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IVAN TRINKO padre della Benecia

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6 lug 2020

GIUSEPPE UNGARETTI - DI LUGLIO

Luglio, col bene che ti voglio » inno3



Quando su ci si butta lei,
Si fa d’un triste colore di rosa
Il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s’ostina, è l’implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l’estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.
(da “Sentimento del tempo”, 1943)

5 lug 2020

GIOVANNI MARINELLI geografo friulano

Giovanni Marinelli (Udine, 28 febbraio 1846 – Firenze, 2 maggio 1900) è stato un geografo italiano.

.

Gli studi geografici italiani, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento devono il loro fiorire a Giovanni e Olinto Marinelli, seguiti o accompagnati da un altro gruppo di notissimi friulani.
Giovanni Marinelli, udinese, a sedici anni si iscrisse a matematica a Padova, per passare subito a legge: prima della laurea, a corsi completati, abbandonò tutte due le materie per insegnare storia e geografia a Udine.
Il matrimonio mise un qualche ordine nella sua vita e nel 1872, all’Accademia di Udine, propose l’istituzione di un osservatorio meteorologico a Tolmezzo, che fu subito approvato.
Anzi se ne aggiunsero altri a Pontebba, Ampezzo e nei bacini del Tagliamento e dell’Isonzo.
Si diede alle esplorazioni morfologiche, geologiche, botaniche, etnografiche e linguistiche della Regione.
L’amicizia con geografi dell’università di Padova, gli procurò l’ingresso all’insegnamento universitario a soli trentadue anni: per quattordici anni insegnò geografia a Padova e dal 1892 fino alla morte a Firenze.
E in questo insegnamento fu un maestro: noto in tutto il mondo scientifico per le sue numerose pubblicazioni, educò una generazione agli studi geografici, fondò società e sodalizi, tra cui la Società Alpina Friulana, la Società di studi geografici e coloniali di Firenze, diresse la Rivista Geografica italiana, fu quattro volte deputato al Parlamento per Gemona-Tarcento.
Trovò la geografia ad uno stato di emarginazione e di quasi disistima tra le varie discipline e la portò a vera scienza con una produzione abbondantissima, innovativa e rigorosa.
Nel 1894 pubblicò le due Guide dei Canal del Ferro e della Carnia e la grande sintesi di geografia universale, in sette volumi, dal titolo La Terra, edita da Vallardi nel 1869.
Oltre duecento lavori costituiscono un corpus di studi che collocano Giovanni Marinelli tra gli «apostoli» del progresso geografico.
Io considero il Marinelli il maggior divulgatore, organizzatore e coordinatore tra tutti i geografi italiani, soprattutto con il suo volume “La Terra”, un trattato popolare di geografia universale composto di otto bei grossi tomi, che considero la prima vera e la più importante enciclopedia italiana di geografia.

