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IVAN TRINKO padre della Benecia

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13 mar 2021

Flora dei boschi:pulmonaria officinalis


 Pulmonaria officinalis si trova nei boschi umidi e fiorisce in marzo / aprile.Le foglie hanno le caratteristiche macchioline bianche che ricordano i polmoni.Da qui il loro nome.I germogli giovani si mangiano.Per via della composizione chimica, caratterizzata dalla presenza di mucillagini e saponine, questa pianta in letteratura è considerata dotata di effetto emolliente, espettorante e in generale tossifuga.

12 mar 2021

Vse, kar se moremo narest |Tutto quello che possiamo fare Dan Žena/Festa delle donne 2021

TEATRO DELLA BENECIA

Elisabetta Gustini | režija (regia) Marina Cernetig | prevod besedila (traduzione testo) Igrajo (interpreti) Anita Tomasetig, Erika Balus, Federica Bergnach, Graziella Tomasetig, Emanuela Cicigoi, Michele Qualizza Emanuela Cicigoi | asistenka v režiji (assistente alla regia) Davide Tomasetig | glasba (musica originale) Enrico Qualizza | Video realizacija in montaža (riprese video e montaggio) Matteo Dainese | mixing audio Katja Canalaz | spletna promocija (gestione del sito e promozione)tea

Umberto Saba


Umberto Poli nasce a Trieste il giorno 9 marzo 1883. La madre, Felicita Rachele Cohen, è di origini ebraiche e appartiene a una famiglia di commercianti che opera nel ghetto triestino.

Il padre Ugo Edoardo Poli, agente di commercio di nobile famiglia veneziana, si era inizialmente convertito alla religione ebraica per sposare Rachele, ma l'abbandona quando lei in attesa del figlio.

Il futuro poeta cresce quindi in un contesto malinconico per la mancanza della figura paterna. Per tre anni viene allevato da Peppa Sabaz, balia slovena, che dona al piccolo Umberto tutto l'affetto di cui dispone (avendo perso un figlio). Saba avrà modo di scrivere di lei citandola come "madre di gioia". Crescerà in seguito con la madre, assieme a due zie, e sotto la tutela di Giuseppe Luzzato, zio ex garibaldino.

Gli studi in età adolescenziale sono piuttosto irregolari: segue dapprima il ginnasio "Dante Alighieri", poi passa all'Accademia di Commercio e Nautica, che però abbandonerà a metà anno scolastico. In questo periodo si avvicina alla musica, dovuta anche all'amicizia con Ugo Chiesa, violinista, e Angelino Tagliapietra, pianista. I suoi tentativi per imparare a suonare il violino sono però scarsi; è invece la composizione delle prime poesie a dare già i primi buoni risultati. Scrive con il nome di Umberto Chopin Poli: i suoi lavori sono perlopiù sonetti, che risentono di una chiara influenza di PariniFoscoloLeopardi e Petrarca.

Nel 1903 per proseguire gli studi si trasferisce a Pisa. Frequenta i corsi di letteratura italiana tenuti dal professore Vittorio Cian, ma presto abbandona per passare a quelli di archeologia, latino e tedesco.

L'anno seguente a causa di dissensi con l'amico Chiesa cade in una forte depressione che gli fa decidera di tornare a Trieste. E' in questo periodo che frequenta il "Caffè Rossetti", storico luogo di incontro e ritrovo per giovani intellettuali; qui conoscerà il futuro poeta Virgilio Giotti.

Nel 1905 lascia Trieste per recarsi a Firenze dove rimarrà due anni, e dove frequenterà i circoli artistici "vociani" della città, tuttavia senza legarsi a fondo con nessuno di loro.

In una delle sue poche e saltuarie visite che faceva per tornare a casa, conosce Carolina Wölfler, che sarà la Lina delle sue poesie, e che diventerà sua moglie.

Pur abitando geograficamente entro i confini dell'Impero austro-ungarico è cittadino italiano e nell'aprile del 1907 parte per il servizio militare. A Salerno nasceranno i suoi "Versi militari".

Torna a Trieste nel mese di settembre del 1908 e si mette in affari con il futuro cognato per gestire due negozi di articoli elettrici. Il 28 febbraio sposa Lina con rito ebraico. L'anno seguente nasce la figlia Linuccia.

E' il 1911 quando con lo pseudonimo di Umberto Saba pubblica il suo primo libro: "Poesie". Seguiranno "Coi miei occhi (il mio secondo libro di versi)", oggi noto come "Trieste e una donna". Lo pseudonimo pare sia di origine incerta; si pensa che lo scelse o in omaggio alla sua adorata balia, Peppa Sabaz, o forse in omaggio alle sue origini ebraiche (la parola 'saba' significa 'nonno').

Risale a questo periodo l'articolo "Quello che resta da fare ai poeti" nel quale Saba propone una poetica schietta e sincera, senza fronzoli; contrappone il modello degli "Inni Sacri" di Manzoni a quello della produzione di D'Annunzio. Presenta l'articolo per la pubblicazione alla rivista vociana, ma viene rifiutato: sarà pubblicato solamente nel 1959.

