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1 set 2020

LE GUERRE TRA SLAVI E LONGOBARDI: GENESI DI UN DUALISMO CULTURALE (PARTE SECONDA)





Il piccolissimo centro di Ponte San Quirino, confine linguistico, comunale e geografico tra le Valli e la piana di Cividale, ma anche probabilmente luogo in cui il Duca Vettari distrusse un minaccioso esercito slavo. Era il 670 e lo scontro è rimasto nella storia come la “battaglia di Broxas“.
Si era avviato il periodo dei grandi scontri tra Slavi e Longobardi. I primi infatti continuavano ad affluire in territorio friulano, dapprima solo per insediarsi nelle più spopolate aree montuose orientali, poi anche per scendere in pianura. Al di là della battaglia di Nimis, infatti, in cui gli Slavi avevano combattuto non per propria iniziativa ma alle dipendenze di un ribelle longobardo, d’ora in poi le battaglie saranno dettate dalla frizione che essi avranno provocato andando a cozzare contro territori abitati da Longobardi. Fu proprio il successivo Duca del Friuli, Vettari, oriundo di Vicenza, a decretare con una battaglia epica, ma per certi versi misteriosa, la prima vera battuta d’arresto degli Slavi in Friuli. Era il 670 quando essi, approfittando del fatto che egli era in viaggio verso il Ticino per incontrare il Re Grimoaldo, puntarono nel cuore del Ducato, decisi a conquistare Cividale. Fortuitamente però, Vettari era rientrato prima a loro insaputa, ed essi contro di lui subirono una sonora sconfitta in quella che Paolo Diacono chiama “battaglia di Broxas”. Dalle sue cronache risulta che il Duca Vettari affrontò e sbaragliò un esercito di 5mila nemici con soli 25 soldati. Visto infatti che, una volta tornati in patria, i militi di Vettari erano rientrati alle loro case, quando egli decise di muovere contro gli Slavi, in quanto informato della loro presenza, poté fare affidamento apparentemente solo su 25 di loro, tanto che la massa degli invasori, quando lo vide in così grave minoranza, cominciò a farsi beffe di lui dicendo: “Ecco il Patriarca che viene coi chierici contro di noi”. In realtà, anche se sicuramente Vettari si trovava in svantaggio numerico, il numero riportato sarebbe probabilmente frutto di un errore di copiatura durante una trascrizione, errore non da imputare dunque a Paolo Diacono.
Al centro sullo sfondo la sagoma conica e a punta smussata del piccolo Monte Purgessimo. Proprio lì sopra i Longobardi del Duca Ferdulfo subirono, attorno al 700, la loro peggior sconfitta contro gli “Schiavi”. Fu un esempio clamoroso di inettitudine e sottovalutazione del nemico.

Si sa che l’impresa, che salvò Cividale e forse l’intero Ducato del Friuli, avvenne presso un ponte del Natisone, ma non si sa esattamente dove. Alcuni infatti interpretano quel “Broxas” come Brischis, paesello ai piedi del Massiccio del Matajur e vicino Pulfero (da non confondere con Brischis in Comune di Prepotto), altri invece in quel nome riconoscono Brossana, il borgo più orientale della vecchia Cividale. Fatto sta che gli invasori, dopo essersi radunati in massa per espugnare Cividale, posero l’accampamento presso Broxas; sarebbe quindi logico pensare che si tratti proprio del borgo cividalese, in quanto avrebbe avuto molto più senso accamparsi subito fuori la città da cingere d’assedio, o comunque da attaccare, piuttosto che