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Ombre nere sul parlamento, ma le due anime della destra già si sfidano


Ombre nere sul parlamento, ma le due anime della destra già si sfidano: Con l’elezione di Ignazio Benito Maria La Russa alla presidenza del Senato e quella odierna del leghista Lorenzo Fontana per la Camera, si è portata…

Un’operazione subita dalla stessa Forza Italia, il partito di un imbufalito Berlusconi, che sulla carta doveva essere la forza moderata in grado di arginare una coalizione con decisa trazione sovranista e che invece si è trovata messa fuori gioco dai 17 voti arrivati dai banchi delle opposizioni (in molti hanno puntato il dito verso il terzo polo di Renzi e Calenda, ma loro negano e lo scrutinio segreto rende impossibile appurare la verità).

La stessa elezione di Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera ha visto stamattina mancare all’appello 15 voti del centro-destra, con molta probabilità provenienti dai banchi di Forza Italia ma anche questa volta irrilevanti ai fini della sua elezione, dal momento che nel ramo basso del parlamento il tandem sovranista FDI-Lega gode di un’ampia maggioranza anche senza l’aiuto dei forzisti...https://www.sinistraineuropa.it/italia/ombre-nere-sul-parlamento-ma-le-due-anime-della-destra-gia-si-sfidano/


L'uomo che raccontava il basket

 Sergio Tavčar per TV Capodistria commentava le partite di pallacanestro del sabato dai pittoreschi palazzetti disseminati in tutta la Jugosavia. È ora nelle librerie il suo "L'uomo che raccontava il basket", edito da Bottega Errante Edizioni

22/09/2022 -  Stefano Lusa

Non è stata la fame a fare grande la nazionale di basket jugoslava, “pensare che un montenegrino (o affine) sgobbi di sua spontanea volontà è semplicemente improponibile”. Sergio Tavčar, voce storica di TV Capodistria, racconta un paese che non c’è più attraverso quella che lui considera probabilmente la sua più sublime espressione: la pallacanestro. Lo fa con l'ironia che lo contraddistingue e con un piglio che non ha nulla a che vedere con il politicamente corretto. Il libro è una riproposizione riveduta, corretta e ampliata di “La Jugoslavia, il basket e un telecronista”, pubblicato e distribuito in proprio nel 2015. Ora esce per Bottega Errante Edizioni  con il significativo titolo de “L’uomo che raccontava il basket”. Verrà presentato in anteprima questa sera, alle 18.30 alla Biblioteca comunale “Edoardo Guglia” di Muggia  .

Autore: Sergio Tavčar
Prefazione: Gigi Riva
Editore: Bottega Errante Edizioni
Collana: camera con vista

Un libro che ripercorre le vicende del campionato jugoslavo di pallacanestro e dei suoi tanti campioni, conosciuto anche tra gli appassionati di basket italiani, proprio grazie alle telecronache di Sergio Tavčar, che per TV Capodistria commentava le partite del sabato dai pittoreschi palazzetti dello sport disseminati nella federazione. Storie di squadre e soprattutto di campioni, per raccontare una scuola unica che ha rivoluzionato il gioco.

Per Tavčar i motivi del successo di quella nazionale stavano nel “fisico”, ovvero nei geni che regalano a quelle terre persone alte e coordinate; nel fatto che, soprattutto inizialmente, erano le élite intellettuali a praticarlo; nella propensione a far fare ai bambini, sin dalla scuola elementare, tanto sport e tanti sport diversi e nella fortuna che fosse gestito dai cestisti stessi. A spingere quella nazionale verso vette inimmaginabili non sarebbe stata quindi la fame e tanto meno la voglia di far fatica, ma il gusto di “nadmudrivati” (parola intraducibile in italiano) l’avversario, ovvero di imporsi dimostrando di essere più saggi e più astuti. Un mix vincente nato dalla mentalità balcanica e dalla passione per tutti i tipi di gioco, ma anche dall’amalgama di popoli con caratteristiche e propensioni tanto diverse tra loro. Una nazionale fatta di sloveni “tirchi, introversi, musoni, pessimisti”, ma che non si stancano mai di lavorare; di croati cosmopoliti, con una grande dignità nazionale “al limite del patriottismo da macchietta” e di serbi “oppressi da uno straordinario complesso di superiorità” che li porta “a non sentire alcun tipo di pressione psicologica nei momenti chiave”.

