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Web sul blog: Firmate la petizione: “Tutti hanno diritto alla pr...: Invito a firmare questa petizione popolare e a diffonderla sul web. "Il COVID-19 si diffonde a macchia d’olio. Le soluzioni devono dif...

Covid-19, superfarmaco israeliano

 


Anche in questo trentanovesimo aggiornamento settimanale il dott. Mario Canciani, allergo-pneumologo, fornisce notizie pratiche sull’infezione da Coronavirus, basate sulle domande che gli vengono poste più spesso. Il report non vuole sostituire il ruolo del curante, né quelle della sanità regionale, le cui indicazioni invitia sempre a rispettare. Per chi lo desiderasse, giovedì  il dott. Canciani sarà presente su UdineseTV, canale 110, alle ore 21.00. Si parla anche di asma e di malattie allergiche. Poiché non si possono fare delle domande in diretta, chi avesse dei quesiti, può mandarli a: studio@mariocanciani.com

COS’È IL SUPER FARMACO ISRAELIANO?
I colleghi di Tel Aviv hanno segnalato che, facendo respirare per una volta al giorno per 5 giorni un farmaco a base di Esosoni arricchiti con la proteina CD14 – la quale inibirebbe la tempesta citochinica, quella che causa i maggiori problemi al nostro organismo, dovuta a una iperisposta del sistema immunitario – si aveva un’ottima risposta clinica. Lo studio ha riguardato 36 pazienti di età compresa tra 37 e 77 anni in condizioni critiche. A parte un paziente, che ha richiesto un tempo superiore, tutti sono stati dimessi in 3-5 giorni. I vantaggi del farmaco sono costituiti dalla praticità di somministrazione, dal non causare effetti collaterali e dal costare pochissimo.

COSA S’INTENDE PER “SCIENZA PARTECIPATA” E QUAL È IL SUO LEGAME CON IL CORONAVIRUS?
Dall’esplosione della pandemia si sono registrati – oltre agli eventi negativi legati alla malattia – alcuni positivi: maggior accesso alle informazioni scientifiche, maggior numero di pubblicazioni e in tempi più rapidi, messa a punto di nuovi vaccini con nuove metodiche che saranno applicate anche ad altri farmaci come  quelli antitumorali, collaborazione da parte di persone volonterose che  hanno messo a disposizione gratuitamente il loro tempo per diffondere dati che sono utili ai ricercatori. Da qui è nato il termine di “scienza partecipata”, che speriamo prosegua anche in futuro e faccia aprire un nuovo capitolo per lo studio delle malattie.

PERCHÉ SI PARLA DI PREVISIONI EPIDEMICHE?
Come ci siamo abituati a prevedere il tempo mettendo in comune tutte le informazioni metereologiche tra le varie nazioni, così l’Università di Harvard ha proposto di creare un servizio mondiale per prevedere l’arrivo di nuove epidemie. Il progetto è semplice e si basa sull’esame di piccole quantità di sangue che vengono raccolte periodicamente, sulle quali si eseguono delle ricerche su batteri e virus per capire se in un luogo vi siano un’aumentata circolazione di patogeni, la sua entità, l’area di diffusione e la reazione dell’organismo. Confrontando i dati dei vari Stati, si dovrebbe riuscire a prevedere la diffusione di nuove malattie, di lanciare un’allerta precoce ai primi segnali di contagio anomali, di avere dati sulla risposta immunitaria e della differenza tra ammalati e asintomatici.

QUALI SONO GLI EFFETTI SOCIALI POSITIVI DEL LOCKDOWN?
Due studi, uno scozzese ed uno australiano, hanno evidenziato che per una discreta percentuale di persone – 50 e 70% rispettivamente – il lockdown ha permesso di fare più attività fisica, di scoprire tante cose che erano trascurate, di stare di più in famiglia. In entrambi gli studi è stata sottolineata la variabile tempo, con maggiore disponibilità per sé stessi e per la famiglia. Hanno tratto maggiore beneficio le donne, i giovani, i coniugati o conviventi, chi aveva un lavoro stabile e non aveva problemi di salute. Lo studio scozzese ha anche evidenziato che al termine del lockdown metà delle persone manteneva le abitudini acquisite durante le restrizioni.

continua QUI https://www.dom.it/covid-19-superfarmaco-israeliano_covid-19-izraelsko-superzdravilo/

PRIMAVERA

 

PRIMAVERA


Oggi sento un'aria diversa,

è la nuova stagione che avanza:

odo trilli d'uccelli ovunque,

vedo gemme che aspettan il tepore

per aprirsi in tutto il loro splendore.

