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IVAN TRINKO padre della Benecia

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30 giu 2021

CITAZIONE

 

Natisone a Cividale

Una specie di fiume

 

Il tempo è una specie di fiume degli eventi o un torrente impetuoso. Appena una cosa è comparsa, ed è già portata via e un’altra è tratta e un’altra ancora vi sarà inghiottita. MARCO AURELIO 

da https://lunarioaforismi.blogspot.com/

Udine - Raccontami la tua città

Udin in friulano, Weiden in tedesco, Videm in sloveno.
E' la città dove ho vissuto fino ai 30anni.Un tempo era il capoluogo del Friuli Venezia Giulia,poi lo è diventataTrieste.I suoi abitanti si chiamano udinesi.
Utinum in latino medievale è un comune del Friuli Venezia Giulia di 99.206 abitanti è ritenuta la capitale storica del Friuli.
La città si trova al centro della regione storica friulana.Dista ,in linea d'aria, a circa 20 km dalla Slovenija e circa 54 dall'Austria.Sorge in alta pianura intorno al colle del castello costruito,secondo la leggenda,da Attila per ammirare l'incendio di Aquileia.In realtà l'origine della collina del castello è di natura morenica.Udine è abitata fin dal Neolitico,epoca a cui risalgono un Castelliere che si trovava attorno al colle del castello circa 3500 anni fa.La città aumentò la sua importanza per la decadenza di Aquileia e Cividale.Fu citata la prima volta nei documenti in occasione della donazione del castello da parte dell'imperatore Ottone II nel 983  con il nome di Udene ,dal 1222 diventò una delle residenze dai Patriarchi di Aquileia,

buon mercoledì

 

foto di EDOARDO CASALI

Dorina Michelutti




Udine 1952 - Oman 2009
 «Navigando verso il Canada. Mi afferri mentre scivolo tra le braccia dell’Atlantico, troppo giovane per sapere che l’oceano è pagano.»

(Sailing for Canada. You grab me as I slip overboard into the arms of the Atlantic, too young to know the ocean is pagan)