Valli, allarme rosso zecche


Nelle Valli del Natisone e del Torre, in Val Resia e in Valcanale, con l’aumento delle temperature, è scattato l’allarme zecche, che a causa dell’abbandono dei terreni e dei boschi qui più che altrove trovano un habitat ideale. Molti agricoltori, boscaioli ed escursionisti testimoniano che non ce ne sono mai state come quest’anno.
Le zecche sono pericolose per l’uomo e gli animali. E a causa dei cambiamenti climatici, la proliferazione di questi piccoli aracnidi è in aumento e ha determinato un incremento di malattie dovute al loro morso del 400 per cento in 30 anni.
Le zecche, contrariamente a quanto si possa credere, non saltano e non volano, ma attendono le loro «vittime» sulle estremità delle piante. Così, il malcapitato di turno, durante la propria escursione all’aperto, rischia di ritrovarsi uno di questi piccoli parassiti addosso mentre gli passa accanto. Aggrappandosi con le loro piccole zampette, cercano subito un posto dove infilare la testa sotto pelle e succhiare il sangue, utile per passare allo stadio successivo o per far maturare le uova.
Il morso di per sé non è doloroso, tuttavia se l’animale rimane troppe ore attaccato al corpo può provocare malattie attraverso il rigurgito del pasto. Inculcando nella ferita alcuni agenti patogeni, le zecche provocano diverse malattie nell’uomo: dalla meningoencefalite alla malattia di Lyme, dalla febbre bottonosa alle febbri ricorrenti.
Nel 70 per cento dei casi, dopo un morso di zecca, si manifesta un’infezione senza sintomi che passa inosservata. Mentre nel 30 per cento restante possono sorgere gravi problemi dovuti al conseguimento delle malattie sopracitate.
Gli accorgimenti da adottare durante le escursioni tra i boschi o immersi nella natura sono diversi. Innanzitutto è utile evitare di tenere zone della cute esposte mentre si cammina nell’erba alta; indossare abiti chiari e ben visibili invece facilta l’individuazione dei parassiti che si attaccano ai vestiti; mentre al termine della propria escursione, occorre esaminare scrupolosamente ogni parte del corpo; ancora meglio se si lascia effettuare il controllo ad altri: alcuni di questi animali possono essere addirittura più piccoli di un millimetro.
Per staccare una zecca infilata nella pelle ci sono alcune regole da seguire. Per prima cosa non si devono utilizzare: alcol, benzina, acetone, ammoniaca oppure olio. Questo perché si corre il rischio di irritare l’animale facendolo vomitare all’interno della ferita causata dal morso. Per effettuare la rimozione in modo sicuro occorrono delle pinzette e tanta pazienza.
Posizionandole il più vicino alla pelle (lì si trova la parte più dura), si stacca l’animale con movimenti rotatori, tenendole invece sull’addome si rischia di farla scoppiare causando uscita di sangue infetto. Un volta asportata la zecca correttamente disinfettare bene.
La meningoencefalite da zecca o TBE è una malattia di natura virale che può colpire il sistema nervoso centrale e/o periferico. Questa malattia può avere un decorso serio e potenzialmente grave.
Poiché non esiste una cura per la TBE, il miglior modo per prevenirla è la vaccinazione, consigliata a chi vive, lavora o frequenta abitualmente le zone a rischio per tale infezione.
La vaccinazione è gratuita per i residenti in Friuli Venezia Giulia e per gli esposti professionalmente in area a rischio, per i volontari della protezione civile operanti nei settori dell’antincendio boschivo e dei cinofili, con compartecipazione alla spesa per i non residenti.

«Dopo il Narodni dom, restituire anche il Trgovski dom di Gorizia»