Una nazionale che diede medaglie europee, mondiali ed olimpiche al suo paese e che portò quella squadra ad un passo dal battere (o almeno dal giocarsela) il Dream team americano alle Olimpiadi di Barcellona. A quella partita la Jugoslavia non ci arrivò mai. Tutta la regione era precipitata nell’ennesima stagione di sanguinose guerre balcaniche. Le avvisaglie di quanto sarebbe accaduto cominciarono ad emergere anche nella pallacanestro già alcuni anni prima. Era il 1986 quando in Spagna, ai campionati del mondo, Tavčar si accorse che nella federazione stava succedendo qualcosa. Era appena arrivato a Madrid per seguire le fasi finali della manifestazione e con gli altri giornalisti jugoslavi si trasferì in autobus da Oviedo: “I serbi erano tutti seduti verso il fondo e chiacchieravano fra loro, i croati erano a destra, sloveni, bosniaci e macedoni a sinistra, io ed il collega del Kosovo, davanti, subito dietro al guidatore. E così per tutto il viaggio, con incomunicabilità totale fra i vari gruppi, incomunicabilità che non riuscivo a capire, visto che l’anno prima erano tutti grandi amici”.

Fu un mondiale disgraziato per la Jugoslavia, con l’accusa insabbiata di una hostess di essere stata violentata da tre giocatori jugoslavi e con la squadra che riuscì a perdere una semifinale dominata con l’Unione Sovietica dopo essere stata in vantaggio di nove punti a quarantasette secondi dalla fine. Quando Zoran Čutura segnò dall’angolo il canestro dell’85 a 76, Tavčar scattò in piedi e rivolse il tipico gesto ad ombrello al pubblico che stava facendo un tifo sfegatato per i sovietici. Venne ripagato alla fine della partita da una raffica di contro gestacci e grasse risate che continuano ad essere ancor oggi uno dei suoi incubi più ricorrenti.

In ogni modo rientrato da quei mondiali dalla Spagna a Zagabria, una volta passato il confine tra Croazia e Slovenia i due colleghi di Radio e TV Lubiana, che erano con lui “cominciarono a intonare a squarciagola un valzer del più famoso complesso pop-folk sloveno, quello dei fratelli Avsenik (…) Slovenija od kot lepote tvoje  (O Slovenia da dove provengono le tue bellezze), una specie di inno ufficioso che veniva obbligatoriamente intonato in ogni sagra di paese. Non contenti, alla fine cominciarono a discutere fra loro sull’altezza del muro che avrebbe dovuto essere costruito al confine per essere al riparo da brutte sorprese”. Tutto questo, dice Tavčar, tra due giornalisti, dove all’epoca difficilmente avrebbe potuto esserci posto per dei dissidenti. “Se loro due la pensavano così, immaginarsi gli altri”.

Quattro anni più tardi in Argentina, la Jugoslavia vinse, ma durante i festeggiamenti nel post-partita Vlade Divac strappò dalle mani dei tifosi una bandiera con la scacchiera croata. La Jugoslavia oramai stava andando a pezzi. L’ultimo campionato di basket jugoslavo si concluse con la vittoria spalatina della Jugoplastika che si impose sui belgradesi del Partizan. L’azione conclusiva della partita fu uno spettacolare contropiede di Toni Kukoč che andò a schiacciare dopo un giro di 360 gradi su se stesso. La spettacolare metaforica fine di un grande campionato che aveva insegnato il basket all’Europa e che aveva sviluppato una sua variante autarchica del gioco senza piegarsi alla scuola americana. Per Tavčar del resto “tutto il progresso tecnico, nel senso della reinterpretazione del basket secondo schemi mentali più consoni alle nostre genti, si svolse in Jugoslavia”.

La storia della pallacanestro jugoslava si concluse nel giugno del 1991, quando in Italia si disputarono gli europei. La squadra si impose senza troppi patemi, ma lo sloveno Jure Zdovc abbandonò la nazionale poco prima delle semifinali. Il suo paese aveva proclamato l’indipendenza ed i carri armati di Belgrado avevano cominciato a sferragliare per il paese. Troppo per difendere i colori della federazione in una competizione internazionale.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/L-uomo-che-raccontava-il-basket-220657

VIOLINI D'AUTUNNO

 


Singhiozzi lunghi
dai violini
dell’autunno
mordono il cuore
con monotono
languore.
Ecco ansimando
e smorto, quando
suona l’ora,
io mi ricordo
gli antichi giorni
e piango;
e me ne vado
nel vento ingrato
che mi porta
di qua e di là
come fa 

foglia morta.

