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Non tradire
 mai le tue origini,
non dimenticare 
chi sei stato.
La vita è un viaggio e,
se non vuoi perderti,
devi ricordare sempre
 da dove sei venuto.

ACERO-JAVOR-AJAR

 


Dan bot

Kar ni bluo buojš obutila,so  košpmi še pljesal',takuo lahne so jih,uon z jauarja tesal'.
Quando non c'erano calzature migliori, ballavano con gli zoccoli,erano così leggeri perchè erano fatti di acero.

BENEČIJA O SLAVIA FRIULANA

 


Origine / significato

La parte nord-orientale della provincia Friuli (Italia), ovvero l'entroterra della città di Cividale del Friuli , è una regione montuosa al confine con la pianura friulana che si estende verso il mare Adriatico. Gli abitanti della regione da tempo parlano sloveno. La regione di lingua slovena storicamente si chiama Schiavona, e più tardi Slavia Veneta o Slavia Friulana (Beneška Slovenija, in sloveno).

Una regione che nella storia è stata separata dalle altre province slovene, prima sotto il Patriarcato di Aquileia (Friuli) e dal 1420 d.C., insieme al Friuli, sotto la Repubblica di Venezia. Quando dopo il 1500 d.C. il vicino Principato di Görz passò sotto il dominio degli Asburgo e del loro impero (Austria), Schiavona ottenne una posizione molto strategica. Per garantire la lealtà dei suoi abitanti, la Repubblica di Venezia le concesse un'ampia autonomia.

Lo stemma di Schiavona era fino a poco tempo sconosciuto. Ma esisteva, e si trova nel manoscritto di Vincenzo Jacopi (1672 - 1726), conservato nella biblioteca di Udine.

La metà superiore rappresenta i monti di Schiavona con il sol levante, che sono osservati dalla pianura friulana e veneta, che si vedono nella metà inferiore.

https://www.heraldry-wiki.com/heraldrywiki/index.php?title=Slavia_Friulana&fbclid=IwAR3p5nuWruT9ua-QH9qAbe_phAN_iqKXvwxODxp9P_feb_aIuTcpb38gc5Y

I danni provocati dal Covid-19 al cervello

 


A Trieste a Esof conferenza di Thomas Hartung.Lo scienziato tedesco che lavora per la Johns University ha parlato dei danni che il Covid-19 provoca al sistema nervoso.

Il nuovo coronavirus della COVID-19 potrebbe infettare anche le cellule del cervello: lo suggerisce uno nuovo esperimento eseguito con i cosiddetti a “mini cervelli” in laboratorio effettuata da un team di ricercatori di due istituti interni alla Johns Hopkins University.
Nel corso degli esperimenti, i ricercatori scoprivano che gli organoidi, colture minuscole di tessuti cresciuti in laboratorio a partire da cellule umane che simulano gli organi umani, potevano essere infettati dal virus SARS-CoV-2.


Lo studio, pubblicato su ALTEX: Alternatives to Animal Experimentation, è nato quando i ricercatori hanno voluto sapere di più su un particolare neurone del cervello umano che può esprimere un recettore denominato ACE2 che è lo stesso che il virus SARS-CoV-2 usa per introdursi nei polmoni. Hanno ipotizzato che tramite ACE2 il nuovo coronavirus possa altrettanto facilmente introdursi anche nelle cellule del cervello.

Hanno quindi introdotto il virus SARS-CoV-2 nel mini cervello in laboratorio ottenendo prove di infezione delle cellule cerebrali con conseguente replicazione del virus.
Tuttavia, come specificano i ricercatori, il cervello umano, la cui composizione è naturalmente molto più complessa di una “semplice” coltura di cellule cerebrali in laboratorio, può comunque contare su molte barriere protettive che agiscono contro microrganismi quali virus, batteri e agenti chimici.

Molte di queste azioni protettive vengono svolte dalla barriera emato-encefalica. Dunque non si può affermare con sicurezza che il virus SARS-CoV-2 riesca a superare questa barriera e a propagarsi facilmente nel cervello di un essere umano vivente.
In ogni caso è anche noto che “gravi infiammazioni, come quelle osservate nei pazienti COVID-19, fanno disintegrare la barriera”, come spiega Thomas Hartung, autore senior dello studio e ricercatore della Bloomberg School of Public Health, uno degli istituti interni della Johns Hopkins.

I risultati ottenuti con con i mini cervelli in laboratorio, comunque, fanno solare un campanello d’allarme e mostrano che è necessario eseguire studi più approfonditi degli effetti del virus SARS-CoV-2 sul cervello umano, anche su quello in crescita di un feto durante la gravidanza, e sulle sue effettive capacità di replicazione in quest’organo.ApprofondimentiPress Release: Lab-Grown “Mini-Brains” Suggest Virus COVID-19 Can Infect Human Brain Cells (IA)

Il temporale ha scoperchiato le case


 Il forte temporale di domenica ha colpito il paese di Kamno, il più violento della regione di Posočje (Alta valle dell'Isonzo), dove in un'ora sono stati danneggiati 19 edifici.

La più danneggiata è stata una vecchia casa di proprietà di un cittadino danese, rimasta senza tetto, mentre la maggior parte degli annessi sono stati danneggiati. "Fortunatamente, non ci sono stati molti danni alle nuove case residenziali", ha detto il comandante del quartier generale della protezione civile municipale di Tolmino.

tradotto dal Novi Matajur

“I progetti per Topolò una dote per tutto il territorio della Benecia”

 


“A Topolò arrivano persone che con la loro ricchezza portano una valigia piena di idee, progetti, e questo bagaglio è una dote, una ricchezza, per tutto il territorio della Benecia. Un bagaglio pieno di suggerimenti che possono essere raccolti, di idee che possono essere applicate” ha tenuto a dire Do- natella.

