Montemaggiore di Taipana/Brezje foto di Mateja Markočič |
Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga❤️
Il Pignarul Grant di Coia, così come tutti i fuochi epifanici della Conca tarcentina, una decina in tutto, saranno accesi in contemporanea sabato 9 gennaio alle 18. Gli organizzatori hanno ricevuto l’autorizzazione. Il tutto si svolgerà in assenza di pubblico e nel rispetto di tutte le normative vigenti.
Il Pignarul Grant di Tarcento deve ancora essere completamente allestito. Si attendeva il via libera, che è arrivato oggi. Le operazioni si concluderanno in tempo per l’accensione di sabato. E’ previsto anche il vaticinio del Vecchio Venerando.
https://www.ilfriuli.it/articolo/tendenze/tarcento-il-pignarul-grant-si-fara/13/234252
Sembra che questa usanza derivi da riti purificativi e propiziatori diffusi in epoca pre-cristiana. I Celti, per esempio, accendevano dei fuochi per ingraziarsi la divinità relativa e bruciavano un fantoccio rappresentante il passato. Mentre il falò ardeva, i contadini in cerchio gridavano e cantavano varie formule augurali[1].
Rimasta intatta come rituale da svolgersi nella vigilia dell'Epifania, ancor oggi la fiamma simboleggia la speranza e la forza di bruciare il vecchio (non a caso si può bruciare la "vecchia" posta sopra la pira di legna).
Il rogo è talvolta benedetto dal parroco e lo scoppiettare dell'acqua santa nel fuoco viene identificato con il demonio infuriato che fuggiva.
La direzione del fumo e delle faville (talvolta alzate di proposito dai contadini usando una forca) viene letta come presagio per il futuro. Si notino i seguenti detti popolari:
(FUR) «Se il fum al va a soreli a mont, | (IT) «Se il fumo va a occidente, | |
(Friuli) Il rito dei fuochi è anche un momento in cui la comunità si raccoglie per stare in compagnia. Viene accompagnato dalla degustazione di vin brulé e di pinza, focaccia tipica di questa festa e cotta talvolta tramite gli stessi roghi. Attualmente, per l'occasione possono venire organizzati spettacoli pirotecnici. |
Lo ha annunciato la World Meteorological Organization (Wmo), l’agenzia meteorologica delle Nazioni Unite: un buco nell’ozono in Antartide che l’estate scorsa era cresciuto a dismisura si è finalmente chiuso. Il tutto avvenuto il 28 dicembre scorso, “dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono nell’atmosfera”.
Il buco aveva raggiunto una dimensione record fra agosto e settembre del 2020, con un picco di circa 24,8 milioni di chilometri quadrati registrato il 20 settembre, e un’estensione che dunque copriva gran parte del continente antartico. Come riporta la Wmo, “è stato il buco più duraturo e uno dei più grandi e profondi dall’inizio del monitoraggio dello strato dell’ozono 40 anni fa”. È stato infatti causato da un vortice polare forte e stabile, unito a delle temperature molto fredde nella stratosfera (lo strato dell’atmosfera compreso tra i 10 e i 50 chilometri di altitudine).
Durante la stagione primaverile dell’emisfero australe (fra agosto e ottobre), il buco dell’ozono sopra l’Antartide di solito aumenta di dimensioni, raggiungendo il picco massimo tra metà settembre e metà ottobre. Quando le temperature elevate nella stratosfera iniziano a salire nella tarda primavera, l’esaurimento dell’ozono rallenta e il vortice polare si indebolisce e, infine, si esaurisce. In questo modo, alla fine di dicembre i livelli di ozono tornano alla normalità.
Tuttavia, nel 2020 un vortice polare forte e stabile ha mantenuto la temperatura dello strato di ozono sull’Antartide costantemente fredda, impedendo la miscelazione di aria impoverita di ozono sopra la regione con altra aria ricca di ozono proveniente da latitudini più elevate. Per gran parte della stagione di quest’anno, quindi, le concentrazioni di ozono stratosferico intorno ai 20-25 chilometri di altitudine hanno raggiunto valori prossimi allo zero, con la profondità dello strato di ozono ridotta a 94 unità Dobson, ossia circa un terzo del suo valore normale.
