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IVAN TRINKO padre della Benecia

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3 ott 2020

PROVERBIO delle Valli del Natisone/Nediške doline

 Vignetta di Moreno Tomazetig dal giornale Dom



Quando in ottobre il vino bolle ,il cuore del contadino ride
(in dialetto sloveno delle valli del Natisone)


Invito a pranzo nelle Valli del Natisone

 www.invitoapranzo.it


SCARICA PDF LIBRETTO

SLAVIA: Un unico popolo e un'unica lingua, alle origini degli slavi

 

da wikipedia

Matteo Zola
 

Da dove vengono gli slavi? Quale fu il loro spazio originario? Sono interrogativi senza risposta. Sappiamo che appartengono al grande ceppo indoeuropeo, e sappiamo che giunsero alle porte d’Europa tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. Cosa fu di loro prima di allora lo si può a malapena dedurre dai ritrovamenti archeologici che ne mostrano la progressiva “iranizzazione” (non pensate all’odierno Iran, che pure non sarebbe così sbagliato, ma a sarmati, sciti, alani, popolazioni indoeuropee – come gli iraniani di oggi – che occuparono l’area della moderna Persia). Dalle popolazioni iraniche apprenderanno anzitutto la coltivazione della terra e la cremazione dei morti, tratti salienti della cultura slava fino alla conversione al Cristianesimo avvenuta, più o meno, intorno all’anno Mille.

Quando arrivano alle porte d’Europa gli slavi hanno una cultura definita, una propria produzione artigianale e una forte connotazione agricola. Non hanno scrittura (non l’avranno fino al nono secolo dopo Cristo) ma parlano la stessa lingua, lo “slavo comune“. Si stanziano nel bacino del Pripjat, tra i fiume Dnestr e Dnepr, o almeno così si crede. A spingerli in quelle terre, a cavallo tra le moderne Ucraina e Bielorussia, è la spinta di altri popoli che premono verso ovest. E’ infatti quella l’età delle grandi migrazioni.

Lo “slavo comune”

La lingua originaria degli slavi è oggi deducibile grazie alla filologia, esistono infatti molte parole comuni nelle moderne lingue slave grazie a cui è stato possibile stabilire quale fosse il “proto-slavo”, detto anche “slavo comune”, da non confondersi con il “paleoslavo”, di cui parleremo in futuro, che è stata la prima lingua letteraria. Lo “slavo comune” andò differenziandosi via via che le tribù slave si allontanavano tra loro, nello spazio e nel tempo, dopo aver lasciato la “culla” originaria nel bacino del Pripjat. Cosa fu a dividerle? La spinta di altre popolazioni provenienti da oriente, come gli unni e gli avari, frantumarono l’unità slava costringendo le tribù a disperdersi. Queste, nella loro diaspora, arriveranno a occupare uno spazio immenso che va dal Baltico al Mar Nero. L’uniformità linguistica ha retto fino al nono secolo, pur deteriorandosi rapidamente dal sesto secolo in poi. Ne sono nate una dozzina di lingue tra loro collegate da molti dialetti. Oggi, da Mosca a Praga a Skopje, la differenza non è così grande come sembra e sono ancora circa millesettecento le parole comuni.

La differenziazione è stata progressiva, tuttavia è stata più marcata dove la continuità tra genti slave è stata spezzata. Ad esempio gli slavi che, dalla “culla” originaria, si diressero verso ovest, si trovarono a un certo punto separati dagli slavi del sud a causa della presenza germanica e magiara. Le lingue slave si dividono oggi in tre gruppi che raccolgono lingue tra loro simili:

– lingue slave occidentali: polacco, ceco, slovacco, sorabo e casciubo

– lingue slave orientali: russo, bielorusso, ucraino

– lingue slave meridionali: sloveno, macedone, serbocroato e bulgaro (sul serbocroato, che tante questioni ha sollevato dopo la fine delle guerre jugoslave, si legga qui)