Conosce poi un periodo di crisi in seguito al tradimento della moglie. Con la famiglia decide di trasferirsi a Bologna, dove collabora al quotidiano "Il Resto del Carlino", poi a Milano nel 1914, dove viene incaricato di gestire il caffè del Teatro Eden.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale viene richiamato alle armi: inizialmente è a Casalmaggiore presso un campo di soldati prigionieri austriaci, poi svolge la mansione di dattilografo presso un ufficio militare; nel 1917 è al Campo di aviazione di Taliedo, dove viene nominato collaudatore del legname per la costruzione degli aerei.

In questo periodo approfondisce la lettura di Nietzsche e si riacutizzano le crisi psicologiche.

Terminata la guerra torna a Trieste. Per qualche mese è direttore di un cinematografo (del quale è proprietario il cognato). Scrive alcuni testi pubblicitari per la "Leoni Films", poi rileva - grazie all'aiuto della zia Regina - la libreria antiquaria Mayländer.

Intanto prende forma la prima versione del "Canzoniere", opera che vedrà la luce nel 1922 e che raccoglierà tutta la sua produzione poetica del periodo.

Inizia poi a frequentare i letterati vicini alla rivista "Solaria", i quali nel 1928 gli dedicheranno un intero numero.

Dopo il 1930 una intensa crisi nervosa gli fa decidere di andare a Trieste in analisi con il dottor Edoardo Weiss, allievo di Freud.

Nel 1938, poco prima dell'inizio del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali Saba viene costretto a cedere formalmente la libreria ed emigrare a Parigi. Torna in Italia alla fine del 1939 rifugiandosi a Roma, dove l'amico Ungaretti cerca di aiutarlo, purtroppo senza risultato; va nuovamente a Trieste deciso ad affrontare con gli altri italiani la tragedia nazionale.

Dopo l'8 settembre 1943 è costretto a fuggire con Lina e Linuccia: si nascondono a Firenze cambiando abitazione numerose volte. Gli sono di conforto l'amicizia di Carlo Levi e Eugenio Montale; quast'ultimo, rischiando la vita, andrà a visitare Saba ogni giorno nelle sue abitazione provvisorie.

Intanto a Lugano esce la sua raccolta "Ultime cose", che verrà poi aggiunta nell'edizione definitiva del "Canzoniere" (Torino, Einaudi) nel 1945.

Nel dopoguerra Saba vive a Roma per un periodo di nove mesi, poi si trasferisce a Milano dove rimane per dieci anni. In questo periodo collabora con il "Corriere della Sera", pubblica "Scorciatoie" - la sua prima raccolta di aforismi - con Mondadori.

Tra i riconoscimenti ricevuti vi sono il primo "Premio Viareggio" per la poesia del dopoguerra, (1946, ex aequo con Silvio Micheli), il "Premio dell'Accademia dei Lincei" nel 1951, e il "Premio Taormina". L'Università di Roma gli conferisce nel 1953 una laurea honoris causa.

Nel 1955 è stanco, ammalato e sconvolto per la malattia della moglie si fa ricoverare in una clinica di Gorizia: qui il 25 novembre 1956 la notizia della morte della sua Lina lo raggiunge. Esattamente nove mesi più tardi, il 25 agosto 1957, anche il poeta muore.

da https://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1479&biografia=Umberto+Saba

PROVERBIO FRIULANO

di Vita nei campi
“Vinars ce ch’al promèt al mantén” Ovvero ciò che venerdì promette poi lo mantiene, verosimilmente in argomento meteorologico

Kizoa Movie e Video Maker: Vecchie case della Benecia - Stare beneške hiše

La Slavia friulana - Beneška Slovenija o Benečija in sloveno, è la regione collinare e montuosa (Prealpi Giulie) del Friuli orientale che si estende tra Cividale del Friuli e i monti che sovrastano Caporetto . La denominazione è dovuta alla popolazione slovena insediatavisi nell'VIII secolo e di cui vi si può trovare ancora presenza. foto di Luca Piccin Basile

11 mar 2021

Come riconoscere il coronavirus

 


Anche in questo quarantunesimo aggiornamento settimanale il dott. Mario Canciani, allergo-pneumologo, fornisce notizie pratiche sull’infezione da Coronavirus, basate sulle domande che ci vengono poste più spesso. Il report non vuole sostituire il ruolo del curante, né quelle della sanità regionale, le cui indicazioni invitiamo sempre a rispettare. Per chi lo desiderasse, al giovedì il dott. Canciani è presente su UdineseTV, canale 110, alle ore 21.00. Parla anche di asma e di malattie allergiche. Poiché non si possono fare delle domande in diretta, chi avesse dei quesiti, può mandarli a: studio@mariocanciani.com

COME FACCIO A RICONOSCERE SE HO CONTRATTO IL CORONA?
Fermo restando che la diagnosi deve essere sempre fatta dal medico, ormai abbiamo acquisito una discreta esperienza e possiamo dire quali sono i segnali sentinella: febbre superiore a 38,5° da più di 72 ore, cefalea, perdita di gusto e olfatto. Il saturimetro diventa utile perché se indica una saturazione inferiore al 92% c’è buona probabilità che si sia instaurato un danno polmonare. Una volta posto il sospetto, va contattato il proprio medico e non bisogna andare in Pronto Soccorso, per non trasmettere l’infezione ad altre persone.