GORIZIA – GORICA


foto da xcolpevolex


La proposta del deputato Guido Germano Pettarin: «È tempo che anche questo importante immobile venga restituito alla minoranza slovena, cui venne tolto». Ma l’idea spacca Forza Italia «La restituzione del Narodni dom alla comunità slovena il 13 luglio sarà una occasione essenziale di unità e coesione per un territorio che ha patito le molteplici tragedie della prima metà del Novecento e che ha da pochissimo superato anche le dolorose separazioni causate dalla pandemia», afferma il deputato di Forza Italia Guido Germano Pettarin. «Ma accanto al Narodni dom c’è anche l’analogo caso del Trgovski dom di Gorizia. È tempo che anche questo importante immobile venga restituito alla minoranza slovena, cui venne tolto, ed è urgentissimo che questo passo vada compiuto soprattutto ora, soprattutto dopo la restituzione del Narodni dom e soprattutto dopo la visita congiunta dei presidenti della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, e della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, alla foiba di Basovizza e al monumento, sempre a Basovizza, ai quattro sloveni del Tigr fucilati nel 1930». «Le logiche che vanno sviluppate non debbono limitarsi ai termini di attuazione delle importanti norme di tutela o degli impegni nel tempo assunti dai governi, ma devono essere molto di più: debbono essere la emersione definitiva di un percorso che conferisce ai nostri territori ulteriore lustro quali centri di conviven- SLOVIT n° 6 del 30/6/20 | pag. 9 za e collaborazione transnazionale. L’approccio lungimirante e costruttivo che ha portato alla restituzione del Narodni dom, deve replicarsi nelle forme necessarie per la restituzione del Trgovski dom da parte di tutti i soggetti convolti, onde il Trgovski sia un nuovo e determinante tassello di coesione delle nostre comunità, conviventi in armonia e progresso sul medesimo territorio, radice comune per sloveni, friulani e italiani», prosegue Pettarin. «Così come per il Narodni, anche per il Trgovski l’importantissimo atto restitutorio ci aiuterà a non guardare solo nel tragico passato di un secolo fa, ma ci permetterà di traguardarci al futuro, in una atmosfera feconda di convivenza e condivisione e lavoro comune, convinti di percorrere insieme il solco dei grandi ideali sui quali si fonda l’Unione europea. È una grande famiglia la nostra; ne facciamo parte tutti, friulani, italiani e sloveni: siamo Europei dentro e fuori, lavoriamo quotidianamente, insieme, per la pace, la libertà e la prosperità di tutti. In ciò il Trgovski sarebbe un viatico eccezionale: tecnicamente molto più semplice di quanto risolto per il Narodni, nel Trgovski potremmo realizzare un polo multiculturale e plurilingue, che sarebbe lustro all’edificio, alla città di Gorizia, al Gect Go, a Nova Gorica. Un ambizioso progetto della minoranza slovena, totalmente condiviso da quanti vivono da Europei la nostra storia, con il Trgovski quale centro della multiculturalità goriziana, in un contesto pancittadino in cui l’univoco contesto di Nova Gorica e Gorizia si propongono insieme quali Capitale della Cultura Europea 2025 e in cui la realtà del Gect Go testimonia l’eccellenza europea del nostro essere un vero e proprio laboratorio dell’Europa del futuro. Cogliamo questa importante opportunità; completiamo a tempo di record gli adempimenti amministrativi e riconsegniamo il Trgovski alla storia europea della nostra unica terra. Lo merita la storia dei nostri avi e lo pretende il futuro dei nostri figli», conclude Pettarin. «Le parole dell’onorevole Pettarin in merito alla restituzione alla comunità slovena del Narodni Dom di Trieste e del Trgovski dom di Gorizia rispecchiano una posizione personale legittima ma totalmente estranea alla linea del partito. Forza Italia ha in più occasioni manifestato la propria contrarietà all’operazione relativa al Balkan, così come a quella relativa all’immobile di Gorizia». Lo scrive in una nota la deputata e coordinatrice di Forza Italia Fvg, Sandra Savino a commento delle dichiarazioni del deputato Pettarin. «Donazione o semplice affidamento degli spazi? E a quali condizioni economiche? A poco più di due settimane dal 13 luglio non conosciamo ancora i dettagli relativi alla riconsegna alla minoranza slovena dell’ex Narodni dom: siamo certi che oltre al valore economico dell’immobile, l’Italia non debba pagare altre forme di indebito risarcimento nascoste nelle pieghe degli atti a cui sta lavorando il ministero degli Esteri? Sono anni che si parla della restituzione dell’ex Balkan e mesi dall’annuncio della partecipazione alla cerimonia dei presidenti Mattarella e Pahor: possibile che ancora non siano stati definiti i dettagli? Possibile che affrontando questi temi il ministro Di Maio non abbia posto all’attenzione della Slovenia la questione dei risarcimenti agli esuli dell’Istria e della Dalmazia?», incalzano Savino e il deputato Roberto Novelli in merito alle polemiche legate alla restituzione alla minoranza slovena della Casa nazionale slovena a Trieste. «La forma è anche sostanza. All’invito delle istituzioni italiane a presenziare nell’occasione a una cerimonia alla foiba di Basovizza la Slovenia ha risposto ponendo una condizione: l’omaggio alle vittime delle foibe deve essere preceduto dall’omaggio ai ‘quattro martiri’, condannati a morte e fucilati nel 1930 dal regime fascista. Stiamo parlando di quattro aderenti al movimento irredentista slavo Tigr – Trst, Istra, Gorica e Rijeka – le quattro province giuliane rivendicate dagli slavi. Come ricorda in un suo libro lo storico Raoul Pupo, il Tigr si macchiò di numerosi atti di violenza e terroristici. Ne sono al corrente i registi della cerimonia? Apprezziamo ogni iniziativa che va verso la storicizzazione di quei drammatici anni e la pacificazione tra i popoli, ma questo non deve essere né apparire una genuflessione dell’Italia di fronte alla Slovenia». (ilfriuli.it, 25. 6. 2020) da SLOVIT