Il vocabolario comune

Dal vocabolario comune possiamo comprendere quali fossero le conoscenze tecniche degli slavi e come fosse il loro ambiente originario: descrivevano l’ambiente circostante con termini specifici per l’elemento acquatico (fiume, torrente, lago, mare ma anche palude, fango, acquitrino, ghiaccio). Conoscevano le stagioni, segno che vivevano in una zona temperata, e sapevano definire il tempo. Fanno pare del vocabolario comune il miglio, l’orzo, l’avena, la canapa e il lino, e usavano l’aratro, la vanga, il rastrello, il falcetto e la zappa. Conoscevano l’albero del melo ma non il faggio, cui diedero nome solo dopo essere migrati verso le terre dei germani (lo chiameranno “buk”, dal tedesco “buche”). Il loro mondo spirituale era fatto di divinità legate alla terra, alla guerra, ma anche a virtù morali (come amore, odio, giustizia, vendetta, bene e male, saggezza e castigo) che avevano sviluppato ben prima dell’incontro con il Cristianesimo. Ma è nella definizione delle strutture famigliari che raggiungono livelli tali da superare i germani, segno dell’importanza e della complessità dei rapporti sociali. I termini per descrivere queste realtà restano ancora oggi comuni ai popoli slavi.

La radice indoeuropea

Anche se i nazisti sostenevano il contrario, gli slavi sono indoeuropei (indogermanici o indoariani, come dicevano a Berlino). Questo si riscontra proprio nel vocabolario famigliare: mat, in russo, e mati in ucraino, ceco, serbocroato, bulgaro e sloveno, sono l’equivalente del latino mater e del tedesco mutter. Nel russo e nel bulgaro il termine sestra corrisponde al latino soror, quindi sorellasoeursister. Lo stesso vale per il russo brat, che è brother in inglese e frater in latino. La casa è dom in molte lingue slave, come in latino è domus, ed evidente è la comune origine del latino mare e dello slavo more. Interessante, in ambito tecnico, la parola kamen, che in slavo vuol dire pietra ma la cui radice “kam” è da accomunare alla radice germanica “ham“, che in inglese dà “hammer” (martello, che è fatto di pietra) e l’islandese hamarr conserva il significato originario di “roccia”.

Lo spazio slavo originario resta tuttavia difficile da definire e proprio per questo si è spesso prestato ad essere immaginato. E’ anzitutto uno spazio psicologico, un luogo vasto e perduto cui riandare nei momenti di difficoltà, quando l’identità delle nazioni slave è oppressa. Un’identità tuttavia forte, la cui specificità si è mantenuta grazie al relativo isolamento in cui gli slavi si sono trovati tra il 1000 a.C. e il 500 d.C.. Da quel momento in poi inizierà la storia degli slavi per come oggi la conosciamo. Una storia europea che vi racconteremo nelle prossime puntate.

https://www.eastjournal.net/archives/49533

BUON COMPLEANNO MATAJUR

AUGURI-VSE NAJBOLŠE




IL 3 OTTOBRE IL MATAJUR/NOVI MATAJUR COMPIE 70 ANNI

 ORGANO DEGLI SLOVENI DELLA BENEČIJA-GLASILO

BENEŠKIH  SLOVENCEV
ČEDAD/CIVIDALE, 3. Ottobre 1950.
Anno/Leto 1-numero 1/štev.1

Primo giornale degli Sloveni bella Benečija
3 ottobre 1950 primo numero

Il Novi Matajur è il settimanale degli sloveni della provincia di Udine. Dal primo numero uscito nel 1950 il 3 ottobre (MATAJUR) diretto per 23 anni da Tedoldi Vojmir (mio padre) svolge un importante ruolo informativo, culturale e di collegamento. Il giornale è bilingue, gli articoli sono in sloveno standard o nei dialetti locali e in italiano.Ora è diretto da Michele Obit. Il 3 ottobre 1950 a San Pietro al Natisone uscì il primo numero del periodico Matajur,portavoce della Benečija.L’idea di istituire questo giornale venne a Vojmir Tedoldi, a sua moglie Jožica Miklavčič (mia madre),a Mario Cont e a Izidor Predan (Dorič).