COME FACCIO A RICONOSCERE SE SI TRATTA DI INFEZIONE DA CORONA, ALLERGIA O BANALE INFEZIONE RESPIRATORIA?
Provo a dare alcune indicazioni, fermo restando che deve essere sempre il medico a formulare la diagnosi corretta. La rinite allergica – o raffreddore da fieno – si caratterizza per starnuti a ripetizione, secrezione nasale acquosa, frequente coinvolgimento degli occhi, assenza di febbre. La banale infezione respiratoria è caratterizzata da secreto nasale biancastro, giallo o verdastro, febbre inferiore ai 38°, gola rossa, rara difficoltà respiratoria. L’infezione da Coronavirus o Covid19 è caratterizzata dai sintomi suddetti più perdita di gusto e olfatto, difficoltà respiratoria precoce.

QUALE SARÀ IL FUTURO DEL CORONAVIRUS?
Sulla base di quanto è successo agli altri Coronavirus – che ora causano lievi mal di gola, gastroenteriti e raffreddore – l’attuale Coronavirus SARS Cov-2 diventerà endemico, cioè conviverà con noi e causerà almeno nei primi anni dei focolai in piccoli territori. I più colpiti – come con gli altri tipi di Coronavirus – saranno i bambini, che svilupperanno le solite infezioni alle vie respiratorie e digestive. Da quello che sappiamo finora, rispetto all’influenza il SARS Cov-2 muta di meno ma con mutazioni che eludono di più il sistema immunitario e per le quali bisognerà fare dei richiami annuali, almeno nei primi anni. L’evoluzione più favorevole è che il vaccino, oltre a bloccare la malattia, blocchi anche la trasmissione del virus: il tal caso andrebbe a finire come con il morbillo, che è stato eradicato in buona parte del mondo.

PERCHÈ NON SIAMO PROTETTI DALLE VARIANTI?
In teoria dovrebbe essere così, però bisogna calcolare che le nostre difese si basano, oltre che sugli anticorpi, anche sui globuli bianchi e – specialmente per i virus – sui linfociti. Dalla collaborazione tra queste due branche deriva l’efficacia dell’eliminazione del Corona. Purtroppo la stimolazione dei linfociti è più lenta e per essi non abbiamo raggiunto metodi efficaci equivalenti ai vaccini, che agiscono principalmente sulla produzione anticorpale, anche se quest’ultima alla fine finisce per stimolare i linfociti.

PERCHÉ SI HANNO PIU’ EFFETTI COLLATERALI CON LA SECONDA DOSE DI VACCINO?
Il vaccino stimola le nostre difese immunitarie a produrre anticorpi e questi sono molto più presenti quando si fa un richiamo, perché ci sono già le cellule memoria che sono state prodotte con la prima dose. Naturalmente più anticorpi si producono e maggiore è il rischio di effetti collaterali. Oltre agli anticorpi, con la seconda somministrazione del vaccino i linfociti B e T creano una specie di barriera nel sito di iniezione, per cui aumenta il rischio di dolori, cefalea, dolori muscolari e febbre. Bisogna anche dire che questi sono dei segnali che ci dicono che le nostre difese stanno funzionando.

COM’È POSSIBILE CHE ALCUNI VACCINATI CONTRAGGONO IL CORONA?
Nessun vaccino impedisce all’agente infettivo di venire a contatto con le persone e quindi risultare positive al tampone. Altra cosa è la possibilità di ammalarsi che però non sembra verificarsi nei vaccinati. Bisogna anche dire che nessun infetto ha trasmesso il virus ad altre persone, perché la carica infettante era bassa. Abbiamo bisogno di ulteriori studi per una maggior definizione del problema.

COME SI FA A RICONOSCERE SE UNA MASCHERINA È VALIDA?

Le mascherine ritenute valide sono quelle chirurgiche e quelle FPP2 e FPP3. Le prime devono riportare le sigle EN 14683, CE, DM di classe 1; le FPP2 e FPP3 la sigla EN 149:2001 e il marchio CE. Le mascherine di comunità – per intenderci quelle di stoffa o di materiali sintetici – sono state autorizzate quando non c’era la disponibilità delle prime. Sono lavabili e quindi riducono di molto l’impatto ambientale. Anche se non certificate dagli organi competenti, un recente studio ha dimostrato che se ben indossate e concepite danno una buona protezione, per cui è stato chiesto al Ministero di autorizzarle con un apposito marchio ben riconoscibile.

https://www.dom.it/come-riconoscere-il-coronavirus_tako-prepoznavamo-okuzbo/

Speciale 10 anni dall’incidente di Fukushima

 


Sono passati 10 anni dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. In questa puntata speciale del podcast ripercorriamo gli eventi di quei giorni e le conseguenze dell’accaduto.