Brother, 1986

Nel variegato panorama della scrittura italo-canadese spiccano voci che raccontano l’esperienza della migrazione oltreoceano in maniera originale e polifonica. È il caso di Dorina Michelutti, poetessa, saggista e insegnante di scrittura conosciuta anche con lo pseudonimo friulano di Dôre Michelut.
Nata a Sella di Rivignano, in Friuli, Michelutti trascorre i primi anni della sua infanzia in un ambiente segnato da una forte identità linguistica e culturale. Per Dorina, in questi anni, il friulano rappresenta la lingua madre, quella che per sempre raffigurerà i legami con la terra natia. Nel 1958, la famiglia Michelutti emigra a North York (Toronto) in Canada, il paese che da quel giorno la scrittrice imparerà  a chiamare casa. Nella vita quotidiana, l’inglese prende il posto del friulano, lingua che rimarrà riservata alle vicende familiari all’interno delle mura domestiche. Michelutti si trasferisce in Italia nel 1973 per frequentare l’Università  di Firenze, spinta dal desiderio di riallacciare i rapporti con l’italiano e l’Italia, una lingua e un paese che sente distanti, ma che al contempo rappresentano una parte del proprio bagaglio identitario. Dorina ritorna nuovamente a Toronto nel 1981 per studiare alla University of Toronto. È durante questo periodo che comincia a dedicarsi alla scrittura e pubblica le prime poesie in riviste letterarie, iniziando a rendersi conto di come, analogamente ad altre voci migranti, la sua identità letteraria è molteplice e frammentaria. Nella scrittura, Michelutti scende a patti con le sue molteplici lingue madri (mi riferisco qui al titolo di un saggio pubblicato dalla stessa scrittrice nel 1989 Coming to terms with the mother tongues dedicato alla difficoltà  del vivere una vita multilingue e al ruolo dello scrittore migrante come traduttore di culture): il friulano, l’inglese e l’italiano. Le lingue si avvicinano, si sfiorano, ma non si sovrappongono. La scrittura diventa il luogo della scoperta, non solo dei confini linguistici e dalla creatività  che può derivarne, ma anche di se stessi: «Then I started to write, in any language and despite all grammars. It would have been unintelligible to most, but as far as I was concerned, I was producing meaning, and on my own terms. And the view I got of myself from the page was that of two different sets of cards shuffled together, each deck playing its own game with its own rules». 1.
Le raccolte di poesie che scaturiscono da questa esperienza, Loyalty to the Hunt (1986) e Ouroboros: The Book that Ate Me (1990), rappresentano per l’appunto la rottura delle frontiere linguistiche: le liriche contenute all’interno di queste antologie alternano inglese, italiano e francese, a volte affiancando le tre sulla stessa pagina. La scrittrice crea una polifonia linguistica multiforme – i lavori spesso abbattono le distinzioni tra generi – originata da un’operazione di autotraduzione viscerale (o cannibalistica, come suggerirebbe il titolo della seconda raccolta) nell’intento di riconciliare le diverse parti della sua vita e i contrasti tra le sue molteplici personalità  linguistiche e culturali. Le poesie sono, infatti, incentrate attorno ai temi dell’identità  frammentata (linguisticamente e culturalmente), della famiglia – la madre soprattutto – e del viaggio. L’eclettismo di Dorina si riconferma nell’antologia Linked Alive (1990): una raccolta di renga, genere poetico collaborativo di origine giapponese in cui diversi autori si avvicendano nella stesura dei versi, composta con la partecipazione, tra gli altri, della scrittrice quebecchese Anne-Marie Alonzo, della poetessa giamaicana Ayanna Black e della scrittrice indigena anglofona Lee Maracle. Nel 1993, Michelutti cura la raccolta e la pubblicazione di A Furlan Harvest interamente dedicata alle scrittrici friulane in Canada nata da una serie di incontri letterari, tenutisi al centro dedicato alla promozione delle origini e della cultura friulane Famee Furlane di Toronto. La tematica del viaggio alla riscoperta della lingua perduta era già stata affrontata da Michelutti nei suoi precedenti lavori, come ad esempio nella poesia bilingue Ne storie/A story, in cui la lingua «dai muri bagnati di amarezza» per essere stata a lungo dimenticata richiama la scrittrice e la invita a tornare a “casa”:
«Cjàmin in chiste lenghe dai mûrs bagnats cun trist
cal filter ta la me bòcje, ca mi bàt sui dinc’
come agge glaze di laip. A’mi ven ingrîsul
quant che chiste storie di displaz1ès a’ mi buse
par strade, a’ mi clame lazarone, a’ mi dîs – Dulà
sêtu stade fin cumò? Fasin i conts a cjase.» 2.
Si chiude all’inizio degli anni ’90 il periodo di produzione letteraria di Michelutti, che dopo anni dedicati all’introspezione linguistica decide di dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento e all’esplorazione di altre culture. Passa così gli ultimi dieci anni della sua vita insegnando scrittura creativa e comunicazione dapprima in Cina, tra il 2001 e il 2005, all’Università  di Wenzhou, e infine in Marocco, dove insegna alla Al Akhawayn University a Ifrane e dove si spegnerà  del 2009 a causa di un cancro.

 

  1. «Poi cominciai a scrivere, in qualsiasi lingua e a dispetto di ogni grammatica. Ai più, sarebbe parso incomprensibile, ma per quanto mi riguardava, stavo producendo significato, e secondo i miei termini. L’immagine di me stessa che emergeva dalla pagina era quella di due mazzi di carte distinti che vengono mescolati, ciascun mazzo giocava il suo gioco e seguiva le proprie regole. (1989)»  ^
  2. Nella versione inglese si legge: «I walk in this language of walls/ wet with a bitterness that seeps into/ my mouth, that shocks my teeth like/ icy well water. I shudder as this suffering/ history greets me with kisses/ tells me I’ve been bad, says: “Where/ have you been? We’ll settle this at/ home» 
  3.  http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/dorina-michelutti/

Web sul blog: La sfida musicale: scegli la tua canzone preferita

Web sul blog: La sfida musicale: scegli la tua canzone preferita: V'invito a scegliere la vostra canzone preferita tra le cinque del sondaggio, inoltre voglio ricordare a tutti, che si può esprimere...