Il nome Matajur lo prese da un giornale partigiano del 1944.
Inizialmente la redazione ebbe sede a San Pietro al Natisone,ma poi a causa dei movimenti antisloveni di allora, fu trasferita a Udine dove vi rimase fino alla fine del 1973.

Inizialmente si stampava a Gorizia nella tipografia Lukežič e poi a Udine da Marioni. Fino ad allora il direttore responsabile del Matajur fu Vojmir Tedoldi,giornalista di Cornappo,che con la moglie Jožica si è impegnato per la diffusione della lingua slovena in Benečija attraverso il Matajur.
All’inizio usciva su due,a volte quattro pagine ,poi si arricchì di più fogli ed iniziò a pubblicare un’appendice linguistica in italiano che presentava, in modo semplice,le regole della grammatica slovena (le declinazioni).
Successivamente diventò quindicinale con più pagine ed immagini a colori.

Il Matajur era scritto nei vari dialetti della Benečija, in sloveno ed italiano.
Essere direttore di un giornale sloveno in provincia di Udine per gli anni 50′-60’non era era facile.
Ricordo con piacere le belle illustrazioni del prof. Emilio Kavčič ,originario della Benečija,insegnante all’istituto d’arte di Udine.
Gli abbonati del Matajur erano Benečani delle varie valli ed emigranti sloveni dell’ Europa e del mondo.
Attraverso la lettura del giornale generazioni di benečani hanno imparato a leggere e a scrivere nelle varianti di dialetto e si sono avvicinati alla lingua slovena letteraria.
Dal 1 gennaio 1974 il periodico prese il nome di Novi Matajur,la redazione da Udine si trasferì a Cividale,dove ha sede tuttora.Il direttore responsabile era Izidor Predan fino all’ 84, con il primo gennaio 1985 il giornale è diventato settimanale, la direzione è stata affidata prima a Iole Namor. Oggi è direttore responsabile Michele Obit.
Il Matajur e il suo successore Novi Matajur, pubblicando contributi in italiano, sloveno e in diverse varianti dialettali, svolge un’attività informativa, culturale e di raccordo sia sul territorio che tra gli sloveni emigrati all’estero.(O.T.)

 

Primo direttore del Matajur - Tedoldi Vojmir

Predan Isidoro/Dorič

Jole Namor

Miha/Michele Obit
attuale direttore


disegno di Emil Cenčič



Il Natisone a Purgessimo

Una forra del Natisone che non conoscevo. Incontrato lungo le rive due tedeschi, uno sloveno, un friulano, l'unico italiano ero io. Un fiume cerniera fra i popoli.

2 ott 2020

Alla scoperta dell'origine degli slavi

Matteo Zola

Gli slavi sono un popolo antico di cui, però si sa ben poco. La loro storia non si studia nelle nostre scuole, nemmeno quella moderna. Eppure sono il terzo gruppo etnico-linguistico maggioritario d’Europa, insieme a quello latino e a quello germanico. Ma nulla, silenzio. Come se non facessero parte della nostra storia, di una storia europea che anche adesso – malgrado esista una “unione” – è vittima di chiavi di lettura nazionaliste o più semplicemente di ottusità mentale. Nulla si insegna dei Balcani, tanto vicini, o della Polonia, e incrociamo la Russia solo quando arriviamo alle guerre napoleoniche o a Pietro il Grande che tagliò la barba ai boiari.

Qualcosa, per fortuna, sta cambiando negli ultimi anni ma non si esce dal raggio della storia moderna e contemporanea. Esiste però una storia più antica della quale non si parla mai. Chi sono gli slavi? Da dove vengono e quando si sono stanziati in Europa? Quale era la loro cultura e la loro religione, come si è evoluto il loro carattere nazionale? Lungi dal voler fare lezioni di storia, dedicheremo nei prossimi mesi uno spazio fisso all’approfondimento su questi temi. Lo chiameremo “slavia” e affronteremo i temi delle origini dei vari gruppi slavi, della formazione dei primi regni (come la Rus’ di Kiev o il khanato bulgaro), e delle loro vicende prima della conversione al Cristianesimo, affrontando un periodo storico che va dal secondo secolo d.C. all’anno Mille.