La persistenza di questo buco appena chiuso è in contrasto con il buco dell’ozono antartico insolitamente piccolo e di breve durata del 2019. “Le ultime due stagioni dimostrano la variabilità di anno in anno del buco dell’ozono e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità”, ha dichiarato sul sito della Wmo Oksana Tarasova, direttrice della divisione di ricerca sull’ambiente atmosferico dell’agenzia, che supervisiona anche la sua rete globale di stazioni di monitoraggio atmosferico.
“Abbiamo bisogno di un’azione internazionale continua per applicare il protocollo di Montreal sulle sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono. Ci sono ancora abbastanza sostanze che danneggiano lo strato di ozono nell’atmosfera per causarne la riduzione su base annuale”, ha sottolineato Tarasova.
Lo strato di ozono terrestre è fondamentale per gli esseri umani, in quanto ci protegge dai danni dei raggi ultravioletti del sole. Per salvaguardarlo, nel 1987 è stato firmato il Protocollo di Montreal, lo storico accordo ambientale internazionale che regola la produzione e il consumo di quasi 100 sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono (cosiddette ozone depleting substances, Ods).
https://www.wired.it/attualita/ambiente/2021/01/08/buco-ozono-antartide-record-chiuso/
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ttps://www.dom.it/v-bran-vecjezicnemu-pouku_a-difesa-dellinsegnamento-plurilingue/
dal web |
Poesia di Roberto Piumini
Gennaio
Gennaio è un mese
freddo e scortese
porta una sciarpa
di neve e fango,
non suona l'arpa
non balla il tango
batte fra i denti
la pipa spenta,
grida lamenti
poi s'addormenta.
Nel 1978 ha pubblicato il primo libro: Il giovane che entrava nel palazzo, con le Nuove Edizioni Romane, che vince il Premio Cento nel 1979, la cui giuria è presieduta da Gianni Rodari.[1] Per bambini e ragazzi ha pubblicato, presso più di 80 editori, fiabe, filastrocche, poesie, poemi, racconti, romanzi, testi teatrali, testi di canzoni, e opere musicali, soggetti, sceneggiature, traduzioni e riscritture di mitologia. Ha pubblicato testi di poesia, prosa e teatro su riviste per bambini. Ha pubblicato testi su riviste educative e libri scolastici.
Per adulti ha pubblicato, presso più di 30 editori, racconti, romanzi, raccolte di poesie, poemi, testi di poesia e prosa su illustrazioni e fotografie. Ha pubblicato prose e poesie su riviste letterarie e giornali. Molti suoi libri per bambini e ragazzi, e alcuni di quelli per adulti, sono tradotti in una ventina di lingue. Ha scritto una ventina di libri a quattro mani con altri Autori, per bambini, ragazzi e adulti.
Ha fatto numerosissimi incontri in scuole, biblioteche, centri culturali, in ogni regione d'Italia e stati europei ed extraeuropei...https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Piumini
https://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-gennaio/poesie-su-gennaio-roberto-piumini-gennaio.html
autoritratto da wikipedia |
Onda per onda batte sullo scoglio
- passan le vele bianche all'orizzonte;
monta rimonta, or dolce or tempestosa
l'agitata marea senza riposo.
Ma onda e sole e vento e vele e scogli,
questa è la terra, quello l'orizzonte
del mar lontano, il mar senza confini.
Non è il libero mare senza sponde,
il mare dove l'onda non arriva,
il mare che da sé genera il vento,
manda la luce e in seno la riprende,
il mar che di sua vita mille vite
suscita e cresce in una sola vita.
Ahi, non c'è mare cui presso o lontano
varia sponda non gravi, e vario vento
non tolga dalla solitaria pace,
mare non è che non sia un dei mari.
Anche il mare è un deserto senza vita,
arido triste fermo affaticato.