Paul Verlaine

RICETTE CON LE CASTAGNE

 


CASTAGNACCIO

500 g di farina di marroni(o castagne lesse passate al setaccio)

Mettete tutto in una ciotola

Aggiungere  latte tiepido e formate un impasto morbido qb

Aggiungere mezzo bicchiere di olio evo,mescolare bene,aggiungere 50 g di pinoli o noci tritate,50 g di uvetta ammollata nell'acqua tiepida.

Amalgamare tutto e mettete su una teglia unta con olio.Aggiungere in superficie foglioline di rosmarino e poco olio evo.

Cuocere in forno a temperatura (150 160 C) per un'ora.

BUON APPETITO.



CROSTATA DI MARRONI E RICOTTA

500 g di marroni setacciati,a parte lavorate 200 g di icotta con 4 cuchiai di zucchero e un filo latte.

INCORPORATE

2 tuorli di uovo,

un bicchierino di rum,

150 g di marrrons glacès tritati grossolanamente e il passato di marroni.

Imburrate e infarinate uno stampo da crostata,rivestitelo con pasta frolla,stendete sopra il composto.,guarnitelo con le caldarroste e ripiegate i bordi formando un cordoncino da incidere leggermente con un coltello.

Cuocete in forno a 200* per 45 minut.

Servitela tiepida.

da Lintver.it

Lintver

Il castagno

 Il castagno europeo (Castanea sativa Mill., 1768), in Italia più comunemente chiamato castagno, è un albero appartenente alla famiglia Fagaceae[1]. Negli ultimi decenni è stato sovente introdotto, per motivi fitopatologici, il castagno giapponese (Castanea crenata). Le popolazioni presenti in Europa sono perciò principalmente riconducibili a semenzali di castagno europeo o a castagni europei innestati sul giapponese o a ibridi delle due specie

Importanza economica e diffusione

Il castagno è una delle più importanti essenze forestali dell'Europa meridionale, in quanto ha riscosso, fin dall'antichità, l'interesse dell'uomo per i molteplici utilizzi. Oltre all'interesse intrinseco sotto l'aspetto ecologico, questa specie è stata largamente coltivata, fino ad estenderne l'areale, per la produzione del legname e del frutto. Quest'ultimo, in passato, ha rappresentato un'importante risorsa alimentare per le popolazioni rurali degli ambienti forestali montani e, nelle zone più fresche prealpine, d'alta collina, in quanto erano utilizzate soprattutto per la produzione di farina di castagne.

L'importanza economica del castagno ha attualmente subito un drastico ridimensionamento: la coltura da frutto è oggi limitata alle cultivar di particolare pregio e anche la produzione del legname da opera si è marcatamente ridotta. Del tutto marginale, infine, è l'utilizzo delle castagne per la produzione della farina, che ha un impiego secondario nell'industria dolciaria.

Si ritiene che buona parte delle superfici forestali a castagno siano derivate da una rinaturalizzazione di antiche coltivazioni abbandonate nel tempo[2], mentre la coltivazione si è ridotta alle stazioni più favorevoli, dove è possibile ottenere le migliori caratteristiche merceologiche del cacumi, in particolare il legname[2].

Descrizione botanica

Tavola botanica.

Il castagno è una pianta arborea, con chioma espansa e rotondeggiante ed altezza variabile, dai 10 ai 30 metri. il castagno è una specie eliofilacaducifoglie e latifoglie. I castagni sono alberi molto longevi, possono diventare plurimillenari. La fioritura avviene a giugno e la fruttificazione a settembre-ottobre a seconda delle varietà.

In condizioni normali sviluppa un grosso fusto colonnare, con corteccia liscia, lucida, di colore grigio-brunastro. La corteccia dei rami è di colore bianco ed è cosparsa di lenticelle trasverse. Con il passare degli anni, generalmente dai quarant'anni in poi, la corteccia inizia a fessurarsi longitudinalmente a partire dal colletto.