3 lug 2020

DAN BOT-UN TEMPO

Tou košu

Možje so siekli travo.
S sabom tou košu so nosili osounik,
oslu,butaču,rabje,varvi za briemana.
So nosili s sabon še obed,pojužnjak ali juženo.

Lo sfalcio  (traduzione personale)

Gli uomini falciavano l'erba.
Con sè avevano nel gerlo il porta cote,
la cote,il fiasco,il rastrello,le corde.
Portavano con sè la colazione,la merenda o il pranzo.

il testo nel dialetto sloveno dell'alta val Torre è tratto da un vecchio calendario edito dal Centro ricerche culturali di Bardo/Lusevera

Lavori di un tempo

Vouna

So strile ouce.
So predle vouno
So ložle dvje niti ukop
anu povile klovac


La lana

Tosavano le pecore.
Filavano la lana.
Mettevano due fili assieme
e facevano la matassa.

filatoio o corleta o gorleta
per filare la lana

1 lug 2020

Proverbio di luglio


  
Proverbio delle  valli del Natisone; pregovor iz Nediške doline

 Se questo mese è troppo secco, l'uva resta piccola - Če je tel miesec presuhuo, ostane grozdje zlo drobnuo.

dal giornale Dom autore:Moreno Tomazetig

UNA ROSA

Parola verdeggiante d’amore


PIERLUIGI CAPPELLO

UNA ROSA

Che cos’è quella rosa sul tavolo
ferma nella sua freschezza come un lago alpino
alta nel suo silenzio più del fragore
dei quotidiani affastellati lì accanto
più del disordine dei notiziari,
la concitazione delle chiavi di casa.
Che cos’è questa parola verdeggiante d’amore
se non il suolo dove lasciarsi cadere
la penombra di un bosco da attraversare
e la mano che si apre e prende la mia
e mi conduce a me.

(da Mandate a dire all’imperatore, Crocetti, 2010)
.
Che cos’è una rosa? È una rosa una rosa una rosa si potrebbe rispondere con Gertrud Stein. È un’emozione che assembla colore e profumo, bellezza e poesia, come in questi versi del poeta friulano Pierluigi Cappello. È memoria e amore, è natura e vita: “Stacca dal colore della rosa / la prima volta che te ne portarono un mazzo”.
.

JOS VAN RISWICK, “NATURA MORTA”
Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 8 agosto 1967 – Cassacco, 1º ottobre 2017), poeta italiano. La sua vita è stata gravemente segnata da un incidente stradale occorsogli quando aveva sedici anni: dallo schianto della moto contro la roccia uscì con il midollo spinale reciso e una perenne immobilità. Ha scritto numerose opere, anche in lingua friulana.
https://cantosirene.blogspot.com/search?updated-max=2019-07-07T05:00:00%2B02:00&max-results=7

“Il mio Brasile nell’onda del coronavirus”




