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26 giu 2021

San Giovanni d'Antro apre la stagione delle visite

 

La celebrazione prevede oltre alla Santa messa l'usanza dei fuochi, che simboleggiano l'inizio della nuova stagione

San Giovanni d'Antro apre la stagione delle visite

"La chiesa-grotta di San Giovanni d'Antro è un luogo meraviglioso, una perla che le Valli del Natisone e il Friuli Venezia Giulia sono in grado di offrire ai visitatori: grazie a PromoTurismoFVG ora si sta facendo sistema per far conoscere al mondo queste bellezze". Lo ha commentato l'assessore regionale alle Attività produttive e Turismo Sergio Emidio Bini all'inaugurazione della stagione di visite al sito che da anni suggestiona studiosi e turisti per la sua bellezza e per i molti enigmi legati alla sua iconografia.

"È un vero paradiso questo luogo, con una potenzialità turistica enorme: fin dal mio insediamento - ha ricordato Bini - ho preteso che PromoTurismoFVG mettesse a sistema le bellezze delle Valli del Natisone e i numeri che abbiamo registrato prima che la pandemia dilagasse ci hanno dato ragione. Il mese di giugno sta già configurando un successo di arrivi nella nostra regione e sono certo che anche questo territorio darà grandi risultati. Da parte dell'Amministrazione regionale c'è il massimo impegno per la sua promozione".

La celebrazione in occasione di San Giovanni prevede oltre alla Santa messa l'usanza dei fuochi - kries, nella parlata locale - che simboleggiano l'inizio della nuova stagione: i più famosi - quest'anno verranno organizzati in forma ridotta - sono quelli di Antro e Tribil.

Nell'occasione dell'inaugurazione il presidente dell'associazione "Tarcetta" Mauro Pierigh ha reso noto che le visite alla grotta saranno disponibili in tutti i fine settimana di luglio e, da agosto, tutti i giorni dalle 10 alle 18. I visitatori paganti nel 2019 sono stati 7000 e l'obiettivo è quello di arrivare a 15.000 all'anno. "In previsione - ha reso noto Pierigh - vi è il desiderio di accogliere le scuole nella sala polifunzionale di Tarcetta".

Grazie al positivo esito dell'ultimo bando sul turismo sono stati finanziati alcuni video promozionali del territorio, tra i quali uno dedicato all'antro, ma restano ancora da realizzare alcuni progetti per rendere più attrattivo il sito: c'è la necessità di creare audioguide, rifare la tabellonistica con le informazioni e realizzare un sito multilingue. Inoltre resta ancora da finanziare un progetto presentato nel 2015 dal Comune di Pulfero per un nuovo impianto elettrico.

Dopo la messa sono intervenuti, tra gli altri, il sindaco di Pulfero Camillo Melissa, il presidente della Comunità di montagna del Natisone e Torre Mauro Steccati, i consiglieri regionali Giuseppe Sibau e Elia Miani, l'onorevole Roberto Novelli.

Giovanni Coren, accompagnatore del sito, ha tratteggiato le peculiarità della chiesa-grotta dal punto di vista storico artistico: all'ingresso appare sulla parete rocciosa un volto di Cristo che richiama la Sacra Sindone e sulla cui origine sono state proposte molte ipotesi, evocando anche possibili presenze di Templari, confortate da lacerti di affreschi con simboli tipici degli ordini cavallereschi, come croci a bracci eguali e un fiore della vita a sei petali, iscritti in un cerchio.

Sulla parete absidale della cappella sono emersi brani di un intonaco arcaico con una scritta misteriosa in lingua greca e rudimentali rappresentazioni di "ruote cigliate" (o soli) e di palme (o forse felci), d'incerta interpretazione, probabilmente dipinti tra VII e VIII secolo in un momento storico ai confini tra paganesimo e cristianesimo e in una terra inquieta attraversata da longobardi, slavi e tanti altri popoli.

Il luogo ha ispirato antiche leggende, come quelle della Regina Vida, forse Rosamunda o la mitica Teodolinda, rifugiatasi dagli assalti di Attila in quest'impervio sito, entrato a far parte della mitologia locale con il nome di "Fortezza degli Slavi".