Dopo di lei hanno portato il proprio saluto la sindaca del comune di Grimacco, Eliana Fabello, i consiglieri regionali Giuseppe Sibau e Furio Honsell (che è anche rettore dell’Università di Topolò), la ministra per gli sloveni nel mondo Helena Jaklitsch e il presidente dell’associazione Mittelfest, Roberto Corciulo.

Quindi Moreno Miorelli, che fin dalla prima edizione organizza l’evento
assieme a Donatel la, ha presentato i contenuti della Stazione, gli incontri
che si tengono prevalentemente nei fine settimana, con un ricco program-
ma che non risente delle limitazioni legate al coronavirus, emergenza che però ha costretto a organizzare la manifestazione, per la prima volta, in una data diversa da quella di luglio.

Miorelli ha anche ricordato i tanti appuntamenti che coinvolgono la Postaja nel corso dell’anno, segno di un impegno e una presenza che coinvolge molte persone. In questi ultimi anni si è distinta in particolare l’associazione Robida, composta da giovani del luogo le cui iniziative sono sul solco di quelle della Stazione, ma lo stesso aumento di abitanti nel paese in questi ultimi tempi, in controtendenza con altre realtà della Benecia, è di per sé un dato significativo e che infonde fiducia per il futuro.

https://novimatajur.it/cultura/i-progetti-per-topolo-una-dote-per-tutto-il-territorio-della-benecia.html

Le mie zinnie

 


Il conte pecoraio di Ippolito Nievo

Per la varietà dei suoi paesaggi Ippolito Nievo definì  il Friuli " piccolo compendio dell'universo"
Ippolito Nievo nacque a Padova il 30 novembre 1831.
Trascorse l'infanzia ad Udine, dove la sua famiglia si trasferì nel 1837, e, nei periodi di vacanza, nel vicino Castello di Colloredo di Montalbano, un luogo che rimarrà a lungo nell'immaginario del Nievo scrittore.

fonte foto
https://fr.wikipedia.org/wiki/Nimis#mediaviewer/File:NimisTorlano.jpg

Il conte pecoraio è un breve romanzo ambientato in Friuli,precisamente a Torlano ,ai piedi della Val Cornappo.


Un bel paesino guarda nel mezzano Friuli lo sbocco d’una di quelle forre, che dividono il parlare italico dallo slavo; ma quanto le montagne gli si radunano da tergo aspre e aggrottate, altrettanto esso ride tutto aperto e pampinoso incontro al sole che lo vagheggia dall’alba al tramonto anche nelle giornate piú avare del verno. Pronunciare cosí di botto le tre dolci sillabe del suo nome, sarebbe come innamorarvene addirittura, e togliere a me scrittore il merito di un tal trionfo; onde, lettori garbati, accontentatevi di sapere per ora, come lo divida per mezzo il torrente Cornapo, nato poche miglia piú sopra tra le prime vedette del grande accampamento slavo.
A destra si digrada per poggi e valloncelli un giardino intrecciato di castagneti e di vigne; e sembra che il Pittore eterno, compiaciutosi troppo di quella parte del quadro, ne abbia poi sbozzato affrettatamente le altre, dove le nude rocce si drizzano, si storcono, e precipitano nel torrente in atteggiamenti orribili e mostruosi. Ciò nullameno sulla riva sinistra torreggia anche adesso un vasto caseggiato, che raccoglie gli aspetti di palazzo e di fattoria; e dietro di esso fino ad alcune rovinose merlature feudali s’inerpica un bosco di castagni confitto e saldato su quei greppi dalla solerte mano di molte generazioni. Quel caseggiato poi, per quanto, conosciuto dappresso, abbia viso piú d’un villan rifatto che d’un rigido guerriero o d’un parruccone patrizio, ha redatto dalle soprastanti rovine il titolo di castello, per quel sottile buon senso delle lingue volgari, che mirando al fondo delle cose o, come esso dice, alla morale della favola, imbercia sempre nel vero.