Era l‘undici marzo 2011 quando uno dei terremoti più forti della storia del paese colpisce il Giappone. Lo Tsunami che ne è seguito si è abbattuto sulle case, i negozi e sulle centrali nucleari di Fukushima Daichii e Daini. La barriere che proteggeva la prima centrale era troppo bassa per contenere il livello dell’acqua che si alzava. Ciò che accadde in seguito rientra in uno dei peggiori incidenti nucleari accaduti finora.
In questa puntata speciale del nostro podcast, a dieci anni dall’evento, vogliamo raccontarvi cosa è accaduto in quei giorni.
Marco e Giorgio ci introducono gli eventi che hanno portato all’incidente nucleare. Oltre agli avvenimenti ci raccontano anche la tecnologia che permetteva alla centrale di Fukushima Daichii di produrre elettricità per la popolazione.
Con Silvia Kuna si parla della diffusione del materiale radioattivo, in acqua tramite lo sversamento di acque contaminate (affrontando in particolare il problema del trizio) e sul territorio giapponese tramite il fallout. Approfondiremo poi gli effetti sulla salute, dovuti sia all’esposizione alle radiazioni, sia al trauma dell’evacuazione dei territori contaminati: come vedremo, esistono molte più incertezze sui primi che sui secondi.
In fine, con Martina descriviamo le principali lezioni che abbiamo appreso dall’incidente di Fukushima a partire da un concetto di fondamentale importanza per la sicurezza nucleare: la difesa in profondità. Da qui, ripercorriamo la fenomenologia degli eventi, parliamo da un lato dei nuovi sistemi di protezione passivi per raffreddare il nocciolo del reattore e gli elementi di combustibile esauriti; dall’altro, dei sistemi a protezione e integrità dell’edificio di contenimento di un reattore e della principale strumentazione “di bordo”.https://www.scientificast.it/speciale-10-anni-dallincidente-di-fukushima/

IL CANTIERE ABUSIVO NEL PARCO DEL TORRE - Primulacco (UD)

La "campagna social" di Prospettive Vegetali e del gruppo FB "Difensori della Natura” per istituire un #GarantedelVerde, degli Alberi e del Suolo in ogni Comune Italiano, continua senza tregua. Sono ormai migliaia le persone, che dopo i fatti di Vieste (dove il Sindaco ha coniato il dispregiativo “ambientaloidi” per i cittadini che chiedevano spiegazioni sull’abbattimento di 53 Pinus pinea sani nel cuore della città), si stanno mobilitando da Nord a Sud perchè si metta un freno alla prepotenza delle amministrazioni sulla gestione del Verde, spesso accompagnata da profonda ignoranza. Ed è su instagram che l’iniziativa sta regalando le sorprese più grosse, dove i più giovani manifestano la propria impotenza dichiarandosi “pronti a qualsiasi cosa” per difendere l’ambiente e generare processi che diano garanzie alla cittadinanza sul verde urbano e non. Ed ecco arrivare anche il primo (clamoroso) riscontro, perchè qualche giorno fa Elsa Merlino, studentessa di Scienze dell’Ambiente all’Università di Udine, è riuscita a “mettere in fuga” le ruspe in un solo giorno denunciando il cantiere abusivo nel Parco del Torre (UD). Video by @heatedmedia ed Elsa Merlino

Ogni cosa riprese - poesia di Leonid Martynov

 

Ma solo per un attimo


LEONID MARTYNOV

OGNI COSA RIPRESE

Ogni cosa
riprese
il suo peso iniziale:
risuscitò
il diamante,
sgusciando dal castone,
le medicine si mutarono in erbe,
la carta si mutò in foresta,
ma solo per un attimo,
perché la mente comprendesse come
tutto ciò era cresciuto e maturato,
come
s’era formato
questo mondo.

(da Nuovi poeti sovietici, Einaudi, 1963 - Traduzione di Angelo Maria Ripellino)

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L’arte, e in questo caso la poesia, sa andare al di là delle circostanze ordinarie, è in grado di leggervi attraverso, di mescolarle con le cose più straordinarie donando una lettura favolosa: è questo ciò che ha tentato di fare nella sua opera il poeta russo Leonid Martynov, provare a comprendere quello che si manifesta “ma solo per un attimo”.