"Mai così tanta attenzione per questi luoghi come dal 2018 a oggi". Parola del consigliere regionale Giuseppe Sibau (Autonomia responsabile), presente nella serata di giovedì all'inaugurazione della stagione turistica della chiesa-grotta di San Giovanni d'Antro, in territorio comunale di Pulfero. Lo riporta una nota del gruppo consiliare Progetto Fvg/Ar. "Questo è un luogo suggestivo e meraviglioso, vera e propria perla delle Valli del Natisone, un territorio fino al 2018 abbandonato sotto l'aspetto della promozione e degli investimenti turistici, nonostante i continui solleciti rivolti a PromoTurismo. Dal 2018 a oggi c'è stato un cambio di tendenza - ha sottolineato il consigliere Sibau durante il suo intervento - caratterizzato dall'attenzione e dalle risorse che la Regione Fvg anche attraverso la stessa PromoTurismo, sta destinando al territorio delle Valli. Un'attenzione che, sono sicuro, questa amministrazione regionale continuerà a mantenere".

Con l'inaugurazione di giovedì si è quindi aperta ufficialmente la stagione delle visite alla chiesa-grotta le cui peculiarità storico artistiche sono state presentate dalla guida che accompagna le escursioni alla scoperta del sito, a cominciare dal volto di Cristo presente su una delle pareti di roccia all'ingresso della grotta, sulle cui origini ci sono diverse tesi, e proseguendo con i frammenti di affreschi risalenti all'epoca degli ordini cavallereschi e con la misteriosa scritta in lingua greca presente sulla parete dell'abside.

https://www.ilfriuli.it/articolo/viaggi/san-giovanni-d-antro-apre-la-stagione-delle-visite/11/244885

    BUONA GIORNATA

     

    GRADO foto di Jurij Paljk

    25 giu 2021

    I 30 anni della Slovenia

    L’innalzamento della nuova bandiera davanti al parlamento di Lubiana il 26 giugno 1991

     Per l’indipendenza della Slovenia, proclamata il 25 giugno di trent’anni fa e riconosciuta dalla comunità internazionale all’inizio dell’anno successivo, oltre alla vittoriosa difesa della volontà popolare contro l’armata jugoslava, furono determinanti gli appoggi di alcune potenze europee. La politica europea e mondiale era in gran parte ostile allo smembramento della Jugoslavia e nutriva forti simpatie nei confronti della Serbia.

    In questo quadro, la Slovenia ebbe la fortuna di avere alla guida del proprio Governo un democristiano, Lojze Peterle, molto stimato in Germania, in Italia – due delle principali potenze europee, allora entrambe a guida democratico cristiana. E questo fece la differenza, portando anche al superamento delle diffidenze per il fatto che il presidente sloveno, Milan Kučan, tra l’altro illustre sconosciuto fuori dalla Jugoslavia, fosse l’ultimo leader del Partito comunista.

    Anche l’Italia era ufficialmente contraria all’indipendenza della Slovenia, tanto che il ministro degli Esteri, il socialista Gianni De Michelis, ammonì Lubiana che il nuovo Stato non sarebbe stato riconosciuto nemmeno in cent’anni. Eppure, dopo nemmeno sei mesi il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si recò a Lubiana a consegnare di persona il riconoscimento ufficiale della vicina Repubblica come Stato indipendente e sovrano.

    Nel repentino cambio di rotta ebbero un ruolo determinante le Regioni Friuli Venezia Giulia – presidente Adriano Biasutti – e Veneto, ma soprattutto Carlo Bernini, leader della componente Dorotea nella Dc e ministro dei Trasporti nel settimo Governo di Giulio Andreotti.

    Nell’impegno di Bernini, morto nel 2011 all’età di 74 anni, nei confronti della Slovenia, c’è il non trascurabile fatto che suo stretto collaboratore al ministero fosse il beneciano Armando Noacco, all’epoca sindaco di Taipana.

    A trent’anni di distanza, il segretario particolare di Bernini, Mario Po’, ci ha rivelato importanti retroscena. «Già da presidente della Regione Veneto, Bernini aveva promosso l’adesione della Slovenia (ancora parte della Federazione della Jugoslavia) alla Comunità di lavoro Alpe Adria a cui partecipavano entità substatali italiane, austriache, tedesche, ungheresi, svizzere e jugoslave, cooperando su vari temi. Ciò avvenne dieci anni prima dell’indipendenza slovena ed era il modo allora possibile per affermare la piena appartenenza della Slovenia alla storia, alla cultura, alla società europea», scrive Po’.

    «Questa esperienza – prosegue – non era sempre ben vista dai governi centrali, che la consideravano un’ingerenza negli affari interni o, in Italia, un rischioso scavalcamento delle prerogative e compatibilità statali. Per questo Bernini riuscì sempre a guadagnare tutto lo spazio possibile a favore della collaborazione regionale con la Slovenia, senza creare vere situazioni di crisi con i governi. Il coinvolgimento della Slovenia ricevette un impulso paneuropeo con la partecipazione all’Assemblea delle Regioni d’Europa, sotto la presidenza di Bernini, anche quando egli assunse l’incarico di ministro italiano dei Trasporti nel 1989 (anno cruciale per la caduta della “Cortina di ferro”). Questa priorità politica era stata posta del resto da Bernini nel corso dei Vertici a Venezia e Vienna della CSCE-Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa già nel 1987-1988».

