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2 ottobre festa dei nonni

 


La festa dei nonni è una ricorrenza civile diffusa in alcune aree del mondo, celebrata in onore della figura dei nonni e della loro influenza sociale. Tale ricorrenza non è festeggiata in tutto il mondo nello stesso giorno. In gran parte dei paesi l'evento è festeggiato nel mese di settembre o di ottobre.

In Italia la festa dei nonni ricorre il 2 ottobre, a norma della legge n. 159 del 31 luglio 2005.

Nella tradizione cattolica, i patroni dei nonni sono i santi Gioacchino e Anna, genitori di Maria e nonni di Gesù, che vengono celebrati il 26 luglio: proprio in relazione a tale ricorrenza, Papa Francesco ha stabilito che ogni quarta domenica di luglio si tenga in tutta la Chiesa la Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani[1].

Storia

La festa dei nonni è stata creata negli Stati Uniti nel 1978 durante la presidenza di Jimmy Carter su proposta di Marian McQuade, una casalinga della Virginia Occidentale, madre di quindici figli e nonna di quaranta nipoti. La McQuade incominciò a promuovere l'idea di una giornata nazionale dedicata ai nonni nel 1970, lavorando con gli anziani già dal 1956. Riteneva, infatti, come obiettivo fondamentale per l'educazione delle giovani generazioni, la relazione con i loro nonni.

Negli Stati Uniti la festa nazionale dei nonni (in ingleseNational Grandparents Day) viene celebrata ogni anno la prima domenica di settembre dopo il Labor Day.

Nel Regno Unito, introdotta nel 1990, dal 2008 viene celebrata la prima domenica di ottobre.

In Canada viene celebrata dal 1995 il 25 ottobre.

In Francia, i nonni e le nonne sono festeggiati ogni anno separatamente. La festa della nonna, già dal 1987, la prima domenica di marzo. Dal 2008 è stata introdotta la festa del nonno la prima domenica di ottobre.

In Estonia la festa dei nonni, introdotta nel 2010, viene celebrata la seconda domenica di settembre.

In Italia la festa dei nonni è stata istituita come ricorrenza civile per il giorno 2 ottobre di ogni anno con la legge n. 159 del 31 luglio 2005quale momento per celebrare l'importanza del ruolo svolto dai nonni all'interno delle famiglie e della società in generale.[2] La legge istituisce anche il «Premio nazionale del nonno e della nonna d'Italia», che il presidente della Repubblica assegna annualmente a dieci nonni, in base a una graduatoria compilata dall'apposita commissione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il compito di promuovere iniziative di valorizzazione del ruolo dei nonni, in occasione di tale data, spetta per legge a regioniprovince e comuni. La data del 2 ottobre coincide con il ricordo liturgico degli angeli custodi nel calendario dei Santi cattolico[3].

Fiore ufficiale della festa dei nonni



Il fiore ufficiale della festa dei nonni è il 
nontiscordardimé. Il suo nome scientifico è myosotis, una parola greca che significa "orecchie di topo", dalla forma della foglia. In Italia è presente in tutte le regioni con un numero variabile di specie.[4]

buon sabato

In comune di Lusevera in Alta Val Torre
foto di Guido Marchiol

 

PATATE VIOLA


 

Quest' anno mio marito ha seminato le patate viola.Possono fare impressione per il colore,ma vi dirò che sono ottime.

Patate viola che passione! Se le vedete al mercato non lasciatevele scappare! Scopri le proprietà del cosiddetto tubero “salva-salute”, le varietà (vitelotte, violette, turchesa e blu), ma anche le ricette per cucinarle al meglio e per valorizzarne i benefici

Tutti voi conoscete le patate bianche, gialle e probabilmente anche quelle rosse-arancioni ma sapete che esistono anche le patate viola? Scopriamo tutte le loro proprietà e come cucinarle al meglio.

Le patate viola fanno parte, come le più tradizionali patate, della famiglia delle Solanacee. Si tratta di una varietà antica di tubero che proviene dalle Ande peruviane ma che da tempo ormai si coltiva anche in altri paesi, tra cui Francia e Italia, e si sta riscoprendo non solo per il sapore e il colore particolare e accattivante (molto caro ai grandi chef) ma anche per le proprietà.

