé e il loro ronzio ha note gravi e profonde. Mi piacciono i toni bassi e gravi nelle voci e nella natura. Lo stridulo “cip cip” degli uccellini sui rami mi irrita… Tra poco cercherò di ritrovare quello stagno isolato».http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/irene-nemirovsky/

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