Varmo (Il)
Dall'incipit del libro:
Ogni disposizione di natura, per quanto semplice o sgraziata, spira tuttavolta per chi la contempli con ben temprato animo una sua singolar poesia dalla quale ci si rivelano bellezze tanto più delicate e pellegrine quanto meno aperte e comprese. Un tale che, partitosi dalle folte campagne del Trivigiano col mal del quattrino nel fegato, di qua del ponte della Delizia devii verso Camino per quella magra pianura che costeggia il Tagliamento, subito col desiderio ritorna alle negre arature di Oderzo e ai colli pampinosi di Conegliano, abbandonando alla rabbia della bora e delle montane quei deserti di ghiaia. Ma il pittore che va cavalcando le proprie gambe col fardello in ispalla e l'arte nel cuore, anche reduce da Napoli o dalla Svizzera, sarebbe indotto da quei primi aspetti a tirare innanzi; ed ecco che di lí a poco il piede gli sosterebbe quasi involontario; benché per quella volta indarno, trovandosi impotente ogni tavolozza meglio ingegnosa a ritrarre quella semplicità primitiva che non ha parentela con qualunque artificiale trovato. Son quelli infatti i paesi ove la natura si dimostra piú spoglia e maestosa, piú muta e sublime, piú chiusa ed infinita; somigliante nella mia opinione alla greca Diana, che per mutarsi dall'Olimpo nei recessi d'una fonte, non s'appalesa meno altera e divina. Nessuna cosa piú mirabile al mondo di quel lucido orizzonte che fugge all'occhio per mille tinte diverse sulle sponde del Tagliamento, quando il sole imporporando il proprio letto cambia in tremulo argento i molti fili d'acqua scorrente come rete per le vaste ghiaie del torrente; ed ogni sassolino ed ogni crespolo d'onda manda una luce tutta sua, come ogni stella ripete un nuovo chiarore nell'azzurro della notte; e le praterie s'allargano d'ognintorno come il cielo si profonda nell'alto; e lunge lunge si schierano illuminate dal tramonto le torri dei radi paeselli donde si parte un suono di campane cosí affiocato per la vastità e per la distanza, da sembrare un coro di voci né celesti né terrene, nel quale alle preghiere degli uomini si sposino arcanamente le benedizioni degli angeli.
 Cosí quel calmo sole vassi
  7 morendo, e la lontana cerchia dell'Alpi ne rinvergina
l'ultimo bacio sulle vette nevose, e le falde meno rilevate,
e la pianura e l'aere interposto assumono tali colori
che mai non saranno ritratti con verità che dal pennello
di Dio. Pure cotali regioni sono misera stanza di sterilità
e di fatica; contorte e scapigliate le arborature, umili e
cadenti le case, disadorne vi appaiono le chiese, meschini
e quasi accozzaglie del caso i villaggi; ma sopra tanta
apparente deformità si spande invisibile, e attragge l'animo
senza passare pegli occhi, una cert'aria di pace serena
che non abita le campagne piú ubertose e fiorenti. Là
pertanto dalla nitida ghiaia sprizzano ad ogni passo le
limpide e perenni fontane, e di sotto alla siepe sforacchiata
dal vento effondesi un profumo di viole piú delizioso
che mai, e per l'aria salubre e trasparente piove da
mane a sera il canto giocondo delle allodole; là pascolano
armenti di brevi membra e sottili che morrebbero
mugolando innanzi alle colme mangiatoie della bassa,
là vivono genti robuste, semplici, tranquille, abbarbicate
da tenerissimo affetto a un suolo duro ed ingrato; là fra
solco e solco cresce l'olmo nodoso e stentato, sul quale
la vite lentamente s'arrampica: ma nei grappoli nereggianti
ella solea già maturare d'anno in anno il vino piú
generoso dei Friuli, ed ora restarono essi come due vecchi
genitori abbracciati in un muto dolore dopo la morte
dell'unico figlio; là infine, a dispetto di tutto, getta profonde
radici la ricca pianta del gelso, sicché lo vedi per
maraviglia sorgere dritto e lucente, e vestirsi in primavera
di quella foglia sottile, venosa, levigata, donde natura
8
ed arte dipanano la piú bella seta del mondo.
Nel mezzo di questo territorio da parecchie sorgenti,
che forse pigliano via per sotterranei meati dal vicino
Tagliamento, sgorga una vaga riviera la quale chiamano
il Varmo, ed è cosí cara e allegra cosa a vedersi, come
silvestre verginetta, che non abbia né scienza, né cura
della propria leggiadria. Sulle sue rive non s'alternano
gli adornamenti ai ripari come nell'acque serventi all'agricoltura,
né ella ogni tratto s'accieca sotto l'arco d'un
ponte o nei canaletti d'un'officina, ma libera divaga per
campi e per prati, partendosi ora in piú rami, ed ora circuendo
graziosamente se stessa, e cosí prepara bagni e
pelaghetti ai beccaccini ed agli anitrocchi; e poi come
stanca di libertà consente esser serrata da un burroncello,
e n'esce gorgogliando per dilagarsi ancora tra verdi
boscatelle di vimini; ché se qua e là un rustico passatoio
di cretoni la imbruna d'un poco d'ombra, ella se ne giova
tantosto scavandovi sotto opachi nidi ai ranocchi ed ai
gamberi; e se intoppa talvolta nella ruota d'un mulino,
sembra anco godere di questa varianza, e volgerla attorno
gaiamente, e balzellar via qua e là in goccioline iridate
e in pioggia di diamanti. Soltanto da pochi anni due
strade comunali hanno stirato sulla cheta acqua del Varmo
i loro cinque metri di carraia; ma l'ingiuria fu poca e
la cheta acqua se n'è vendicata, cred'io, burlescamente
quando non son molti autunni costrinse que' due ponti a
piegar le schiene per farle reverenza: e i ponti furono rifatti,
ma un pochino piú alti, sicché l'astuto fiuci guadagnò
un braccio d'aria, il Comune ci ebbe soffiata la pri-
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ma spesa, e gli ingegneri giubilarono. Certo se il Consiglio
fin dapprincipio avesse creduto far onta al riottoso
bastardello del Tagliamento imponendogli quella lieve
servitú, sarebbesi accontentato di lasciar il guado come
stava; ma i consiglieri per avventura non si erano mai
specchiati in quelle sue acquette satiriche, né vi aveano
veduto sul fondo variopinto quelle lunghe chiome di alica
listata di verde e di nero, fluttuante a seconda della
corrente, e quelle foglie aranciate di giunchiglia, e quei
muschi tenebrosi somiglianti a velluto, onde sopra cervelli
scarnati d'ogni poesia non fece presa la paura di
sturbar l'albergo d'una qualche fata, e cosí fu commesso
quel sopruso del quale pagheranno essi il fio di generazione
in generazione. Ciononostante, per l'insolenza dei
mastri, non dimise il fiumetto la sua petulanza: né dentro
al suo lucido grembo s'allargano in grotte meno colorate
e fantastiche i regni delle dolci anguille e delle bisce
dorate.
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LE GUERRE TRA SLAVI E LONGOBARDI: GENESI DI UN DUALISMO CULTURALE (PARTE SECONDA)