Sono patate che si caratterizzano non solo per il colore, ma anche per la forma allungata, le piccole dimensioni e la consistenza interna molto farinosa.

In realtà esistono diverse tipologie e varietà di patate di color violaceo o blu tra cui:

  • patate vitelotte dette anche patate nere
  • patate violette (che in realtà hanno la polpa gialla)
  • patata turchesa
  • patata blu
  • Le proprietà delle patate viola

    È proprio il caratteristico colore violaceo di queste patate a renderle particolarmente interessanti in quanto a proprietà e ad avergli fatto guadagnare il soprannome di patate “salva-salute”. Questi tuberi, infatti, sono particolarmente ricchi di antociani, sostanze dal potere antiossidante che ci proteggono dal rischio di cancro, ictus e malattie cardiache.

    In realtà gli antociani si trovano numerosi in tutta la frutta e la verdura delle tonalità di colori che vanno dal viola al blu ad esempio i mirtilli, considerate però che le patate viola ne contengono di più (è stato stimato che questi tuberi contengano circa 150 mg di antiossidanti per 100 gr a crudo).

    Tra l’altro il pigmento presente nella patata viola potrebbe aiutare nella prevenzione dei tumori.

    Questi tuberi contengono poi molto potassio, altri minerali, e vitamine (in particolare la vitamina C).

    Ricapitolando le patate viola sono:

    • antiossidanti
    • ricche di sali minerali e vitamine
    • riducono il rischio di malattie cardiache
    • hanno azione preventiva nei confronti dei tumori
    patate viola tagliere

    Patate viola, valori nutrizionali

    Le patate viola contengono buone quantità di carboidrati complessi, proteine, fibre, vitamine e sali minerali, tra quest’ultimi rilevante soprattutto la presenza di potassio. Per quanto riguarda le vitamine, la più presente è la vitamina C.

  • da https://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/patate-viola-proprieta-ricette/

OTTOBRE


 

Quella voglia di castagne e cose semplici. E l’aria fredda di autunno che ripulisce il cielo e spinge avanti le preoccupazioni. E tu senti che questa stagione ha molte cose da dirti.
(Fabrizio Caramagna)

RAI1 TG1 H.20:00 - Morti bianche la strage sul lavoro - (29-09-2021)

Pian pianino usciremo dal Covid-19


 

Corso di sloveno per adulti a Udine

 

Corso di sloveno per adulti a Udine

V ponedeljek, 11. oktobra, ob 18.30. bo stekel brezpalčni tečaj slovenskega jezika za odrasle v Vidnu. Odvijal se bo sred mesta v prostorih župnije svetega Kvirina (ulica Cicogna 5). Združenje Blankin, ki je organizator tečaja, vabi vse, ki jih pobuda zanima, da se prijavijo na elektronski naslov blankin@dom.it ali pokličejo na telefonsko številko 0432732500 (od ponedeljka do petka med 8.30 in 12.30). Tečaj bo potekal do konca maja ob ponedeljkih med 20. in 22. uro. Za dodatne informacije je na razpolago Rino Laurencig, mobilni +39 3387409132, elektronska pošta laurencig@alice.it.

Conoscere la cultura, la storia, le tradizioni slovene, l’ambiente e la vita quotidiana come elemento di valore interculturale. Scoprire gli innumerevoli punti di contatto con le nostre radici storiche. Il tutto con l’opportuno supporto linguistico dello sloveno, che è anche una delle lingue minoritarie del Friuli Venezia Giulia. Inizierà a Udine lunedì, 11 ottobre, alle 18.30, nella Casa della gioventù della parrocchia di San Quirino (ingresso da via Cicogna 5) il corso di lingua e cultura slovena per adulti organizzato dall’ associazione don Eugenio Blanchini. Per le adesioni gli interessati possono rivolgersi all’indirizzo di posta elettronica blanchini@dom.it o telefonare al 0432732500 (dal lunedì al venerdì tra le 8.30 e le 12.30). La partecipazione è gratuita. Per ulteriori informazioni si può contattare Rino Laurencig (+39 3387409132 – laurencig@ alice.it)

https://www.dom.it/tecaj-slovenscine-za-odrsale-v-vidnu_corso-di-sloveno-per-adulti-a-udine/