Ed il giro dei giorni e delle lune,
il variar dei venti e delle coste,
il vario giogo sì lo lega e preme
- il mar che non è mare s'anche è mare.
Ritrova il vento l'onda affaticata,
e la mia chiglia solca il vecchio solco.
E se fra il vento e il mare la mia mano
regge il timone e dirizza la vela,
non è più la mia mano che la mano
di quel vento e quell'onda che non posa…
Ché senza posa come batte l'onda
ché senza posa come vola il nembo,
sì la travaglia l'anima solitaria
a varcar nuove onde, e senza fine
nuovi confini sotto nuove stelle
fingere all'occhio fisso all'orizzonte,
dove per tramontar pur sorga il sole.
Al mio sole, al mio mar per queste strade
della terra o del mar mi volgo invano,
vana è la pena e vana la speranza,
tutta è la vita arida e deserta,
finché in un punto si raccolga in porto,
di sé stessa in un punto faccia fiamma.
(Pirano, agosto 1910)
.
Di Carlo Michelstaedter e della sua travagliata vita conclusa da un colpo di rivoltella a soli ventitré anni si è già detto. Questa è una delle ultime poesie che scrisse, due mesi prima del gesto definitivo. Appare chiaro che l’impossibilità di dire l’inesprimibile lo tormenta: ne risulta un discorso che veleggia tra il tragico e il mistico e si dipana di fronte al mare di Pirano, dove il giovane poeta e filosofo si era ritirato dopo la tesi e dopo aver comunicato al padre che non sarebbe stato professore ma che si sarebbe ritirato al mare.
Quella strofa finale racchiude in sé tutto il dolore di Michelstaedter, basta a spiegare perché vivere gli sia parso insostenibile fino a diventare “fiamma” – e del resto sulla tesi di laurea aveva disegnato una lucerna e la parola greca απεσβησθεν, “io mi spensi”. Alla sorella Paula aveva indirizzato una poesia che rappresentava una specie di biglietto d’addio: le diceva “Lasciami andare, Paula, nella notte / a crearmi la luce da me stesso, / lasciami andar oltre il deserto, al mare / perch'io ti porti il dono luminoso / … molto più che non credi mi sei cara .
Carlo Raimondo Michelstaedter (anche Michelstädter) (Gorizia, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) è stato uno scrittore, filosofo e letterato italiano.
https://cantosirene.blogspot.com/search?updated-max=2010-01-06T08:04:00%2B01:00&max-results=7
Il Natale! Natale in famiglia. Un’occasione ancora per fomentare diatribe politiche, discussioni, pareri discordi, invettive, indignazioni,progettazioni di alternative ai divieti e quant’altro. Non voglio entrare anch’io in questo bailamme, tuttaviami sia permessa qualche riflessione. La prima questione che mi pongo è: di quale Natale parliamo? Quello con la N maiuscola è uno solo: commemorazione della nascita di Gesù, il bambino che gli angeli proclamano figlio di Dio e che nasce in una stalla da una donna. Lei non si è fatta i capelli dalla parrucchiera, non ha l’abito firmato, non ha collane d’oro e diamanti. E il bambino? Non fa in tempo ad attaccarsi al seno che già deve scappare in Egitto per non finire vittima innocente in una strage programmata dal potere costituito. E meno male che gli angeli cantavano in coro: «Pace in terra agli uomini che Egli ama».
Che gli uomini abbiano bisogno di pace nell’amore reciproco rimane ancora il messaggio, più valido che mai, dopo oltre due millenni da quel canto sopra Betlemme. Se si potesse parlare e riflettere su questo vero Natale, allora tutte le diatribe, il fracasso, le esplosioni verbali dei social che stanno ribollendo per questa ricorrenza – che dovrebbe essere di natura spirituale, di silenzio, di meditazione, di presa di coscienza – non avrebbero senso.