Il piccolissimo centro di Ponte San Quirino, confine linguistico, comunale e geografico tra le Valli e la piana di Cividale, ma anche probabilmente luogo in cui il Duca Vettari distrusse un minaccioso esercito slavo. Era il 670 e lo scontro è rimasto nella storia come la “battaglia di Broxas“.
Si era avviato il periodo dei grandi scontri tra Slavi e Longobardi. I primi infatti continuavano ad affluire in territorio friulano, dapprima solo per insediarsi nelle più spopolate aree montuose orientali, poi anche per scendere in pianura. Al di là della battaglia di Nimis, infatti, in cui gli Slavi avevano combattuto non per propria iniziativa ma alle dipendenze di un ribelle longobardo, d’ora in poi le battaglie saranno dettate dalla frizione che essi avranno provocato andando a cozzare contro territori abitati da Longobardi. Fu proprio il successivo Duca del Friuli, Vettari, oriundo di Vicenza, a decretare con una battaglia epica, ma per certi versi misteriosa, la prima vera battuta d’arresto degli Slavi in Friuli. Era il 670 quando essi, approfittando del fatto che egli era in viaggio verso il Ticino per incontrare il Re Grimoaldo, puntarono nel cuore del Ducato, decisi a conquistare Cividale. Fortuitamente però, Vettari era rientrato prima a loro insaputa, ed essi contro di lui subirono una sonora sconfitta in quella che Paolo Diacono chiama “battaglia di Broxas”. Dalle sue cronache risulta che il Duca Vettari affrontò e sbaragliò un esercito di 5mila nemici con soli 25 soldati. Visto infatti che, una volta tornati in patria, i militi di Vettari erano rientrati alle loro case, quando egli decise di muovere contro gli Slavi, in quanto informato della loro presenza, poté fare affidamento apparentemente solo su 25 di loro, tanto che la massa degli invasori, quando lo vide in così grave minoranza, cominciò a farsi beffe di lui dicendo: “Ecco il Patriarca che viene coi chierici contro di noi”. In realtà, anche se sicuramente Vettari si trovava in svantaggio numerico, il numero riportato sarebbe probabilmente frutto di un errore di copiatura durante una trascrizione, errore non da imputare dunque a Paolo Diacono.
Al centro sullo sfondo la sagoma conica e a punta smussata del piccolo Monte Purgessimo. Proprio lì sopra i Longobardi del Duca Ferdulfo subirono, attorno al 700, la loro peggior sconfitta contro gli “Schiavi”. Fu un esempio clamoroso di inettitudine e sottovalutazione del nemico.