29 giu 2021

ROBY FACCHINETTI - L' ULTIMA PAROLA

IL PROVERBIO FRIULANO DELLA SETTIMANA


 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“A San Pieri il fornasîr al è vieri” ovvero per San Pietro (il 29 giugno) il fornacciaio, il mattonaio, è vecchio, già da molto tempo ha incominciato il suo lavoro stagionale”.

28 giu 2021

IL PETROLIO DI OCULIS




Il fisarmonicista libero esce dal Cpr di Gradisca e aspettando il verdetto suona al centro Balducci

 

UDINE. Il primo passo verso la libertà è vedere i cancelli del Centro di permanenza per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo che si aprono e varcarli con la fisarmonica in spalla. Dietro, l’incubo di due settimane trascorse nel limbo di un’attesa impalpabile, davanti, l’angosciosa speranza di una risposta che consenta alla vita di ricominciare a scorrere normalmente, tra concerti, progetti artistici, relazioni umane.

Liubomyr Bogoslavets, il fisarmonicista ucraino che con le sue note ha incantato Udine durante il lockdown, è un richiedente asilo come ce ne sono tanti, sul territorio nazionale, libero di circolare e lavorare, almeno fino a quando la commissione territoriale di Trieste non deciderà se concedergli o meno la protezione internazionale. Decisione che, dopo l’audizione di giovedì, è attesa al più tardi per lunedì. È stato il giudice monocratico della sezione del tribunale di Trieste specializzata in materia di immigrazione, Monica Pacilio, a ritenere di non convalidare il provvedimento con cui il questore di Gorizia aveva disposto il trattenimento del musicista al Cpr.



L’udienza si è tenuta ieri mattina e ha dato ragione alle istanze della difesa, rappresentata dall’avvocato udinese Alessandro Campi, che oltre a evidenziare l’assenza del pericolo di fuga e a ricordare il livello di integrazione raggiunto da Bogoslavets in regione, dov’è conosciuto e apprezzato come persona e come professionista, ha proposto al magistrato una misura alternativa alla simil detenzione nella struttura di Gradisca - riservata in particolare, come noto, a migranti in attesa di espatrio con caratteristiche di spiccata pericolosità sociale -, segnalando la disponibilità del Centro di accoglienza “Balducci” di Zugliano a ospitarlo.

Il resto della giornata è trascorso in un crescendo di emozioni, seppur nell’incertezza rispetto alla definizione del procedimento azionato dalla richiesta di protezione internazionale che il musicista ha voluto tentare. Una protezione “speciale”, quella ipotizzata per il suo caso, visto che il rientro in patria lo condannerebbe a uno stato di precarietà certo sul piano sia economico che sociale. Va da sé come a un’eventuale rigetto della domanda seguirebbe l’impugnazione e, con essa, un ulteriore periodo di permanenza in Italia.

Ad attenderlo fuori dal Cpr, nel primo pomeriggio, c’erano, tra gli altri, una sua amica e traduttrice. È stata lei ad accompagnarlo a Zugliano. Prima di congedarsi, Bogoslavets ha salutato gli operatori, in un clima di insolita cordialità per il tipo di ambiente e per le note tensioni che, in passato, hanno contribuito a descriverlo come un “lager”. Niente è per caso: la sera prima, quasi fosse nell’aria la sua partenza, i responsabili della struttura gli avevano permesso di riprendere possesso della sua fisarmonica e di suonarla anche per gli altri.