Il cielo è d'un colore azzurro intenso,

nel prato l'erba è più verde, le pratoline

e le prime violette mi fanno l'occhiolino.

Presto api, mosche e farfalle voleranno

sui primi fiori colorati per annunciare

che è arrivata la primavera che porta

nuova vita alla natura e a tutti i nostri cuor.

olga

5 marzo 1922 nasce Pier Paolo Pasolini


 Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico

ma nazione vivente, ma nazione europea:

e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,

governanti impiegati di agrari, prefetti codini,

avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,

funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,

una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!

Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci

pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,

tra case coloniali scrostate ormai come chiese.

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,

proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare

che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

da https://libreriamo.it/libri/pier-paolo-pasolini-poesie-piu-belle/poesie/pier-paolo-pasolini-poesie-piu-belle

TINA MODOTTI

 

da wikipedia

«Ogni volta che si usano le parole "arte" o "artista" in relazione ai miei lavori fotografici, avverto una sensazione sgradevole dovuta senza dubbio al cattivo impiego che si fa di tali termini. Mi considero una fotografa, e niente altro.»

(Introduzione di Tina Modotti alla sua mostra del 1929)

Creatura nomade per antonomasia, Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, figlia di una cucitrice e di un carpentiere, nasce in Italia sul finire del XIX secolo ed esprime nel suo breve e luminoso percorso biografico – costellato di viaggi, passioni pubbliche e private, separazioni laceranti – gran parte delle inquietudini culturali e politiche che marcano l’apertura del Novecento.

Già la prima infanzia viene segnata da un breve percorso migratorio, quando per il lavoro del padre a soli due anni viene portata temporaneamente nella vicina Austria, a Klagenfurt. Ben più consistente sarà poi il viaggio negli Stati Uniti, dove nel 1913 si ricongiunge ancora adolescente alla famiglia nel frattempo emigrata; si trasferisce in seguito da San Francisco a Los Angeles e, nel 1923, dalla California al Messico. Espulsa sei anni dopo con il pretesto ufficiale di aver partecipato a un attentato al presidente, Ortiz Rubio, viaggia su una nave diretta a Rotterdam ottenendo asilo politico a Berlino; vola a Mosca, dove la sua attività per il Comintern la porta a Parigi; poi tra il 1935 e il 1939, con Soccorso Rosso Internazionale, partecipa alle convulse vicende della guerra civile in Spagna. Dopo un breve rientro alla volta della Francia torna in Messico, sua patria d’adozione, e lì vi muore nel 1942, a soli quarantacinque anni.
Considerando i due soggiorni, «la permanenza quasi decennale in Messico […] fu, nella sua esistenza adulta, il periodo più lungo trascorso in un solo paese»[1]. In questa terra, che attraverso giganti della pittura muraria come Diego Rivera e David Siqueiros rielabora nuove tendenze artistiche anche grazie al processo di rottura innescato dalla Revolución armada, Tina matura il suo impegno verso la fotografia, l’attività per la quale verrà in primo luogo ricordata, in una fusione costante tra tensione estetica e impegno politico. Vicina sin da bambina a questa forma di espressione artistica (lo zio Pietro Modotti aveva uno studio), in età adulta perfeziona le basi tecniche con Edward Weston, maestro e per alcuni anni compagno di vita, e radicalizza poi il suo stile di pari passo con la crescente militanza. Alle scelte già condivise con quest’ultimo, infatti, cioè l’abbandono della fotografia “pittorica”, dagli effetti sfumati e dai contorni imprecisi per prediligere invece i tratti ben marcati degli oggetti e dei luoghi della vita reale, aggiunge un decisivo allargamento della gamma dei possibili soggetti. Immortala non solo gli emblemi della Rivoluzione, ancora così profondamente incisi nella memoria collettiva messicana, come cartucciere, falci, chitarre, murales, sombreros; ma anche mani che lavorano, donne con bambini (celebri quelle di Tehuantepec), tessuti, fiori.
Arte e politica costituiscono per molti anni un binomio inscindibile. Figlia di un operaio con simpatie verso il socialismo, lavoratrice in filanda nella prima giovinezza in Italia e poi in una fabbrica di moda nel primo periodo californiano, si sensibilizza ancor più al conflitto sociale proprio in questi anni. Ricordata essenzialmente per la breve carriera da attrice nell’industria cinematografica di Hollywood – si ricordi ad esempio il film The Tiger’s Coat (1920), o I Can Explain (1922) -, a detta della biografia storica di Letizia Argenteri – una delle più recenti e documentate – la fase californiana non è stata infatti sufficientemente compresa nella sua valenza cruciale, cioè quella di formazione politica, nella quale Tina prende contatto con le organizzazioni operaie in seno alla comunità italiana e con l’attività dei patronati [2].
Iscritta nel 1927 al Partito Comunista messicano, partecipa con Frida Kahlo e Diego Rivera al Fronte Unico per Sacco e Vanzetti, alla campagna Manos fuera de Nicaragua contro l’occupazione statunitense e traduce per il giornale «El Machete», denunciando le violenze del fascismo italiano e attirandosi così la qualifica di “persona non grata” nel suo paese d’origine.
Recenti riletture del percorso biografico della Modotti tendono a decostruire il mito(riproposto anche da figure del calibro di Octavio Paz) della femme fatale che vive guidata dalla passione per i suoi amanti e che da questi viene condizionata anche nei comportamenti pubblici. Studiose come Argenteri ipotizzano anzi il contrario, cioè che a partire dal periodo messicano la scelta dei suoi compagni di vita fu sempre dettata dal suo orientamento politico e ideologico e a questo funzionale. 