Si sa che l’impresa, che salvò Cividale e forse l’intero Ducato del Friuli, avvenne presso un ponte del Natisone, ma non si sa esattamente dove. Alcuni infatti interpretano quel “Broxas” come Brischis, paesello ai piedi del Massiccio del Matajur e vicino Pulfero (da non confondere con Brischis in Comune di Prepotto), altri invece in quel nome riconoscono Brossana, il borgo più orientale della vecchia Cividale. Fatto sta che gli invasori, dopo essersi radunati in massa per espugnare Cividale, posero l’accampamento presso Broxas; sarebbe quindi logico pensare che si tratti proprio del borgo cividalese, in quanto avrebbe avuto molto più senso accamparsi subito fuori la città da cingere d’assedio, o comunque da attaccare, piuttosto che parecchi chilometri a nord-est e a ridosso di un villaggio di nessuna importanza per l’azione militare. Paolo Diacono stesso dice che Vettari si avvicinò al ponte sul Natisone, probabilmente proprio quello di Ponte San Quirino, e si tirò via l’elmo di fronte ai nemici, lasciandosi riconoscere. Quindi, come racconta sempre lo storico longobardo, vedendo che era proprio il Duca del Friuli, furono presi da una tale paura e costernazione che, anziché attaccare battaglia, pensarono stupidamente di darsi alla fuga. Vettari ingaggiò quindi uno scontro che portò all’annientamento degli Slavi. I superstiti, giudicati essere solo alcuni su 5mila dell’intera orda, si ritirarono risalendo le valli che avevano disceso per quella che credevano sarebbe stata per loro una vittoria epocale. Un indizio, che potrebbe avvalorare la teoria favorente Brossana (o perlomeno i suoi dintorni) come luogo dello scontro, è dato dal riscontro di Podrecca secondo cui, presso Ponte San Quirino, furono trovate numerose ossa e armi, tracce della battaglia. Sempre l’autore afferma che, sopra la porta della loggia di Brossana, fu posta una lapide con su scritto in latino: “Non procul hine Broxas est in finibus Antri Qui nomen tibi Porta dedit broxana vetustum, Dux ibi finitimos percussit Vectaris hustes, Cun galeam abjecit currens in praelio calvus, Teste Natiso et rubicondi sanguine montes.”. Ossia: “Non lontano da qui si trova la località di Broxas posta nel territorio di Antro che diede a te, porta, l’antico nome Broxana. Qui il Duca Vettari sconfisse i vicini nemici quando, dopo essersi tolto l’elmo, col capo calvo si buttò nel combattimento. Di questo fatto furono testimoni il Natisone e i monti rossi di sangue.”. L’iscrizione, che ritroviamo dal 1750 sopra la porta d’ingresso dell’ex casa canonica, in Piazzetta San Biagio a Brossana, potrebbe chiudere definitivamente la questione. Lo storico cividalese Bernardo Maria De Rubeis (1687-1775), infatti, riconosce in Broxas una località a quattro miglia da Cividale e che identifica il ponte del minuscolo abitato di Ponte San Quirino. Sarebbe stata proprio questa località ad aver dato poi il nome a Porta Brossana e quindi al borgo stesso. Di conseguenza, il nome della battaglia non ricorderebbe il borgo orientale di Cividale bensì questa misteriosa località dimenticata. Un altro esempio di borgo cittadino che, assieme alla sua porta, ricorda nel toponimo la località verso cui punta è Borgo Cussignacco a Udine, che si chiama così proprio perché indirizza verso il paese di Cussignacco, naturalmente fuori la vecchia città ma sempre in Comune di Udine e a pochi chilometri di distanza. In molti altri casi, invece, come per esempio sempre a Udine ma anche a Palmanova, il borgo omonimo di un altro centro non si trova affatto nelle vicinanze, anche se la sua strada principale vi indirizza. Tornando allo scontro, la vittoria fu senza dubbio clamorosa, e certamente convinse gli Slavi a non cercare altri confronti armati per diversi anni, se non decenni.
laurini
Laurini, nucleo di case subito a nord di Torreano, in Val Chiarò. Probabilmente qui (o perlomeno secondo la leggenda), tra le Valli del Natisone e quelle del Torre, la schiacciante vittoria del Duca Pemmone pose fine per sempre agli scontri armati tra i due popoli in terra friulana. Era il 725.
Si arrivò quindi all’alba di un nuovo secolo, l’VIII, e in Friuli la morte, in un anno imprecisato di questo periodo, del Duca Adone spianò la strada verso il potere a un personaggio che, al contrario di Vettari, gestì la questione slava nel modo più catastrofico possibile: Ferdulfo. Egli, originario della Liguria, anziché risolvere il problema con intelligenza, o almeno evitando inutili guai ai suoi sudditi, diede fiato al proprio ego per dimostrare come fosse bravo a battere gli Slavi. In pratica li ingannò, offrendo loro preziosi doni per attirarli nelle terre friulane e quindi sconfiggerli in battaglia. Il piano funzionò così bene, per modo di dire ovviamente, che diversi banditi slavi non solo entrarono nel Ducato del Friuli ma cominciarono anche a saccheggiare e ad aggredire i pastori con le loro greggi, per poi ritirarsi col bottino. Un’autorità locale non ben definita e detta “rettore”, di nome Argait, accortosi dei danni che questi malandrini stavano provocando, si diede a inseguirli ma senza riuscire a raggiungerli, nonostante il suo valore e coraggio. Al suo ritorno, il Duca Ferdulfo gli andò incontro e gli chiese che fine avessero fatto gli Slavi. Alla risposta di Argait che essi si erano dati alla fuga, Ferdurlo si infuriò e disse al suo sottoposto: “Quando mai potresti fare alcuna prodezza tu, cui viene da Arga il nome d’Argait?”. La risposta fu secca e degna di un uomo duro e sprezzante come Argait: “Voglia Dio, che né io, né tu, o Ferdulfo, esciamo da questa vita, prima che gli altri conoscan chi di noi due piú meriti il nome d’Arga”. L’occasione per dar seguito alla sfida arrivò, per loro sfortuna, e non solo loro, non molto tempo dopo, in quanto un intero esercito slavo, e non più questa volta soltanto qualche banda disorganizzata, scese verso Cividale e si accampò sulla cima del Monte Purgessimo. Non avrebbero potuto scegliere una rocca naturale più sicura e allo stesso tempo così prossima alla capitale longobarda in Friuli. Questo monte, infatti, anche se alto soltanto 453 m s.l.m. (quindi un colle per l’esattezza), è assai ripido, e assieme all’antistante e di poco inferiore Monte dei Bovi, dall’altra parte del Natisone, rappresenta le “Colonne d’Ercole” delle Valli, con la piana di Cividale in bella vista a ovest-sudovest. Ferdulfo organizzò l’assalto alla super postazione nemica con l’intenzione di