Nel farlo cercheremo di essere semplici mettendo in luce aspetti meno noti e assai curiosi, fornendo a tutti le coordinate per capire, anche senza una conoscenza pregressa, di cosa stiamo parlando. Sacrificheremo qualcosa all’approfondimento, poiché si tratterà di brevi articoli, ma cercheremo di farvi discutere e riflettere: in modo più o meno polemico, infatti, metteremo in relazione quegli antichi fatti con l’attualità.

Chi volesse approfondire può iniziare da Gli slavi, di Francis Conte, Einaudi 2006, da cui questa rubrica prende le mosse; da Gli slavi nella storia e nella civilità europea, di Francis Dvornik, Ed. Dedalo 1993; e Chi sono gli slavi? di Saronne e Alberti, Clueb 2002. E speriamo che la prossima volta che andrete in vacanza in Polonia, nei Balcani, in Russia, possiate avere qualche piccola consapevolezza in più. O che quando guarderete vostra moglie o la vostra fidanzata la prossima volta, le possiate dire “cara, pensavo tu fossi ucraina e invece sei svedese”. 

 https://www.eastjournal.net/archives/49583


LA POESIA DI PATRICIJA DODIČ traduzione di Jolka Milič

 

LA POESIA DI PATRICIJA DODIČ di Jolka Milič


Večer

Diši po domačem žganju.
Po napovedanem prihodu.
André Velter je v glinenem pepelniku
tisoče kilometrov stran od svojega prsta
ugašal čik.
Plin je požiral vonj brusnice z olupki bledih pomaranč.
Koža je sivo blestela.

Povej, kako deluje skrajna ljubezen, ko ostaneš sam?

Sera
Odore di grappa fatta in casa.
Dopo l’arrivo preannunciato.
André Valter,{*} a distanza di qualche migliaio
di chilometri dal suo dito, spegneva la cicca
nel posacenere di argilla.
Il gas divorava il profumo dei mirtilli rossi con le bucce delle pallide arance.
La pelle risplendeva grigia.

Dimmi come funziona l’amore estremo, quando resti solo?
{*}Poeta francese (1945), autore di molte raccolte di poesia,
ritenuto uno dei poeti contemporanei più importanti.


Patricija Dodič
è nata a Capodistria nel 1969 e vive a Ilirska Bistrica (Slovenia).
Poetessa, pubblicista, designer, bibliotecaria e tantissime altre cose inerenti alla letteratura, delle quali si occupa intensamente. Laureata in lingua slovena e francese, con indirizzo letterario filologico. Collaboratrice instancabile di quasi tutte le riviste letterarie slovene e organizzatrice e moderatrice di serate di poesia e culturali.
Suoi testi sono stati inseriti in molte antologie e scelte collettive.
Raccolte poetiche: Pet minut blaznosti (Cinque minuti di follia), 2008; Črno obrobljene oči (Occhi orlati di nero), 2008; Wada, 2014; Ljubimje (Amorevolezza), 2015 e Ekstremofil (Estremofilo), 2017.
(Foto di Ivan Dobnik)

1 ott 2020

Covid-19, attenzione all’olfatto

 