Un piccolo miracolo, bissato ieri, finalmente senza limiti, al suo arrivo al Centro Balducci. Complici tutti, dalla consigliera comunale di Udine, Sara Rosso, ideatrice insieme all’associazione “Oikos” delle tante iniziative promosse in questi giorni a sostegno di Liubomyr, tra raccolta di firme, video e flashmob, alla presidente dell’associazione culturale Ucraina-Friuli, Viktoria Skyba, che la settimana scorsa aveva segnalato il caso al consolato ucraino, a Milano, ottenendo l’invio di una nota alla Questura di Gorizia e alla Commissione di Trieste con la richiesta che al connazionale venga concesso il permesso speciale, a Paolo Piuzzi, il professionista che dal suo studio di Pordenone coordina la gara di solidarietà scattata anche tra gli artisti impegnati a proporre nuovi opportunità di lavoro al collega ucraino.

E poi c’è Pierluigi Di Piazza, responsabile del Balducci, senza il quale, forse, il giudice non avrebbe acconsentito alla liberazione di Bogoslavets e che si è detto «onorato» di contribuire alla causa. «Penso sempre a quante persone vivono dimenticate», ha detto, aspettandone l’arrivo e pronto a offrirgli una camera, «per riposare dopo tante stanchezze». Lui, in cammino sulla terra in cerca di una condizione migliore, come gli 82 milioni di rifugiati in fuga da guerre e miseria. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Il film su Mangart ha vinto a Cannes




Dagli Stati Uniti è arrivata la buona notizia che un documentario su una gara di sci della 10th Mountain Division dell'esercito americano il 3 giugno 1945, su un nevaio sotto Mangart, ha vinto il Festival di Cannes tra i film storici.

Alla realizzazione del film hanno partecipato i membri dell'Associazione degli alpinisti militari della Slovenia, dell'esercito sloveno e del Centro di eccellenza per il combattimento in montagna. Uno dei ruoli principali nel film è interpretato dalla grande sciatrice americana Mikaela Shiffrin insieme ai rappresentanti sloveni  .

Tempo fa è nata l'idea che il ricordo della partita del Mangart potesse essere un elemento centrale  nella celebrazione dell'amicizia sloveno-americana. Così è nata l'idea di fare un film in Slovenia, che ora ha riscosso un grande successo. In modo del tutto inaspettato, tuttavia, il regista Chris Anthony ha presentato il film al Festival di Cannes, uno dei festival cinematografici più antichi e acclamati al mondo.

Il festival, come attualmente si presenta virtualmente o ibrido, si svolgerà dal 6 al 17 luglio di quest'anno e proietterà i film vincitori per singole categorie. Tuttavia, la prima proiezione del documentario sottotitolato in sloveno in Slovenia è ancora prevista a Bovec. Naturalmente, quando le condizioni epidemiologiche lo consentiranno  e i discendenti dei membri della 10a Divisione da montagna dell'esercito americano potranno arrivare a Bovec per la prima.

dal dom

alta val torre

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Ci ha lasciato Josip OSTI

 


Josip Osti

FA MALE, MA È BELLO
ogni volta che mi colpisci nel profondo del cuore
fa male
ma è bello
come da bambino
mi faceva male
una scheggia di vetro conficcata nel palmo della mano
ma era bello guardare
come risplendeva
al sole nei colori dell’iride
.
(Traduzione: Jolka Milič)

Non abbiamo parole e non abbiamo più lacrime per questa nuova devastante perdita. Josip Osti era come un fratello per noi, e noi per lui “la mia famiglia italiana”. Un gigante della poesia europea, un uomo meraviglioso. Tante le occasioni vissute insieme, tante letture, partecipazioni a festival, presentazioni (abbiamo avuto l’onore di pubblicare 5 suoi libri), viaggi. Indimenticabile il brindisi una mattina con un bicchiere di poderoso teran nel “giardino magico” della sua casa di Tomaj, dove ogni oggetto, ogni angolo raccontava di lui, delle sue mani e delle sue passioni. Noi non potremo dimenticare Josip e faremo di tutto per poterlo ricordare a tutti gli amanti della poesia. Amico caro, “albero che cammina, corre vola”, come tu hai scritto “l’amore mi ha fatto poeta” e di quell’amore siamo testimoni.
Con Josip Osti, Renato Costarella al pianoforte e Valerio Iaccio al violino. La registrazione è stata realizzata a Casa della poesia nel 2004. La traduzione è di Jolka Milič. La foto di copertina “Josip Osti nel cortile giardino di Casa della poesia” è di Salvatore Marrazzo.