percorrere la base del monte fino a che non si fosse trovato un punto favorevole per salirvi. Il Duca avrebbe forse anche potuto raggiungere la cima piuttosto agevolmente, e magari cogliere di sorpresa gli Slavi e batterli, ma, un po’ per sua testardaggine e vergogna e un po’ per colpa di Argait, che lo spinse sulla cattiva strada, finì per firmare la condanna a morte sua e dei suoi uomini. Argait infatti si intromise e disse: “Ricordati, o Duca, che dicesti che io sono poltrone e da nulla, e che con vile parola mi chiamasti Arga – or dunque l’ira di Dio cada sopra quello di noi, che l’ultimo s’accosterá a questi Schiavi”. Egli quindi si avviò per un percorso impervio e proibitivo verso la battaglia. Il sovrano, per dimostrare che non era da meno e per non darla vinta allo sfidante, si decise a percorrere allo stesso modo il versante, seguito dalle sue truppe. Gli Slavi non solo si accorsero di loro ma approntarono immediatamente le difese, fino a che non si giunse allo scontro sanguinoso. Possiamo immaginare quei Longobardi, stremati da quell’insensata fatica ancora prima di mettere mano alle armi; fu un massacro. Si dice che, più ancora che con le armi vere e proprie, gli Slavi li avessero percossi con pietre e bastoni; li uccisero quasi tutti, dopo averli disarcionati da cavallo. In questa assurda disfatta non perirono soltanto Ferdulfo e Argait ma anche tutta la nobiltà friulana del tempo, assieme a moltissimi valorosi militi, il cui valore andò così scioccamente sprecato. Uno di quei pochi scampati alla morte era un tale Manichi, il quale, dopo essere caduto da cavallo ed essere stato legato alle mani con una fune da uno slavo, riuscì a colpirlo ugualmente con la lancia rubatagli, per poi fuggire facendosi cadere come potette giù per quei burroni. Nonostante l’uccisione dello stesso Duca e la messa fuori combattimento di gran parte del suo seguito, nelle fonti non si parla di un attacco slavo a Cividale; forse non interessava a loro veramente prendere la città, ma solo arricchirsi col minor rischio possibile, attuando quindi la tecnica del mordi e fuggi ai danni delle indifese campagne.
Carlo_Podrecca
Carlo Podrecca, studioso contemporaneo che diede il suo contributo alla risoluzione di alcune questioni poco chiare delle vicende belliche qui ampiamente considerate.
Dopo una breve e insignificante parentesi del Duca Corvolo, salì al trono, nel 710 circa, un uomo degno del suo nuovo ruolo. Di padre bellunese, si chiamava Pemmone e condusse i Longobardi alla riscossa totale. Paolo Diacono, nato proprio sotto il suo governo, lo definì “uomo intelligente e utile alla patria”. Egli si prese cura dei figli dei nobili periti nella battaglia del Monte Purgessimo e li allevò amorevolmente, fino a che, e non poteva certo immaginarlo, non ebbero modo di vendicare la morte dei loro padri. Arrivò infatti a Pemmone la notizia che una moltitudine di Slavi si era radunata in un luogo detto “Lauriana”; era il 725. Anche in questo caso, così come per “Broxas”, permangono dubbi circa l’identità del sito. Anche qui due ipotesi: Lavariano, in Comune di Mortegliano (quindi ben distante da Cividale), e Laurini, dei casali qualche chilometro a nord di Cividale, in Val Chiarò e oggi in Comune di Torreano. Per ovvie ragioni si considera più ammissibile la seconda, anche se per alcuni soltanto la leggenda fece collocare lì l’evento, in quanto né il borgo né il suo nome all’epoca erano già nati. La Treccani riferisce addirittura che probabilmente si trattava di una località nell’alta valle della Drava, dunque nel territorio dei Carantani. Pemmone, con l’esercito composto anche dai rampolli dei nobili defunti, per tre volte caricò i nemici, sbaragliandoli completamente e perdendo, si disse, soltanto un uomo, tale Sigualdo, che però era anziano. Egli era lì per vendicare i due figli uccisi negli scontri avvenuti sotto Ferdulfo, e trovò la morte in questa battaglia solo durante il terzo assalto. Pemmone e gli altri non volevano neanche che combattesse, ma egli rispose loro: “Ho vendicato quanto basta la morte de’ miei figliuoli, e se ora verrá la morte lietamente l’incontreró”. Il Duca tuttavia non voleva rischiare di perdere altri fedelissimi, e decise subito di sottoscrivere una pace con gli Slavi sul campo. L’accordo prevedeva uno scambio di territori per la rispettiva attività di pascolo, patto che avrebbe forse placato la sete di razzie di questo popolo, ormai sempre più legato alle montagne tra Isonzo e Natisone.
slavo
I puntini bianchi identificano i centri abitati che portano nomi di origine slava. La Bassa Friulana ospita non pochi esempi, anche se ovviamente è la montagna, e in particolare le Valli del Natisone, a contare i numeri maggiori. Per esse bisogna anche dire che il numero di questi centri è molto maggiore in confronto, per esempio, all’Alta Val Torre.
Ma gli scontri non terminarono. Nel 738 fu la volta del figlio di Pemmone e nuovo Duca, Ratchis, a battere gli Slavi, ma in questo caso certamente nella loro patria, in Carniola. Si trattò in pratica di una controinvasione. Fu però a sua volta colto alla sprovvista in una successiva battaglia, tanto che non riuscì nemmeno ad afferrare la propria lancia per difendersi, ritrovandosi a combattere con una mazza con la quale riuscì ad abbattere subito un nemico. Paolo Diacono qui, però, neanche avesse voluto riservarci una eterna suspense, non termina il racconto. Per questo, non si sa né chi abbia vinto quella battaglia né se Ratchis, alla fine, ne sia uscito sano e salvo. Sappiamo però per certo che non fu tra i caduti. Egli sicuramente rimane più conosciuto per il celebre e omonimo altare, una delle più importanti opere scultoree longobarde, conservato al Museo Cristiano di Cividale.
C’è da immaginare che da quel momento in poi non ci siano state più violenze degne di essere riportate nelle cronache, e alla fine, già ancora sotto i Longobardi, che tanto li avevano avversati, e poi soprattutto due secoli dopo, gli Slavi si infiltrarono pacificamente fin nel cuore della Bassa e in alcuni casi anche più a nord. Infatti, le terre lasciate incolte a causa delle guerre longobarde e della lebbra da loro portata, e successivamente a causa delle tremende invasioni ungare, avevano bisogno di nuovi contadini, e gli Slavi facevano proprio al caso.
https://forumjuliiblog.wordpress.com/2018/05/23/le-guerre-tra-slavi-e-longobardi-genesi-di-un-dualismo-culturale-parte-seconda/