Le foglie sono alterne, provviste di un breve picciolo e, alla base di questo, di due stipole oblunghe. La lamina è grande, lunga anche fino a 20-22 cm e larga fino a 10 cm, di forma lanceolata, acuminata all'apice e seghettata nel margine, con denti acuti e regolarmente dislocati. Le foglie giovani sono tomentose, ma a sviluppo completo sono glabre, lucide e di consistenza coriacea.

fiori sono unisessuali, presenti sulla stessa pianta. I fiori maschili sono riuniti in piccoli glomeruli a loro volta formanti amenti eretti, lunghi 5–15 cm, emessi all'ascella delle foglie. Ogni fiore è di colore biancastro, provvisto di un perigonio suddiviso in 6 lobi e un androceo di 6-15 stami. I fiori femminili sono isolati o riuniti in gruppi di 2-3. Ogni gruppo è avvolto da un involucro di brattee detto cupola.

Il frutto è un achenio, comunemente chiamato castagna, con pericarpo di consistenza cuoiosa e di colore marrone, glabro e lucido all'esterno, tomentoso all'interno. La forma è più o meno globosa, con un lato appiattito, detto pancia, e uno convesso, detto dorso. Il polo apicale termina in un piccolo prolungamento frangiato, detto torcia, mentre il polo prossimale, detto ilo, si presenta leggermente appiattito e di colore grigiastro. Questa zona di colore chiaro è comunemente detta cicatrice. Sul dorso sono presenti striature più o meno marcate, in particolare nelle varietà del gruppo dei marroni. Questi elementi morfologici sono importanti ai fini del riconoscimento varietale.

Gli acheni sono racchiusi, in numero di 1-3, all'interno di un involucro spinoso, comunemente chiamato riccio, derivato dall'accrescimento della cupola. A maturità, il riccio si apre dividendosi in quattro valve. Il seme è ricco di amido.

Esigenze ed adattamento

Corteccia del fusto.
Castanea sativa

Il castagno è una specie mesofila e moderatamente esigente in umidità[3][4]. Sopporta abbastanza bene i freddi invernali, subendo danni solo a temperature inferiori a -25 °C[3], ma diventa esigente durante la stagione vegetativa. Per questo motivo il castagno ha una ripresa vegetativa tardiva, con schiusura delle gemme in tarda primavera e fioritura all'inizio dell'estate. Al fine di completare il ciclo di fruttificazione, la buona stagione deve durare quasi 4 mesi. In generale tali condizioni si verificano nel piano montano (600–1300 m) delle regioni mediterranee o in alta collina più a nord. In condizioni di umidità favorevoli può essere coltivato anche nelle stazioni fresche del Lauretum, spingendosi perciò a quote più basse. Condizioni di moderata siccità estiva determinano un rallentamento dell'attività vegetativa nel mezzo della stagione e una fruttificazione irregolare[3]. Le nebbie persistenti e la piovosità eccessiva nei mesi di giugno e luglio ostacolano l'impollinazione incidendo negativamente sulla fruttificazione.

Nelle prime fasi tollera un moderato ombreggiamento, fatto, questo, che favorisce una buona rinnovazione nei boschi maturi, ma in fase di produzione manifesta una maggiore eliofilia.

Corteccia e lenticelle nei giovani getti.

A fronte delle moderate esigenze climatiche, il castagno presenta notevoli esigenze pedologiche, perciò la sua distribuzione è strettamente correlata alla geologia del territorio. Sotto l'aspetto chimico e nutritivo, la specie predilige i terreni ben dotati di potassio e fosforo e di humus. Le condizioni ottimali si verificano con pH di terreni neutri o moderatamente acidi; si adatta anche ad un'acidità più spinta, mentre rifugge in genere dai suoli basici, in quanto il calcare è moderatamente tollerato solo nei climi umidi[3]. Sotto l'aspetto granulometrico predilige i suoli sciolti o tendenzialmente sciolti, mentre non sono tollerati i suoli argillosi o, comunque, facilmente soggetti ai ristagni. In generale sono preferiti i suoli derivati da rocce vulcaniche (tufitrachitiandesiti, ecc.), ma vegeta bene anche nei suoli prettamente silicei derivati da granitiarenarie quarzose, ecc., purché sufficientemente dotati di humus. I suoli calcarei sono tollerati solo nelle stazioni più settentrionali, abbastanza piovose, mentre sono mal tollerate le marne.