    Bitka pri goriškem mejnem prehodu Rožna dolina-Casa Rossa 28. junija 1991/Battaglia presso il valico goriziano Rožna dolina-Casa Rossa il 28 giugno 1991

    Po’ ricorda che nel corso di un summit dei maggiori esponenti italiani della Dc, tenutosi a Padova il 10/11 febbraio 1990 (prima delle libere elezioni in Slovenia, ndr) il ministro Bernini dichiarò «la necessità di un più avanzato impegno politico dell’Europa occidentale verso la Slovenia, innalzando il profilo istituzionale della collaborazione». Questa dichiarazione, secondo il segretario del ministro, «segnò un punto di svolta nei rapporti tra l’Unione Europea e la Slovenia. A questo summit erano presenti, su invito di Bernini, l’allora giovane segretario della Dc slovena Lojze Peterle, poi diventato primo ministro, e l’arcivescovo di Lubiana, mons. Alojzij Šuštar».

    Quindi Po’ rivela un fatto poco noto: «Nei giorni del distacco della Slovenia dalla Jugoslavia, giugno 1991, il ministro Bernini decise di lasciare Roma per andare in Slovenia in auto per fare un atto di protezione (concordato con il ministero degli Esteri italiano) della nuova entità statuale che stava nascendo. Non riuscì a raggiungere Lubiana, perché bloccato da una sparatoria subito dopo il confine italiano. Ne sono testimone personale, avendo seguito i fatti in diretta telefonica dal mio ufficio presso il Gabinetto del ministro a Roma».

    Infine, «nelle settimane antecedenti il riconoscimento diplomatico della Repubblica di Slovenia, avvenuto dai Paesi della Comunità Europea il 15 gennaio 1992, il ministro Bernini coltivava frequenti contatti con un esponente sloveno (di cui non posso rivelare il nome) che rappresentava il nuovo governo sloveno presso la Santa Sede (che per decisione di Giovanni Paolo II aveva già riconosciuto la nuova Repubblica). Più volte il ministro mi incaricava di portare messaggi politici al predetto esponente nel suo ufficio a Roma in via della Conciliazione. Tutto ciò era finalizzato ad aiutare la Slovenia nelle fasi iniziali della sua esistenza politica».

    Po’ conclude sottolineando di poter riferire nella sua nota solo «fatti privi di segreto di Stato».

    Per saperne di più sui fatti di 30 anni fa bisognerà, dunque, attendere ancora. (Ezio Gosgnach)

    https://www.dom.it/30-let-za-slovenijo_i-30-anni-della-slovenia/

    AUGURI SLOVENIA

     


    A Moggio per un programma comune

     

    mons.Lorenzo Caucig



    Dopo molti rinvii, dovuti al perdurare della situazione pandemica, lunedi, 7 giugno, nella Casa San Carlo di Moggio Alto si è riunito, per la prima volta, il Consiglio pastorale di Collaborazione di Moggio Udinese, del quale fanno parte le parrocchie di Pontebba, Dogna, Chiusaforte, Resia, Resiutta e Moggio, che ha sostituito il precedente Consiglio pastorale foraniale.

    Come molte altre realtà dell’Arcidiocesi di Udine anche la popolazione del Canal del Ferro vive oggi in una situazioneterritoriale molto diversa da quella vissuta solo una quarantina di anni fa, quando ancora il declino demografico era visto e vissuto solo come una questione di calo della popolazione. Oggi, purtroppo molto tardi, ci si accorge che questo è soprattuttoun problema di squilibri tra generazioni, che comporta gravi implicazioni soprattuttoeconomiche e sociali. Tra gli strumenti, messi in campo dalla società civile negli ultimi anni per mitigare gli effetti prodotti da questa crisi sociale, vi è quella delriordino delle istituzioni

    esistenti, cercando di renderle più efficaci nell’operare a favore del prossimo. Anche per questo motivo, ma non solo, l’Arcivescovo di Udine nel 2018 ha promulgato il documento «Siamo una cosa sola perché il mondo creda – Nuove opportunità per l’azione missionaria della Chiesa sul territorio friulano. Le Collaborazioni pastorali».