casa natale in via Pracchiuso Udine
da wikipedia


Andar per erbe

 In questa stagione amo passeggiare nei prati per raccogliere erbe spontanee con le quali preparo piatti prelibati: risotti,minestre,frittate,contorni crudi o cotti.

Tarassaco o dente di leone,modar (Valli del Torre)  ossia cicoria selvatica,tarassaco,ledrichessa a Udine .Usato come contorno cotto in insalata,crudo e condito con pezzettini di lardo o bacon abbrustolito, nelle frittate e risotti

 

 

Humulus lupulus ,urtizon ,luppolo selvatico,bruscandolo

I germogli della pianta ,lunghi circa 20 cm,raccolti in marzo-maggio sono utilizzati come gli asparagi , più gustosi quando sono più grossi.Lessati per 5-10 minuti con poca acqua o al vapore,vengono conditi con olio e aceto,oppure saltati in padella per fare risotti,frittate e minestre.

Silene vulgaris,sclopit ,silene,grisol

E’ una pianta perenne e spontanea, si usano i germogli che devono assere raccolti prima della fioritura. Viene usata per risotti,frittate e minestre.

L’ Urtica dioica (ortica)
I germogli e le foglie tenere si raccolgono in primavera prima della fioritura.Le foglie vengono usate nei risotti,minestroni,frittate ,torte salate.
440px-Brennnessel_1

 

Ruscus aculeatus (pungitopo) ,ruscli,

I germogli  molto amarognoli .vengono raccolti da marzo a maggio,vengono usati in cucina come fossero asparagi,lessati in insalata,minestre e frittate.

 

 Auruncus ioicus,barba di capra o asparago di monte,

 

Chenopodium bonus-enricus , buonenrico, spinacio selvatico ,pel di mus

Si usa lessata come gli spinaci,in padella,si usano i germogli delle piante giovani.

1200px-Chenopodium_bonus-henricus

 

Attenzione ,ci sono dei limiti per la raccolta delle erbe spontanee.forestale

Tutte le immagini sono prese dal web da wikipedia,wikiwand,wikimedia.