Giorni di scuola e di vacanza, l’Italia detiene due primati in Europa. Tutti i numeri Di Andrea Carlino

immagine del web

Quanto lavorano i docenti italiani? Davvero sono quelli che lavorano di più in Europa? Scopriamolo con i numeri forniti dall’organizzazione europea Eurydice.
Giovedì sera, nel corso della trasmissione “In Onda”, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, in merito alla riapertura delle scuole ha detto che il calendario scolastico italiano è quello con il numero maggiore di giorni di lezione e che gli altri paesi hanno giorni di sospensione spalmati nel corso dell’anno scolastico. Da ricordare inoltre che i mesi di vacanza per gli insegnanti non sono 3. Chi è impegnato negli esami di Stato ha terminato da pochi giorni e avrà circa 33 giorni di ferie.
Ogni anno, praticamente, in questo periodo, chi propone di aprire le scuole anche d’estate scatena le polemiche di docenti e studenti.
Come è distribuito il calendario scolastico? Come è organizzata la pausa estiva?
Calendario scolastico 2020/21: data inizio e termine lezioni in ogni regione, quanti giorni di “ponte”

Cosa succede in Italia e negli altri paesi d’Europa

I paesi europei differiscono notevolmente per quanto riguarda l’articolazione dei calendari scolastici.
In tutti i sistemi scolastici è previsto che i docenti debbano svolgere molti altri compiti al di là delle ore di insegnamento, comprese le attività di carattere burocratico-amministrativo, di organizzazione e pianificazione della didattica, di valutazione degli allievi e i rapporti scuola-famiglia.
Questi risvolti dell’attività dei docenti non sempre sono dettagliate nei contratti di lavoro, ma sono spesso basate su un tacito accordo riguardo ciò che ci si aspetta dagli insegnanti come parte integrante della loro attività.
Il totale settimanale cambia considerevolmente da paese a paese, variando da un minimo di 14 ore in Croazia, Polonia, Finlandia e Turchia, a un massimo di 28 ore in Germania.
Scopriamo, con i dati Eurydice, che il numero di giorni di scuola varia dai 156 giorni in Albania e i 200 giorni in Danimarca e Italia. In circa la metà dei paesi l’anno scolastico conta 170/180 giorni; in 17, il numero varia tra 181 e 190 giorni.
Oltre alla pausa estiva, ci sono altri quattro periodi principali di vacanze scolastiche in tutta Europa: le vacanze autunnali, Natale e Capodanno, inverno/feste di Carnevale e la primavera/Pasqua. C’è da precisare, inoltre, che i periodi e le date delle vacanze scolastiche possono variare anche all’interno di un paese, come accade in Italia, dove le singole regioni adottano un proprio calendario.
Ad esempio in Francia, le vacanze estive durano 8 settimane, ma tra ottobre-novembre e a carnevale le scuole sono chiuse complessivamente per 4 settimane.
La maggior parte dei paesi a giugno chiude le scuole. Quindi le vacanze estive sono concentrate tra giugno e fine agosto. Fanno eccezione paesi come la Germania, l’Islanda, la Norvegia e la Scozia. L’inizio del loro anno scolastico è compreso tra il 1° agosto e 23 agosto per ovvi motivi climatici.
La differente organizzazione delle pause influisce sulla durata delle vacanze estive. Si va da un minimo di 6 a un massimo di 12-13. Le vacanze estive vanno dalle 6-8 settimane (Francia, Germania, Liechtenstein, Regno Unito, Norvegia…) alle 10-12 (Finlandia Grecia, Islanda, Portogallo, Spagna, Ungheria…). La Lettonia, l’Italia chiudono l’elenco con 13 settimane.
L’Italia, dunque, detiene il primato sia dei giorni di lezione sia di quelli di vacanza: solo che sono quasi tutti concentrati nel periodo più caldo dell’anno.

https://www.orizzontescuola.it/giorni-di-scuola-e-di-vacanza-litalia-detiene-due-primati-in-europa-tutti-i-numeri/

ForEst consiglia

immagine da wikipedia
Ecco un esempio di comportamento da NON adottare in montagna.
Probabilmente legato ad ignoranza, più che a cattiveria, con questo comportamento sono stati messi in pericolo sia il cane (che per fortuna era al guinzaglio, a dimostrazione di un minimo di buon senso da parte del padrone) che lo stambecco.
Come comportarsi in occasioni come questa di incontro con un animale selvatico?
Partiamo dal presupposto che già all'inizio del video l'uomo era troppo vicino allo stambecco. È vero che sono animali molto confidenti e curiosi e, come in questo caso, a volte sono loro ad avvicinarsi. Tuttavia bisognerebbe sempre cercare di evitare questa vicinanza, ancora di più se con un cane (tra l'altro di grandi dimensioni come questo), che per istinto è anche lui curioso e potenzialmente aggressivo nei confronti di animali selvatici.
Si dovrebbe quindi tentare di allontanarsi indietreggiando con calma, magari iniziando a parlare con voce tranquilla (di modo che l'animale percepisca costantemente la vostra presenza o nel caso non si sia accorto ancora di voi).
Questo comportamento lo si sarebbe dovuto adottare ancora più chiaramente dopo i primi segni di nervosismo e ostilità dell'animale e palesemente dopo la prima aggressione, invece di restare lì.
Di certo è sbagliata l'idea di lanciare sassi o tentare di spaventare l'animale. Non solo per eventuali stress e ferite che si potrebbero provocare, ma anche per il rischio di risposte aggressive di difesa.