    Le Collaborazioni pastorali sono una forma stabile di collaborazione tra parrocchie, chiamate a far maturare, nel contestoecclesiale e socio- culturale, la loro identità e missione di comunità cristiane mediante un cammino condiviso e coordinato. L’obiettivo da raggiungere è che le singole parrocchie mettano in comune atteggiamenti di dono reciproco, laricchezza di persone, tradizioni, spiritualitàe strutture di cui dispongono. Ciò permetterà ad esse di trovare nuova linfaper esprimere la propria vitalità spirituale ed energie nuove per attuare l’azione pastorale. Durante l’incontro, in cui si è presa coscienza delle forze a disposizione edel campo in cui operare

    i prossimi cinque anni, sono stati eletti Sandro Quaglia in qualità di direttore, al quale è stato chiesto di occuparsi anche degli ambiti di cultura e comunicazione, Cristina Savoia quale segretaria ed i vari referenti d’ambito del progetto pastorale: catechesi, liturgia, carità, famiglia, giovani e amministrazione. A conclusione dell’incontro, il parroco coordinatore, mons. Lorenzo Caucig, abate di Moggio ed originario di Iainich/ Jagnjed, ha voluto ringraziare tutti i presenti per l’impegno che si sono assunti a favore della comunità cristiana locale.<

    https://www.dom.it/v-moznici-za-skupni-program_a-moggio-per-un-programma-comune/?fbclid=IwAR1LDY8eiVTGOKqJUPD0dJQDWtlUSCQfwDEMGm10IWOF7MMCHMrTeZbdRgs

    buon venerdì-lep četrtek



    FOTO DI SUZANA P


    San Pietro al Natisone

     KOZOLEC-ASCIUGATOIO PER CEREALI

    24 giu 2021

    Legambiente Pordenone: sacrificare il patrimonio arboreo in piena crisi climatica è poco lungimirante

     I lavori in corso tra il Ponte di Adamo ed Eva e Borgomeduna, nel quartiere di San Giuliano, preoccupano il circolo Legambiente "Fabiano Grizzo" di Pordenone, a cui molti cittadini si stanno rivolgendo per avere spiegazioni e per comprendere il significato di quanto sta accadendo in città. Da mesi, la richiesta di creare occasioni pubbliche di condivisione delle informazioni relative alla gestione del verde urbano e instaurare un dialogo tra amministrazione e residenti è rimasta inascoltata. Non solo, ma oggi si assiste a un'opera che impatterà in modo profondo sul paesaggio urbano e che viene realizzata in un'area ad elevato valore naturalistico, lungo lo straordinario e delicato corridoio ecologico del Noncello. Da uno studio commissionato dal Comune di Pordenone nel 2008, la porzione urbana del fiume è risultata il sistema con il più elevato numero e la maggiore superficie di habitat naturaliformi - cioè con una vegetazione simile a quella che si svilupperebbe in condizioni naturali. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la naturalità degli habitat diminuisce seguendo il corso del fiume fuori dalla città.

    20210410 7
    È difficile, per Legambiente, comprendere perché si sia scelto di intervenire in maniera così impattante proprio in quest'area. Infatti, data la presenza delle piste ciclabili di via Riviera del Pordenone e via San Giuliano e dell'argine, su cui molti pordenonesi amano già correre e passeggiare, non si capisce l'utilità di un nuovo percorso tanto ampio, soprattutto vista la quantità di alberi che è stato necessario abbattere (con la speranza che non ne vengano abbattuti altri) per realizzarlo e visto che il suggestivo sentiero che già attraversava l'area poteva essere mantenuto senza un intervento tanto pesante.L'operazione, peraltro, è stata realizzata in un periodo non consentito. Infatti, secondo la direttiva europea n.147 del 2009, è vietato assolutamente tagliare rami e alberi nel periodo di nidificazione degli uccelli e la legge 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica omeoterma, all’articolo 21 lettera O e all’articolo 31, prevede pesanti sanzioni per la distruzione di uova e nidi. Il periodo di nidificazione dovrebbe iniziare dalla metà di marzo e proseguire fino ad agosto. Alla luce di ciò, pur considerando la presenza di alcune specie aliene invasive che eranopresenti nell'area, appare impossibile giustificare, da un punto di vista forestale e naturalistico, una devastazione simile.

    20210410 11Sacrificare un tale quantitativo di alberi nel contesto della crisi climatica e con i problemi che la città ha da anni per il contenimento dell'inquinamento da polveri sottili, appare poco lungimirante. Il patrimonio arboreo fornisce infatti una serie di importanti benefici, tra cui un indispensabile contributo al contrasto del riscaldamento globale e al miglioramento della qualità dell’aria. Agendo da filtri naturali, gli alberi assorbono gli inquinanti generati dal traffico veicolare, riducendo l'insorgenza di malattie respiratorie nelle aree urbane.