Šelinka, una tradizionale e antica minestra … afrodisiaca di Roberto Zottar

 


Diffuso in tutto il Mediterraneo, da secoli il sedano è utilizzato sia come pianta medicinale sia in cucina e le varietà più impiegate sono il “sedano da costa”, l’Apium graveolens dulce, di cui si utilizzano i piccioli fogliari lunghi e carnosi, e il “sedano rapa” o sedano di Verona o Apium graveolens rapaceum, di cui si consuma la radice rotonda a polpa bianca. Un tempo si riteneva che il sedano avesse ‘mille’ proprietà ed era apprezzato per il suo intenso aroma che ne ha determinato anche la denominazione scientifica di graveolens, “molto odoroso”. Un antico proverbio recita “Se il contadino sapesse il valore del sedano, allora ne riempirebbe tutto il giardino”. La radice e il succo del sedano, per le proprietà digestive, stimolanti e antireumatiche, figuravano tra i rimedi dell’antica farmacopea. Ippocrate affermava: “Per i nervi sconvolti, il sedano sia il vostro alimento e rimedio”. Achille nell’Odissea lo usa per far guarire il suo cavallo gravemente malato. Selinunte, antica città greca in Sicilia, deve il suo nome di Selinus al sedano selvatico presente nella sua piana e poi anche sull’immagine delle sue monete. Nel Medioevo la badessa e Santa Ildegarda di Bingen lo considerava una panacea contro ogni male, afrodisiaco per eccitare i sensi e allontanare la malinconia. Le sue qualità afrodisiache erano ricordate anche da Michele Savonarola che metteva in guardia le donne caste dal mangiarlo. Nel ‘700 in Francia divenne di gran moda come stimolante erotico, crudo o cotto in un potage cremoso ideato da Madame de Pompadur contro la sua frigidità e per sensibilizzare i sensi. All’inizio dell’Ottocento il famoso gastronomo Grimod de la Reynière scriveva: “Pur perdendo, quando è cotto, una parte delle sue qualità, non si può tuttavia nascondere che il sedano sia una pianta ricca di aromi: corroborante, stimolante, eccitante e di conseguenza fortemente afrodisiaca”. Sarà forse per questo che i conigli ne sono ghiotti?

Per la ricetta che vi oggi propongo quindi è una tradizionale minestra a base di sedano, la sope di sèlino o Šelinka, da ‘šelin’ – ‘sedano’ in Sloveno. Questo minestrone è presente, con ricette anche molto diverse tra loro, nelle Valli del Vipacco, del Natisone, sul Carso e sul Collio. Per realizzarla, secondo una nota Trattoria di San Michele del Carso, ammollate 250 g di fagioli secchi e sbollentate un osso di prosciutto crudo a pezzi. In un pentolone mettete 2 kg di patate, sbucciate e a tocchetti, ½ kg di sedano in foglie, i fagioli e l’osso, una crosta di formaggio, sale e peperoncino. Coprite d’acqua e fate cuocere per almeno 6 ore.
Buon Appetito!



Prosecco e Prošek, di cosa stiamo parlando?

 

© Lenti Hill/Shutterstock

Prosecco e Prošek sono due vini molto differenti con una storia però in comune. Ed alla luce di questo il trambusto mediatico e politico, seguito all'intenzione dell'Ue di dare protezione di prodotto tradizionale al vino croato, rischia d'essere pretestuoso

17/09/2021 -  Giovanni Vale Zagabria

A giudicare dai fiumi di inchiostro sui giornali e dalle dichiarazioni martellanti alla televisione, il tema della settimana, per quanto riguarda i Balcani, non è stata l’ultima visita di Angela Merkel nella regione e il relativo bilancio quasi ventennale, né la legge sul cirillico approvata mercoledì a Belgrado e a Banja Luka, e tantomeno l’aggravarsi della situazione epidemiologica, ma lo scontro – tanto roboante quanto poco credibile – tra il Prosecco e il Prošek. Sul tema sono intervenuti tutti, ministri e sindaci, editorialisti ed eurodeputati, produttori ed associazioni di categoria. La stampa ha parlato della «levata di scudi» e delle «barricate» promesse dai politici e soprattutto della decisione «vergognosa» e «folle» della Commissione europea, anche se alla fine è emerso che quella decisione non è ancora stata presa.