fonte https://www.facebook.com/ilaniniv/posts/1390655904466254

Parco Prealpi Giulie






ALLA SCOPERTA DELLA RISERVA DELLA VAL ALBA 💢
𝗘𝘀𝗰𝘂𝗿𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮𝘁𝗲 • Domenica 6 settembre
3 Escursioni #gratuite all'interno della più grande Riserva naturale regionale che si estende per quasi 3000 ettari interamente nel comune di Moggio Udinese.
Una straordinaria opportunità per scoprire le caratteristiche che rendono speciale quest'area protetta.
1️⃣ ESCURSIONE AL BIVACCO “G. BIANCHI”
Il Bivacco, presente sin dal 1973, è stato recentemente ristrutturato ed inaugurato nel 2018. Situato nella conca del Cjavâlz a quota 1712 m, è una struttura di appoggio per escursionisti ed alpinisti, sito nel cuore della Riserva, subito sotto le cime del Çuc dal Bôr e del monte Cjavâlz e lungo l'Alta Via del CAI di Moggio.
Dal parcheggio del Vuâlt, a circa 1050 m di quota si prosegue imboccando un sentiero sulla destra sino ad attraversare il torrente Alba. Si sale il costone in sinistra orografica del t. Alba attraversando un bel bosco di faggi e abeti sino ad incontrare la mulattiera che conduce al bivacco "G. Bianchi". Quest'ultima s'inerpica dapprima su un ripido pendio boscoso, il "Pàcol dai Çocs", poi, con tornanti, sale sino al "Clàp dal Cjavâlz". La mulattiera supera un breve tratto esposto, con un caratteristico scavo nella roccia ed in breve conduce all'aprica conca del Cjavâlz ove è posto il bivacco "G. Bianchi”.
• Itinerario: dal parcheggio a monte del bivio Masereit lungo i sentieri CAI n. 450, n. 450/A e n. 428 fino al bivacco G. Bianchi, poi rientro lungo il sentiero CAI n. 428 passando per il Rifugio Vuâlt.
• Ritrovo: bivio Masereit (a monte bivio per Virgulins) alle ore 7.30
• Durata: 4 ore
• Dislivello in salita: 750 mt
• Difficoltà: E (escursionistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Andrea Sittaro
2️⃣ DA DORDOLLA AL RIFUGIO VUÂLT
Lasciate le auto nella piazzetta di Dordolla ci si inoltra nel caratteristico borgo che ha conservato ancora le caratteristiche originarie, con le abitazioni separate da stretti viottoli, percorribili solo a piedi. Superati gli stavoli de “La Frate” si prosegue in destra orografica nel vallone del rio di Val sino ad attraversare il rio. Il percorso segue in traverso il boscoso versante occidentale sotto le “Pàlis d’arint” sino a raggiungere la forcella Vuâlt a quota 1282 m. L’ampia sella testimonia l’antica origine glaciale e dà accesso alla Riserva naturale regionale della Val Alba. La mulattiera porta al ricovero montano del Vuâlt attraversando una bella faggeta montana, con alcuni scorci panoramici sulla conca e le cime del Cjavâlz e Çuc dal Bôr.
• Itinerario: da Dordolla al rifugio Vuâlt (sentiero CAI n. 425) e rientro
• Ritrovo: in piazza a Dordolla alle ore 8.00
• Durata: 3 ore
• Dislivello: 700 mt
• Difficoltà: E (escursionistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Kaspar Nickles
3️⃣ SENTIERO DEL BOSCO DEL VUÂLT
Semplice escursione immersi nel bosco fino al Ricovero montano del Vuâlt, tappa obbligata per quanti vogliono conoscere l'autentica essenza della Riserva Naturale. L’edificio sorge a quota 1168 m alle pendici del monte Vuâlt ed offre un’ampia panoramica sulle principali cime della Riserva naturale: Cjavâlz, Çuc dal Bôr, Pisimoni, sino ad estendere la visuale sulle Prealpi Giulie, sui monti Lavara e Plauris. L’itinerario si sviluppa ad anello nella conca del Vuâlt e porta alla scoperta degli alberi e dei boschi, delle acque e delle principali caratteristiche geomorfologiche della Riserva Naturale.
• Itinerario: dal parcheggio a monte del bivio Masereit al ricovero montano del Vuâlt (sentieri CAI n. 450 e n. 450/A) e rientro
• Ritrovo: bivio Masereit (a monte bivio per Virgulins) alle ore 8.30
• Durata: 2 ore
• Dislivello: 150 mt
• Difficoltà: T (turistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Laura Fagioli
⭕️ PER TUTTE LE ESCURSIONI:
In caso di maltempo le escursioni verranno rimandate a domenica 13 settembre.
Presso il rifugio Vuâlt ai partecipanti verrà offerto un cestino pranzo con prodotti locali a km 0, escluse le bevande che dovranno essere portate da casa, evitando il più possibile uso di plastiche monouso.
Equipaggiamento: Scarpe da trekking o scarponi obbligatori; Vestiti adatti alla stagione. Una giacca antipioggia in base al meteo; Bastoncini da trekking consigliati.
🛑 PRENOTAZIONI entro le ore 16.00 di venerdì 4 settembre – fino a esaurimento posti - telefonando al numero 0433 53534 oppure scrivendo a info@parcoprealpigiulie.it (all’atto della prenotazione indicare il nome, cognome, provenienza e recapito telefonico)
POSTI LIMITATI
Per tutte le info aggiuntive scrivere a: info@parcoprealpigiulie.it

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