Mi ha colpito il commento al vangelo della seconda domenica d’Avvento incentrato sulle parole: «Nel deserto preparate le vie del Signore». Il celebrante, magari evitando l’interpunzione, ha voluto unire la frase sottolineando il valore semantico del deserto come atteggiamento in attesa della venuta di Gesù e di preparazione a qualcosa di coinvolgente, come lo è il messaggio di un uomo, che, creduto o meno Dio, indica comunque l’unica strada percorribile dall’umanità in cerca di pace e salvezza.
Oggi è lo stesso messaggio, ben diverso, che proviene dall’interno degli ospedali e dalle case dei malati, e dice in altro modo, in modo sofferto, che non c’è salvezza all’infuori della solidarietà, della condivisione, della presa di coscienza del fatto che solo l’amore porta da qualche parte, non certo l’odio, l’egoismo, l’affare, il consumo sfrenato ed il guadagno come fine ultimo.
E qui entriamo appunto nel secondo modo di intendere il Natale, quello dominante e pervasivo che ha surclassato il primo. Oggettivamente c’è da chiedersi che abbiano a che fare Babbo natale o Dedek mraz,spese forsennate, mania dei regali, corsa alla soddisfazione di ogni futile desiderio represso?
Al giorno d’oggi delle grandi festività cristiane rimane un simulacro che sbeffeggia il trascendente, lo spirituale, l’anima, per creare un madornale falso da baraccone. Intendiamoci, non sono certo contrario alla festa, al raduno famigliare, al pranzo o al cenone delle grandi occasioni; non dimentico affatto che il primo miracolo di Gesù avvenne ad un pranzo di nozze.
Quanta confusione di fronte alle prese di posizione da parte delle autorità costituite nel tentativo sacrosanto di frenare il coronavirus. Quante contraddizioni proprio laddove dovrebbe prevalere
la responsabilità ed il buon senso di fronte ad una tragedia immane, peggiore della guerra, perché qui il nemico non sta su un fronte opposto, ma addirittura dentro di noi.
Quest’anno il Natale, per la situazione oggettiva in cui si trova l’umanità, dovrebbe essere invece un richiamo a qualcosa che va al di là del contingente, del puramente materiale, del denaro, del godimento momentaneo, in vista di maggior bene comune. Sarebbe opportuno un po’ di «deserto», non certo fame e sete, bensì deserto come atteggiamento mentale per impostare nel silenzio una profonda riflessione sul senso della vita, dal momento che mai in tale ampiezza e profondità la vita stessa si sta mettendo in forse a dimensione globale per la pandemia.
Chiedersi il senso di quest’esistenza divenuta incerta, effimera, incontrollabile così come lo è il virus che la insidia. Lo so, sembrerebbe un insulto per benpensanti, agnostici, atei, indifferenti e superficiali, proporre loro un richiamo al significato del deserto; quello del vangelo. È un luogo simbolico, il deserto. Che non è solo quello fisico, ma quello a cui magari siamo costretti dalle quarantene. Deserto che non dovrebbe essere aridità e dispersione, ma riflessione, una fermata nell’attesa di un bene da costruire, sostituendo il furore consumistico con un rientro nella parte spirituale di noi stessi. «Nel silenzio del deserto – anche simbolico – si costruisce, pur nella fatica e nell’aridità che avvolge la nostra esistenza, il ritorno alla propria terra, cioè il ritorno al bene – diceva il celebrante – al proprio essere se stessi, all’impegno di dare il meglio di sé, ascoltando nel silenzio di sé la voce del fratello». Ed il fratello ci chiede responsabilità, ci chiede l’enorme sacrificio di salvaguardarlo dal pericolo incombente dovunque. Con la coscienza che nel mentre salvaguardiamo la salute della persona che ci sta accanto, salvaguardiamo la nostra.
Anche se pochi lo pensano, il Natale, quello vero, porta il senso della nascita e rinascita della speranza, valore da coltivare tutti insieme. Tutto ciò è profondamente cristiano. E profondamente umano.
Riccardo Ruttar
https://www.dom.it/con-la-enne-maiuscola_bozic-z-veliko-zacetnico/
OGGI 7 GENNAIO GLI ORTODOSSI FESTEGGIANO IL NATALE.