parecchi chilometri a nord-est e a ridosso di un villaggio di nessuna importanza per l’azione militare. Paolo Diacono stesso dice che Vettari si avvicinò al ponte sul Natisone, probabilmente proprio quello di Ponte San Quirino, e si tirò via l’elmo di fronte ai nemici, lasciandosi riconoscere. Quindi, come racconta sempre lo storico longobardo, vedendo che era proprio il Duca del Friuli, furono presi da una tale paura e costernazione che, anziché attaccare battaglia, pensarono stupidamente di darsi alla fuga. Vettari ingaggiò quindi uno scontro che portò all’annientamento degli Slavi. I superstiti, giudicati essere solo alcuni su 5mila dell’intera orda, si ritirarono risalendo le valli che avevano disceso per quella che credevano sarebbe stata per loro una vittoria epocale. Un indizio, che potrebbe avvalorare la teoria favorente Brossana (o perlomeno i suoi dintorni) come luogo dello scontro, è dato dal riscontro di Podrecca secondo cui, presso Ponte San Quirino, furono trovate numerose ossa e armi, tracce della battaglia. Sempre l’autore afferma che, sopra la porta della loggia di Brossana, fu posta una lapide con su scritto in latino: “Non procul hine Broxas est in finibus Antri Qui nomen tibi Porta dedit broxana vetustum, Dux ibi finitimos percussit Vectaris hustes, Cun galeam abjecit currens in praelio calvus, Teste Natiso et rubicondi sanguine montes.”. Ossia: “Non lontano da qui si trova la località di Broxas posta nel territorio di Antro che diede a te, porta, l’antico nome Broxana. Qui il Duca Vettari sconfisse i vicini nemici quando, dopo essersi tolto l’elmo, col capo calvo si buttò nel combattimento. Di questo fatto furono testimoni il Natisone e i monti rossi di sangue.”. L’iscrizione, che ritroviamo dal 1750 sopra la porta d’ingresso dell’ex casa canonica, in Piazzetta San Biagio a Brossana, potrebbe chiudere definitivamente la questione. Lo storico cividalese Bernardo Maria De Rubeis (1687-1775), infatti, riconosce in Broxas una località a quattro miglia da Cividale e che identifica il ponte del minuscolo abitato di Ponte San Quirino. Sarebbe stata proprio questa località ad aver dato poi il nome a Porta Brossana e quindi al borgo stesso. Di conseguenza, il nome della battaglia non ricorderebbe il borgo orientale di Cividale bensì questa misteriosa località dimenticata. Un altro esempio di borgo cittadino che, assieme alla sua porta, ricorda nel toponimo la località verso cui punta è Borgo Cussignacco a Udine, che si chiama così proprio perché indirizza verso il paese di Cussignacco, naturalmente fuori la vecchia città ma sempre in Comune di Udine e a pochi chilometri di distanza. In molti altri casi, invece, come per esempio sempre a Udine ma anche a Palmanova, il borgo omonimo di un altro centro non si trova affatto nelle vicinanze, anche se la sua strada principale vi indirizza. Tornando allo scontro, la vittoria fu senza dubbio clamorosa, e certamente convinse gli Slavi a non cercare altri confronti armati per diversi anni, se non decenni.
laurini
Laurini, nucleo di case subito a nord di Torreano, in Val Chiarò. Probabilmente qui (o perlomeno secondo la leggenda), tra le Valli del Natisone e quelle del Torre, la schiacciante vittoria del Duca Pemmone pose fine per sempre agli scontri armati tra i due popoli in terra friulana. Era il 725.