A distanza di quasi 3 mesi dall’ultimo comunicato, riprende la pubblicazione dei miei report sul Coronavirus, visto l’evolversi della situazione e le continue domande e richieste di delucidazioni che mi vengono poste. Come avevamo previsto – contrariamente a chi ha dichiarato che il Corona aveva esaurito o diminuito la sua carica infettante – l’epidemia sta procedendo a focolai multipli, con notevole calo dell’età media della popolazione, probabilmente perché i giovani hanno più voglia di stare assieme e rispettano di meno le regole del distanziamento sociale, disinfezione delle mani e uso della mascherina. Fino a tre giorni fa sono stati riportati focolai nella quasi totalità delle province (102/107); la maggior parte dei focolai continua a verificarsi in ambito domiciliare/familiare (76%), con un lieve aumento dei focolai associati ad attività ricreative (6,3%) e all’ambito lavorativo (5,6%). Una parte dei focolai è causata da persone che ritornano da aree a rischio (Croazia, Grecia, Francia, USA e Asia). Ribadiamo che questo comunicato non vuole sostituire il ruolo del curante, né quello della sanità regionale, le cui indicazioni invitiamo a.

Per chi lo desiderasse, giovedì 1° ottobre sarò nuovamente presente su UdineseTV , canale 110, alle ore 21.00 all’interno della trasmissione L’agenda, per parlare di problemi respiratori e allergici e del coronavirus. Poiché non si potranno fare delle domande in diretta, chi avesse dei quesiti, può mandarli in anticipo a: studio@mariocanciani.com

COM’È LA SITUAZIONE NELLA NOSTRA REGIONE?

Mentre a fine giugno in Friuli-Venezia Giulia si contavano 1,73 casi di Covid ogni 100.000 abitanti, ora l’incidenza è salita a 34; l’indice di contagiosità, il famoso Rt, è salito da 0,74 a 0,9, ma sempre sotto la soglia di sicurezza che è 1: ciò vuol dire che ogni infetto contagia a sua volta circa una persona. I focolai attivi a inizio estate erano 7, ora sono 86, di cui 30 nell’ultima settimana. I bambini sono quelli a minor rischio, però trasmettono più facilmente l’infezione agli adulti, soprattutto ai nonni: in Regione il 26% degli abitanti ha più di 65 anni e di queste il 40% ha una malattia cronica e il 20% ha due o più malattie croniche. Nel complesso possiamo dire che i nostri numeri sono ridotti e, a parte un focolaio in una casa di riposo nel pordenonese, si tratta di casi contratti all’estero o di badanti dell’est Europa. I ricoverati sono 21, però in aumento, quelli in terapia intensiva 6.

PERCHÉ SI DA TANTA IMPORTANZA ALLA PERDITA DELL’OLFATTO NELLA DIAGNOSI DI CORONAVIRUS?

Come abbiamo già segnalato, la perdita di olfatto (anosmia) e gusto (ageusia) è uno dei sintomi caratteristici dell’infezione, non presente in maniera così evidente in altre infezioni respiratorie, come raffreddore e influenza. Confrontando 47 studi clinici, si è visto che l’alterazione dell’olfatto è presente nell’80% degli infetti, anche se solo la metà lo aveva segnalato, probabilmente perché gli ammalati erano più concentrati sulla difficoltà a respirare. La perdita dell’olfatto è risultata addirittura più affidabile della rilevazione della temperatura corporea nel sospettare la malattia.

SAPPIAMO QUALI PAZIENTI ANDRANNO A FINIR MALE?

Secondo uno studio italiano pubblicato su un’importante rivista medica internazionale, se vengono coinvolti alveoli e capillari la probabilità di morire è del 60%, se uno solo dei due, del 20%. I due parametri vengono identificati valutando il D-dimero nel sangue e la distensibilità del polmone. Lo studio è importante perché permette di concentrarci in modo particolare sui pazienti con questi due fattori di rischio, che di solito vengono eseguiti nella valutazione degli ammalati di Covid19.

PUÒ UN SEMPLICE EMOCROMO INTERCETTARE LE FORME GRAVI DI CORONAVIRUS?

Alcuni ricercatori USA hanno pubblicato un lavoro nel quale eseguendo un semplice emocromo e valutando l’RDW (ampiezza della distribuzione dei globuli rossi) si riesce a predire se il paziente ha una forma grave di Covid19. Se l’RDW è aumentato, la mortalità passa dall’11 al 31%. Il rischio sarebbe ancora maggiore se il valore si innalza durante il ricovero.