Professore (insegna Teoria letteraria alla State University di Londrina, città brasiliana di 500 mila abitanti dove vive) e traduttore, Frederico Fernandes ha conosciuto le Valli del Natisone nell’estate del 2014. Si trovava, in quel periodo, a Bologna per un progetto di ricerca sui festival in Italia, ed era incappato in un’iniziativa culturale molto particolare, Stazione di Topolò. A cui aveva preso parte, come spettatore, per alcuni giorni, definendola “la scoperta più interessante che ho fatto in Italia”.
Oggi si parla di Brasile soprattutto per un motivo. In questo momento è, assieme agli Stati Uniti, il Paese dove si registrano il maggior numero di contagiati (1 milione 350 mila) e di morti (58 mila) al mondo dal coro navirus. Un triste primato dovuto, secondo quanto riferiscono molti mass-media, anche all’opposizione del governo guidato dal presidente Jair Bolsonaro al lockdown e alla scelta di puntare su terapie non approvate dall’Oms (Organizzazione mondiale sanità) a scapito di tamponi e test.
Per capire quale è la reale situazione che si sta vivendo in Brasile abbiamo contattato Fernandes, che ci ha gentilmente risposto.
In questo momento in Brasile ci sono oltre 1 milione 300 contagi e più di 50 mila morti a causa del coronavirus. Ci sono delle zone o delle città più colpite delle altre?
“Sicuramente le aree più povere e i centri più densamente popolati sono i più colpiti. Gli Stati di San Paolo e Rio de Janeiro hanno il maggior numero di casi, concentrati principalmente nei quartieri periferici. Dopo di questi il numero maggiore di contagiati si registra negli Stati del Nordest e del Nord, che sono le regioni brasiliane più povere.”
Quanto influiscono sulla situazione le condizioni sociali e sanitarie in cui vive il Paese?
“I contagi sono avvenuti sia nei quartieri più ricchi che in quelli più poveri. Il primo caso è stato quello di uno che era stato in Italia come turista. I casi di contaminazione nativa si sono verificati nei quartieri periferici. In molti di questi quartieri ci sono problemi con i servizi igienico-sanitari di base e i residenti vivono con una costante mancanza di acqua. È una popolazione con molti disoccupati, il cui reddito era incentrato sui lavori di consegna oppure come conducenti di taxi on demand (Uber). Con la crisi pandemica, la situazione legata al reddito, che era già compromessa, è peggiorata molto. Anche l’assistenza medica pubblica è precaria e la raccomandazione è di andare in ospedale quando si ha difficol-à a respirare.”
Quali sono le misure che sono state prese per evitare i contagi (quarantena, mascherine, distanziamento sociale, ecc.)?
“A causa dell’incompetenza amministrativa da parte del presidente della Repubblica, che è arrivato al punto di affermare che il Covid-19 era solo un’influenza non importante, c’è stato una sorta di ‘braccio di ferro’ tra Stati, Comuni e Governo federale per vedere chi aveva il potere di sospendere il commercio. Bolsonaro, supportato da uomini d’affari, non voleva chiudere, ma molti governatori e sindaci, sensibili a ciò che stava accadendo in Paesi come l’Italia, hanno decretato rapidamente la chiusura del commercio. Attualmente alcuni Stati stanno limitando l’apertura dei negozi. Le aperture, nel mezzo della crisi, sono dovute alla crisi economica e alla necessità, per i più poveri, di tornare a lavorare.”
Quali pensi possano essere le conseguenze che avrà questa pandemia sull’economia in Brasile?
“Se pensiamo in termini di industria e commercio, saranno catastrofiche. La previsione è che il PIL diminuisca del 10,5% nel secondo trimestre. Nell’anno il calo previsto è del 6%. Non esiste un piano chiaro per riprendere la crescita. L’insieme delle misure per preservare il reddito e l’occupazione è insufficiente. Il tasso di disoccupazione dovrebbe raggiungere, alla fine dell’anno, il 16- 18%. Il settore che ha sofferto meno della crisi è l’agroindustria. Quest’anno il paese ha registrato un raccolto record e l’esportazione in Cina ci ha salvato ancora una volta. Se non ci sarà però una distribuzione del reddito, il Paese non riprenderà la sua crescita e il caos politico tenderà a peggiorare.”