«Per te i tuguri sentono il tumulto
or del paiolo che inquïeto oscilla;
per te la fiamma sotto quel singulto
crepita e brilla:

tu, pio castagno, solo tu, l'assai
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco, il buon di più, tu dai
alla sua prole;»

(Giovanni Pascoli, Il castagno)

da https://it.wikipedia.org/wiki/Castanea_sativa


Sette varietà uniche per il rilancio del castagno


Da un vecchio aticolo del Novi Matajur

Sono 7 i genotipi unici di piante di castagno individuati nelle valli del Natisone. Alberi e frutti che cioè, non sono stati (almeno finora) rilevati altrove. Questo il risultato “sorprendente” – così l’ha definito Michele Fabro dell’Ersa – della ricerca condotta dalla stessa agenzia regionale per lo sviluppo rurale in collaborazione con il dipartimento DISAFA dell’Università di Torino e presentata durante il convegno ‘La castanicoltura nelle valli del Natisone, sviluppi e prospettive’ tenutosi nella sala consiliare di Pulfero lo scorso 7 ottobre.

Nel corso della serata, organizzata dal comune di Pulfero con la collaborazione di Coldiretti e Associazione culturale e socio-assistenziale di Tarcetta, nell’ambito della seconda Festa del castagno gigante, oltre a Fabro sono intervenuti anche Andrea Maroè del servizio paesaggistico e biodiversità della Regione, Dario Ermacora, presidente regionale di Coldiretti, Mauro Pierigh, presidente dell’associazione Tarcetta, il sindaco di Pulfero Camillo Melissa, l’esperto locale Giovanni Coren e l’assessore regionale all’agricoltura Cristiano Shaurli. Moderatore il vicesindaco Mirko Clavora.
“Questa di oggi – ha affermato Shaurli – è una sorta di ultima chiamata per tutti: istituzioni, territorio e imprenditori del settore.” Ricerca, biodiversità e promozione delle peculiari produzioni locali devono diventare, secondo l’assessore regionale, “fattori economici su cui investire per il rilancio di questa zona.” Shaurli ha quindi auspicato che si proceda da subito con azioni concrete in grado di dare seguito ai lavori di ricerca, mettendo a frutto i fondi del Psr per la creazione di una filiera produttiva della castanicoltura e istituendo, al contempo, una rete di produttori locali.
Auspicio, quello di Shaurli, motivato dalle evidenze scientifiche emerse dalla ricerca dell’Ersa e dell’Università di Torino (la più attrezzata in Italia per lo studio della castanicoltura). Come ha illustrato Michele Fabro, l’analisi genetica realizzata nel 2017 su 38 piante della regione, la maggior parte delle quali nelle Valli del Natisone e, in particolare, intorno ai paesi di Spignon, Pegliano (Pulfero), San Leonardo e Raune (Stregna), ha individuato 16 varietà diverse di castagno, di cui – come detto in apertura – 7 che sono genotipi unici: Čjufa, Marujac, Bogatac, Curin, Ranac, Kobilcar-Zelenac, Ranac Rarski. In una prossima fase, ha detto Fabro, ci si propone di studiare la migliore vocazione possibile per i prodotti delle diverse piante. Se sia cioè preferibile destinarle al consumo diretto, alla produzione dolciaria o di farinacei, in modo da fornire precise indicazioni ai produttori.
La promozione del castagno come prodotto tipico delle valli del Natisone ha, da quest’anno, anche un ulteriore elemento di tutela e visibilità. Grazie alle novità legislative e al finanziamento della Regione, ha spiegato Maroè, i due castagni secolari di Pegliano (Pulfero) sono stati inseriti nel primo elenco che tutela gli alberi monumentali che, quindi, potranno essere gestiti (e tutelati nella loro integrità) con gli strumenti adeguati.
Anche Ermacora ha sottolineato come la biodiversità del castagno (ma anche di altri prodotti tipici quali le peculiari varietà di mele) siano da considerare come un’opportunità di rilancio per l’agricoltura delle valli del Natisone.
Necessario quindi, anche secondo il presidente di Coldiretti, procedere dall’analisi all’elaborazione di una strategia di intervento in grado di rilanciare il settore agricolo.

https://novimatajur.it/attualita/sette-varieta-uniche-per-il-rilancio-del-castagno.html