I luoghi del Tiepolo, anche Udine celebra il compleanno del grande artista

 


Il 5 marzo i luoghi del Tiepolo si uniscono per ricordare il compleanno di uno dei maggiori artisti del Settecento veneziano, di cui lo scorso anno si è celebrato, tra mille difficoltà, ma con entusiasmo e determinazione, il 250° anniversario della morte.

 

I Comuni di Mirano (VE), Este (PD), Monteviale (VI), Stra (VE), Udine, Vicenza, la Provincia di Vicenza, la città di Würzburg, la pro loco di Mirano, il museo Ca’ Rezzonico di Venezia, il CISA Andrea Palladio, la Scuola Grande dei Carmini di Venezia, il Museo Nazionale di Villa Pisani di Stra, il Duomo di Santa Tecla di Este, i musei civici di Udine, Musei civici Vicenza, Villa Zileri Motterle, Villa Valmarana ai Nani Villa Cordellina e il Museo Martin Von Wagner dell’Università di Würzburg, coordinati dal Circolo Acli di Mirano, luoghi che conservano e valorizzano le straordinarie opere del Tiepolo, hanno deciso, in maniera spontanea e informale, di coordinarsi per celebrare insieme il genetliaco dell’artista veneziano.

Venerdì 5 marzo, quindi, il compleanno di Giambattista Tiepolo verrà festeggiato virtualmente attraverso foto, video e messaggi rilanciati e condivisi attraverso i canali social degli enti, musei e ville coinvolti nel progetto.

Udine omaggia il Tiepolo
Il Comune di Udine – Civici Musei, in collaborazione con il Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo e con il Museo del Duomo e grazie al sostegno di Fondazione Friuli e Amga-Hera, promuove un evento cittadino dal titolo Buon compleanno Tiepolo! per celebrare il 5 marzo 1696, data di nascita del pittore Giambattista Tiepolo che, assieme al figlio Giandomenico, ha lasciato in città significative tracce del suo passaggio.

La manifestazione, che si articolerà in eventi e sedi diverse, è pensata per promuovere la conoscenza del patrimonio artistico tiepolesco presso il grande pubblico e incentivare presso la cittadinanza un processo di appropriazione culturale e di maggiore consapevolezza dei tesori che Udine conserva quali testimonianze pregevoli della sua storia.

Il programma

In Castello, presso la Galleria d'Arte Antica, un mediatore culturale sarà a disposizione del pubblico intervenuto per una visita guidata gratuita dal titolo “RACCONTAMI... TIEPOLO A UDINE!”

Dalle 11.00 alle 19.00

Ingresso a pagamento del biglietto ridotto

Prenotazione obbligatoria

online http://www.civicimuseiudine.it/it/visita/orari-tickets oppure al telefono 0432.1272591

 

Per l'occasione il Museo Diocesano di Udine proseguirà con le iniziative online “Diretta_mente”.

Il 5 marzo in programma ci sarà la diretta Facebook e Instagram alle ore 10.30 dal titolo “Buon compleanno! Omaggio all’arte del Tiepolo in Palazzo patriarcale”.

Mariarita Ricchizzi guiderà i partecipanti in un percorso tra le sale del Palazzo patriarcale mirabilmente affrescate dal grande maestro. Un viaggio virtuale in attesa di poterci vedere di persona in Museo Diocesano.

 

La Cattedrale, il Museo del Duomo e la chiesa della B.V. della Purità saranno aperti dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 18.00 con visite guidate. Proseguirà l'iniziativa Ars Mecum -Tiepolo250. I foulards saranno in vendita presso il museo: il loro acquisto finanzia la conservazione delle opere.

info: museo@cattedraleudine.it

Citazione di Dumas figlio

 

Una sciocchezza

 
A volte basta una sciocchezza a farci felici.

ALEXANDRE DUMAS FIGLIO 
La signora delle camelie


da https://lunarioaforismi.blogspot.com/2021/03/una-sciocchezza.html

Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone

 Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone (Pordenone, 1483  Ferrara, 14 gennaio 1539), è stato un pittore italiano.