JOSIP OSTI

L’AMORE MI HA FATTO POETA

L’amore mi ha fatto poeta…
L’amore che con una velenosa freccia
d’oro nella prima gioventù mi ha trafitto
il cuore aprendo una inguaribile ferita,
in cui cresce un cristallo nero dagli orli
aguzzi. Un cristallo, bello e doloroso,
che brilla al bivio dell’anima e del corpo.
E mi indica la strada, per la quale ritorno
di continuo là, da dove veramente non sono
mai partito. Nella città natìa e nel tempo
dell’infanzia. Nella preistoria dei miei amori…
L’amore mi ha reso poeta…
L’amore che mi ha dato la forza di non dormire
una notte dopo l’altra, bensì di scrivere nel
diario dell’insonnia migliaia di poesie tristi sulla
vita e, spero, almeno una poesia allegra
sulla morte.

Traduzione: Jolka Milič



Josip Osti: L'amore mi ha fatto poeta / Ljubezen me je naredila pesnika - Potlatch

Da oggi tutt l'Italia in zona bianca,via le mascherine all'aperto.

 


Il governo studia la riapertura delle discoteche l'unico settore ancora chiuso,ma servirà il green pass. Apriranno solo quelle all'aperto ma con il 50 per cento della capienza dipendenti  inclusi.L'incidenza per tuto il territorio nazionale continua a diminuire ed è ovunque sotto i 50 casi per 100.000 abitanti ogni sette giorni. Per il Fvg, il monitoraggio indica un'incidenza di otto casi ogni centomila , mentre l'occupazione in terapia intensiva è data allo 0% (da giorni i reparti si sono svuotati) e allo 0,7% negli altri reparti.Segnalati anche in Italia un numero crescente di focolai di varianti, in particolare della Delta.

dati da https://www.ilfriuli.it/articolo/salute-e-benessere/via-le-mascherine-all-aperto-e-italia-tutta-in-zona-bianca/12/244976

Io continuerò ad indossarla e voi?

IRENE DA SPILIMBERGO

Assistente di TizianoRitratto di Irene di SpilimbergoNational Gallery of ArtWashington

 Irene di Spilimbergo (Spilimbergo17 ottobre 1538 – Venezia17 dicembre 1559) è stata una pittrice e poetessa italiana.

Irene era la secondogenita del Conte Adriano di Spilimbergo e della patrizia veneziana Giulia da Ponte appartenente a una famiglia che aveva dato un doge: Nicolò da Ponte. Di Irene di Spilimbergo forse oggi nulla sapremmo, se nel 1561, due anni dopo la sua morte, Dionigi Atanagi non avesse pubblicato una Vita di Irene da Spilimbergo. Era il melanconico racconto della breve esistenza di una fanciulla di nobili origini, colta e raffinata, morta a ventuno anni per una malattia improvvisa e misteriosa. Il libro conteneva anche una larga silloge poetica, scritta ad memoriamː 279 poesie erano in italiano e 102 in latino. Alcuni autori erano anonimi, altri invece erano note personalità, come Luigi Tansillo, Angelo Di Costanzo, Benedetto Varchi, Lodovico Dolce, Gian Francesco Alois, Bernardo Tasso, Torquato Tasso e Tiziano Vecellio.

Il conte Adriano di Spilimbergo, che conosceva il latino, l'ebraico e il greco, si occupò della educazione intellettuale delle sue figlie Irene e Emilia e intuì che Irene era davvero precoce e assimilava velocemente gli insegnamenti. A Spilimbergo ella apprese i primi rudimenti del disegno da una certa Campaspe, di cui non conosciamo che il nome. Viveva nel castello, affacciato sul Tagliamento, dalle cui finestre l'occhio può esplorare un panorama grandioso, fino alle Alpi Carniche. La regina di Polonia Bona Sforza, in visita nel Friuli, fu ospite dei Conti di Spilimbergo e donò due catene d'oro alla giovanissima Irene.