    Infine, il Comune di Pordenone non ha ancora adottato il Piano comunale del verde pubblico e privato, previsto dalla legge 10 del 2013, che dovrebbe consentire di formulare una visione strategica del sistema del verde urbano nel medio e lungo periodo. Ancora una volta, Legambiente ribadisce che, per una corretta progettazione e cura del verde urbano pubblico e privato, è indispensabile informare e coinvolgere la cittadinanza, come accade in diverse città europee, dove la progettazione è partecipata.https://www.legambientefvg.it/component/content/article/2-uncategorised/2374-legambiente-pordenone-sacrificare-il-patrimonio-arboreo-in-piena-crisi-climatica-e-poco-lungimirante?Itemid=101

    IL KAKI

     Il kaki, un'adozione recente




    di Raffaele Testolin
    Il kaki, assieme al noce e qualche altra pianta da frutto, forma il quadro tipico del "bearç" nelle aziende friulane.
    A dire il vero, si tratta di un quadro recente, perché fino alla metà dell’800 nessuno in Europa sapeva cosa fosse il kaki. L’abbiamo importato dalla Cina, attraverso gli Stati Uniti ed è diventato subito una pianta importante, capace di sfamare famiglie per giorni in tempi di vacche magre. Con un kaki e un tozzo di pane, un tempo neanche tanto lontano, si porta fuori un pasto.
    Ci sono due tipi di kaki:
    • il kaki-tipo, quello – per capirci – che conoscono bene le persone anziane e che mangiamo quando è molto tenero (magari raggrinzito, dopo che ha preso una piccola gelata sull’albero)
    • il kaki-mela, un kaki a polpa sempre chiara, spesso senza semi che si mangia sodo, perché non è astringente.
    Ci sarebbe poi il ‘kaki imbroglione’, coltivato dagli amici spagnoli, che si chiama ‘Rojo brillante’: bello, grosso, fatto a cuore. Viene venduto come un kaki mela, ma kaki mela non è e a volte l’astringenza, che viene rimossa con alcuni procedimenti fisici o chimici in magazzino, è ancora troppo alta e può dare fastidio.
    Il kaki è facile da coltivare, ma bisogna scegliere bene la varietà. Vi racconto una storia.
    Alla fine degli anni ’90, sto facendo la lezione sul kaki e uno studente mi racconta che dalle sue parti avevano piantato una ventina di ettari di kaki e li stavano spiantando. La storia mi incuriosisce e provo ad informarmi. Troppo tardi. Avevano già spiantato, dicendo che il kaki in Friuli non produce, ovviamente il tutto condito con qualche imprecazione ‘tipicamente friulana’.
    Cos’era successo? Avevano sbagliato varietà. Volevano coltivare il kaki mela senza semi da vendere sui mercati austriaci.
    Ora, ci sono due varietà principali di kaki mela (ce ne sono di più, ma voglio farla semplice): una produce frutti senza semi e non ha bisogno di impollinazione; l’altra produce frutti con semi e ha bisogno di essere impollinata da una varietà che abbia anche fiori maschili. Quegli agricoltori volevano la prima varietà, ma in realtà avevano piantato la seconda. Non so dire di chi sia stata la colpa, se degli agricoltori o di chi aveva fornito loro le piante. Ma questo poco importa. A noi serve solo ricordare che quando si acquista una pianta di kaki, bisogna sapere cosa si vuole e chi vende deve raccontarcela giusta. Il kaki-tipo si impollina da solo e da questo punto di vista non ci sono problemi. Il kaki mela no.
    E questo è tutto per il kaki. Se poi volete sapere come si pota, è presto detto. Durante l’inverno togliete tutti i succhioni - cioè i rami che crescono dritti - e lasciate solo i rametti piccoli e un po’ contorti. Non serve sapere altro.
    Attenti a non arrampicarvi sul kaki. Ha i rami che si rompono facilmente, senza avvertire. Dire “Provare per credere” sarebbe incentivare il suicidio.
    da vita nei campi

    23 giu 2021

    In arrivo il caldo africano anche in Friuli

     



    L'alta pressione africana è in indebolimento per un'area depressionaria in approfondimento tra Isole britanniche e Francia ma con poche conseguenze sul Triveneto. Quella di oggi è una giornata nel complesso soleggiata e asciutta. Temperature stabili, caldo ancora intenso seppur un po' meno afoso. Venti da sud/sudovest al mattino con rinforzi sulle aree costiere, di brezza nel pomeriggio. Mare Adriatico poco mosso o localmente mosso. 