COS’È L’EFFETTO SUV?

Come chi guida un SUV diminuisce l’attenzione alla guida più degli altri perché si sente al sicuro dal subire i danni di un eventuale incidente, così chi abbonda nell’uso di disinfettanti finisce per abbassare la guardia sugli altri mezzi di prevenzione, come lavaggio frequente delle mani, uso della mascherina e distanziamento sociale. I disinfettanti vanno usati quando non si può far ricorso continuo al sapone, come nei negozi e negli altri luoghi di comunità.

IL TERMOMETRO A DISTANZA È ATTENDIBILE?

Nelle rilevazioni di molte persone in luoghi affollati sono diventati sempre più frequenti i termometri a infrarossi, sia perché sono rapidi, sia perché non richiedono contatto con le persone. Il principio si basa sul fatto che ognuno di noi irradia calore sotto forma di energia a infrarossi, facilmente rilevabile sulle parti più esposte, come il viso. Uno studio americano ha confrontato la temperatura di oltre 500 persone, misurata con termometro orale e con uno a infrarossi; si è visto che la correlazione è buona, purché si osservino alcune regole: non eseguire attività fisica per almeno 15 minuti prima della misurazione, non sostare sotto termoconvettori o al sole e misurare la temperatura sulla fronte e non nella zona dell’angolo palpebrale come era stato suggerito da uno studio precedente.

I TEST SALIVARI FUNZIONANO?

Anche se più comodi, meno dolorosi e più immediati del tampone nasofaringeo e orale, finora i risultati del test rapido sulla saliva non sono buoni, secondo l’Istituto Spallanzani di Roma. Sono validi invece i risultati sulla saliva usando il test semirapido, che dà il risultato in meno di un’ora, ma che deve sempre passare per il laboratorio, rendendolo alla fine però meno attendibile del tampone orale e nasofaringeo.

È MAI POSSIBILE CHE PER OGNI COLPO DI TOSSE VENGA SOSPETTATO IL CORONA?

Il problema viene affrontato in questi giorni dal Ministero e da varie Regioni. Da quello che ne so, la prima a muoversi è stata la Lombardia, che ha messo a punto un protocollo di comportamento con i pediatri, i quali dovrebbero fungere da filtro per individuare chi ha realmente bisogno di eseguire il tampone. Se c’è un sospetto clinico, il bambino resterà in isolamento fino all’esito del tampone; in caso di positività e se ha frequentato la scuola nelle ultime 48 ore, l’intera classe rimarrà a casa per 14 giorni. Al termine della quarantena, verranno eseguiti due tamponi al caso positivo per verificarne la guarigione e un tampone a tutti i bambini. Questa procedura è stata concordata perché si è visto che nei primi 18 giorni di settembre in Lombardia sono stati eseguiti oltre 30.000 tamponi a bambini e ragazzi e solo l’1,5% è risultato positivo. Se si dovesse andare avanti così, nelle prossime settimane le richieste potrebbero esautorare i laboratori.

CHI SONO I “SUPER DIFFUSORI” DELL’ INFEZIONE?

Secondo diversi studi eseguiti in varie parti del mondo, sembra che il 10% degli infetti con coronavirus è responsabile dell’80% dei nuovi contagi. Altre ricerche sono arrivate a conclusioni simili, segnalando quindi che il coronavirus si diffonde da un numero relativamente ristretto di individui. Sono i cosiddetti “super diffusori” di cui si era parlato molto all’inizio dell’epidemia e sui quali stanno proseguendo le ricerche per capire che cosa li renda più contagiosi della media. Un’ipotesi è che in alcune persone i virus riescano a replicarsi molto di più rispetto ad altre, e che quindi abbiano una maggiore capacità di diffondere agenti infettivi nell’ambiente circostante. Alcuni ricercatori sospettano però che le caratteristiche dei singoli incidano solo fino a un certo punto, e che siano invece le condizioni ambientali a essere determinanti e a far sì che si verifichi un evento di maggiori dimensioni.