Di cosa stiamo parlando? Cos’è il Prošek e cosa sta succedendo in Croazia? Un elemento che è mancato, in questa settimana di subbuglio mediatico, è infatti la spiegazione di cosa sia quel vino croato che «minaccia» il Prosecco. Si è detto che ha un nome simile a quello dello spumante e che è un chiaro esempio di «Italian sounding» – quel fenomeno che consiste nel dare ad un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze (visive e terminologiche) di un prodotto italiano per venderlo con più facilità – ma si è spesso taciuto sul fatto che il Prošek non è in realtà uno spumante che vuole rivaleggiare col Prosecco e che la storia dei due vini è molto intrecciata.

Una storia intrecciata

Siamo a fine Cinquecento, la Repubblica di Venezia vive il suo momento di massimo splendore. Tra i vini che vanno più di moda c’è anche il Prosecco, un vino liquoroso, che si beve sia in accompagnamento a piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco (la traduzione italiana del toponimo sloveno Prosek, che significa «zona disboscata»), che si trova vicino a Trieste e che oggi fa parte del comune. La Serenissima controlla allora la Dalmazia e il Prosecco viaggia raggiungendo anche quelle terre. Vi è menzionato per la prima volta, in forma scritta, nel 1774, quando l’abate padovano Alberto Fortis lo menziona nel suo celebre «Viaggio in Dalmazia», dopo averlo provato nei dintorni di Almissa (oggi Omiš, a sud di Spalato). Bisogna aspettare ancora qualche decennio perché appaia anche la traduzione croata del nome, ovvero Prošek, menzionato per la prima volta nel 1867.

Fino a qui, il Prosecco di cui parliamo è quasi un liquore, una sorta di vin santo. La moda dell’epoca è d’altra parte questa: i vini devono poter viaggiare per molte settimane per mare e l’alta gradazione permette loro di sopravvivere al viaggio. Basti pensare alla Malvasia, che deve il suo nome alla località greca di Monemvasia (allora un hub commerciale di primo piano, soprattutto per i vini detti «viaggiati»): anch’essa era nel Rinascimento un vino liquoroso e non il bianco fermo o frizzante che conosciamo oggi. Quando avviene allora la trasformazione del Prosecco in spumante?

"Nel 1821 un viticultore francese fa a Trieste l’esperimento della spumantizzazione del Prosecco", racconta lo storico Fulvio Colombo, autore di numerosi libri sul tema. "In città c’è una nutrita comunità francese che conosce la tradizione dello Champagne e la moda è cambiata: il mercato chiede altri vini, meno dolci e più effervescenti". Ad inizio Ottocento, dunque, nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Cosa succede al Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek? «"Rimane un vino dolce, non “evolve”, diciamo, in spumante»", risponde Colombo, secondo cui "il Prošek è una sorta di fossile enologico".

Il punto di vista croato

Oltre Adriatico, il Prošek è un vino di nicchia, che compare in alcune ricette (ad esempio in quella della pašticada, altro ponte tra il Veneto e la Dalmazia) e che si beve raramente. "È una di quelle che cose che si tengono sempre in casa – Spiega Leo Gracin, il presidente del Consorzio del vino della Dalmazia – Lo si produce e lo si mette da parte quando nasce un figlio, per berlo al suo diciottesimo compleanno, lo si sorseggia quando si è ammalati, lo si usa per cucinare…". Ambrato e dolce, il Prošek è prodotto lasciando appassire i grappoli sui rami oltre il periodo di maturazione. Ha dunque delle rese molto basse e tempi lunghi ed è infatti prodotto in poche migliaia di bottiglie ogni anno. A titolo di paragone, il Prosecco ha venduto nel 2020 più di 500 milioni di bottiglie in tutto il mondo. Inutile dire che le esportazione del Prošek sono pari a zero.