Il suo stile, dopo il contatto con la grande maniera romana, di Raffaello e Michelangelo, si indirizzò verso toni magniloquenti, in un originale equilibrio tra ricordi classici e citazioni narrative di indole popolare, soprattutto nei lavori destinati alla provincia. È considerato il massimo pittore friulano del Rinascimento.Fu ricordato da Vasari, che gli dedicò una biografia dove viene definito: «il più raro e celebre […] nell'invenzione delle storie, nel disegno, nella bravura, nella pratica de' colori, nel lavoro a fresco, nella velocità, nel rilievo grande et in ogni altra cosa delle nostre arti». Lo storico aretino lo presentò però con il nome di Giovanni Antonio "Licinio" da Pordenone, dando origine così alla confusione con il pittore Bernardino Licinio, risolta solo al principio del Novecento.

La sua formazione, secondo il Vasari, avvenne sotto l'influsso del Giorgione e, secondo il Ridolfi, sotto Pellegrino da San Daniele. Fu influenzato, agli inizi, oltre che dall'esempio di Andrea Mantegna, probabilmente dalla conoscenza delle incisioni del Dürer e di altri artisti nordici. Nel 1514-1515 fu a Roma, a contatto con l'opera di Raffaello e Michelangelo. Fu attivo in diversi paesi del Friuli, in Umbria, nei possedimenti dei d'Alviano, signori di Pordenone, a Venezia, dove nel 1528 perse contro Tiziano il concorso indetto per la realizzazione della Pala di san Pietro martire per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, e in Emilia, tra il 1529-30. Nel 1532 fu a Genova per lavorare alla Villa del Principe di Andrea Doria.

Negli anni 1530, il confronto tra l'artista e Tiziano animò la scena artistica lagunare, concludendosi con l'emarginazione del pittore e, dopo la sua morte, col silenzio sulla sua opera da parte degli scrittori veneziani.

Il Pordenone morì infatti a Ferrara, in circostanze misteriose, dove si era recato per fornire disegni per arazzi su commissione di Ercole II d'Este.

Ebbe come allievo Pomponio Amalteo, cui andò in sposa anche la figlia Graziosa.

fonte wikipedia



Affreschi a Santa Maria di Campagna, Piacenza.





crocifissione - museo del 700 veneziano

Noli me tangere - Museo del Duomo - Cividale del Friuli.


I sette nani non hanno fatto un gigante

 


«La lingua batte dove il dente duole». Per cercare di lenire il dolore il cervello ordina alla lingua di tastare il punto dolente. Quest’espressione viene usata per indicare un qualcosa che, puntualmente, ritorna a toccare un tasto che non vorremmo, ma volenti o nolenti, si ripropone da sé. Quando il disagio è cronico, il malessere si diffonde su tutto l’organismo a meno che non intervenga un anestetico adeguato ad abolire o mitigare la sensibilità al dolore.

Questa banale citazione proverbiale per accostarmi ad un argomento, la demografia locale, che per me è stato un assillo già dai miei esordi lavorativi come insegnante elementare in alcune delle scuole lungo la fascia confinaria.

Mi riferisco a tempi lontani, oltre 50 anni fa e i decenni seguenti, quando ho fatto da ricercatore nell’Istituto sloveno di ricerche – Slovenski raziskovalni Inštitut. E già allora evidenziavo, con rammarico ed una buona dose di rabbia, l’ecatombe demografica dei paesi della Slavia. «Sette nani» – come mi scappò di dire dei nostri comuni valligiani – sono un’immagine significativa di cosa possa significare l’emarginazione, l’abbandono a se stessi, l’indifferenza ai problemi reali di un piccolo popolo, reo d’essere etnicamente e linguisticamente diverso e perciò etichettato come «indesiderato » già dalla sua entrata nel Regno italico oltre 150 anni fa. Ricordo che stavo preparando la mia tesi di laurea studiando sul campo le problematiche psicosociali dell’area slovena e rimasi colpito dai dati Istat che ci riguardavano da vicino.