LE CASE DI RIPOSO SONO ANCORA A RISCHIO?

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, tra febbraio e aprile il tasso di mortalità per coronavirus e sindromi simil-influenzali nelle RSA e case di riposo italiane fu del 3,1%, con picchi del 6,5% in Regioni come la Lombardia; il dato è probabilmente più alto, considerato che non fu possibile verificare con certezza le cause di moltissimi decessi. Da allora le cose sono cambiate sensibilmente: nelle strutture è stata migliorata l’igienizzazione degli ambienti, si utilizzano mascherine e altre protezioni e ci sono molte più cautele nella gestione delle visite. Inoltre, la bella stagione, la vita all’ aria aperta e la ventilazione degli alloggi hanno diminuito i rischi di contagio, che potrebbero però risalire con la brutta stagione.

https://www.dom.it/covid-19-attenzione-alla-perdita-di-olfatto/

Ricette delle Valli del Natisone/Nediške doline

 

I Kolači
Biscotto di pasta frolla tipico
che veniva offerto a Comunioni o Cresime

1000gr Farina “0”
500gr Burro
500gr Zucchero
3 uova intere + 2 tuorli
Sale q.b.
Lievito per dolci 1 cucchiaino
Scorza di limone / vaniglia q.b.
Procedimento:
Preparare una pasta frolla amalgamando il burro morbido con la farina 0.
Aggiungere tutti gli altri ingredienti, fare una palla e lasciare in frigo a riposare 1 ora.
Formare i kolači facendo dei rotolini di pasta frolla dello spessore di un dito e chiuderli a ciambella.
Infornare a 180° per 20 minuti
Ricetta di un anonimo che ringrazio di Cuore.

30 set 2020

Ricette delle Valli del Natisone-Nediške doline

 

Le Sope o Šnite
Frittelle di pane imbevuto con latte e tuorlo

4 Fette di pane vecchio
latte 100 ml
2 uova
Sale un pizzico
Un cucchiaino di grappa

Procedimento:
Preparare le uova sbattute con il latte, sale e grappa; bagnare il pane immergendolo nel liquido e poi friggerle direttamente nell’olio di arachidi bollente fino a doratura.
Ricetta di Stulin Liliana di Tribil Superiore di Stregna.

IL MELO

 

DA VITA NEI CAMPI (fb)

LA SAGA DEGLI AUTOCTONI

dal web

di Raffaele Testolin
I Romani – a dispetto di un pensiero molto comune – non amavano le mele. Preferivano uva, fichi, pesche ed altra frutta dolce. Avevano notato la sfortuna delle popolazioni del nord-Italia e di quelle al di là delle Alpi, costrette a mangiare mele selvatiche dell’unica specie di melo europea, il Malus sylvestris, che - a detta di Plinio il vecchio - aveva un succo tanto aspro da smussare il filo di una spada (“Peculiare improbae iis acerbitatis convicium et vis tanta, ut aciem gladii praestringat”. S’erano impietositi e avevano introdotto nelle province più settentrionali dell’impero, Forum Julii compreso, ‘mele dolci’ provenienti dalle provincie dell’Asia minore. In Asia minore c’erano delle altre specie di melo e soprattutto erano confluite, grazie ai commerci, le mele dell’Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan ecc.), che sono le mele che attualmente vengono coltivate in tutto il mondo.
Detto questo, è giusto osservare che la coltura del melo, assieme a quella del pero, ha rappresentato una lunga tradizione e una fonte importante di reddito per le popolazioni friulane insediate nella fascia pedemontana che va da Maniago alle Valli del Natisone, passando ovviamente per la Carnia. I‘bearçs’ o ‘broili’ – fazzoletti di terra coltivati a prato stabile e disseminati di alberi da frutto radi – rappresentano tuttora un paesaggio rurale di grande fascino. Piante di melo di 50-100 anni o più sono a testimoniare la storia di un popolo frugale, povero e orgoglioso, che ha saputo mantenere un attaccamento incredibile alle tradizioni, ma anche alle varietà di mele, pere e susine, che altrimenti sarebbero andate irrimediabilmente perdute.