28 giu 2020

Il Matajur

Quando sento la parola Matajur il mio cuore comincia a sussultare:mi ricorda il giornale Matajur diretto per 23 anni dai miei genitori e il Novi Matajur il suo successore.
Il Matajur (Matajûr in friulano, è una montagna delle Prealpi Giulie alta 1.641 m s.l.m. che si trova nella parte orientale del Friuli, sovrastando la città di Cividale.

Storia

Si ritiene che il Matajur fu scalato dal re longobardo Alboino quando, giunto in prossimità dell'Italia, lo risalì per ammirare le fertili pianure friulane che stava per invadere.
L'altura del Matajur, nel corso della prima guerra mondiale, fece parte dell'ultima linea di difesa italiana approntata dalla 2ª Armata per la protezione della pianura friulana in caso di sfondamento dei reparti combattenti nelle posizioni avanzate. Il monte passò alla storia in quanto, nel corso della battaglia di Caporetto, il tenente Rommel, il futuro feldmaresciallo, ne conquistò la cima.
Il 24 ottobre 1917, dopo un lungo bombardamento, il tenente Rommel, a capo di sei compagnie tedesche, lanciò una veloce offensiva, con la tattica dell'attacco a sorpresa, sul Colovrat e in breve tempo ne conquistò le cime. Invase quindi la vallata di Savogna ed attaccò il Matajur, difeso dalla Brigata Salerno.
Dopo 52 ore di marce sfibranti ed audaci combattimenti, ne conquistò la vetta facendo quasi 9000 prigionieri ed un enorme bottino di materiale bellico. L'avanzata del tenente Rommel fu uno dei più importanti episodi della battaglia di Caporetto perché fu determinante per la tragica ritirata italiana. Dal Matajur, Rommel proseguì, attraverso Longarone, la sua veloce avanzata fino al fiume Piave.

Toponimo


Le Prealpi Giulie con il Matajur

Il Matajur visto dalla Slovenia

Vista della pianura friulana dal Rifugio Pelizzo

Il monte Matajur visto da Cividale del Friuli

L'osservatorio del monte Matajur

Immagine della vecchia cappella del Matajur

Monte Matajur dai Colli Orientali del Friuli
Il toponimo Matajur compare negli scritti e sulla carte geografiche solamente nel secolo XVIII. Il nome ha origine da Mont Major (Monte Maggiore di Cividale) che, nel tempo, è mutato in Mot Major, Mat Major, Matajor e, infine, Matajur. La popolazione locale lo chiama anche (Velika) Baba, che sta ad indicare una vetta rocciosa isolata, o, solo dal XX secolo, Kalona con riferimento all'obelisco eretto a fianco della cappella del Cristo Redentore e distrutto, come indicato in seguito, nel corso della prima guerra mondiale.