Si arrivò quindi all’alba di un nuovo secolo, l’VIII, e in Friuli la morte, in un anno imprecisato di questo periodo, del Duca Adone spianò la strada verso il potere a un personaggio che, al contrario di Vettari, gestì la questione slava nel modo più catastrofico possibile: Ferdulfo. Egli, originario della Liguria, anziché risolvere il problema con intelligenza, o almeno evitando inutili guai ai suoi sudditi, diede fiato al proprio ego per dimostrare come fosse bravo a battere gli Slavi. In pratica li ingannò, offrendo loro preziosi doni per attirarli nelle terre friulane e quindi sconfiggerli in battaglia. Il piano funzionò così bene, per modo di dire ovviamente, che diversi banditi slavi non solo entrarono nel Ducato del Friuli ma cominciarono anche a saccheggiare e ad aggredire i pastori con le loro greggi, per poi ritirarsi col bottino. Un’autorità locale non ben definita e detta “rettore”, di nome Argait, accortosi dei danni che questi malandrini stavano provocando, si diede a inseguirli ma senza riuscire a raggiungerli, nonostante il suo valore e coraggio. Al suo ritorno, il Duca Ferdulfo gli andò incontro e gli chiese che fine avessero fatto gli Slavi. Alla risposta di Argait che essi si erano dati alla fuga, Ferdurlo si infuriò e disse al suo sottoposto: “Quando mai potresti fare alcuna prodezza tu, cui viene da Arga il nome d’Argait?”. La risposta fu secca e degna di un uomo duro e sprezzante come Argait: “Voglia Dio, che né io, né tu, o Ferdulfo, esciamo da questa vita, prima che gli altri conoscan chi di noi due piú meriti il nome d’Arga”. L’occasione per dar seguito alla sfida arrivò, per loro sfortuna, e non solo loro, non molto tempo dopo, in quanto un intero esercito slavo, e non più questa volta soltanto qualche banda disorganizzata, scese verso Cividale e si accampò sulla cima del Monte Purgessimo. Non avrebbero potuto scegliere una rocca naturale più sicura e allo stesso tempo così prossima alla capitale longobarda in Friuli. Questo monte, infatti, anche se alto soltanto 453 m s.l.m. (quindi un colle per l’esattezza), è assai ripido, e assieme all’antistante e di poco inferiore Monte dei Bovi, dall’altra parte del Natisone, rappresenta le “Colonne d’Ercole” delle Valli, con la piana di Cividale in bella vista a ovest-sudovest. Ferdulfo organizzò l’assalto alla super postazione nemica con l’intenzione di percorrere la base del monte fino a che non si fosse trovato un punto favorevole per salirvi. Il Duca avrebbe forse anche potuto raggiungere la cima piuttosto agevolmente, e magari cogliere di sorpresa gli Slavi e batterli, ma, un po’ per sua testardaggine e vergogna e un po’ per colpa di Argait, che lo spinse sulla cattiva strada, finì per firmare la condanna a morte sua e dei suoi uomini. Argait infatti si intromise e disse: “Ricordati, o Duca, che dicesti che io sono poltrone e da nulla, e che con vile parola mi chiamasti Arga – or dunque l’ira di Dio cada sopra quello di noi, che l’ultimo s’accosterá a questi Schiavi”. Egli quindi si avviò per un percorso impervio e proibitivo verso la battaglia. Il sovrano, per dimostrare che non era da meno e per non darla vinta allo sfidante, si decise a percorrere allo stesso modo il versante, seguito dalle sue truppe. Gli Slavi non solo si accorsero di loro ma approntarono immediatamente le difese, fino a che non si giunse allo scontro sanguinoso. Possiamo immaginare quei Longobardi, stremati da quell’insensata fatica ancora prima di mettere mano alle armi; fu un massacro. Si dice che, più ancora che con le armi vere e proprie, gli Slavi li avessero percossi con pietre e bastoni; li uccisero quasi tutti, dopo averli disarcionati da cavallo. In questa assurda disfatta non perirono soltanto Ferdulfo e Argait ma anche tutta la nobiltà friulana del tempo, assieme a moltissimi valorosi militi, il cui valore andò così scioccamente sprecato. Uno di quei pochi scampati alla morte era un tale Manichi, il quale, dopo essere caduto da cavallo ed essere stato legato alle mani con una fune da uno slavo, riuscì a colpirlo ugualmente con la lancia rubatagli, per poi fuggire facendosi cadere come potette giù per quei burroni. Nonostante l’uccisione dello stesso Duca e la messa fuori combattimento di gran parte del suo seguito, nelle fonti non si parla di un attacco slavo a Cividale; forse non interessava a loro veramente prendere la città, ma solo arricchirsi col minor rischio possibile, attuando quindi la tecnica del mordi e fuggi ai danni delle indifese campagne.
Carlo_Podrecca
Carlo Podrecca, studioso contemporaneo che diede il suo contributo alla risoluzione di alcune questioni poco chiare delle vicende belliche qui ampiamente considerate.