29 set 2020

Proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“A San Michêl, il marangon al impie el pavêr,a san Josef lu distude” ovvero a San Michele (il 29 settembre) il falegname accende la lampada (gli serve luce per lavorare la sera) a San Giuseppe (il 19 marzo) invece la spegne.

28 set 2020

Poesia di Michele Obit

 Miha Obit

Sadà …
Sadà, ki berem od tvojega očeta se vprašam
ki z adne ežerčite je vidu muoj
an predvsem pruot kerimi se je boriu:
sam ga vidu samuo zgubit an parst v fonderiji.
Pa je šu, ku de bi biu an sudat
v svoji osebni trinčeji mikrovalovnih
peči an lepuo popieglanih srajc.
Kar nas je zapustu, sam pomislu,
de je biu tuole naredu že puno cajta priet.
Imam rieko, ki teče pred mano
buj hitro, ku kar sam mislu – an s sabo
nese vse – an tele parve majske zore.

 scritto nel dialetto delle sloveno delle Valli del Natisone
Ora…
Ora che leggo di tuo padre mi chiedo
quali eserciti abbia visto il mio
e soprattutto quali abbia combattuto:
l’ho visto solo perdere un dito in fonderia.
Eppure se ne è andato da soldato
nella sua trincea personale di forni
a microonde e camicie ben stirate.
Quando ci ha lasciati ho pensato
che l’aveva fatto già molto tempo prima.
Ho un fiume che scorre davanti a me
più veloce di quanto pensassi – e con sé
porta via tutto – anche queste prime aurore di maggio.
Michele Obit (Ludwigsburg, 1966) vive e lavora a Udine.
È direttore responsabile del settimanale bilingue della minoranza slovena in Italia «Novi Matajur».
Come organizzatore culturale collabora alla realizzazione del festival Stazione di Topolò / Postaja Topolove, che ogni anno, in estate, si tiene sul confine, per il quale cura il progetto di residenza per scrittori e poeti «Koderjana» e gli incontri letterari «Voci dalla sala d’aspetto/Glasovi iz cakalnice»...http://www.mimesis-elit.it/michele-obit/

La scuola

Quante polemiche per la scuola,io che ho insegnato per quasi 40 anni ricordo che sempre ad inizio anno scolastico mancavano insegnanti.Erano gli insegnanti meridionali che prendevano servizio per un giorno e poi ritornavano al sud.
Quando andavo a scuola io(nella preistoria)i banchi erano di legno verniciato di nero,per scrivere si usava la penna con il pennino.La bidella arrivava a riempire i calamai con l'inchiostro.I quaderni erano quelli Pigna con le regioni.Si indossava un grembiulino bianco con colletto bianco,la cartella era a mano (altro che trolley).




immagini dal web
.

27 set 2020

TIGLIO/LIPA

 

tiglio-lipa davanti alla chiesa di San Floriano
Villanova delle grotte-Zavarh

 Proverbio della Terska dolina


                                  Gladak ku lipa/Liscio come il tiglio

Una persona anziana del luogo mi ha raccontato che negli anni '40 furono piantati 4 tigli davanti alla chiesa ,ma due furono tagliati perchè davano fastidio.Uno di questi si spezzò a causa di un temporale (1956-1957 ca) così è rimasto solo quello attuale.

  
                                              Lipov lies 
                                            u je lahan
                                                anu mehan
                                                anu bieu anu
                                                    u diši .
                                                 U re liepo
                                                 za dielati
                                                       kola
                                               anu košišča.



                                                Il legno di tiglio                   
                                                      è leggero
                                                      è tenero
                                                      è bianco
                                                  è profumato.
                                                    E' adatto
                                                per fare ruote
                                                  e porta coti.

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