Geografia

Il monte, nonostante la limitata altezza, è facilmente individuabile dalla pianura friulana per la sua caratteristica forma conica ed è il rilievo più rappresentativo ed il simbolo delle Valli del Natisone.
Il periodo di formazione del monte non è precisamente databile in quanto risulta composto, per lo più, da materiale sedimentario dei periodi compresi tra il giurassico ed il cretacico superiore]. Sondaggi effettuati sui versanti del monte hanno portato all'individuazione di tracce di oro con zinco, argento e mercurio nativo.
La salita al monte, che è rivestito fino alla vetta da boschi o prati, non presenta particolare difficoltà per la scarsa pendenza dei fianchi. Il modo più breve e semplice per raggiungere la vetta è quello di iniziare la salita partendo dal rifugio Guglielmo Pelizzo, che è raggiungibile in auto con una comoda strada asfaltata. Come alternativa si può partire dalla frazione di Mersino da dove mulattiere e sentieri, che attraversano boschi e prati dove crescono narcisi, crochi, fragole, lamponi e mirtilli, portano, in circa un'ora e mezzo e senza difficoltà, alla meta.
Sulla cima del monte spicca la chiesetta del Cristo Redentore, costruita sulle macerie della cappella inaugurata nel 1901 per ricordare i diciannove secoli dalla Redenzione e colpita prima da un fulmine e quindi distrutta dalle vicende belliche legate alla battaglia di Caporetto.
Dalla cima si può osservare un panorama che spazia dal Carso, all'Istria, alla laguna di Grado e alle cime del Canin, del Mangart, del Tricorno, del Monte Nero e delle Dolomiti. Nelle giornate particolarmente terse è visibile Venezia e si possono avvistare i Colli Euganei
Dai fianchi del monte sgorgano le acque delle sorgenti e dei torrentelli che ingrossano il fiume Natisone e, nella vallata di Savogna, le acque del torrente Alberone e dei suoi affluenti di destra.
Nel versante sud, nei pressi della fonte Skrila, da cui nasce l'Alberone, sono presenti delle interessanti conformazioni carsiche, i campi solcati, alla base dei quali ci sono delle brevi pareti (10–12 m) su cui è possibile arrampicare, una sorta di palestra di roccia naturale.
Nella zona del monte Matajur, ed in special modo nella valle di Savogna, sono presenti un numero notevole di cavità e di grotte tra le quali occorre ricordare la voragine di Cerconizza, la Ta Pot Čelan Jama, la Velika Jama, la grotta Klančina di Mersino Alto, la Sesna Jama di Mersino, la Casera Glava di Masseris e la grotta di Jeronizza.
La cima del monte è stata, fin da tempi remoti, terra di confine: dapprima con l'Austria, poi con la Jugoslavia e, oggigiorno, con la repubblica di Slovenia.
Ai piedi del versante settentrionale del Matajur scorre la Strada statale 54 del Friuli, che è la via di comunicazione più agevole tra l'Italia e la Slovenia per chi deve accedere al tratto medio dell'Isonzo.

Flora

Nella zona montagnosa del Matajur crescono circa 619 specie di piante vascolari; le sue pendici esercitano un grande interesse per gli studiosi della flora delle Prealpi italiane perché, per la sua posizione orografica tra la pianura friulana a la catena alpina retrostante, offre la presenza di una grande varietà (e anche qualche rarità) di piante.
Il monte è coperto da vegetazione fino sulla vetta dove crescono piante officinali quali l'assenzio.
Nelle quote più basse si possono trovare la stellina odorosa o asperula, il tarassaco, la valeriana, la campanula carnica, il geranio sanguigno, il geranio odoroso, l'aconito napello, la campanula thyrsoides thyrsoides e thyrsoides carnicola, la euonymus verrucosa o berretta del prete.
Salendo di quota, nel sottobosco si possono osservare l'anemone trifolia, la dentaria cardamine, la paris quadrifolia, l'aposseris foetida, la saxifraga rotundifolia.
Oltre al limite dell'estensione boschiva crescono la sexifraga petraea, l'aconitum angustifolium, la sedum roseum, la pulsatilla montana, il rododendro, il botton d'oro. In quota si possono trovare il narciso, l'asfodelo, la centaurea, il giglio arancione della Carnia o lilium carnicum, la genziana maggiore, la genziana minore.
Per quanto attiene le specie arboree, il lavoro dell'uomo ha favorito, nella parte inferiore del monte, la coltivazione di meliperi e castagni e, a quote superiori, la crescita di boschi di conifere e latifoglie.
Crescono spontaneamente, invece, macchie di faggi, di betulle, di maggiociondolo, di larici e ontani verdi.

Fauna

Sul Matajur è possibile osservare diversi animali selvatici; tra i mammiferi e gli uccelli maggiori sono comuni caprioli, cervi, lepri, volpi, cinghiali, corvi imperiali, poiane, galli forcelli e galli cedroni. Le marmotte erano state introdotte nelle rocce carsiche adiacenti alle malghe di Mersino, ma dopo alcuni anni sono scomparse. Sono inoltre di passaggio in alcune stagioni dell'anno grifoni e aquile. Ci sono stati anche rari avvistamenti diretti o indiretti (tracce, feci, carcasse ecc.) di orsi e di sciacalli dorati.
 continua qui https://it.wikipedia.org/wiki/Matajur

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