Dopo una breve e insignificante parentesi del Duca Corvolo, salì al trono, nel 710 circa, un uomo degno del suo nuovo ruolo. Di padre bellunese, si chiamava Pemmone e condusse i Longobardi alla riscossa totale. Paolo Diacono, nato proprio sotto il suo governo, lo definì “uomo intelligente e utile alla patria”. Egli si prese cura dei figli dei nobili periti nella battaglia del Monte Purgessimo e li allevò amorevolmente, fino a che, e non poteva certo immaginarlo, non ebbero modo di vendicare la morte dei loro padri. Arrivò infatti a Pemmone la notizia che una moltitudine di Slavi si era radunata in un luogo detto “Lauriana”; era il 725. Anche in questo caso, così come per “Broxas”, permangono dubbi circa l’identità del sito. Anche qui due ipotesi: Lavariano, in Comune di Mortegliano (quindi ben distante da Cividale), e Laurini, dei casali qualche chilometro a nord di Cividale, in Val Chiarò e oggi in Comune di Torreano. Per ovvie ragioni si considera più ammissibile la seconda, anche se per alcuni soltanto la leggenda fece collocare lì l’evento, in quanto né il borgo né il suo nome all’epoca erano già nati. La Treccani riferisce addirittura che probabilmente si trattava di una località nell’alta valle della Drava, dunque nel territorio dei Carantani. Pemmone, con l’esercito composto anche dai rampolli dei nobili defunti, per tre volte caricò i nemici, sbaragliandoli completamente e perdendo, si disse, soltanto un uomo, tale Sigualdo, che però era anziano. Egli era lì per vendicare i due figli uccisi negli scontri avvenuti sotto Ferdulfo, e trovò la morte in questa battaglia solo durante il terzo assalto. Pemmone e gli altri non volevano neanche che combattesse, ma egli rispose loro: “Ho vendicato quanto basta la morte de’ miei figliuoli, e se ora verrá la morte lietamente l’incontreró”. Il Duca tuttavia non voleva rischiare di perdere altri fedelissimi, e decise subito di sottoscrivere una pace con gli Slavi sul campo. L’accordo prevedeva uno scambio di territori per la rispettiva attività di pascolo, patto che avrebbe forse placato la sete di razzie di questo popolo, ormai sempre più legato alle montagne tra Isonzo e Natisone.
slavo
I puntini bianchi identificano i centri abitati che portano nomi di origine slava. La Bassa Friulana ospita non pochi esempi, anche se ovviamente è la montagna, e in particolare le Valli del Natisone, a contare i numeri maggiori. Per esse bisogna anche dire che il numero di questi centri è molto maggiore in confronto, per esempio, all’Alta Val Torre.
Ma gli scontri non terminarono. Nel 738 fu la volta del figlio di Pemmone e nuovo Duca, Ratchis, a battere gli Slavi, ma in questo caso certamente nella loro patria, in Carniola. Si trattò in pratica di una controinvasione. Fu però a sua volta colto alla sprovvista in una successiva battaglia, tanto che non riuscì nemmeno ad afferrare la propria lancia per difendersi, ritrovandosi a combattere con una mazza con la quale riuscì ad abbattere subito un nemico. Paolo Diacono qui, però, neanche avesse voluto riservarci una eterna suspense, non termina il racconto. Per questo, non si sa né chi abbia vinto quella battaglia né se Ratchis, alla fine, ne sia uscito sano e salvo. Sappiamo però per certo che non fu tra i caduti. Egli sicuramente rimane più conosciuto per il celebre e omonimo altare, una delle più importanti opere scultoree longobarde, conservato al Museo Cristiano di Cividale.
C’è da immaginare che da quel momento in poi non ci siano state più violenze degne di essere riportate nelle cronache, e alla fine, già ancora sotto i Longobardi, che tanto li avevano avversati, e poi soprattutto due secoli dopo, gli Slavi si infiltrarono pacificamente fin nel cuore della Bassa e in alcuni casi anche più a nord. Infatti, le terre lasciate incolte a causa delle guerre longobarde e della lebbra da loro portata, e successivamente a causa delle tremende invasioni ungare, avevano bisogno di nuovi contadini, e gli Slavi facevano proprio al caso.
https://forumjuliiblog.wordpress.com/2018/05/23/le-guerre-tra-slavi-e-longobardi-genesi-di-un-dualismo-culturale-parte-seconda/

1 commento:


  1. Ciao Olga,
    Bel post di oggi, grazie per le vostre belle visite e commenti, bello avere un amico sull'oceano ... xx

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Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
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