Leonid Nikolaevič Martynov (Omsk, 22 maggio 1905 – Mosca, 22 giugno 1980), poeta russo. Ha dedicato gran parte dei suoi versi alla natia Siberia. Dotato di vena semplice e schietta, ha trasposto nei suoi versi, ora allegorici, ora fantastici, l'amore per la natura e per una umanità semplice e moralmente libera.

https://cantosirene.blogspot.com/

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10 mar 2021

Ospiti sul banco del becco - foce isonzo - bocca primero

Con la bassa marea sono emersi i banchi di sabbia depositati dalle piene dell'Isonzo. Lontani dalla vista dei turisti domenicali i marangoni minori danzano assieme all'aria scaldata dal sole. Tra la foschia un tremolante castello di Miramare. Sulla sabbia, migliaia di esemplari di pinna nobilis giacciono prive di vita, a causa di un parassita che le sta attaccando.

Proverbio delle Valli del Natisone


 BUAJŠ ZA IZIK SE OKLAT ,KU NAUMNO GUARIT.

E' MEGLIO MORDERSI LA LINGUA ,CHE PARLARE IN MODO INSENSATO


NIVES MEROI

 


Nives, dal latino le nevi, come lei stessa dirà «Ce l’ho addosso!»

“Amo la neve all’arrivo al campo base quando stende sulla pietraia una tovaglia liscia e le nostre tende spuntano come tazze rovesciate. Amo la neve profumata di prima colazione, neve al caffè, al cacao. Poi subito la odio quando ci affondo i passi che devo tirar fuori a strappo, quando nasconde la bocca dei crepacci…”

Considerata tra le maggiori alpiniste donne della storia, ha scalato, insieme al marito Romano Benet, anch’egli alpinista, tutti i 14 ottomila senza l’uso di ossigeno supplementare e senza alcun aiuto di portatori d’alta quota, prima coppia in assoluto a riuscire nell’impresa.

Erri De Luca, nel definirla la più forte in assoluto proprio in virtù di questa modalità di arrampicarsi, riconosce, nella rinuncia all’uso dei portatori, una delle qualità della scalatrice: il rispetto per la vita, propria e altrui.

“Noi non vogliamo pagare a qualcuno il salario della sua pelle, prendergli in affitto l’esistenza. Non potremmo salire tranquilli. Noi paghiamo i portatori fino al campo base, fino a dove è in gioco solo la fatica, non la vita”.

Nata il 17 settembre 1961 a Bonate Sotto in provincia di Bergamo, Nives Meroi vive in Friuli, a Fusine Laghi. Quando è ancora piccola, la famiglia – una famiglia normale in cui nessuno pratica sport – si trasferisce a Tarvisio e qui, come tanti ragazzi del luogo, d’inverno pratica lo sci e d’estate l’atletica. Frequenta il liceo linguistico a Udine e sogna di tradurre libri. Durante il periodo scolastico usa il fine settimana per andare in montagna.  Ed è su quelle montagne del Friuli, montagne difficili come le più note Dolomiti, ma meno frequentate e per questo meno attrezzate, che nasce il desiderio di sperimentare. Le Alpi Giulie costituiscono una scuola di formazione severa che insegna a praticare un alpinismo esplorativo in cui è necessario cercare da soli la via, consapevoli dei propri mezzi e delle proprie capacità: la conoscenza profonda di sé diventerà il presupposto fondamentale per affrontare più tardi le grandi montagne dell’Himalaya.

In quell’epoca nasce il sodalizio con Romano Benet, che diventerà suo compagno fisso di cordata, con cui inizierà a realizzare quel modo di procedere improntato alla ricerca che sarà la loro cifra. Nell’89 si sposano e, come viaggio di nozze, compiono una spedizione in Sudamerica, sulla Cordigliera bianca, una sorta di allenamento prima di intraprendere la via alle vette più alte. Inizia così la carriera alpinistica himalayana tentando, nel 1994, di aprire una variante della via dei Giapponesi sul versante Nord-Nordovest del K2. L’itinerario si interromperà a pochi metri dalla cima poiché arrivati sopra a uno sperone, che credevano collegato alla vetta, si accorgono che era invece staccato da un abisso. Nives, che è la prima donna al mondo a tentare questo versante, ricorderà questa esperienza come una bella lezione di umiltà e rispetto

“Gli dei volevano che accettassi il fallimento senza scoraggiarmi, perché quando si tentano nuove vie, queste presentano sempre una possibile sconfitta.”

Nel 1995, Nives e Romano realizzano una nuova via sulla parete nord del Bhagirathi II (6450 mt.) scendendo, sempre lungo una via nuova, sulla parete sud.

Nel 1998 raggiungono la vetta del Nanga Parbat (8125 mt.) in sole nove ore dall’ultimo campo, riuscendo in un’impresa tecnicamente e fisicamente eccezionale.

Nel 1999 è la volta della cima dello Shisha Pangma (8046 mt.) e, solo dieci giorni dopo, quella del Cho Oyu (8202 mt.). Un’accoppiata velocissima che dà la cifra del loro valore.

Nel 2003 arriva un trittico d’eccezione con la salita in successione di Gasherbrum I (8068 mt.), Gasherbrum II (8035 mt.) e  Broad Peak (8047 mt.). Il tutto in venti giorni, un tempo da record e, soprattutto, mai nessuna donna aveva realizzato una simile impresa.