Morto il padre quando la fanciulla aveva tre anni, la madre presto si risposò ed estromise le figlie dall'eredità paterna. Il nonno materno Giovan Paolo da Ponte, che viveva a Venezia nel cinquecentesco palazzo di famiglia, chiamò Irene a sé. Come era usanza nelle famiglie patrizie veneziane, le furono impartite lezioni di musica, di letteratura, di danza e di arti femminili, come il ricamo e il merletto.

Familiari di Giovan Paolo da Ponte erano Pietro Bembo, Tiziano e il Sansovino che dal 1527 si era trasferito a Venezia. Attratta dalle conversazioni dotte degli intellettuali che frequentavano palazzo da Ponte, ma più ancora dall'arte di Tiziano, Irene di Spilimbergo s'incantava di fronte al dipinto dell'Assunta, nella Chiesa dei Frari e chiese e ottenne di essere ammessa nella bottega del Maestro che le consigliò di prendere come riferimento Giovanni Bellini, per la dolcezza dei volti delle sue Madonne. La giovane allieva dipinse tre quadri, citati dal conte Fabio di Maniago: Noè entra nell'ArcaDiluvio Universale e Fuga in Egitto, tutti ispirati ai modi di Sofonisba Anguissola, ma di cui oggi non si conosce l'ubicazione.

Irene di Spilimbergo ha anche composto poesie e scritto brani in prosa, ma tutto il suo repertorio letterario è andato perduto. Stremata da un attacco di febbre violenta, con dolori atroci alla testa, dopo venti giorni di agonia si spense all'età di ventuno anni. Di lei resta un ritratto - opera probabile di un seguace di Tiziano, se non dello stesso Tiziano - che era in casa del conte Maniago e che fino al 1909 si trovava nella Villa Spilimbergo-Spanio di Domanins, quando fu venduto a Londra ad un collezionista insieme a un altro dipinto, attribuito alla stessa Irene, che raffigurava sua sorella Emilia (entrambi sono esposti nella National Gallery of Art di Washington). La giovane Irene di Spilimbergo, nel suo ricco abito di broccato di seta, fermato alla vita da una catena d'oro e di gemme, tiene in mano la corona d'alloro dei poeti. Sullo sfondo si apre un paesaggio ameno, dove è accovacciato un candido unicorno, animale mitico, simbolo di purezza di rarità e di saggezza, che per l'immaginario cristiano poteva essere domato solo da una vergine.[6] Secondo la testimonianza di Fabio Maniago, la cui Storia delle belle arti friulane è stata ristampata nel 1999, è opera di Irene di Spilimbergo un San Sebastiano, conservato nella chiesa parrocchiale dei SS. Mauro e Donato di Isola, in Istria.

Nella raccolta di Dionigi Atanagi furono compresi questi versi di Torquato Tasso:

«Quai leggiadri pensier, quai sante voglie
dovea viva destar ne l'altrui menti
questa del Gran Motor gradita figlia!
Poi c'hor dipinta (o nobil meraviglia)
e di cure d'honor calde ed ardenti
e d'honesti desir par che ne invoglie.»

Il poeta Luigi Carrer ha inserito Irene da Spilimbergo tra le sette donne che hanno dato gloria e onore a Venezia.

La figura di Irene di Spilimbergo ha incantato artisti ottocenteschi, pittori e poeti. Giovanni Prati, davanti a un dipinto di Giovanni da Udine, conservato nel castello di Spilimbergo, ha scritto questi versi:

«del merlato Spilimbergo intorno
udia sull'aura reverenti i nomi
di Vecellio e di Irene, ambo immortali.»

Nel 1853 Antonio Rotta le ha dedicato il dipinto storico, ambientato a Venezia e dal titolo Tiziano Vecellio istruisce nella pittura Irene di Spilimbergo, con cui ha partecipato all'Esposizione di Belle Arti, a Milano.