Il brodo di carne


 L’ormai dimenticato brodo e la guarnizione di quadrucci de Gries

di Roberto Zottar
Alla ricerca di cibi strani in via di estinzione, mi sono scordato di un piatto semplice una volta molto comune, il brodo, che la cucina casalinga moderna non ha più tempo di preparare. Trasversale per gusti e materie prime, è perfino presente nella Bibbia. L’angelo di Dio, infatti, disse: "Prendi la carne e le focacce azzime, mettile su questa pietra e versavi il brodo" (Gdc 6,29). Il calore del brodo è evocativo del calore familiare e nella tradizione contadina la prima cosa che una massaia faceva era quella di mettere una pentola d’acqua sul fuoco per prepararlo, prodotto essenziale della cucina e base per diverse zuppe. Preparare il brodo garantiva un nutrimento a basso prezzo, grazie all’utilizzo di verdure (cipolle, carote, sedano, prezzemolo), e ossi o tagli minori delle carni. L’odierna cucina frettolosa non ne permette l’elaborazione durante la settimana e lo relega forse solo alle feste importanti. Al brodo sono sempre stati riconosciuti sia piaceri gustativi che doti curative e nella Parigi del ‘700 esistevano dei locali pubblici che lo servivano e che montavano l’insegna “bouillons restaurant”, cioè ‘brodi ristoratori’. Col tempo la parola ‘bouillons’ si è persa e siamo quindi forse debitori al brodo per la nascita della parola ‘ristorante’.
Per ottenere un buon brodo occorre partire a freddo in modo che, bollendo, le carni rilascino i loro umori nell’acqua di cottura. La proporzione da rispettare è di almeno 300 g di carne per ogni litro d’acqua. Il brodo può essere di carne rossa e, a seconda dei tagli di carne usati, può risultare più o meno grasso, o di carni bianche, più leggero, come il brodo di pollo o di cappone. Sul Carso, quando al brodo di gallina si univa la carne di manzo, veniva chiamato “el brodo taià”, ed era un lusso per le occasioni familiari importanti. Al brodo, che le nostre nonne in assenza di frigorifero bollivano ogni giorno perché non inacidisse, si accompagnavano delle “guarnizioni”. Parlo cioè delle diverse paste che si aggiungevano, come tagliatelle di crepês, frittatine e gnocchetti vari. Oggi vi lascio la ricetta dei “quadrucci de Grieß”, anch’essi dimenticati. Per realizzarli mescolate 3 tuorli con 60 g di burro, 90 grammi di semolino e 90 g di grana. Aggiungete 3 albumi a neve e, volendo, del prezzemolo tritato. Fate riposare e cuocete per 10’ con del burro in padella, o al forno, allo spessore di mezzo centimetro. Raffreddate, tagliate a quadrotti e versate nel brodo. Portate al bollore, spegnete e fate riposare 10’ prima di servire.
Buon appetito!

da vita nei campi

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DAVID MARIA TUROLDO /NON ALTRO RIPARO

 

L'ABBAZIA DI SANT'EGIDIO A FONTANELLA - FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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Un fruscio di foglie


DAVID MARIA TUROLDO

NON ALTRO RIPARO

Mi resta ancora il silenzio
della chiesa sul monte
queste pietre in rapimento,
insanguinate nella notte
dalla lampada rossa.

Mia chiesa, o tomba
chiusa ancora
su più alto silenzio.
Questo invincibile silenzio,
quando neppure l'urlo ha un'eco:

che la terra sia sconvolta da vulcani,
che ogni casa vada in rovina,
purché sia un'altra terra!

Mia preghiera senza ascolto,
monosillabi a labbra chiuse:

appena un fruscio di foglie
ad autunno, cosi
le mie preghiere.

(da Il sesto Angelo, Mondadori, 1976)

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Ho pensato, pochi giorni fa, mentre salivo tra i boschi e i vigneti di Fontanella, il “buen retiro” nel Bergamasco di David Maria Turoldo, che in un luogo simile è più facile accostarsi al divino, leggere il tempo nelle pietre dell’antica abbazia romanica, porsi domande sul senso del vivere. Questi versi ben raffigurano la tensione spirituale di Turoldo, il suo continuo e tormentato dialogo di uomo con Dio – “teomachia” la definì Luciano Erba - mentre attorno turbinano le forze caotiche del mondo.

da Il canto delle sirene

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vignetta

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io sto con emergency

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