Le scalate, come sempre by fair means  da soli, o in compagnia di un ristrettissimo numero di amici, tra i quali Luca Vuerich, il fidanzato della sorella di Nives, continuano con l’arrampicata sul Lhotse (8516 mt.) nel 2004, effettuata in soli tre giorni. Segue nel 2006, il Dhaulagiri (8167mt.).

E poi una salita da incorniciare: quella del  K2. Sono le ore 13 del 26 luglio 2006 quando i due toccano la vetta della «Montagna degli Italiani» lungo lo storico Sperone degli Abruzzi.
Con questa salita, Nives raggiunge “quota nove”, il massimo delle vette oltre gli 8000 mt. raggiunte nella storia da una donna.

Nel 2007 arriva anche la montagna più alta, l’Everest (8850 mt.) e, nel 2008, il Manaslu (8163 mt.), raggiunto dopo solo tredici giorni. L’attesa notizia è comunicata via radio alla sorella di Nives, impegnata al campo base del Manaslu con la ricerca scientifica sull’edema polmonare.

Nel 2009 affrontano la salita del Kangchenjunga. Nives è in corsa per diventare la prima donna ad aver raggiunto tutti i 14 Ottomila.  Ma inspiegabilmente Romano appare affaticato, non è in grado di continuare la salita. Poco prima della vetta, lui le dice di andare e che l’aspetterà lì. S’impone una scelta, ma senza esitazioni, lei gli risponde: “Non ti farò aspettare” e scende, rinunciando alla gara per il record. L’episodio, che la vedrà impegnata per due anni nella cura del compagno, affetto da una grave forma di aplasia midollare, ispirerà a Nives un modo diverso di concepire l’impresa di scalare le montagne. Annuncerà il suo ritiro dalla competizione con queste parole:

“L’alpinismo di oggi perde le proprie caratteristiche… ovvero esplorazione di sé stessi in contesti diversi. Il fatto che l’alpinismo himalayano femminile sia diventato una corsa con come unico obiettivo il risultato mi ha fatto decidere di non giocare più”.

Il passaggio a questo nuovo rapporto con la montagna e la vita è espresso dal suo racconto

“[…] Io non mi ero ancora liberata di quel senso di sporcizia, quella puzza che mi sentivo addosso per avere preso parte allo spettacolo. Noi abbiamo recitato una parte, siamo stati al gioco della corsa femminile agli Ottomila perché era l’unico modo per trovare degli sponsor e riuscire a ripartire ogni anno”.

Poi, dopo la quindicesima vetta, quella della vita, come lei stessa la chiamerà, il cammino himalayano riprende e nel 2014 sono in vetta agli 8.586 metri dell’altissimo Kangchenjunga, Nel 2016 arriva il Makalu. Infine, nel 2017, ecco la cima dell’Annapurna con la quale Nives completerà il «grande tour» delle 14 cime.

Giunta al termine di questa lunga scalata di cime, ecco delinearsi lo scopo che muove i suoi passi: il desiderio di bellezza, quella che nasce da un alpinismo onesto, pulito, leggero, non violento, che sposta l’obiettivo dal quanto al come. Con questi aggettivi, che Nives sintetizza nell’espressione “andare in montagna”, si qualifica il percorso che la porta ad assumere un personale modo di vivere e interpretare l’alpinismo. È qui che inizia a delinearsi un modus femminile di vivere l’alpinismo cui fa seguito l’uso di una diversa terminologia.

L’uso di espressioni quali «attacco alla cima», «conquista della vetta» non appartengono al suo sentire:

“Quando arrivo in cima a una montagna, il mio non è mai uno sguardo di conquista, è uno sguardo che abbraccia. Non la vivo come una sfida alla natura, ma come una ricerca di un’armonia di me all’interno dell’ambiente. È una forma di appartenenza.  … Lassù io sono Nives la pietra, Nives la neve…Sono un’alpinista, però con l’apostrofo e quell’apostrofo è la mia bandierina di donna che faccio sventolare lassù. …Per i maschi una cima è un desiderio esaudito, per me è il punto di congiunzione con tutto il femminile di natura”.

Nives, che su iniziativa del Presidente della Repubblica nel 2010 è stata nominata Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana “Per gli eccezionali traguardi raggiunti nell’alpinismo di alta quota, un’attività che era rimasta a lungo prerogativa maschile”, si chiede se sia possibile andare in montagna da donne, aprendo così una nuova modalità.  Ed è questa la sua sfida.http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/nives-meroi-2/

Trieste, Colle di San Giusto – Sensazionale scoperta di evidenze archeologiche preromane

 Durante i lavori di sostituzione delle vecchie condotte di ghisa grigia in via Capitolina sul colle di San Giusto sono stati rinvenuti alcuni resti archeologici. Le verifiche della Soprintendenza hanno svelato uno dei più importanti ritrovamenti degli ultimi decenni, che dimostra la presenza di insediamenti preromani nell’area del colle.