Il censimento del 1921, a tre anni dal primo conflitto mondiale, aveva registrato nei nostri sette comuni 17.267 residenti nonostante l’enorme numero di caduti nel corso della guerra. Mentre l’Italia cresceva fornendo baionette al Regime littorio, le Valli si ridussero di numero, tuttavia al censimento del 1951 ci contarono per 16.195 residenti con la perdita di un migliaio di abitanti. Ma, mi chiedevo con sconcerto, cosa è successo che nel corso di 20 anni, tempo in cui l’Italia si riprendeva in tutti i settori dopo la guerra, da noi la popolazione si riducesse a 9.649 residenti? Meno 6.546 abitanti. Il che significa più di quattro valligiani ogni dieci se ne erano andati. Dove? Per il mondo, a iniziare dalla pianura friulana. Una botta da stordire, altro che un mal di denti! Evviva la «Repubblica» che sbandierava nella sua Costituzione articoli santificatori come il 6 e il 2 e il 3.

Non li cito per intero per pudore: tutti uguali come cittadini e cura delle minoranze. Ma finirà questo collasso, mi sono detto. La rinascita italiana lambirà, – se non altro come le briciole cadute dalla tavola imbandita del biblico Epulone – anche l’estremo lembo del confine orientale sacrificato ai sensi della Cortina di ferro. Qualcuno si accorgerà del disagio, pensavo l’ingenuo. Il dente duole nella Slavia. Perché nessun medico antimiseria? Di fatto l’analgesico lo prende il «dottore», mette gli occhiali scuri, i tappi nelle orecchie: lo Stato dibatte sulla definizione di ipotetici diritti di Paleoslavi, Veteroslavi, di popolo italianissssimo (Andreotti) più italiano degli italiani medesimi, tali per diritto divino. Di noi sloveni di lingua si spargevano voci di manovre di autosvendita territoriale alla Jugoslavia.

Sarà finita la mistificazione sulla nostra appartenenza etnica e sulla nostra identità constatando che la Slovenia è entrata nell’area di Schengen! Pensa ancora l’ingenuo. No. Noi siamo speciali, perché noi il nemico degli «sloveni », cioè di noi stessi, purtroppo ce lo creiamo e foraggiamo da noi come un cancro al nostro interno. Colpiti da una malattia nota come sindrome di Stoccolma, diventiamo vittime che solidarizzano con il proprio aggressore. Come non bastasse l’infingardo avversario esterno. Così disunità e conflittualità interna ci hanno impedito perfino di rivendicare efficacemente i nostri diritti umani, diritti costituzionali teoricamente garantiti a tutti.

Solo giunti a cavallo del nuovo millennio una mano fu tesa con il riconoscimento ufficiale della nostra esistenza (legge di tutela 38-2001) e il solito ingenuo si disse: finalmente! Da ora qualcosa cambierà, si sono accorti di noi, abbiamo un nome ed un’identità. Da ora si fermerà l’emorragia che sfinisce la nostra forza vitale; siamo sulla strada della rinascita; i paesi torneranno a vivere, i davanzali delle case a colorarsi di fiori anche lassù nei paesini di Drenchia, Grimacco, Savogna e via di seguito, fin su oltre Resia ed il Canin, fino ai tre confini di Tarvisio.

Illusione. Per definire lo stato dei fatti odierni non intendo disquisire su particolari demografici di numero di maschi e femmine, di stato civile, di classi d’età, di famiglie e loro consistenze, di redditi e tributi, di servizi essenziali e quant’altro. La dice lunga, con pacata chiarezza un semplice paio di dati, tanto per comprendere come sia stato possibile ridurci ai 5.167 residenti (01/01/2020). Natalità e mortalità sono parametri inequivocabili e questi, riguardo ai nostri sette comuni, ci dicono quanto segue. Dal primo giorno del 2002 all’ultimo del 2019, in 18 anni, su tutto il nostro territorio sono stati registrati solo 722 nati vivi. Ma al confronto col numero dei morti non credo di poter trovare altrove una proporzione così marcata avendone assommati ben 1.797. Altro che ricambio generazionale! Sempre meno varrà la pena spendere soldi per un piccolo popolo come il nostro nell’inconfessabile aspettativa che il Covid ne confermi il processo involutivo.

https://www.dom.it/i-sette-nani-non-hanno-fatto-un-gigante_iz-sedmih-palckov-ni-nastal-velikan/

Riccardo Ruttar

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