    Le previsioni

    Da ieri ci sono infiltrazioni atlantiche da ovest che determineranno un generale aumento della nuvolosità sul Friuli Venezia Giulia e il ritorno di qualche temporale di calore su Alpi e Dolomiti, localmente anche di moderata o forte intensità. Nei primi giorni della settimana anticiclone in indebolimento ma correnti da sudovest piuttosto stabili manterranno condizioni in prevalenza soleggiate e asciutte sulle zone di pianura e costiere mentre su Alpi e Dolomiti rimarrà il rischio per temporali di calore occasionalmente intensi. Caldo che rimarrà sempre piuttosto intenso. https://www.udinetoday.it/meteo/meteo-fvg-settimana-21-giugno-2021.html

    Una pianta al giorno - erica

     


    22 giu 2021

    IL KRIES (FALO') di san GIOVANNI

     Celebrato da millenni presso le popolazioni di mezza Europa, il solstizio d’estate, che il cristianesimo ha associato alla festa di San Giovanni Battista, è un autentico scrigno di tradizioni popolari, alcune delle quali ancora vive in Slovenia. Qui come altrove, la festa del Santo cristiano si è sovrapposta a riti pagani antichissimi, al cui centro vi era Kresnik (“Svetovit” per gli antichi slavi), divinità del sole.

    Anche grazie all’assonanza dei nomi, presso gli sloveni il cristianesimo ebbe gioco facile a sostituire questa figura con quella del Battista, che in sloveno si chiama appunto “Krstnik” (da “krst” = battesimo). L’antica figura mitologica di Kresnik è stata quindi soppiantata da quella di Janez Krstnik, ma ciò non è bastato a cancellare tutta una serie di riti e usanze di origine pagana, con innumerevoli varianti nelle singole regioni slovene.

    Il sole e il fuoco

    Durante il solstizio d’estate il sole raggiunge il suo apice, ma ciò significa anche che a partire da questo punto la sua forza andrà diminuendo giorno per giorno. Desiderio dell’uomo era quello di prolungare il più possibile il potere del sole, “aiutandolo” e dandogli forza con l’accensione di grandi fuochi. Ancora oggi uno dei momenti centrali dei riti di San Giovanni è proprio il falò, in sloveno “kres” (legato al nome della divinità Kresnik).

    Il Kries (falò) di San Giovanni, ancora in uso nei paesi di minoranza slovena in Italia
    Il Kries (falò) di San Giovanni, ancora in uso nei paesi di minoranza slovena in Italia

    Il kres viene acceso la notte tra il 23 e il 24 giugno di solito sulle alture, affinché possa essere il più vicino possibile al cielo. In molti paesi la raccolta stessa del materiale da ardere rappresenta una sorta di rituale: i giovani vanno di casa in casa a raccogliere legno di scarto e ramaglie e tutte le famiglie devono contribuire in base alla propria disponibilità.

    I paesi fanno a gara a chi ha il kres più grande e più bello, in alcuni luoghi si gareggiava addirittura tra le varie frazioni del paese (così ad esempio a Doberdò del Lago – Doberdob (GO)). Nella Slovenia settentrionale al centro del kres si pone un palo decorato chiamato “kresni mlaj”, simile a quello innalzato per il primo maggio. La tradizione del kres è conosciuta anche nei paesi in Italia dove vive la minoranza slovena ed è ancora molto viva in Benečija (Slavia Veneta), dove il più famoso è il “Kries svetega Ivana” a Gorenji Tarbij – Tribil Superiore.

    CONTINUA QUI https://www.slovely.eu/2013/06/24/notte-di-san-giovanni-tra-magia-e-religione/?fbclid=IwAR0St0bygq-94iT-j99fExP0ywZd9BcLX_F_XBJhNxG97CXbnDWGFu4WraI

    PIEVE DI SANTA MARIA MAGGIORE PONTEBBA

     

    da wikipedia

    La Chiesa di Santa Maria Maggiore a #Pontebba ospita al suo interno un prezioso tesoro artistico.