Un libretto d'opera

Nel 1907 Pietro Mascagni espresse il desiderio di musicare un libretto d'opera, sulla vita di Irene di Spilimbergo. La scrittrice viennese Tosa Will, nota con lo pseudonimo di Wilda, scrisse in tedesco questo libretto, distinto in un prologo e in due atti. Mascagni lo fece tradurre, ma poi il testo andò perduto.

A nome di Irene di Spilimbergo è stato intitolato l'Istituto Magistrale di San Pietro al Natisone.

27 giu 2021

Ecco lo sciacallo dorato filmato ad Aviano

San Pietro per la sezione primavera

 

La giunta comunale, con propria delibera, ha provveduto a confermare la volontà dell’amministrazione di attivare la «Sezione primavera» presso la scuola dell’infanzia dell’Istituto comprensivo con insegnamento bilingue «Paolo Petricig» di San Pietro al Natisone, riservata ai bambini tra i 24 e 36 mesi, per l’anno scolastico 2021/2022. Con questo atto l’amministrazione comunale ritiene che condividere e supportare l’istituzione della sezione primavera sia un ulteriore importante passo nell’ampliamento dell’offerta di servizi per la comunità e le giovani famiglie.

Approvato anche il progetto per la realizzazione di una pista di atletica presso l’area centro studi di via Simonitti per un investimento previsto di 28.000 euro. L’amministrazione ha preso atto che il piano «Biciplan» non è assoggettabile alla procedura completa di Valutazione ambientale strategica (Vas) in quanto le previsioni dello stesso non determinano effetti significativi sull’ambiente e pertanto le procedure per la progettazione definitiva saranno facilitate in merito alla tempistica.

Un’altra iniziativa promossa dall’amministrazione comunale, nell’intento di migliorare sempre di più la qualità dell’ambiente e di ridurre i costi di raccolta dei rifiuti, riguarda la decisione di agevolare la raccolta differenziata di olio vegetale alimentare esausto di uso domestico mediante la distribuzione di apposite taniche per la raccolta dell’olio esausto da conferire, una volta piene, all’eco-piazzola. Verranno acquisite 150 taniche per la raccolta di olio esausto e distribuite alle famiglie che intenderanno partecipare a questa iniziativa.

https://www.dom.it/obcina-spietar-za-pomladni-oddelek_san-pietro-per-la-sezione-primavera/

Grotta di San Giovanni d'Antro

26 giu 2021

San Giovanni d'Antro apre la stagione delle visite

 

La celebrazione prevede oltre alla Santa messa l'usanza dei fuochi, che simboleggiano l'inizio della nuova stagione

San Giovanni d'Antro apre la stagione delle visite

"La chiesa-grotta di San Giovanni d'Antro è un luogo meraviglioso, una perla che le Valli del Natisone e il Friuli Venezia Giulia sono in grado di offrire ai visitatori: grazie a PromoTurismoFVG ora si sta facendo sistema per far conoscere al mondo queste bellezze". Lo ha commentato l'assessore regionale alle Attività produttive e Turismo Sergio Emidio Bini all'inaugurazione della stagione di visite al sito che da anni suggestiona studiosi e turisti per la sua bellezza e per i molti enigmi legati alla sua iconografia.

"È un vero paradiso questo luogo, con una potenzialità turistica enorme: fin dal mio insediamento - ha ricordato Bini - ho preteso che PromoTurismoFVG mettesse a sistema le bellezze delle Valli del Natisone e i numeri che abbiamo registrato prima che la pandemia dilagasse ci hanno dato ragione. Il mese di giugno sta già configurando un successo di arrivi nella nostra regione e sono certo che anche questo territorio darà grandi risultati. Da parte dell'Amministrazione regionale c'è il massimo impegno per la sua promozione".

La celebrazione in occasione di San Giovanni prevede oltre alla Santa messa l'usanza dei fuochi - kries, nella parlata locale - che simboleggiano l'inizio della nuova stagione: i più famosi - quest'anno verranno organizzati in forma ridotta - sono quelli di Antro e Tribil.