Scoperte archeologiche sostituendo le condotte

AcegasAspAmga sta svolgendo in questi giorni i lavori relativi all’importante intervento di risanamento e ammodernamento delle reti gas, acqua ed energia elettrica sul Colle di San Giusto.

La Soprintendenza, sulla base della Valutazione dell’Impatto Archeologico obbligatoria per tutte le opere pubbliche, aveva prescritto per questi lavori sondaggi esplorativi e la sorveglianza continua da parte di impresa archeologica specializzata. La zona infatti è nelle immediate adiacenze del nucleo centrale della città romana, con i suoi più importanti edifici pubblici.

In questi giorni sono venuti alla luce alcuni interessanti reperti nella piazza della Cattedrale, dove i tecnici di Archeotest srl, incaricati da AcegasApsAmga, hanno identificato una scoperta di assoluto rilievo: un focolare risalente all’età protostorica che confermerebbe la tesi di un insediamento sul castello di San Giusto in epoca preromana. Secondo gli archeologi presenti sul posto si tratta decisamente del ritrovamento più importante degli ultimi decenni.

I dettagli dei rinvenimenti archeologici

La messa in luce di una struttura muraria entro una trincea parallela alla facciata del ricreatorio Toti ha indotto ad effettuare un allargamento dello scavo archeologico, fino ad ottenere un sondaggio, pur parzialmente disturbato da sottoservizi precedenti e dagli apparati radicali delle piante, opportunamente salvaguardati.

Alla base è stata così scoperta una sequenza stratigrafica completamente nuova e inedita per l’area: una sistemazione di pietre di forma e dimensioni diverse e con andamento nord-sud in connessione con un’area circolare, scottata dal fuoco e coperta in parte da un accumulo di cenere. Le caratteristiche del contesto permettono di ipotizzare la presenza di una struttura realizzata con materiali deperibili, probabilmente una capanna con al centro un focolare. Un secondo livello di calpestio, individuato subito a nord di questo e in relazione con la cenere, potrebbe indicare più livelli di frequentazione della stessa struttura.

I materiali ceramici (per lo più frammenti di pareti) rinvenuti all’interno di questa sequenza stratigrafica sono riferibili ad un periodo compreso fra la tarda fine dell’età del bronzo e l’età del ferro (IX-VI secolo a.C.).

Di altrettanto interesse è la risistemazione che, a distanza di svariati secoli, si imposta direttamente sopra i livelli protostorici, ed è invece riconducibile ai più antichi momenti della presenza romana a Trieste.

continua QUI http://vocedelnordest.it/?p=14525

Situazione Covid

 




Impennata di contagi nella zona confinaria:Valli del Natisone,Cividale,Prepotto,Stregna,San Pietro al Natisone.Aspettiamo la vaccinazione e osserviamo il distanziamento,mascherine,igiene delle mani.Stiamo
più possibile in casa,non c'è altro da fare.Statemi bene,ce la faremo!!!

Nelle pianure del Fvg sono tornate le lontre

 Le lontre sono tornate nelle pianure e colline del Friuli Venezia Giulia. A confermarlo è lo studio realizzato per la tesi di laurea da Giacomo Stokel, laureando del corso di laurea magistrale in Scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio, interateneo con l’ateneo giuliano, che nel corso dello scorso anno ha condotto un monitoraggio su scala regionale della presenza dell’animale, con l’obiettivo di aggiornare i dati di presenza sulla lontra (Lutra lutra). Lo studio si è svolto nel contesto delle attività di ricerca sulla fauna selvatica svolte dall’Università di Udine, con il coordinamento di Stefano Filacorda del Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali, e supportate da progetti di ambito locale e internazionale.

Lo scopo dell’indagine condotta da Stokel - che giovedì 11 marzo discuterà il suo lavoro davanti alla commissione di laurea - è stato quello di definire la distribuzione, l’andamento della colonizzazione e gli eventuali aspetti di vulnerabilità e di rischio per la specie.

La novità emersa durante le ricerche riguarda il ritrovamento della lontra in aree dove si riteneva scomparsa da circa 50 anni: nell’alto e medio Tagliamento, nelle Valli del Natisone, nelle pianure dell’Isontino, sui fiumi Fella e Arzino, e molti altri corsi d’acqua alpini e prealpini rientranti anche all’interno dell’area del Parco delle Prealpi Giulie. A documentare la presenza di dell’animale, sia i molti reperti biologici quali feci, marcature e impronte, sia i numerosi video e foto che sono stati realizzati in luoghi diversi della regione.

Lo studio, inoltre, ha al contempo confermato la presenza della specie nelle aree di cui essa era già nota, ovvero nelle zone alpine, dove la lontra è arrivata nel 2014 dalle vicine popolazioni austriache e slovene, dopo una prima segnalazione avvenuta nel 2011 nelle colline moreniche del comune di Treppo Grande, con il ritrovamento di un individuo morto in seguito ad un investimento stradale.