    Si tratta del Flügelaltar, l’altare di legno tardo gotico realizzato nel 1517, ospitato nel coro. Dichiarato monumento nazionale, l’altare è stato sottoposto ad un importante restauro che gli ha donato nuovamente l’antico splendore.
    Il nome deriva dalla struttura dell’opera, in quanto è composta da un corpo centrale e da due portali laterali mobili che permettono di aprire l’altare a mo' di ali, quindi Flügelaltar, ovvero altare alato.
    Questa particolarità ha una valenza liturgica in quanto l’altare resta chiuso nei periodi penitenziali come l’Avvento e la Quaresima.
    A completare la struttura un alto coronamento a guglie e una predella figurata, la tavoletta rettangolare che funge da base.
    Quello che cattura subito l’attenzione è la superba finezza dell’esecuzione e la raffinatezza dei dettagli: proprio questo suo alto valore tecnico ha portato gli studiosi ad attribuire l’altare, datato 1517, al maestro Enrico da Villaco, esponente di spicco della Bottega di Villaco e a far supporre che sia stato il prototipo di una serie di altari simili diffusi in Austria grazie all’attività della bottega.
    Al centro è rappresentata l’Incoronazione della Vergine da parte della Trinità, mentre all’interno degli sportelli si trovano la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione di Cristo e il trapasso di Maria, conosciuto come Dormitio viriginis. Una volta chiuse le ali si possono invece ammirare le pitture che rappresentano l’Annunciazione, la Visitazione, la Fuga in Egitto e la Pentecoste. Ci sono poi sculture a figura interna di santi ed angeli inserite nei baldacchini gugliati del coronamento e i busti dei padri della Chiesa che arricchiscono la predella.
    📸: Alberto Galtarossa

    21 giu 2021

    Quando Gorizia per 400 anni fu Gorz

     


    Una foto della stazione di Gorizia  tratta dall'archivio della Digiteca immortala l'ultima volta di Gorz per Gorizia. Una stazione distrutta dalla guerra, che così si presentava dopo "la nostra occupazione" come si legge nelle note della foto dell'archivio. Occupata una città che per 400 anni appartenne all'Austria, dal 1509 circa fino al 1918, passando dalla parentesi napoleonica, dalla prima presa di Gorizia italiana nel 1916, poi riconquistata dagli Austriaci con la disfatta di Caporetto. 400 anni di storia a cui Gorizia deve tutto. Fa un certo effetto leggere Gorz in una città storicamente, per chi ancora non lo sapesse, plurilingue, italiano, sloveno, tedesco e friulano sono le lingue goriziane. Gorz, con accanto il nome di Gorizia. Il bilinguismo era garantito dagli austriaci in città. Contrariamente da quello che accade oggi verso gli sloveni ad esempio, mentre di tedesco non si trova più nulla, sparito, di friulano qualcosa nella zona di Lucinico, un tempo Comune autonomo. 400 anni di storia rimossi in modo infelice da cent'anni di nazionalismo italiano a cui forse solo ora con il nuovo corso europeo della città, con Nova Gorica, si potrà mettere fine. 







    Così come interessanti sono i ritratti di Gorz, Gorizia, nell'opuscolo con la prefazione di  Max Ritter von Hoen  dove sono state raccolte 20 vedute di Gorizia durante la prima guerra mondiale con i danni procurati alla città durante la guerra e  con il ritratto del generale Erwin Zeidler . Interessante leggere anche i nomi di alcuni luoghi in quel tempo.

    ...continua QUI http://xcolpevolex.blogspot.com/2021/04/quando-gorizia-per-400-anni-fu-gorz.html

    Meriggiare pallido e assorto

     

    Un rovente muro d’orto


    EUGENIO MONTALE

    MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d’orto,
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli, frusci di serpi.

    Nelle crepe del suolo o su la veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra frondi il palpitare
    lontano di scaglie di mare
    mentre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com’è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

    (da Ossi di seppia, Gobetti, 1925)


    Spulciando l’archivio delle poesie pubblicate mi ha meravigliato l’assenza di "Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale, testo che ben si addice a celebrare l’arrivo astronomico dell’estate con il solstizio alle 5.32 di oggi.

    C’è tutto Montale: c’è l’isolamento della muraglia, invalicabile addirittura, visti quei pezzi di vetro posti alla sua sommità per impedire lo scavalcamento – offendicula si indicano con termine legale e sono leciti, anche se molto meno diffusi di un tempo; c’è la convinzione che la vita sia un “travaglio”, e non a caso il poeta sottolinea l’aridità del luogo, tra serpi e rovi, tra formiche rosse e il sole a picco. Rimane tuttavia il baluginare della speranza, quel mare di Liguria che luccica lontano, intravisto tra il fogliame.

    .