Nell'occasione dell'inaugurazione il presidente dell'associazione "Tarcetta" Mauro Pierigh ha reso noto che le visite alla grotta saranno disponibili in tutti i fine settimana di luglio e, da agosto, tutti i giorni dalle 10 alle 18. I visitatori paganti nel 2019 sono stati 7000 e l'obiettivo è quello di arrivare a 15.000 all'anno. "In previsione - ha reso noto Pierigh - vi è il desiderio di accogliere le scuole nella sala polifunzionale di Tarcetta".

Grazie al positivo esito dell'ultimo bando sul turismo sono stati finanziati alcuni video promozionali del territorio, tra i quali uno dedicato all'antro, ma restano ancora da realizzare alcuni progetti per rendere più attrattivo il sito: c'è la necessità di creare audioguide, rifare la tabellonistica con le informazioni e realizzare un sito multilingue. Inoltre resta ancora da finanziare un progetto presentato nel 2015 dal Comune di Pulfero per un nuovo impianto elettrico.

Dopo la messa sono intervenuti, tra gli altri, il sindaco di Pulfero Camillo Melissa, il presidente della Comunità di montagna del Natisone e Torre Mauro Steccati, i consiglieri regionali Giuseppe Sibau e Elia Miani, l'onorevole Roberto Novelli.

Giovanni Coren, accompagnatore del sito, ha tratteggiato le peculiarità della chiesa-grotta dal punto di vista storico artistico: all'ingresso appare sulla parete rocciosa un volto di Cristo che richiama la Sacra Sindone e sulla cui origine sono state proposte molte ipotesi, evocando anche possibili presenze di Templari, confortate da lacerti di affreschi con simboli tipici degli ordini cavallereschi, come croci a bracci eguali e un fiore della vita a sei petali, iscritti in un cerchio.

Sulla parete absidale della cappella sono emersi brani di un intonaco arcaico con una scritta misteriosa in lingua greca e rudimentali rappresentazioni di "ruote cigliate" (o soli) e di palme (o forse felci), d'incerta interpretazione, probabilmente dipinti tra VII e VIII secolo in un momento storico ai confini tra paganesimo e cristianesimo e in una terra inquieta attraversata da longobardi, slavi e tanti altri popoli.

Il luogo ha ispirato antiche leggende, come quelle della Regina Vida, forse Rosamunda o la mitica Teodolinda, rifugiatasi dagli assalti di Attila in quest'impervio sito, entrato a far parte della mitologia locale con il nome di "Fortezza degli Slavi".

"Mai così tanta attenzione per questi luoghi come dal 2018 a oggi". Parola del consigliere regionale Giuseppe Sibau (Autonomia responsabile), presente nella serata di giovedì all'inaugurazione della stagione turistica della chiesa-grotta di San Giovanni d'Antro, in territorio comunale di Pulfero. Lo riporta una nota del gruppo consiliare Progetto Fvg/Ar. "Questo è un luogo suggestivo e meraviglioso, vera e propria perla delle Valli del Natisone, un territorio fino al 2018 abbandonato sotto l'aspetto della promozione e degli investimenti turistici, nonostante i continui solleciti rivolti a PromoTurismo. Dal 2018 a oggi c'è stato un cambio di tendenza - ha sottolineato il consigliere Sibau durante il suo intervento - caratterizzato dall'attenzione e dalle risorse che la Regione Fvg anche attraverso la stessa PromoTurismo, sta destinando al territorio delle Valli. Un'attenzione che, sono sicuro, questa amministrazione regionale continuerà a mantenere".

Con l'inaugurazione di giovedì si è quindi aperta ufficialmente la stagione delle visite alla chiesa-grotta le cui peculiarità storico artistiche sono state presentate dalla guida che accompagna le escursioni alla scoperta del sito, a cominciare dal volto di Cristo presente su una delle pareti di roccia all'ingresso della grotta, sulle cui origini ci sono diverse tesi, e proseguendo con i frammenti di affreschi risalenti all'epoca degli ordini cavallereschi e con la misteriosa scritta in lingua greca presente sulla parete dell'abside.

https://www.ilfriuli.it/articolo/viaggi/san-giovanni-d-antro-apre-la-stagione-delle-visite/11/244885

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