La ricerca. Nel corso della ricerca, che proseguirà anche nel 2021, sono stati percorsi circa 150 chilometri lungo piccoli e grandi corsi d’acqua, paludi e laghi del Friuli Venezia Giulia, dalle montagne al mare. A questi percorsi campione sono stati aggiunti anche sopralluoghi in oltre 150 ponti e altri punti specifici, dove risulta più facile trovare le marcature di questa specie. Infine, sono state posizionate fotocamere a infrarossi. Ben 16 quadranti (10x10 km) sui 48 monitorati sono risultati positivi, ossia con presenza della specie, pari a oltre il 30% del territorio regionale indagato, ossia il 14% del territorio regionale.

Durante i monitoraggi, grazie ai video raccolti e alle tracce, è stata documentata anche la presenza di altre specie quali lupi, volpi, gatti selvatici, sciacalli dorati, martore, faine, visoni americani, nutrie, rapaci notturni (tra i quali il gufo reale), aironi e altri uccelli che frequentano le medesime aree utilizzate dalla lontra.

"I risultati ottenuti da questa ricerca – spiega Stefano Filacorda -, oltre a fornire informazioni utili per meglio conoscere la dinamica di popolazione della specie e la sua ecologia, hanno permesso di raccogliere importanti dati volti a consentire la protezione delle specie stessa e la pianificazione e valorizzazione del territorio anche in prospettiva di attività divulgative e didattiche. Un ulteriore aspetto cruciale è ciò che consente alle comunità locali di riappropriarsi di una specie straordinaria, patrimonio naturale e culturale dei nostri corsi d’acqua sin dagli anni Sessanta del secolo scorso".

Le attività di ricerca sono state finanziate nell’ambito del progetto “Individuazione della Rete Ecologica Locale (REL) e formazione di corridoi ecologici nei tre Comuni di Treppo Grande, Buja e Magnano in Riviera” e dal progetto Interreg Nat2care “Attivazione della cittadinanza per il ripristino e la conservazione delle aree transfrontaliere”.

I ricercatori impegnati nelle attività sono stati Giacomo Stokel, Lorenzo Frangini, Marcello Franchini, Andrea Madinelli, Antonella Stravisi, Stefano Pesaro e Stefano Filacorda per l’Università di Udine, ed Elisabetta Pizzul per l’Università di Trieste.

La lontra (Lutra lutra)La lontra è un mammifero straordinario, specie “chiave”, “ombrello” e “bandiera”, ovvero importante dal punto di vista della protezione e della conservazione tanto quanto l’orso e il lupo. La sua presenza testimonia l’esistenza di corsi d’acqua, e contesti naturali e seminaturali, integri e ricchi di biodiversità.

Dalla forma elegante, sinuosa e adattata a muoversi in ambiente acquatico, presenta una lunghezza di circa 100-120 centimetri (dei quali ben 50 cm sono rappresentati dalla coda) e un peso medio di 8-12 chili, ma può raggiungere anche i 15 chilogrammi.

La lontra mostra delle abitudini prevalentemente notturne nelle aree del Friuli Venezia Giulia. Si alimenta soprattutto di pesci (a differenza della comune e problematica nutria, che è vegetariana, ed è molto presente nella zona della bassa pianura e non solo), ma anche di crostacei, molluschi, piccoli uccelli, anfibi e rettili.


https://www.ilfriuli.it/articolo/green/nelle-pianure-del-fvg-sono-tornate-le-lontre/54/237928


9 mar 2021

ACCADDE OGGI - 87 anni fa nasce Jurij Gagarin

 


Jurij Alekseevič Gagarin (in russo: Юрий Алексеевич Гагарин?; Klušino, 9 marzo 1934  Kiržač, 27 marzo 1968) è stato un cosmonauta, aviatore e politico sovietico, primo uomo a volare nello Spazio, portando a termine con successo la propria missione il 12 aprile 1961 a bordo della Vostok 1.

In seguito a questo storico volo, che segnò una pietra miliare nella corsa allo spazio, Gagarin divenne una celebrità internazionale e ricevette numerosi riconoscimenti e medaglie, tra cui quella di Eroe dell'Unione Sovietica, la più alta onorificenza del suo paese. La missione sulla Vostok 1 fu il suo unico volo spaziale, anche se in seguito venne nominato come cosmonauta di riserva nella missione Sojuz 1, conclusasi in tragedia al momento del rientro con la morte del suo amico Vladimir Komarov. Successivamente Gagarin servì come vice direttore del centro per l'addestramento cosmonauti, che in seguito prese il suo nome.

Nel 1962 venne eletto membro del Soviet dell'Unione e poi nel Soviet delle Nazionalità, rispettivamente la camera bassa e la camera alta del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica. Gagarin morì nel 1968 a seguito dello schianto, avvenuto nei pressi della città di Kirzhach, del MiG-15 su cui si trovava a bordo con l'istruttore di volo Vladimir Seryogin in occasione di un volo di addestramento.

continua QUI https://it.wikipedia.org/wiki/Jurij_Gagarin

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