Auguri a tutti gli amici di questa fede cristiana.
Il 7 gennaio è il giorno di Natale per le Chiese orientali cattoliche e le Chiese ortodosse che seguono il calendario giuliano.
Bisogna tener presente che nel 1582 papa Gregorio XIII decise di modificare il vecchio calendario introdotto da Giulio Cesare, chiamato in suo onore giuliano. Per questo motivo i giorni tra il 5 ed il 14 ottobre 1582 furono cancellati e quindi il nostro 25 dicembre diventa il 7 gennaio. Alcuni ortodossi però hanno preferito adattarsi al cambiamento: in Grecia, ad esempio, il Natale coincide con quello cattolico.
La data del 7 gennaio non è dovuta a una volontà “scismatica” come ancora alcuni ritengono, ma per un mero motivo di calendario. «La maggior parte delle chiese ortodosse di tutto il mondo utilizzano il calendario giuliano, creato sotto il regno di Giulio Cesare nel 45 a.C., e non hanno adottato il calendario gregoriano, proposto dal latino papa Gregorio di Roma nel 1582», ha spiegato l’ Archimandrita Christopher Calin, decano della cattedrale ortodossa russa. Il Natale anche gli ortodossi lo festeggiano il 25 dicembre, solo che nel loro calendario in uso questa data cade sul “nostro” 7 gennaio (per cui l’ Epifania per loro diventa la Vigilia di Natale, ndr): «il Natale è ancora conservato il 25 dicembre, che sembra appena cadere ritardo di 13 giorni sul calendario giuliano», conclude Calin.
Secondo la tradizione, il Natale ortodosso viene preceduto da un lungo periodo di digiuno e preghiera che dura addirittura quaranta giorni. Il digiuno non è totale, si può mangiare il pesce il mercoledì ed il venerdì. A Natale gli ortodossi usano offrire candele e germogli di grano. Nel giorno della vigilia, invece, il digiuno diventa rigidissimo e prevede il consumo di cibo "socivo" ovvero grano lesso e frutta.
Il digiuno si conclude generalmente in chiesa con la solenne Messa di Mezzanotte. Terminata la preghiera i fedeli intonano l’ inno di Natale ed al centro della chiesa viene portata l’ icona che rappresenta la festività: una candela accesa che simboleggia la Stella Cometa. A quel punto il digiuno è terminato, i fedeli consumano il pane benedetto. A differenza dalla Chiesa cattolica, nei paesi ortodossi non esiste il presepe come rappresentazione della nascita di Cristo. Addobbare l'albero di Natale è invece una tradizione comune. Le tradizioni variano comunque da Paese a Paese: in Grecia, invece di Babbo Natale, i bambini ricevono i regali da San Basilio il 1° di gennaio. In Bulgaria i fedeli bruciano un tronco di legno per tutta la notte della vigilia, e le scintille simboleggiano la prosperità dell’ anno nuovo e alla fine del pranzo non sparecchiano il tavolo, per lasciare gli avanzi per i cari defunti. Durante la cena della vigilia in Russia si consumano il miele e l’ aglio, che simboleggiano la dolcezza e l’ amarezza della vita.
https://m.famigliacristiana.it/articolo/natale-ortodosso-ecco-perche-si-festeggia-il-7-gennaio.htm
Rimasta prima sotto la giurisdizione del Patriarcato di Aquileia in seguito a quella austro-ungarica, sotto la Repubblica di Venezia Taipana e le frazioni vicine assunsero importanza e si svilupparono come ville, poi raggruppate in epoca napoleonica nella "vicinia" (l'assemblea dei capi famiglia) di Taipana.
Durante la seconda guerra mondiale il territorio del Comune fu coinvolto dalle attività della resistenza friulana con la partecipazione delle Brigate Garibaldi e delle Brigate Osoppo.[5]
Nel 1976 il comune fu devastato dal terremoto del Friuli, che provocò enormi crolli e danni.