Leo Gracin è accomodante e assicura che "con i produttori di Prosecco troveremo un accordo", dato che "gli italiani sono i nostri vicini di casa", ma gli esponenti politici croati sono più fermi. Per Tonino Picula, eurodeputato del Partito socialdemocratico, "la protezione dei prodotti tradizionali è una procedura comune e standardizzata avviata prima a livello nazionale e poi a livello dell'Unione […] non si tratta di un processo insolito". E la Croazia ha avviato quel processo (già nel 2013) anche per il Prošek, perché «"consente ai produttori di tutelare la proprietà intellettuale, la qualità e la reputazione [del prodotto], difendendosi dalle imitazioni. Inoltre, consente di ottenere prezzi migliori".

E se i consumatori dovessero confondersi in futuro tra Prosecco e Prošek? "Sono convinto che non ci sia spazio per la confusione. Il Prošek è un vino da dessert tradizionale che viene prodotto nella Dalmazia centrale e meridionale dalle uve appassite delle nostre varietà tradizionali bogdanuša, maraština e vugava. Non ha alcun legame nel gusto, nei tipi di uva o nella tecnologia di produzione con il Prosecco italiano", risponde Picula. Dello stesso avviso anche l’eurodeputato istriano Valter Flego, che spiega "come abbiamo protetto il nostro olio d’oliva, il Teran istriano e il prosciutto, così vogliamo fare per il Prošek". E aggiunge, battagliero: "Abbiamo vinto sul Teran e credo che il risultato sarà lo stesso anche questa volta".

Tutto da rifare

Mentre già si scaldano le cartelle degli avvocati, la polemica sul Prosecco si è però sgonfiata a pochi giorni dal suo inizio, entrando, almeno per il momento, in stand-by. Giovedì, la Commissione europea è infatti intervenuta per calmare un po’ gli animi e raddrizzare il tiro. "Non abbiamo ancora autorizzato il Prošek. Aspetteremo le vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche", ha detto il Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski in trasferta a Firenze.

"Non c'è ancora la parola fine", anche se dalle analisi dell’esecutivo europeo "è emerso che non ci sono motivi per rifiutare la richiesta croata". Una cosa però è ammettere la domanda, l’altra è rispondere nel merito della menzione tradizionale che andrebbe introdotta. "Ho ascoltato molte considerazioni da parte dell'Italia, del ministro [dell’Agricoltura, ndr.] Patuanelli e delle Regioni. La questione del Prosecco è molto specifica e seria. Considererò in modo molto serio le obiezioni dell'Italia", ha concluso Wojciechowski.

Lo scontro, insomma, è per il momento rimandato.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Prosecco-e-Prosek-di-cosa-stiamo-parlando-212961

La fontana di Diego


                                                           Villanova delle Grotte/Zavarh

Alta Val Torre

Così si è spostato il confine

 



Il museo contemporaneo SMO (Slovensko multimedialno okno) di San Pietro al Natisone presenta al pubblico una nuova installazione scultorea che si aggiunge alla collezione di opere interattive permanenti. E' stata inaugurata il 17 luglio,. Meja, confine, è una video installazione tridimensionale di grandi dimensioni (circa 4 mq ) che mostra la trasformazione nel tempo, dal VI sec ad oggi, del confine orientale d’Italia. L’installazione è stata realizzata dallo studio italo-spagnolo Out Of Format. L’ideazione e il coordinamento del progetto è di Donatella Ruttar, la ricerca storica di Giorgio Banchig, mentre il tecnico elettronico multimediale è Valerio Bergnach.

https://www.dom.it/tako-so-pri-nas-premikali-mejo_cosi-si-e-spostato-il-confine/

OMBRE DI PIERLUIGI CAPPELLO

 


Ombre

Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno
l’ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l’Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un’Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l’ombra dall’ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l’altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all’alto, seguendo una salita.

 

Azzurro elementare. Poesie 1992-2010 (BUR Rizzoli, 2013)

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