    ANTONIN SLAVICEK, "MURO DEL GIARDINO"

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    COLLAGE CON I SASSI DEL TAGLIAMENTO

     


    VENEZIA

    collection by DanieleDF1995 (talk) -

    Collage di varie foto di Venezia


     Venezia  è un comune italiano di 255 926 abitanti,[3] il cui centro storico (limitato ai sestieri della città lagunare) al 1º novembre 2017 ne contava 53 609,[7][8] capoluogo dell'omonima città metropolitana e della regione Veneto. Secondo comune della regione per popolazione dopo Verona e primo in Veneto per superficie,[9] comprende sia territori insulari sia di terraferma ed è articolato attorno ai due principali centri di Venezia (al centro dell'omonima laguna) e di Mestre (nella terraferma).

    La città è stata per 1100 anni la capitale della Serenissima Repubblica di Venezia ed è conosciuta a questo riguardo come la Serenissimala Dominante e la Regina dell'Adriatico: per le peculiarità urbanistiche e per il suo patrimonio artistico, è universalmente considerata una tra le più belle città del mondo, dichiarata, assieme alla sua lagunapatrimonio dell'umanità dall'UNESCO,[10] che ha contribuito a farne la seconda città italiana dopo Roma con il più alto flusso turistico.[11]

    Dal punto di vista geografico, il comune di Venezia è diviso in due parti: la zona insulare e la zona terraferma. Per quanto riguarda il rischio sismico, Venezia è classificata nella zona 4, ovvero a sismicità molto bassa.[12

    Il clima di Venezia è quello tipico della Pianura Padana, mitigato per la vicinanza al mare (temperature invernali di circa °C in media) e nelle massime estive (28 °C in media). Secondo Köppen rientra nella classe Cfa[13]. La piovosità raggiunge i suoi picchi in primavera e in autunno e sono frequenti i temporali estivi. In inverno non sono infrequenti le nevicate (ma normalmente la neve tende a sciogliersi rapidamente), tuttavia la notte brina spesso, cosa che coinvolge anche le acque lagunari delle zone più interne. L'elevata umidità può provocare nebbie nei mesi freddi e afa in quelli caldi.

    I venti principali sono la bora (NE) dominante nei mesi invernali, lo scirocco (SE) in estate e, meno frequente, il libeccio (SW, detto localmente Garbìn)[14].

    Dal punto di vista legislativo, il comune di Venezia ricade nella "fascia climatica E" con 2 345 gradi giorno, dunque il limite massimo consentito per l'accensione dei riscaldamenti è di 14 ore giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile.

    da https://it.wikipedia.org/wiki/Venezia

    Oggi inizia l'estate

     


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    Solstizio d'estate, perché oggi inizia la stagione estiva

    SFOGLIA GALLERY13 IMMAGINIRivedi il Wired Next Fest dedicato alla Next Generation

    Il 21 giugno è il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno e l'inizio dell'estate astronomica. Vediamo di cosa si tratta

    Pronti a godervi la giornata più lunga dell’anno? Il 21 giugno è il solstizio d’estate, il giorno in cui il Sole raggiunge il punto più settentrionale (cioè più alto rispetto all’orizzonte) nella sua corsa annuale nei nostri cieli, regalandoci il massimo numero di ore di luce possibili nell’arco di una giornata. La data di oggi inoltre segna anche un altro appuntamento: l’inizio ufficiale dell’estate. Dal 22 giugno, infatti, il picco del Sole inizierà nuovamente a spostarsi sempre più a Sud, e le giornate, che fino a oggi si erano progressivamente allungate, riprenderanno invece ad accorciarsi inesorabilmente, segnando il periodo dell’anno che gli scienziati definiscono estate astronomica e che terminerà intorno al 21 dicembre con il solstizio d’inverno.

    Solstizi ed equinozi sono dovuti alla traiettoria con cui il nostro pianeta orbita intorno al Sole. L’asse di rotazione della Terra e il piano dell’orbita non sono infatti perpendicolari, ma si incontrano invece con un angolo di circa 23,5 gradi, un’asimmetria che dalla Terra genera il moto apparente del Sole nei cieli durante il corso dell’anno. Nel nostro emisfero quindi, per tutto l’inverno il Sole sale ogni giorno un po’ più del precedente rispetto all’orizzonte, arrivando all’altezza massima – almeno quest’anno – il 21 giugno alle ore 3:32 Utc (per l’Italia alle 5:32), per poi iniziare la sua inesorabile discesa, che si concluderà il 21 dicembre, quando il ciclo ricomincia.

    CONTINUA https://www.wired.it/scienza/spazio/2021/06/21/solstizio-estate-2021-stagione-estiva/?refresh_ce=

    L'asse di rotazione della Terra e il piano dell'orbita non sono perpendicolari
    L’asse di rotazione della Terra e il piano dell’orbita non sono perpendicolari

    

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